NOTIZIARIO SU LAVORO E LOTTA DI CLASSE |
Febbraio 1997 |
Il governo - di sinistra - ha presentato la sua proposta... per aiutare gli industriali ad uscire a testa alta dalla vertenza meccanica!
Fissato a 200.000 - a regime, ossia dal 1° ottobre '98 - l'aumento lordo e con una proroga di un anno della scadenza del contratto: su queste basi ora i lavoratori dovranno decidere se hanno scioperato (45 ore di scioperi in 9 mesi) invano, o se questa è un'altra "vittoria", come qualche sindacalista sarà già pronto a sbandierare.
La proposta non va giù agli operai del Nord, e già reagiscono quelli del Sud. I lavoratori si stanno rendendo conto che le "regole" sono fragili, per quanto riguarda la loro parte. Prima devono digerire un accordo - 23 luglio '93 - e poi sentirsi dire che non sarà rispettato, naturalmente per ciò che riguarda le loro spettanze.
L'intervento di Prodi - arrivato fresco fresco dalle nevi del Sestriere - ha messo la parola fine alla stesura dell'accordo, che rimette in gioco anche la contrattazione aziendale, cedendo quindi alle richieste padronali.
Dunque, ecco a cosa serve un "governo di sinistra": a far ingoiare il rospo ai lavoratori. Recupero dell'inflazione insufficiente, allungamento della durata contrattuale, modifica della contrattazione aziendale, a danno del salario naturalmente.
Dalle fabbriche del Nord reazioni negative al quasi-accordo. Si chiede il voto dei lavoratori. Prima critica è alla delegazione trattante che è andata oltre il mandato, già peraltro comprendente sei mesi di allungamento del contratto. Scrive la RSU dell'ex-ILVA: "Se venisse accettata la proposta del governo, la frattura tra Rsu, lavoratori e vertici sindacali sarebbe insanabile e aprirebbe la strada a tanti sindacati corporativi". In realtà, occorre che proprio i lavoratori che si rendono conto dell'"insanabilità della frattura", lavorino non per frammentare il sindacato, ma per ricostruirne a partire da una rinnovata unità di classe la sua struttura.
Ai sindacati arrivano per fax richieste di "non firmare", e di consultare i lavoratori. Alla Borgonova, un ordine del giorno dice:" ...sì allo sciopero generale...".
In questo momento, sarebbe importante che i lavoratori degli altri settori facessero giungere, a loro volta messaggi di sostegno alla continuazione della lotta, messaggi che critichino l'accordo come una svendita.
I metalmeccanici hanno bisogno di solidarietà... di classe.
Atmosfera pesante nella sede CGIL Nazionale, dove è in corso il comitato centrale della Fiom. Precedentemente, quello della CGIL si è spaccato a metà: sulla proposta del governo vengono votati 2 documenti in contrapposizione, e quello di Cofferati riceve solo due voti di più del quorum.
L'altro documento, che chiede la sospensione della trattativa da imporre anche a Fim e Uilm, per andare ad una consultazione vincolante dei lavoratori finalizzata alla ripresa del negoziato, riceve 37 voti. Ci sono 24 astenuti.
I sindacati metalmeccanici sono a loro volta divisi, ma concordano sulla necessità di andare ad assemblee con diritto di voto.
La valutazione FIOM, in realtà è comunque di accettazione dell'accordo, ma si critica l'introduzione di elementi, "rivendicazioni di Confindustria sulla contrattazione aziendale che peggiorano il quadro normativo del contratto nazionale 1994".
Su questa valutazione si inserisce il contrasto con Cofferati, che invece definisce l'accordo "un buon compromesso", preoccupato più che altro di salvare il governo di centro-sinistra.
Pertanto, le direzioni sindacali hanno svenduto la forte mobilitazione dei lavoratori perchè, concedendo alla Confindustria più di quanto il compromesso stesso imponeva, hanno potuto salvare Prodi, hanno avvicinato il padronato al governo. Naturalmente la classe operaia deve pagare il prezzo più alto: e non sarà mai che riesca a far pagare un prezzo, se non ai padroni, almeno ai suoi falsi dirigenti.
Una nota, che mostra chi è il vincitore: Confindustria, mostrandosi sufficientemente soddisfatta, indica che questo è un primo passo verso cambiamenti strategici della contrattazione. Sottolinea "l'irripetibilità di questo ciclo di contrattazioni", il "forte ridimensionamento delle esorbitanti richieste sindacali", e nonostante tutto, si lamenta per "l'aumento dei costi che deriva dal contratto e che si ripercuoterà sull'inflazione".
Attendono le oltre 450mila lavoratrici (e lavoratori) delle imprese di pulimento: nuovo incontro ieri tra sindacati e imprese.
Firmato, invece, il contratto dei lavoratori delle piastrelle (30mila), con un aumento medio previsto di 195mila lire in tre tranche. il contratto durerà 2 anni.
Resta aperta la vertenza per 1.600.000 edili: il 5 febbraio riprendono gli incontri.
Per il rinnovo del secondo biennio (parte economica dei contratti) stanno ancora trattando i comparti del cemento, cave, laterizi e legno (circa 550 mila lavoratori).
Senza contratto 50 mila chimici (vetro).
I sindacati dei ferrovieri confermano gli scioperi e non riaprono, per ora, il tavole delle trattative. Tutte le org. sindacali hanno ribadito le loro critiche alla direttiva Prodi sulla ristrutturazione delle ferrovie, da cui emerge "la volontà politica del governo di ridimensionare fortemente il ruolo delle ferrovie; l'attivazione di un processo di frammentazione societaria dell'attività che non ha eguali in nessun paese europeo e va ben oltre le indicazioni contenute nelle direttive comunitarie; la mera impostazione finanziaria che, oltre a non risolvere il problema dei costi, produrrebbe una dilatazione della spesa e una contrazione dei servizi".
L'accordo non piace a Mirafiori: il responso delle interviste davanti ai cancelli fornisce un responso inequivocabile. La delusione è quella di chi, superata una antica rassegnazione, aveva deciso di crederci, partecipando alle lotte come non accadeva da 10 anni. E non riteneva ci fosse alcuna fretta nel firmare l'accordo.
"Dovevamo fare come quelli del latte, forse avremmo ottenuto di più" dice una signora non più giovane e tutt'altro che aggressiva.
Brucia la sterilizzazione della tredicesima: significa la perdita di 180.000 lire nel '98. E non piace il sistema degli scaglionamenti, che ha colpito anche l'una tantum: "già sono poche lire perchè ci ripagano appena delle 43 ore di sciopero che abbiamo fatto. Poi ce le daranno in due rate. Più che 'una tantum' è una 'due pocum'!"
"Questo contratto fa schifo, il governo l'ha imposto e i sindacati, invece di rifiutarlo, l'hanno accettato".
A partire dalla prossima settimana i sindacati di categoria prevedono di consultare le fabbriche. La Fiom giudica l'intesa negativamente, ma si divide al suo interno sul proseguimento della lotta, da soli. Già la Fiat ha convocato i sindacati di fabbrica per chiedere di utilizzare da qui al 19 aprile tutte e 32 le ore di straordinario previste dal contratto.
Anche in Lombardia le RSU sono "in prevalenza arrabbiate". Per lo Slai Cobas di Arese il giudizio è negativo, e anche le assemblee "serviranno solo per far sfogare un po' la gente".
Franco Ciappa, delegato Fiom, dice che "questo esito non da la carica, lottare aggiungendo ferita a ferita non è bello".
Dice Severgnini della RSU della Same di Treviglio che bisognerà affrontare il nodo del sindacato: "Se i contratti si fanno per tornare indietro, a cosa serve il sindacato? Questo è il sentire comune dei lavoratori, con questo dobbiamo confrontarci".
E ancora, dalla Iveco di Brescia viene un altro giudizio critico: "è stata una operazione politica che ha colpito al cuore i lavoratori metalmeccanici. Il governo l'ha assecondata e sono state poste le basi per ulteriori attacchi allo stato sociale".
Questo movimento di lotta per il contratto nazionale ha assunto spesso una valenza politica che non era però quella autentica, e che la maggior parte dei lavoratori ravvedeva: infatti lo scontro autentico stava nel individuare chiaramente la controparte padronale, e non farsi stringere nei limiti degli accordi del '93. Invece, la valenza politica ufficiale è stata quella di far "resistere" il governo Prodi all'inflessibilità di Federmeccanica, e far guadagnare punti al governo di centro-sinistra come "difensore" degli interessi operai. Ma i lavoratori hanno già capito che il governo si è schierato da una parte, trascinando anche il sindacato: la difesa è quella degli interessi dell'industria, del profitto costruito sulla perdita delle garanzie contrattuali, sulla flessibilità del lavoro, su straordinari e tagli occupazionali.
Questa volta i metalmeccanici hanno lottato in crescendo; non c'è stata stanchezza. Ma cosa rispondere a questo crescendo? Accettare questo accordo infausto, che sperpera energie di lotta, sacrifici materiali di centinaia di migliaia di lavoratori?
Gli operai più giovani sono i più incazzati: avevano creduto nella lotta e nella partecipazione. Non difendevano accordi come quelli del '93, ma il diritto a dire l'ultima parola su quello che li interessa come classe: salario e tutele contrattuali.
Questo accordo, che si tramuterà in contratto, mette la parola fine alle strategie concertative. Gli operai lo capiscono, ma sapranno tradurlo in pratica conseguente?
Tutto poggia ora sulle spalle dei delegati, che devono saper essere "conseguentemente" critici. Portare la critica al sindacato cogestionario, dare forza alla partecipazione degli operai, non lasciare disperdere queste energie.
Occorre respingere l'accordo e proseguire nella lotta: il mandato dei sindacati confederali non era quello espresso nell'accordo.
Le assemblee avranno senso se convoglieranno le energie critiche verso lo sviluppo della lotta, nell'individuazione di nuove forme, che danneggino meno gli operai e più le imprese e che soprattutto costringano il sindacato a state o non stare con la base.
Ora viene il difficile: ma per chi ha lottato, per chi sa quanto è difficile la vita in fabbrica, ottenere rispetto dal padrone, forse viene anche "il bello", che sta nell'unità che in questi nove mesi ha animato la classe operaia. Occorre chiedere solidarietà dagli altri lavoratori, allargare la lotta.
Occorre vincere.
Presentata la proposta, il ministro dei Trasporti Burlando attende la replica dei sindacati, che non si incontrano con Prodi. Totale: sono state confermate tutte le agitazioni dei ferrovieri a partire da domani.
Il sindacato confederale si trova nell'evidente imbarazzo di scioperare contro un "governo amico", ma i miracoli di equilibrismo non sempre riescono - come nel caso metalmeccanico - essendo, in questo caso, proprio il governo la controparte.
Burlando - il cui nome speriamo non significhi niente! - ha ricevuto ieri mattina tutte le componenti della protesta, presentando un suo testo a modifica della direttiva Prodi. In realtà ai sindacati è apparso come un aggiustamento formale alle linee del governo per il riordino del sistema ferroviario.
Non ha convinto, soprattutto, la parte dello spezzettamento delle ferrovie - è tempo di spezzatini, visto anche quanto succede all'ENEL!.
I sindacati hanno fatto uno sforzo unitario - cosa non facile vista la diversa esperienza - e hanno prodotto un documento con pochi punti essenziali: centralità del trasporto su ferro, mantenimento dei finanziamenti per il trasporto locale, mantenimento dei livelli occupazionali, rifiuto dello spezzettamento in tante società dell'azienda. E un punto centrale: accettazione della direttiva Ue - base della posizione del governo - solo a proposito della separazione contabile tra infrastrutture e trasporto. Più una postilla voluta dai macchinisti sulla sicurezza.Ma il documento è stato bloccato da un funzionario del ministero dei trasporti, che lo ha definito troppo "radicale".
"Ci hanno proposto un patto inaccettabile: riprendere la trattativa per il contratto solo a condizione che sindacati e imprese facciano pressione per impedire l'entrata in vigore delle leggi sulla sicurezza nei cantieri". Massimo Viotti della Fillea-Cgil spiega così la rottura con l'Ancea - Associazione costruttori edili - per il rinnovo del contratto di più di un milione di lavoratori.
Gli edili hanno finora effettuato 12 ore di sciopero. Ora le parti sono state convocate dal ministro del lavoro per far riprendere la trattativa, contando su un pacchetto di agevolazioni fiscali agli imprenditori - non mancano mai di questi tempi!
Sciopero generale di 48 ore contro il piano di austerità, annullato ieri dallo stesso presidente Bucaram, che ha esonerato 4 ministri.
Una protesta senza precedenti in Equador, contro un presidente populista, insediato da appena sei mesi. Scontri con la polizia si sono avuti a Quito e a Cuenca, durante le manifestazioni di protesta. Il piano di austerità, che aderiva alle direttrici liberistiche per l'America Latina del FMI, prevedeva aumenti incredibili dei beni primari, per una popolazione che vive sotto il livello di povertà al 60%.
A questo si vogliono ridurre le assemblee di fabbrica che saranno convocate nei prossimi giorni. Quindi niente consultazione vincolante. Di vincolante ci sono solo i giudizi di accettazione formulati dai gruppi dirigenti nazionali. Si fa anche obbligo ai delegati che terranno le assemblee di "sostenere le decisioni prese dagli organismi nazionali".
Consultazione blindata, quindi. Almeno nelle intenzioni dei promotori: ci si augura che la rabbia che viene espressa dai lavoratori trovi un forte risalto nelle assemblee e costringa almeno i delegati di base a non accettare veti dai vertici.
D'altra parte è evidente che queste direttive mostrano il segno delle divisioni che lacerano il sindacato metalmeccanico. La Fiom, in particolare, si trova chiaramente divisa tra una valutazione unanimemente negativa dell'accordo e una sua accettazione di fatto - seppure tra astensioni e voti contrari.
Sintetizza Giorgio Cremaschi, segretario della Fiom piemontese: "Non possiamo stare qui a fare la sociologia della sconfitta: i lavoratori pensavano di ottenere un risultato più alto e, siccome non l'hanno ottenuto pensano che la colpa è del sindacato. Io penso che abbiano ragione, anche se tra i sindacati ci sono differenze. L'andamento di questa vertenza, soprattutto nell'ultima fase, dimostra che i rapporti di forza servono e non è vero che quando li usiamo ci perdiamo".
Più chiari di così!
Ed è duro anche il giudizio di Cremaschi su Cofferati: "Non condivido il giudizio di Cofferati, che dice che è un buon compromesso. Quel compromesso fa saltare l'autonomia dei livelli negoziali e rappresenta un risultato insoddisfacente. Quanto al governo, doveva essere garante delle regole, invece ha ceduto alla pressione di Confindustria".
Un attimo prima della firma del contratto nazionale dei metalmeccanici che esclude il contatto integrativo, i 130 operai, che si riconoscono nella Rsu Sin Cobas, della Setral di Romas d'Isonzo hanno ottenuto da 170 a 200 mila lire d'aumento mensile a regime, svincolati dal livello di produzione, di produttività e dal bilancio dell'impresa. Vi è un aumento del 20% dell'indennità notturna e del 30% per il lavoro al sabato.
La posizione del SinCobas ha sconfitto in assemblea per 60 a 6 la proposta degli Rsu confederali, più disponibili alle richieste della direzione di legare gli aumenti a presenza e produttività.
E' riuscito lo sciopero dei lavoratori delle poste con una partecipazione dell'80% I lavoratori delle poste sono 180mila. La più grossa impresa italiana. Il ministero è a disagio per l'agitazione di ieri e per il futuro blocco degli straordinari. I tagli previsti cadono in una fase in cui l'Ente ha recuperato circa 4000 miliardi, ed è quasi in pareggio. Il governo vorrebbe proseguire questa opera di "risanamento" tagliando laddove non c'è un presunto interesse di mercato.
Secondo il sindacato SLC-CGIL "non si sostiene lo sviluppo...con tagli ai lavoratori; tanto più che l'Ente Poste assume lavoratori trimestrali e in formazione lavoro, per sopperire alle necessità. La regolarizzazione dei precari era prevista nel '96... Le modernizzazioni sono così soltanto tagli al personale, e in questo modo ne risente la qualità del servizio. Poi si riassumono altri che costano meno, ma devono ancora imparare che cosa fare. Ora che imparano sono finiti i tre mesi, e sono fuori".
Continuano gli incontri: le delegazioni sindacali saranno ricevute dal ministro dei trasporti Burlando. Il tentativo è quello di trovare una mediazione tra la cosiddetta "direttiva Prodi" e le posizioni sindacali espresse in un documento elaborato la scorsa settimana.
Intanto proseguono gli scioperi. Ieri è toccato al personale degli impianti fissi. Oggi è previsto lo sciopero dei capistazione.
Ora tocca, infatti agli stabilimenti termali, ma non viene tralasciato neanche l'aeroporto di Capodichino.
Tra le Terme: Recoaro, Salsomaggiore, Montecatini, Agnano, Chianciano, Castrocaro. Il loro valore complessivo venne stimato, due anni fa, in 1800-2000 miliardi.
E' previsto il trasferimento gratuito delle partecipazioni azionarie, dei beni e del personale di tutte e 13 le aziende termali alle regioni e alle province autonome in cui sono ubicati gli stabilimenti. Queste potranno a loro volta, entro 60 giorni dalla presentazione del piano di rilancio delle terme, cederne in tutto o in parte le partecipazioni, le attività, i beni e il personale, affidandone la gestione a società con capitali misti. Le terme occupano 3000 lavoratori direttamente e 27mila indirettamente.
A Capodichino invece la BAA (British Airport Authority assumerà il controllo della Gesac, rilevandone il 65%
Tregua momentanea in Grecia nella battaglia dei contadini contro le misure economiche imposte dalle direttive comunitarie sull'agricoltura. Se non sarà dato seguito alle richieste di aiuti, agevolazioni fiscali, le lotte riprenderanno a marzo. L'agricoltura gioca ancora un ruolo importante nel paese.
Partono questa settimana le assemblee e si concluderanno soltanto alla fine del mese. FIOM, FIM e UILM hanno già detto che considerano vincolante per la firma dell'accordo il giudizio dei lavoratori.
Intanto i lavoratori dell'Alto Friuli hanno già respinto l'accordo per il contratto.
Mentre vengono incriminati i vertici delle Ferrovie per il disastro di Piacenza, il possibile accordo sulla cosiddetta "direttiva Prodi" risulta ancora traballante. Nel pomeriggio di ieri è stata ricevuta la delegazione sindacale comprendente anche il COMU. Burlando ha presentato ai sindacati una sua proposta, ma la mediazione risulta ancora difficile, con troppi punti di contrasto.
Un punto fermo nel fronte sindacale è il "no allo spezzettamento", alla divisione delle Ferrovie in tante società. I rischi che ne derivano sono la vendita ai privati di queste società derivate, la frammentazione contrattuale dei dipendenti e la diminuzione, per ciò stesso dei livelli di sicurezza.
Pesanti critiche all'accordo dai metalmeccanici bresciani, mentre sono appena cominciate le assemblee in fabbrica. Una critica che mette in dubbio l'essere democratico del sindacato, e rimanda all'assemblea dei delegati FIOM - tra un mese - la discussione sul rapporto democratico tra lavoratori e sindacalisti. Nel documento di Brescia vengono denunciati i limiti di questa politica sindacale che si manifesta, tra l'altro, nel divario tra l'impegno di chi lotta e i risultati ottenuti da chi, in suo nome, tratta.
Dice Zipponi, della Fiom bresciana: "Gli esiti non sono mai all'altezza delle lotte, dunque il punto critico è anche il sindacato. I padroni fanno la lotta di classe e vanno allo scontro, il sindacato ha paura di vincere".
Che questa sia la volta buona per una trasformazione del sindacato, è difficile crederlo, perchè di riflessioni simili ne sono state fatte ad ogni tornata contrattuale, ad ogni grande movimento che finiva per perdere la battaglia a causa della politica sindacale. Che il punto critico è anche il sindacato, lo si dice da anni: possibile che chi lo vive in prima persona, che sente il senso di prostrazione di una lotta tradita da chi la doveva portare alla vittoria, non lo sapesse già da tempo?
Hanno scioperato dalle 8,30 alle 10 di ieri i 350 lavoratori della linea di produzione della Bravo e della Marea, nella Fiat di Rivalta. Uno sciopero organizzato per protestare contro la tentazione di un ulteriore trasferimento di altri 500 lavoratori a Mirafiori e contro la decisione dell'azienda di non dare i "cambi individuali di riposo" per mantenere l'organico sulle produzioni più richieste. In sostanza, mentre si cerca continuamente il modo di licenziare perchè ci sarebbero esuberi, dall'altro si pretende che chi resta lavori di più.
Dopo lo sciopero la Fiat ha deciso di tornare sui suoi passi per quanto riguarda i "cambi individuali di riposo", ma non si è espressa chiaramente sui nuovi trasferimenti.
Il cancelliere Kohl ha chiesto ai lavoratori tedeschi di rinunciare agli aumenti salariali nei prossimi anni, per sanare la disoccupazione che in Germania, a fine gennaio, ha raggiunto il 12,2%, pari a 4 milioni e 600mila persone. Questo indice di disoccupazione - che arriva al 19% nei Lander orientali - è il più alto dal dopoguerra. I parametri di Maastricht impediscono di erogare qualsivoglia contributo ai disoccupati.
I sindacati hanno criticato la posizione di Kohl: non si sentono di barattare i salari in cambio dell'entrata nella UE, sempre più contrastata.
Nella notte è stata raggiunta una intesa sulle ferrovie. Sindacati e Comu sospendono gli scioperi. Ma la battaglia per la riforma è solo rimandata.
Il Comu ha accettato per senso di responsabilità verso i lavoratori delle ferrovie nel loro complesso, ma per mantenere viva l'attenzione sul problema ha convocato una conferenza di tutti i ferrovieri per sabato in una sala della stazione Termini.
L'intesa accantona - per il momento - lo "spezzatino societario, ma ripropone la divisione contabile fra infrastrutture e gestione.
Altro settore strategico dell'economia del paese, l'ENEL sta rischiando di finire suddiviso in diverse aziende, contabilmente separate e in concorrenza tra loro, pur all'interno della "corporate" Enel Spa. Così già si sono create le 3 società derivate dai settori Produzione, Trasmissione e Distribuzione, si sono aboliti i Compartimenti, mentre ancora sono in costruzione le società satelliti (Telefonia, Costruzioni, Informatica ecc.).
A questa divisione, costruita su anni di riduzione del personale e di cessione del lavoro in appalto, i lavoratori dell'ENEL stanno organizzando una, seppur frammentaria, risposta. Dopo lo sciopero nazionale del 28 gennaio di 4 o 8 ore, per il 28 febbraio è stato annunciato uno sciopero in diverse regioni in preparazione di una scadenza generale e nazionale che unisca i diversi spezzoni sindacali (anche le confederazioni sono divise nella strategia a seconda delle regioni) nella comune affermazione dell'energia come servizio pubblico.
Il percorso che ha portato oggi alla proposta della commissione Carpi e al lavoro distruttivo di Franco Tatò, è costruito sul blocco del turn over (poche assunzioni) che ha generato difficoltà per gli utenti nel settore commerciale, allungando i tempi delle pratiche e le file agli sportelli: sulla concessione in appalto dei lavori che prima erano eseguiti da personale ENEL, addestrato professionalmente e garantito sulla sicurezza, a ditte che non offrono ne professionalità ne garanzie di sicurezza. Questo ha significato la moltiplicazione delle spese, in quanto il 90% dei lavori compiuti dalle ditte deve essere poi in qualche modo "corretto" dai tecnici ENEL.
Per mercoledì 19 a Roma è convocata una conferenza delle lavoratrici e dei lavoratori dell'ENEL.
Si è appena chiusa la vertenza contrattuale metalmeccanica a favore dei padroni - anche se attendiamo con speranza le assemblee di fabbrica - e la Fiat approfitta dello spegnersi dei riflettori sulle fabbriche per tornare alle vecchie pratiche delle rappresaglie contro i lavoratori. In particolare quelli che si sono più impegnati negli scioperi per il contratto che a Melfi hanno registrato una buona riuscita.
Evidentemente l'azienda considera intollerabile che anche i giovani operai di Melfi si "ribellino" all'autorità padronale.
Ora arrivano le contestazioni gratuite ai lavoratori e un provvedimento disciplinare nei confronti di un delegato FIOM, accusato di aver "sabotato" la produzione. Ossia di aver scioperato, perchè in tal modo viene considerato questo metodo di lotta. E ovvio che nella fabbrica integrata, ogni atto di insubordinazione viene trasformato in un "tradimento" rispetto alla "partecipazione" - fittizia - che la Fiat usa come strumento di ricatto verso i lavoratori.
Toni Drammatici nelle assemblee dei metalmeccanici, che valutano l'accordo. Dalla Beretta ai siderurgici della Pietra all'Iveco, ci si schiera contro l'accordo. Ma anche in tutte le medie e piccole fabbriche del bresciano, il "no" è una costante. Solo all'Innse l'accordo è passato, ma di un soffio. La rivolta di Brescia non era affatto scontata: questa volta la critica è trasversale alle sigle sindacali, viene dai lavoratori.
I funzionari della CGIL hanno dovuto faticare non poco solo per far cominciare le assemblee, sommersi com'erano dalle contestazioni. In prima fila in neo-assunti, gente che - dicono i funzionari - "non aveva mai preso la parola". E che invece va al microfono per dire che "questo accordo va oltre il mandato che avevamo dato ai sindacati. Si doveva trattare sul salario e invece è finita che abbiamo dovuto bere un tentativo di bloccare la contrattazione articolata". I giovani accusano i vertici sindacali di "aver firmato un contratto che favorisce la Fiat". Infatti "la gran parte degli operai Fiat sono al Terzo Livello e per loro l'aumento non è di 200mila lire lorde ma minore". "Se ci avessero dato anche 190mila lire uguali per tutti il giudizio sull'accordo sarebbe stato meno negativo", ha detto un giovane operaio al microfono.
Tutte le sigle confederali sono sotto accusa. Una vera rivolta come rivelano i voti alla Beretta: i "no" hanno sfiorato il 100%
Alla Pietra il 90%, e all'Iveco su 650 lavoratori 10 sì e 10 astensioni.
Oggi a Torino assemblee all'Iveco, a cui partecipa Sabattini, segretario nazionale Fiom.
All'Alenia di Caselle è stato approvato un ordine del giorno in cui si sottolinea che "non è certamente possibile dare un giudizio positivo sui contenuti dell'intesa" e si chiede di "non votare sulla conclusione contrattuale, stante l'impossibilità di modificarla, ma di votare sull'ordine del giorno che ha lo scopo di non concludere l'attività e le iniziative sindacali che richiedono un rilancio e non certo un rilassamento".
Netta bocciatura dell'accordo alla Bertolamet e alla Microtecnica.
Si può sperare che il movimento operaio non si fermi, e che costringa i suoi dirigenti a proseguire la lotta.
Kohl fatica a mantenere il consenso: il peso politico delle sue scelte contro le garanzie sociali si fa sentire. Ieri una manifestazione gigantesca contro una delle tante voci che compongono il suo piano di tagli: protagonisti i minatori della Ruhr, scesi instrada per contestare il previsto ridimensionamento delle sovvenzioni federali all'industria estrattiva. 220 mila persone, minatori, lavoratori dell'industria, esponenti politici ecc. hanno formato una catena umana lunga un centinaio di chilometri.
Contro Kohl anche i postini, i quali come primo segno di ostilità, ieri mattina hanno paralizzato per un'ora il sistema della distribuzione. Oggetto del contenzioso: il mantenimento o meno del monopolio pubblico, che il governo è disposto a garantire solo per i prossimi 5 anni.
"Se nella fabbriche prevarrà il voto negativo, questo non potrà non avere un peso decisivo sul futuro del gruppo dirigente della Fiom". Questo il commento del segretario della Fiom Sabattini alle due assemblee a cui a partecipato. Quante volte abbiamo sentito simili commenti, mentre le cose hanno continuato a degenerare in casa sindacale?
"I lavoratori - prosegue - sono molto critici sull'esito del contatto, anche perchè hanno lottato molto e quindi pretendevano un risultato migliore".
Il clima alle assemblee era tutto sommato pacato, perchè i lavoratori hanno conservato lo spirito battagliero di questi mesi, ma va registrata la loro rabbia: questo il commento dei dirigenti FIOM.
Quasi unanime il dissenso sull'accordo: ma solo mercoledì prossimo ci sarà il voto dell'Iveco. Le critiche principali sono alla distribuzione salariale (evidentemente gli operai stessi non ritengono affatto "fuori moda" l'egualitarismo salariale, come invece ci raccontano gli esponenti riformisti).
A Torino ieri si è votato anche tra i 300 della Flexider: no all'accordo.
"L'esplosione di Carzago Riviera in cui hanno perso la vita 2 operai, segna un punto di non ritorno. Sulla sicurezza del lavoro va aperta un'emergenza. E' la priorità delle priorità nella lotta dei lavoratori". Questo dice Dino Greco della Camera del lavoro di Brescia.
Il giorno stesso in cui sono morti i due operai che lavoravano agli esplosivi da miniera, un ragazzo di 21 anni, con tutta la vita davanti a se, è entrato nella fabbrica di materie plastiche in cui lavora: ne è uscito con le mani maciullate da una macchina che non si è fermata, e per lui come tanti altri, non arrivano le telecamere, c'è solo il silenzio.
E ieri c'è stata un'altra vittima nel bresciano: un operaio che lavorava allo smantellamento di un forno in una acciaieria in dismissione, è stato travolto dal forno.
A Brescia nel '95 ci sono stati 95 morti sul lavoro e 22mila infortuni.
Ferrovieri
Nonostante l'accordo raggiunto l'11 febbraio tra sindacati e ministro gli scioperi non sono affatto scongiurati. Anzi il conflitto potrebbe assumere forme inedite. Ora siamo di fronte ad un possibile "sciopero trasversale" anche senza sindacati, che supera la tradizionale divisione in comparti. Sabato e domenica prossima ci sarà lo sciopero dei macchinisti indetto dal Comu, ma al quale stanno aderendo ferrovieri di altri settori. Il Comu ha redatto un documento che sintetizza l'assemblea del 15 febbraio, e che fa circolare per raccogliere adesioni. Si chiede l'unicità dell'impresa "anche nella gestione dei lavoratori", un unico contratto nazionale e la garanzia della "socialità del servizio".
I macchinisti denunciano problemi che riguardano tutti: officine sguarnite e la manutenzione delle linee che ne risente, nonostante gli sforzi dei lavoratori; in alcuni settori, a causa dell'esodo di personale, gli straordinari sono diventati "ordinari".
In questo quadro arriva la direttiva Prodi, che vuole "societarizzare" le ferrovie. La posizione del Comu - e di molti altri ferrovieri, evidentemente - è nettamente negativa.
Meccanici
Proseguono le consultazioni sull'accordo dei metalmeccanici. A Torino, l'esito delle assemblee alla Fiat Mirafiori e Rivalta si conoscerà solo il 27. All'assemblea tenutasi ieri, ha partecipato il segretario della Fiom lombarda Sabattini. L'intesa è stata criticata, anche se in modo meno acceso che all'Iveco.
Gli interventi dei più giovani, anche alla Fiat, vanno verso la richiesta di distribuzione più omogenea degli aumenti: infatti le famose 200mila lire alla Fiat - a causa di più bassi livelli di inquadramento - scendono a 150mila circa.
Intanto giungono i risultati del voto da altre aree della regione. Per il sindacato la consistenza dei voti contrari è superiore al previsto: riescono ancora a stupirsi per l'opposizione a questi accordi!
Edili
Oggi si sciopera nei cantieri edili di tutte le città. I sindacati di categoria lanciano un messaggio ai costruttori, che non ne vogliono sapere di rinnovare il contratto, che coinvolge circa 1.200.000 lavoratori. All'ordine del giorno la questione del lavoro nero, della sicurezza degli impianti, soprattutto in vista di grandi opere quali le olimpiadi o il giubileo.
Venerdì 21 febbraio le Rappresentanze Sindacali di Base hanno proclamato uno sciopero nazionale per l'intera giornata con manifestazione nazionale sotto il ministero della funziona pubblica.
Lo sciopero è contro il varo della riforma Bassanini che prevede "lo smembramento di alcuni comparti e inserisce di fatto le gabbie salariali nel pubblico impiego"; "il ventilato blocco del pagamento dell'ultima tranche dei contratti 94/97 e l'ipotesi di inserire nella manovrina lo slittamento di un anno del rinnovo dei contratti pubblici". Le RdB pongono l'accento sulla "ripresa dell'attacco allo stato sociale, soprattutto su sanità e pensioni".
Gli imprenditori italiani conducono la loro crociata per l'abbassamento del costo del lavoro sostenendo che le aziende non sono competitive a causa delle retribuzioni lorde troppo elevate.
Ma secondo il Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti (fonte non certo sospettabile di stare dalla parte dei lavoratori italiani) in Italia il costo di un lavoratore del settore manifatturiero è circa metà di quello di un collega tedesco. Alla fine del '95 la Germania era il paese con il più alto costo del lavoro. Le retribuzioni considerate comprendono tutte le voci.
L'Italia si attesta al 14mo posto con una paga oraria di 16,48 dollari, immediatamente alle spalle degli USA (17,20 dollari). In Lire un'ora di lavoro di un addetto al settore manifatturiero costa in Italia 26.852 lire, fino al '95.
L'indagine tiene anche conto dell'apprezzamento del dollaro nei confronti della altre valute.
All'ultimo posto c'è lo Sri Lanka dove il costo orario è di 0,45 dollari, preceduto dal Messico con 1,51 dollari.
Alla Fiat di Cassino si è svolta ieri l'assemblea sull'intesa Governo-Padroni-Sindacati: gli operai l'hanno bocciata. Domani tocca a Pomigliano.
Un gruppo di deputati, tutti dell'Ulivo tranne due (FI e gruppo misto) hanno presentato una proposta di legge per istituire "zone franche industriali" nelle regioni meridionali d'Italia.
Le zone franche sono previste dall'Unione Europea per spostare attività di commercio e stoccaggio negli stati membri. In estrema sintesi le zone franche consentono di importare merci non comunitarie e riesportarle dopo un certo periodo di tempo, considerandole come "merci non situate sul territorio della comunità". In Italia non vi sono di queste zone: i deputati di cui sopra vorrebbero però forzare un po' i regolamenti chiedendo che merci e semilavorati possano anche esservi trasformati.
Le zone franche sono individuate ovviamente nel sud d'Italia e lo Stato le dovrebbe sostenere con una serie di interventi, benefici ecc.
Tra questi benefici ci sarebbero l'esenzione dalle imposte Irpef, Ilor, Irpeg per gli utili reinvestiti in zona; esenzione dai dazi doganali; dotazione di servizi e infrastrutture; semplificazione nelle procedure d'insediamento; agenzia di controllo e coordinamento; previsione di programmi di formazione.
Naturalmente la perla sta nell'art.9 di questa proposta: "Tramite accordi sindacali possono essere fissati... per periodi di tempo limitati minori livelli salariali e maggiore flessibilità degli orari... rispetto ai contratti nazionali di categoria".
In Lombardia prevale la delusione e la stragrande maggioranza dei lavoratori diserta le urne. Questo è il pericolo maggiore che incombe sulla mobilitazione operaia e su cui fanno conto i sindacati e il governo per far digerire l'intesa sul contratto.
Brescia era partita in quarta scaricando sul contratto una valanga di no. Per il resto il bilancio si potrà fare a fine settimana, ma il dato certo è che, seppure la partecipazione alle assemblee sia alta, i lavoratori si rifiutano di partecipare al voto. Non vogliono essere presi in giro e rifiutano un voto inutile su un accordo già firmato e immodificabile. Questo se ci si attiene alle indicazioni date dalle direzioni sindacali: voto sì, ma non decisivo.
Così da una parte i no e dall'altra il non voto, con le stesse motivazioni dei no. E il non voto è la rottura più importante, di cui prende atto Zipponi della Fiom di Brescia.
Dove si vota però l'accordo viene respinto pressoché all'unanimità.
D'altronde non è solo il contratto il problema, ma tutta la ristrutturazione variamente articolata fabbrica per fabbrica: nel tripudio da rottamazione che fa assumere alla Fiat 1600 persone con contratti a termini, nessuno si ricorda dei 1600 alfisti che a fine giugno resteranno senza lavoro. Con una mano la Fiat da, con l'altra toglie.
Dall'Emilia e dal Trentino arrivano i "no" all'accordo. Mancano ancora però le grandi fabbriche, che saranno decisive per il voto finale.
All'Alfa di Arese assemblee separate: Slai Cobas per conto suo - e questo sembrava scontato - ma anche Fim, Fiom, Uilm hanno tenuto assemblee separate.
All'assemblea dello Slai Cobas, che è molto radicato nella realtà dell'Alfa, il contratto è stato bocciato all'unanimità dal migliaio di lavoratori presenti. Alle assemblee della Uilm e della Fim la presenza è stata insignificante, pochi intimi. A quelle della Fiom tra i circa 500 lavoratori è prevalso il non voto, come in altre realtà lombarde.
Gli operai, piuttosto che votare sapendo di non poter comunque influire sul contratto, si rivolgono a cose ben più gravi e pressanti. Alla fine di giugno all'Alfa ci si ritroverà con 1600 esuberi: alla faccia delle 2000 assunzioni tanto esaltate in casa Fiat (che è la stessa dell'Alfa).
L'accordo è stato respinto in due medie aziende lombarde, la Miller Europe, e la Klimat mentre alla Braga Moro non si è votato.
Un affollato corteo ha percorso Torino. I lavoratori del Gruppo Finanziario Tessile (Gft) hanno protestato contro la decisione dell'azienda di chiudere lo stabilimento di San Damiano, dove lavorano 167 persone. Ma la protesta riguardava anche l'annuncio dell'"esubero" di 50 lavoratori nello stabilimento di Settimo Torinese. Il Gruppo, che è ora di proprietà Gemina, sta per presentare il piano di ristrutturazione alla Regione.
Nella sede di Torino ci sono 190 lavoratori in cassa integrazione straordinaria.
Mezz'ora di scontri, cariche, lacrimogeni. Mezz'ora di violenza identica a quella vista negli anni più duri dello scontro di classe.
Da una parte i "corsisti", ex-aderenti al Movimento di Lotta per il Lavoro, da un anno iscritti ai corsi di formazione professionale; dall'altra la polizia che proteggeva l'ingresso della Prefettura a Piazza Plebiscito. Intorno, coinvolti in qualche modo pure loro, molti operai impiegati nei lavori socialmente utili (Lsu), convocati ieri mattina dai sindacati per una manifestazione regionale.
Il bilancio: 19 poliziotti feriti medicati in ospedale, 5 feriti tra i disoccupati (molti hanno evitato il Pronto soccorso).
I sindacati hanno emesso un comunicato dei soliti, a cui eravamo avvezzi negli anni '70, in cui condanna "i gruppi estranei al movimento sindacale, responsabili delle tensioni", ed invita "i lavoratori ad isolare le provocazioni di quanti tentano di far degenerare il governo democratico dei conflitti sociali". Linguaggio truffaldino, in cui si può leggere la parola governo in un doppio senso (il governo "democratico e amico dell'Ulivo" o il governo nel senso di "controllo" del conflitto sociale, in cui i confederati sono maestri).
I corsisti da parte loro rovesciano le responsabilità sulla polizia e le istituzioni che ancora non hanno fatto sapere se e come saranno avviati al lavoro.
Gia' in settimana c'erano stati altri cortei spontanei dei corsisti, i disperati della formazione perenne (1.200 tra Napoli e Acerra).
Ieri l'esplosione, gli scontri, che terminano con la pioggia di lacrimogeni sulla folla.
Manifestazione indetta in occasione dello sciopero generale del Pubblico Impiego indetto dalle RdB: 2000 manifestanti si sono raccolti davanti a Palazzo Vidoni. Le loro richieste: riforma del pubblico impiego, uguale stipendio - uguale lavoro, no alla manovrina che colpirà i soliti lavoratori dipendenti e i pensionati. Una delegazione è stata ricevuta al ministero.
In Piemonte finora il 49% dei lavoratori approva il contratto, il 38% lo boccia. A Bologna il 57% dice "sì" il 27% dice "no". come si vede molte le astensioni, oltre lo scarso interesse per il voto, che si sa già non cambierà la decisione presa.
Mancano ancora le fabbriche più grandi, la Fiat per esempio.
Alla Comau di Grugliasco, scontro sull'ordine del giorno, che si presta a diverse letture: una parte dei delegati e degli operai voleva votare su quel documento, dando per presupposto che implicasse la richiesta di dimissioni dei dirigenti sindacali favorevoli all'intesa; ma la frase incriminata, l'invito al sindacato "ad un profondo rinnovamento che veda protagonisti i lavoratori e non i vari livelli di mediazione" non è stata seguita nel verbale dell'assemblea, da una esplicita richiesta di dimissioni. Un pasticcio che ha permesso ai sostenitori del sì di negare che l'ordine del giorno mettesse in discussione i vertici sindacali.
Alla Pininfarina, alla Elbi, Comau stessa si è scelto di non votare, presentando invece documenti critici sul metodo democratico imposto (prendere o lasciare).
A Taranto, in 40 assemblee, i metalmeccanici rifiutano l'accordo, in un clima di delusione e sconforto. Che è proprio quello su cui contano i sindacalisti di mestiere per far passare accordi di questo tipo. Criticato l'aumento salariale, che resta al di sotto delle richieste, e comprende anche voci diverse dal salario di base, ma soprattutto non si può digerire il congelamento della tredicesima.
In molti casi i lavoratori hanno preferito non votare per dimostrare il loro dissenso nei confronti dei vertici sindacali. I delegati di fabbrica sono i primi ad essere critici, sopportando il peso dell'indecisione (o decisione in senso negativo) con cui a livello centrale si è deciso di concludere la vertenza.
"Che cosa votiamo a fare" e "Contratto di merda" sono stati alcuni degli apprezzamenti che i sindacalisti si sono sentiti rivolgere nelle assemblee.
A Bari si comincerà a discutere della vertenza la prossima settimana.
Solo la Magneti Marelli (1.000 lavoratori) ha concluso la votazione, bocciando all'unanimità l'intesa al primo turno mentre al secondo non si è fatto votare per evitare il sanzionamento della critica al sindacato!
D'Alema manda a dire agli operai, ai lavoratori salariati tutti, che sono privilegiati, che "piuttosto che sventolare come una bandiera il contratto nazionale" trovino il modo di difendere i diritti di chi è senza diritti. E dà una ricetta: flessibilità.
Dimentica, nella veloce svolta antisindacale (in senso generale, cioè di difesa dei lavoratori) che il contratto nazionale è stato una conquista, fatta in nome di diritti certi, e che rimettere in dubbio ciò che costò sacrifici (e ne costa mantenerlo) non aiuta chi diritti non ne ha, anzi. Cosa proporre, infatti, ai disoccupati, ai precari, ai lavoratori in nero, se si perdono riferimenti precisi, stabili, garanzie certe che tutelino condizioni, tempi, salari? La flessibilità, naturalmente. E quindi, se è quello l'orizzonte che accomuna occupati e disoccupati, garantiti e non, certo per il PDS a nulla può servire qualcosa di così arcaico come il "contratto nazionale", o il contratto in genere.
Il congresso del PDS si è sbracciato tanto per Cofferati che per D'Alema: si fosse diviso a metà, si sarebbe anche potuto comprendere la matematica di questa divisione. Ma con l'88% a D'Alema, risulta che buona parte (se non tutti) i delegati sono afflitti da una qualche forma di schizofrenia sulle questioni del lavoro. Cofferati, facendo la figura dell'intransigente oppositore di classe (lo sanno i metalmeccanici che tale non è), ha parlato contro il flessibilismo (anche culturale e politico) di questo partito "snello". D'Alema lo ha pesantemente ripreso, ha contrapposto duramente occupati a disoccupati (dimenticando le legnate che questi ultimi avevano appena preso a Napoli per mano di polizia e autorità di centro sinistra), ma è stato anche lui applaudito a più non posso.
A raccontare cosa è la flessibilità sono intervenuti i lavoratori sudcoreani. La Kctu, organizzazione sindacale non riconosciuta dal governo, e promotrice dei duri scioperi di questi ultimi 2 mesi contro la flessibilità, è intervenuta al congresso pidiessino. La loro lotta, dei sindacalisti e dei lavoratori, ha prodotto il ritiro e la messa in discussione delle leggi sul lavoro e la sicurezza (flessibilità, licenziabilità, sostituzione dei lavoratori in sciopero, impossibilità di organizzare sindacati fino al 2000): non sarà facile invertire la rotta, anche perchè alla discussione non sono invitati i lavoratori.
Dice Lee Young-hee: "Abbiamo accettato di sospendere gli scioperi alla fine di gennaio, ma se le nostre richieste non saranno accettate siamo pronti a riprendere l'azione". Punti irrinunciabili: "Pluralismo sindacale, diritto di organizzazione per insegnanti e dipendenti pubblici; abrogazione della norma che vieta l'intervento di "terzi" nei conflitti di lavoro, ossia impedisce la solidarietà tra lavoratori di diversi settori; abrogazione degli articoli su licenziamenti e flessibilità".
Il commissario europeo Mario Monti è sceso in campo per difendere, a modo suo, Cofferati. Nel corso dell'audizione alla commissione Finanze del senato si è infatti dichiarato a favore di una maggiore flessibilità della forza lavoro, ma con ampie garanzie per i lavoratori. Il liberista Monti ha criticato l'esempio di alcuni paesi asiatici e degli Stati Uniti, dove la flessibilità coincide con la negazione delle garanzie di base per i lavoratori. Ha negato anche la necessità delle gabbie salariali.
Con la riforma delle pensioni del '95, qualcuno è rimasto a piedi: sono i lavoratori impegnati in attività particolarmente usuranti. La legge, demandando la questione alla definizione delle categorie e delle figure professionali alla contrattazione tra le parti, ha previsto benefici e sconti che restano di fatto inapplicati.
L'usura psicofisica viene oggi riconosciuta solo a un numero ristretto di figure professionali e di mansioni. Tra coloro che possono andarsene in pensione prima ci sono i minatori: chi ha fatto 15 anni di sottosuolo, può andarsene in pensione con 27 anni sei mesi un giorno, se ha compiuto 55 anni (lo sconto non è certo generosissimo).
Il Decreto legge 503 del '92 - Riforma Amato - ha elevato l'età per la pensione di vecchiaia, mantenendo però limiti più bassi per una serie di casi, come il personale di volo e navigante dei servizi di trasporto, i marinai con più di 10 anni di macchine, alcuni lavoratori dello spettacolo (!), i giocatori e gli allenatori di calcio (!!) e via di questo passo. Alcune categorie, come le forze di polizia, hanno sconti, alcuni in relazione a lavori effettivamente usuranti, altri generalizzati (pure per l'impiegato) a dimostrare solo la forza contrattuale di queste categorie, leggasi privilegi.
Con la Legge di riforma Dini, del '95 la contrattazione sulle figure usuranti, se si eccettua i minatori e i metalmeccanici, non è andata avanti. Ciò non deve stupire: il finanziamento degli sconti sull'età pensionabile è a carico delle singole categorie e gli imprenditori non ne vogliono sapere di definire settori e figure professionali usuranti: con il rischio, per loro, di aprire poi tutta una serie di vertenze sulla salute dell'ambiente di lavoro.
La Riforma Dini diceva che se dalle parti sociali non viene una risposta, il ministero del lavoro provvederà con un proprio decreto. Ma la legge non dice "quando", e per ora non c'è stata nessuna iniziativa.
Lavorare la domenica e non recuperare il giorno di riposo non può essere monetizzato ma dà diritto a un risarcimento dei danni "per usura". Lo ha deciso la Suprema corte. "L'attribuzione patrimoniale spettante al lavoratore per la definitiva perdita del riposo settimanale ha natura non retributiva ma risarcitoria di un danno (usura pscicofisica), correlato ad una inadempienza del datore di lavoro". Il risarcimento non corrisponde quindi alla retribuzione giornaliere maggiorata, ma deve essere motivato dal giudice in base alla gravosità della prestazione.
Tra il '90 e il '93, su 1 milione e 450mila miliardi (1.450.000.000.000.000) di reddito sottoposto ad IVA, c'è stata una evasione di 150 - 200 mila miliardi. Dato che questi stessi redditi, non denunciati per l'IVA, non vengono denunciati neppure per le altre imposte, a catena sono state evase una montagna di Irpef, Ilor ecc.
L'importo è pari a quanto lo stato spende per onorare i vari BOT, CCT ecc.
Insomma, certo la jungla fiscale è folta, ma c'è chi la rade al suolo con un bulldozer, sottraendo ricchezza alla collettività. D'altra parte, il capitalismo non chiede di meglio: ciò che è legge per tanti non lo è per altri...
Continua a calare l'occupazione italiana: a novembre 0,3% in meno. Nei confronti del novembre '95, le imprese con più di 500 addetti occupano il 3,5% in meno.Il sud rimane il vero buco nero dell'occupazione: in alcune regione un lavoratore su quattro è disoccupato.
... contro i lavoratori, per la flessibilità. Dopo la relazione di D'Alema al congresso PDS, che ha suscitato tante proteste in casa sindacale, anche Cipolletta, presidente confindustriale, si schiera al fianco di Cofferati, nel "denunciare" che il governo non sta facendo abbastanza per il lavoro.
Stranamente Cipolletta ha anche apprezzato la relazione di D'Alema: come non avrebbe potuto vista la tirata anti-Cofferati a favore dell'introduzione della flessibilità? In realtà la convergenza tra sindacati confederali e industriali non è sul merito delle cose - su cui non c'è esitazione - ma sul rimprovero nel metodo usato dal governo. In sostanza sulla non applicazione, ancora, del patto del lavoro siglato il 26 settembre scorso.
Sembra esserci nel sindacato una certa schizofrenia, come pure in casa pidiessina. Cofferati interviene a difesa delle garanzie dei lavoratori, sostenendo - giustamente - che la perdita di quelle esistenti non garantisce nulla per coloro che il lavoro ancora non ce l'hanno, anzi. Nello stesso tempo, però, i confederali si affidano al "patto del lavoro", con cui vengono introdotti strumenti normativi che deregolamentano i contatti di lavoro, introducono differenziazioni salariali per regioni, il lavoro interinale ecc. In sostanza, la tanto odiata flessibilità, cacciata dalla finestra (dal segretario generale CGIL) rientra dalla porta, nella linea politica concreta dei sindacati.
Nella fase finale delle consultazioni appaiono prevalere i consensi all'accordo, ma come si è già visto, grazie alla non partecipazione al voto della maggior parte dei lavoratori.
In realtà questa non è semplice astensione, ma un segnale di dissenso netto dalla politica confederale e governativa: i lavoratori partecipano in massa alle assemblee alla discussione, ma si rifiutano di esprimere un voto su qualcosa su cui non possono intervenire.
A Mirafiori, la più grande fabbrica italiana, un lavoratore su due non ha votato: i sì prevalgono col 58% dei votanti. Ma il dato non è comunque omogeneo: alle meccaniche ha prevalso il no.
In Campania prevale un consenso passivo: della serie "non si può fare altro".
Ma fondamentalmente è su questo che faceva leva il sindacato (ed il governo in quanto estensore dell'intesa): la passività dei lavoratori attorno ai loro sindacati. Poteva essere previsto un non voto, ma è evidente che non se ne preoccupano più di tanto.
D'altra parte in queste circostanze emergono i limiti del sindacalismo di base, dell'autorganizzazione, soprattutto di chi, come lo Slai Cobas o il Sincobas, sono comunque radicati nelle realtà operaie, e hanno spesso dimostrato di saper organizzare il dissenso.
Conta quindi, verificare fabbrica per fabbrica come si sono dipanati consensi e dissensi: è nello specifico che può essere trovata una risposta alla critica portata ai confederali dai lavoratori, non in una mobilitazione di massa contro questa intesa, perchè ormai sembra subentrata la passività.
La volta dopo potrebbe essere peggio.
A Cornigliano, Genova, alla ex Italsider un operaio è stato schiacciato da un rotolo di lamiera che veniva movimentato. Il suo collega sul carrello non aveva visto che l'altro stava ancora lavorando alle legature.
E' stato proclamato lo sciopero, perchè si imputa questo "incidente" alla riduzione del personale in squadra: prima c'era sempre qualcuno che guidava il carrellista, che ha una visuale limitata. La mobilitazione è stata immediata e spontanea: lavoratori hanno presidiato la portineria. Sono preoccupati per la non applicazione delle norme antinfortunistiche e per l'aumento dei carichi di lavoro.
"Produrre, produrre: è la parola d'ordine. Devi lavorare in fretta. Sembra che non importi se le condizioni di lavoro non sono ottimali", dice un lavoratore.