Notizie dalla lotta di classe |
Marzo 2000 |
Unire quello che il capitalismo divide. |
Sono giunti a Bari da tutta la Puglia per puntare il dito sulle gravi omissioni dell'Inps in materia di previdenza agricola ed evasione contributiva. Circa duemila braccianti il 1° marzo hanno manifestato nelle vie del capoluogo per chiedere all'istituto di previdenza il rispetto degli accordi e della legge. Una manifestazione colorita con centinaia di braccianti col fazzoletto rosso al collo ed una nutrita presenza di donne dietro gli striscioni di Francavilla Fontana, area a forte presenza di caporali, e poi Altamura, Gravina e Poggiorsini, dove il movimento bracciantile pugliese si è storicamente consolidato nelle formidabili lotte degli anni '50. Un'agitazione che nasce da una situazione di profonda sofferenza che vivono i lavoratori agricoli, di fronte ad atteggiamenti vessatori da parte dell'Inps, rispetto all'erogazione delle prestazioni di disoccupazione e malattia, con gravi ritardi nella pubblicazione degli elenchi anagrafici e di altri adempimenti. La mancata pubblicazione dell'elenco del '98 e degli elenchi trimestrali del '99 pregiudicano la corretta liquidazione delle domande di disoccupazione per migliaia di braccianti. Inoltre l'Inps non riesce a riscuotere i contributi obbligatori delle aziende agricole, incentivando in tal modo l'evasione contributiva e il lavoro nero.
Le accuse riguardano anche la concessione di agevolazioni contributive in maniera indiscriminata in favore di aziende che non hanno sottoscritto alcun accordo di riallineamento o che violano palesemente i contratti di lavoro. Aziende cioè che, pur ricorrendo per esempio alla decurtazione delle giornate lavorative ai fini contributivi, usufruiscono lo stesso di ogni agevolazione. E poi, l'assoluta inesistenza di controlli da parte dell'istituto che incoraggia le imprese agricole, sempre impunite, ad effettuare dichiarazioni false. Il tutto, in un mercato agricolo che presenta 5 milioni di giornate lavorative non denunciate ogni anno, 100 miliardi di evasione, 2mila miliardi di credito verso le aziende agricole.
E' stata presentata l'ultima iniziativa legislativa sui licenziamenti, ideata dall'ex ministro del lavoro Treu (di Rinnovamento italiano). La proposta di legge, come le altre già presentate, ha il medesimo obiettivo di cancellare l'obbligo di reintegro nel posto di lavoro per i singoli lavoratori licenziati arbitrariamente, senza alcun giustificato motivo. E il suo intento non è tanto e solo quello di evitare il referendum dei radicali, che appunto vuole cancellare quell'obbligo tramite l'abrogazione dell'art.18 dello Statuto dei lavoratori - "i tempi sono molto stretti" - ma di essere già pronta per "il dopo".
Esattamente quello - il "dopo" - da cui devono guardarsi tutti i lavoratori salariati, che mentre giustamente lottano contro il referendum radical-confindustriale, rischiano di essere poi fregati dai presunti amici, che allignano un po' ovunque in sindacati e partiti di "sinistra".
A presentare la proposta assieme a Treu, oltre a Lombardi e Pinza del Ppi, c'erano Fumagalli (Sdi), Testa (Democratici), e dei Ds Michele Salvati (firmatario assieme a Chiamparino), il quale ha dichiarato che lui non rappresenta il partito dei Democratici di sinistra "ma una sua parte significativa" sì, e ha aggiunto: "Sono certo che il presidente del consiglio non ha nulla in contrario alla costituzione della seconda gamba di centro". Ecco i giochi e i giocatori che tramano dietro la questione del referendum!
Il nocciolo della proposta è evitare il ricorso al giudice e rafforzare, "con incentivi", un arbitrato extragiudiziale per i casi di licenziamento illegittimo - si punta anche a ottenere il silenzio-assenso del licenziato - e in ogni caso, si prescrive che sia l'"arbitro" o il "giudice", a propria "discrezione", a scegliere se chi è stato buttato fuori dal lavoro arbitrariamente deve essere reintegrato o subire il sopruso dietro pagamento di un "risarcimento".
Cadrebbe così ogni difesa per il singolo o la singola della propria libertà di parola, del diritto di associarsi, di ribellarsi, di rivendicare condizioni di lavoro accettabili, di pretendere la sicurezza per la propria salute, nel luogo di lavoro: il ricatto del possibile licenziamento senza "motivo" sarebbe infatti un'arma di ritorsione nelle mani del datore di lavoro.
A tre mesi dal voto referendario che vorrebbe introdurre la libertà di licenziamento, uno dei suoi principali sostenitori, nonché presidente della Federmaccanica, mette in pratica l'obiettivo nella sua fabbrica, lasciando a casa senza stipendio due giovani operai dichiarati "inidonei al lavoro di linea" del medico dell'azienda. Un atto arbitrario - che non trova supporto in alcun istituto giouridico o contrattuale - che ha scatenato la reazione di lavoratori e sindacati. Tre scioperi in due settimane in un'escalation di conflittualità che trova la sua ragion d'essere nella chiusura dell'azienda e nel messaggio che essa manda ai propri dipendenti: chi non può stare alla catena non può rimanere in fabbrica, il posto di lavoro è subordinato alla prestazione richiesta dall'impresa, l'unico diritto esistente in officina è quello della funzionalità produttiva, le donne e gli uomini sono solo oggetti e chi non è più adatto alla "spremitura" non serve più. Con questi messaggi la vertenza che si è aperta alla Pininfarina assume una portata generale, una sorta di banco di prova sul diritto del padrone a licenziare indiscriminatamente.
Questa "portata generale" deve produrre (e nello stesso tempo derivare da) la consapevolezza che la legge del capitale è basata sullo sfruttamento e che oggi le possibilità di miglioramento tentate con il riformismo nel passato sono rese impossibili dalla crisi.
Il capitale spreme sempre gli operai, ma oggi pretende di farlo anche tramite una legge ulteriormente vessatoria.
In risposta agli scioperi di questi giorni l'azienda ha comandato per oggi allo straordinario un consistente numero di lavoratori; le Rsu hanno risposto proclamando uno sciopero di otto ore per la riassunzione dei due operai sospesi. "Dopo quattro anni di Pininfarina - racconta Daniele Di Bella, 27 anni, uno dei due sospesi - sono stato dichiarato inidoneo per una piccola insufficienza cardiaca e per gli attacchi di panico che sono il frutto del lavoro che faccio. Con una lettera mi hanno fatto sapere che dovevo starmene a casa per sei mesi senza stipendio, perché il medico dell'azienda ha dichiarato che non potevo più lavorare in linea e l'impresa non aveva un'altra mansione da assegnarmi. E' stata una mazzata, per me e per la mia famiglia". Mario Bertolo, delle Rsu, inserisce la vicenda in un quadro più generale, partendo dalle condizioni di lavoro: "La Pininfarina afferma che un operaio su tre è inidoneo. Quest'ammissione - che denuncia le condizioni di vita in fabbrica, lo stress, i ritmi altissimi e il degrado ambientale per cui dialgano tendiniti e allergie - viene usata dall'impresa per affermare un darwinismo sociale che cancella i diritti di chi lavora. E' la messa in pratica, amcora senza supporto di legge, di ciò che accadrebbe se passasse il referendum sulla libertà di licenziamento. Ma è anche un pressing sulla politica per cambiare le leggi, magari introducendone una per cui si sta a casa senza stipendio finché una persona malata guarisce".
La vicenda della fabbrica Goodyear di Cisterna doveva approdare a palazzo Chigi. Ma un cordone spropositato di agenti di polizia ha accuratamente evitato che le tute blu potessero arrivare fin sotto le finestre del presidente del consiglio. Numerosi operai sono stati bloccati in via del Corso, fermati e identificati. Il divieto di "attraversare la strada" è stato fatto rispettare anche per singoli individui. Un atteggiamento molto duro, che ha sorpreso nettamente i lavoratori, tra i più "tranquilli", fin qui, nel difendere il proprio posto di lavoro. Solo una delegazione, più tardi, ha avuto modo di farsi ricevere dal consigliere economico di D'Alema, Guidi Rossi.
Impareranno i lavoratori "tranquilli" che il capitalismo non ha nulla da offrire loro? Che le loro lotte, seppure di difesa, devono rinsaldarsi con quelle di altri settori, devono uscire dall'isolamento? Noi pensiamo che ciò sia possibile.
Gli operai sospettano un interesse specificamente francese nella decisione di chiudere la fabbrica. Il presidente di Goodyear Europa è infatti Valency, che avrebbe sacrificato Cisterna per salvare lo stabilimento transalpino. Queste pur esatte considerazioni non devono però far scadere la lotta operaia contro la crisi capitalistica su un terreno di difesa di interessi nazionali, per noi inaccettabili. Questo è il terreno dei governi e della borghesia nazionale.
In una lettera aperta le maestranze si esprimono molto duramente sull'incapacità della classe politica italiana di salvaguardare risorse e capacità produttive; e accusano la subordinazione generale all'ideologia della liberalizzazione e globalizzazione. Mentre altri paesi, e classi dirigenti, si dimostrano più attenti agli equilibri sociali intrerni. Questo, però, non è frutto della bontà di questo o quel governo, ma di rapporti di forza più favorevoli alla classe salariata, seppure su un terreno difensivo. per esempio in Francia, le lotte anche dure di questi utlimi anni hanno fatto vedere come i lavoratori non fossero isolati dai settori popolari.
Non si può dire lo stesso per quanto avvenuto in Italia.
250 lavoratori della Fiat di Pomigliano D'Arco assieme ad un folto gruppo di disoccupati e dirigenti del gruppo dei Cobas hanno bloccato per due ore la linea della Circumvesuviana. Alle 9.30 le prime manifestazioni all'interno dello stabilimento della Fiat per protestare contro il licenziamento di un delegato Rsu, Lorenzo Napoletano. Gli operai si sono riuniti in assemblea ed hanno fatto un corteo all'interno dello stabilimento. Ma il licenziamento dell'operaio che lavorava come dipendente della Logint (una società che si occupa della movimentazione di componenti meccaniche all'interno dello stabilimento), è stato solo un "casus belli" perché - come recita il comunicato stampa dei Cobas - la tensione tra i lavoratori è alle stelle per i ritmi allucinanti di lavoro e per i numerosi infortuni che si verificano all'interno degli stabilimenti.
I manifestanti sono stati identificati dalla Digos. Bocche cucite da parte del gruppo Fiat, ed in particolare del capo del personale che non ha voluto dare spiegazioni sul licenziamento di Napoletano. I Cobas dal canto loro, ritengono che il licenziamento sia una ritorsione nei confronti della lotta portata avanti da alcuni mesi a questa parte negli stabilimenti della Fiat di Pomigliano. Contro il licenziamento del delegato Rsu si preannunciano nuove mobilitazioni per la settimana prossima.
Ottavo infortunio mortale sul lavoro in Toscana in appena 35 giorni. Un ragazzo di 21 anni, Andrea Benvenuti, è morto schiacciato da un balla di fibra del peso di un paio di quintali. L'incidente è avvenuto nella tarda serata di giovedì in una piccola azienda di Spedalino di Agliana, la "Ansa Feltri", all'interno della quale lavora anche il padre della vittima. Il giovane stava lavorando da solo, impegnato alla macchina di ricarico delle balle di fibra. Solo dopo una ventina di minuti un compagno di lavoro si è accorto della disgrazia ed ha chiesto soccorso, ma per il giovane operaio era ormai troppo tardi. Appena due giorni fa, la relazione finale di una commissione regionale d'inchiesta sugli infortuni sul lavoro aveva denunciato: "E' disattesa la legislazione sociale su straordinari, riposi, subappalti e contratti atipici".
Sono stati quasi 300mila i lavoratori temporanei nel ’99: un dato oltre sei volte superiore rispetto ai 52mila occupati l’anno precedente. Il lavoro in affitto - secondo i dati forniti dalla Confinterim, l’associazione che raggruppa le società di fornitura, - ha avvicinato al mondo del lavoro 296mila addetti, per un fatturato generale di 1.600 miliardi, dei quali 1.330 sono stati impiegati per pagare salari e oneri contributivi. Agli occupati in affitto vanno aggiunti anche, per completare il quadro dell’industria del lavoro interinale, i 2.500 dipendenti fissi delle società di fornitura, che hanno messo in cantiere per quest’anno importanti progetti di espansione. E con l’aumento delle filiali aumenteranno anche i dipendenti fissi delle società autorizzate.
Più del 20% dei lavoratori interinali, inoltre, è stato assunto a tempo indeterminato dalle aziende utilizzatrici dopo l’esperienza temporanea. Nei Paesi europei, dove da anni il lavoro interinale è già una realtà, questa percentuale passa al 30 per cento.
Il lavoro interinale "gira" bene e le previsioni di sviluppo parlano per il 2000 di almeno 500mila lavoratori avviati. Il settore ha erogato l’anno scorso 50 milioni di ore lavoro. "Se consideriamo - dice Confinterim - una durata media delle missioni di 170 ore, che equivale circa a un mese e incrociamo questo dato con le 1.700 ore di lavoro medie di un anno e con i 296mila lavoratori avviati, possiamo affermare di avere creato nell’anno 30mila impieghi a tempo pieno".
Marzotto sposterà nel suo stabilimento Nova Mosilana di Brno la produzione di 6 milioni di metri lineari l’anno di tessuti lanieri basici; chiuderanno le divisioni di cardati per maglieria e coperte, destinate ad essere trasferite in uno stabilimento di nuova acquisizione all’Est, forse in Lituania; lo stabilimento di Manerbio si concentrerà sulla tessitura mentre quello di Schio si occuperà solo di tintoria e finissaggio. Il tutto comporterà esuberi per 440 persone a Schio: 280 lavoratori andranno in pensione o lasceranno l’azienda, ed i rimanenti 160 verranno assorbiti a Valdagno dove è prevista la rotazione o l’assunzione di 370 persone. A Manerbio, invece, a fronte di 150 esuberi ci saranno solo 65 uscite volontarie, per i rimanenti 85 lavoratori si prospettano mobilità, trasferimento a Valdagno o reintegro graduale con un piano di solidarietà cui sta lavorando il sindacato. Nel piano rientra anche una crescita delle produzioni a Praia a Mare, dove ci dovrebbero essere 70 nuove assunzioni, quasi per intero coperte da tecnici e lavoratori della zona attualmente impiegati nel vicentino.
E' tempo di vertenze aziendali tra i metalmeccanici. Tra i primi a presentare una piattaforma rivedicativa - nei grandi gruppi - sono stati i cantieristi della Fincantieri (oltre 10.000 addetti diretti, più un esercito di quasi 20.000 "appaltisti"). La piattaforma elaborata da Fim, Fiom e Uilm è stata approvata con l'84% di voti a favore. Le rivendicazioni sindacali affrontano tutte le questioni dell'organizzazione del lavoro, dall'assetto industriale del gruppo al salario, dalla sicurezza agli appalti: in altre parole si tratta di una "piattaforma classica - come sottolinea Sandro Bianchi, responsabile per la cantieristica della Fiom - che affronta tutto lo spettro delle condizioni di lavoro e non si riduce al premio di risultato".
In primo luogo i sindacati, di fronte al processo di privatizzazione, ribadiscono il loro no alle ipotesi di "spezzatino", un pericolo sempre presente (ad esempio, con la prospettiva di scorporo tra settore civile e militare). Il secondo punto messo all'ordine del giorno introduce la richiesta della contrattazione di commessa: i sindacati chiedono che, appena conseguita una consegna, si apra una trattativa tra le parti che stabilisca tempi, programmi di lavoro, quantità degli appalti, piano sicurezza, in modo che tutto il percorso produttivo che porta la nave dall'impostazione alla consegna sia chiaro e leggibile. Per quanto riguarda la parte salariale, la richiesta è di 175.000 lire mensili d'aumento, rendendone trasparente ed equa la ripartizione. A questo punto si collega la richiesta di cancellare il doppio regime (frutto di accordi degli anni di crisi della cantieristica) che tuttora provoca una fortissima sperequazione salariale tra le generazioni, con salari molto differenziati tra anziani e nuovi assunti (a danno di quest'ultimi). Per quanto riguarda poi le condizioni di lavoro, i sindacati chiedono misure compensative (in salario e riduzioni d'orario) per le mansioni più gravose e insalubri (saldature con Co2, acciai speciali), un maggior controllo sugli appalti e aumenti salariali anche per gli appaltisti (con l'obiettivo di rendere responsabile Fincatieri dell'applicazione delle regole contrattuali anche nelle ditte d'appalto); infine, sul capitolo sicurezza (l'infortunistica nei cantieri navali continua a essere altissima) si proseguirà sulla strada aperta due anni fa, chiedendo la titolarità delle Rsu di fabbrica sull'organizzazione del lavoro tra le ditte d'appalto, quelle in cui è più alto il livello d'insicurezza.
Rino Pavanello, dell'Associazione ambiente lavoro, presidente del comitato promotore Workers Memorial Year, ne ha rilevato, dati alla mano, il "consistente aumento": nel periodo 1996-1999 c'è una crescita del 7% (+13.905, passando da 199.138 a 213.043), mentre gli infortuni maschili sono diminuiti del 6% (-50.248 passando da 812.127 a 761.879). Se poi si esclude l'agricoltura, nell'"industria e altre attività" gli infortuni capitati alle donne aumentano del 14,9%. (+23.518) nel quadriennio '96-'99. Circa 100 all'anno i casi mortali, 90.000 gli infortuni femminili "indennizzati", ossia che prevedono un'assenza minima dal lavoro di 4 giorni, essendo la loro durata media 22 giorni. Oltre 2.700 quelli "gravissimi", con invalidità permanenti.
La media del quadriennio, scomposta, rivela un'aumento costante di anno in anno degli infortuni femminili: nel 1999, nell'"industria e altre attività" - il settore più a rischio - sono stati denunciati 181.716 (+5,9% rispetto al '98) su un totale di 213.043; anche quelli indennizzati dall'Inail - di cui era presente il presidente, Gianni Billia - crescono in complesso del 6% nel '99 rispetto al '98, con il picco nell'industria: un aumento del 9,8%. Viceversa c'è un calo nell'agricoltura. La Lombardia detiene il poco invidiabile primato nazionale per gli infortuni femminili, seguita da Emilia Romagna, Veneto, Piemonte; il Molise è all'ultimo posto.
Come si vede dal raffronto regionale, ci sono più infortuni perché cresce il numero di donne al lavoro. Ma anche perché - aggiunge Pavanello - aumenta il numero di lavoratrici addette in settori e mansioni a maggior rischio, prima appannaggio dei maschi (l'effetto parità uomo-donna). E per l'avanzare dell'innovazione tecnologica in nuovi settori "senza adeguata informazione e formazione". Ci sarebbe anche un effetto più trasparente dei dati: "emergono fasce di lavoro sommerso o precario, in cui gli infortuni non venivano denunciati". Ma anche un movimento opposto: l'aumento del decentramento produttivo verso microaziende "dove più difficile è il controllo" degli infortuni da parte "degli stessi sindacati".
E va segnalato come sono donne la stragrande maggioranza degli occupati al nero.
In D'Amato, nuovo capo dei padroni, si ripongono le speranze per un'accelerazione nell'offensiva con la quale la Confindustria ha deciso di sbarazzarsi una buona volta dei gravami che ancora vincolano il comando d'impresa: i diritti sociali, fino alla libertà personale di una lavoratrice o lavoratore che ancora osi proferire un "ma" sull'arbitrio padronale.
Il referendum per abrogare l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e liberalizzare ogni licenziamento illegittimo dall'obbligo del reintegro al lavoro di chi sia stato non solo privato dell'occupazione, ma anche umiliato nella propria dignità, eliminato come un servo, ne è il prototipo più significativo. Prototipo, perché altri atti seguiranno: di diritti non si deve più parlare per nessuno, in alcuna forma di rapporto di lavoro.
Non a caso i referendum 'sociali' confezionati dai radicali abbracciavano l'intero universo dei lavori a tempo corto, dei contratti brevi, del lavoro a domicilio. Non a caso la Confindustria scendeva immediatamente in campo, dichiarando il proprio sostegno, prima ancora che la Corte costituzionale dicesse se li avrebbe ammessi o no.
Sui referendum antisociali, per questo disegno, una presidenza Callieri avrebbe avuto diversa attitudine? No. Ma D'Amato si presenta con il volto "nuovo" della riscossa, di chi si regge vieppiù su lavoro e diritti precari, di chi chiede costo del lavoro vicino allo zero. E' nota l'ostilità del nuovo presidente della Confindustria per contratti nazionali - base minima di diritti universali. E il suo insistere sul "consentire alle piccole imprese di crescere", togliendo "i vincoli" che le ostacolano: il primo è lo Statuto dei lavoratori, che nella "crescita", si troverebbero subito davanti.
Ma allora che dire dello svolazzare di Veltroni tra i radicali, di Cgil, Cisl, Uil nazionali che si dividono e non allestiscono mobilitazioni contro i referendum 'sociali'. O della profusione, anche Ds, di leggi per licenziare? Si tratta di facce della stessa medaglia: la posta è in gioco è quella per cui si battono i padroni. Il resto dei partecipanti "vede" la posta, e casomai cerca di "rialzare". Così la dignità e i diritti conquistati con le lotte sono oggetto della contesa tra padroni, governi e sindacati al solo scopo di eliminarli, in modi magari differenti. legge o referendum per noi pari sono!
La direzione vuole licenziare 31 operaie su 56, nonostante l'azienda vada benissimo, non ci siano problemi né industriali, né finanziari. Il mercato tira. Il motivo? Guadagnare di più trasferendo la produzione dei portasci magnetici "Fapa" all'esterno, con appalti che abbassino i costi della forza lavoro. Il 10 marzo le lavoratrici della Fapa hanno manifestato a Beinasco, di fronte allo stabilimento, raccogliendo la solidarietà delle Rsu della zona e degli amministratori locali. La cosa ha innervosito parecchio il signor Baravalle (il titolare), che ha strappato lo striscione sindacale ("No ai licenziamenti") appeso alla cancellata. La "ristrutturazione per profitti" della Fapa non ha precedenti e i sindacati si oppongono a una mobilità illegittima (quell'istituto si usa solo in caso di crisi); un anticipo di ciò che succederà se passa il referendum sui licenziamenti, in linea con le idee del neo-presidente di Confindustria D'Amato.
Sciopero della fame e della sete degli operai della Goodyear di Cisterna di Latina.
Da Venerdi pomeriggio gli operai della Goodyear di Cisterna di Latina sono in sciopero della fame e della sete contro la decisione della direzione della fabbrica di chiudere la produzione.
La dura scelta degli operai di mettere a repentaglio la loro integrità psicofisica deriva anche dalle scarse attenzioni del ministero dell’industria per la loro situazione; scarsa attenzione che SI è ‘concretizzata’ proprio venerdi 10 marzo in un incontro tra una delegazione di operai Goodyear, le RSU e un sottosegretario che non sapeva nulla del problema e delle tematiche affrontate in cento giorni di vertenza e di incontri a tutti livelli, compresi quelli parlamentari. Questa situazione di stallo a pochi giorni dall’inizio della procedura della cassaintegrazione e della mobilità, oltre alla fine dell’erogazione del salario da parte della Goodyear ai 570 operai (data ultima :20 marzo), ha portato gli operai a fare questo ulteriore passo radicale di lotta.
Giovedi 16 marzo, alle 16 ci dovrebbe essere al ministero dell’industria un incontro tra governo, Goodyear e rappresentanti sindacali per definire una volta per tutte la presenza o meno della Multinazionale americana a cisterna di Latina. Solidarietà con gli operai Goodyear!!
Si invitano i lavoratori, le rappresentanze sindacali, i sindacati di base e le forze politiche a esprimere la propria solidarietà concreta a questi operai in lotta da più di cento giorni.
Indirizzi: <http://www.omnigraph.it/incatenati-goodyear>
Rsu@omnigraph.it
O6/968311 centralino fabbrica Goodyear /chiedere dei rappresentanti RSU
Roma, 11 marzo 2000
Comitato lav. In solidarietà con gli operai Goodyear.
RILANCIAMO LA CAMPAGNA "Non compriamo i prodotti di chi licenzia i lavoratori" di BOICOTTAGGIO dei prodotti della Goodyear, promossa dalla RSU della Sistemi Informativi di ROMA
<http://www.freeweb.org/politica/RSU_SISTEMI/>
e-mail: rsusi@tin.it
Almeno ottanta minatori sono stati uccisi e sette sono stati feriti da un'esplosione di gas metano in una miniera di carbone a Krasnodon, in Ucraina, 850 chilometri a est della capitale Kiev. Il metano non ha colore, non ha odore ed è altamente esplosivo se si accumula nei budelli poco ventilati delle miniere di carbone, dai cui giacimenti fuoriesce naturalmente. Quando si mischia alla polvere di carbone non risucchiata da ventilatori vecchi o guasti, produce una miscela ancora più infernale la cui esplosione non lascia scampo. L'Ucraina ha il primato mondiale dei minatori morti in incidenti, in nessun altro paese al mondo la percentuale di minatori del carbone che muoiono in incidenti come quello di ieri è così alta. Le miniere diventano trappole mortali, a causa dell'obsolescenza delle apparecchiature e della pessima manutenzione che ne viene fatta (allo scopo, naturalmente, di risparmiare). Persino gli ascensori che portano i minatori a centinaia di metri di profondità fanno paura, sono vecchie carcasse di legno con le ruote arrugginite e le corde che hanno superato da molto tempo i limiti d'esercizio ammissibili.
E come se non bastasse la maggior parte dei 400mila minatori ucraini ricevono lo stipendio con enorme ritardo (mesi, o anni), quando non lo ricevono affatto, cosa che comporta sporadici scioperi che presto si esauriscono per l'esaurimento della speranza di modificare le condizioni di lavoro. I minatori di Barakova, l'anno scorso, avevano persino tentato di protestare contro questa specie di mattanza e contro il fatto di non ricevere gli stipendi. Una trentina di loro si erano rifiutati di risalire in superficie, protestando per oltre due settimane dalle viscere della miniera, praticandosi tagli sulle braccia e minacciando di suicidarsi prima che i dirigenti della miniera accettassero di liquidare i compensi arretrati e mettessero fine alla protesta.
La sicurezza della miniera era rimasta una questione aperta, una delle tante mai nemmeno affrontate in un settore distrutto dal modo in cui è franata l'Unione sovietica, e che ora lotta per la pura sopravvivenza mentre l'iniziativa privata, come in Russia, trova modo d'arricchire. Un tempo orgoglio del paese, l'industria mineraria in sfacelo ha trasformato intere regioni in lande desolate, paesaggi lunari in cui mucchi giganteschi di scorie di carbone giacciono al suolo davanti a impianti chiusi e semi-distrutti.
Il leader del sindacato dei minatori di Barakova, Dmytro Kalitventsev, in una dichiarazione alla Reuters, ha accusato i dirigenti delle miniere di chiudere gli occhi sui problemi della sicurezza per incrmentare la produzione. Secondo Kalitventsev, l'estrazione dalla miniera, iniziata nel 1957, eccede la capacità nominale e "questa produzione extra viene pagata con la vita dei minatori".
Smuraglia ha comunicato l'esito della verifica parlamentare sugli infortuni sul lavoro, con un distacco che la dice lunga sull'interesse che può avere questo governo per questa strage. "La situazione degli infortuni e delle malattie da lavoro, nel nostro paese, rimane grave e sostanzialmente immutata". I dati forniti dall'Inail per l'anno 1999, infatti, confermano che ci si aggira ancora e sempre attorno al milione di infortuni all'anno. Il record tragico degli infortuni mortali resta inchiodato a oltre mille in un anno: "tre morti al giorno". La situazione non solo non è stata "scalfita" rispetto a tre anni fa, ma, per alcuni aspetti "addirittura" non varia rispetto a quella fotografata dal "documento Lama", al termine dell'inchiesta parlamentare del 1989 - denuncia il testo della commissione lavoro del senato.
C'è anche da precisare che i dati Inail non peccano per eccesso: intanto, quelli del '99 non sono ancora "stabilizzati", ma già non comprendono gli infortuni capitati ai dipendenti dello Stato. Né possono sondare quelli capitati nel mare del lavoro sommerso. Va anche aggiunto che non del tutto pertinenti risultano i dati per le malattie da lavoro - oltre 24mila nel '99 - perché mancano ancora le "tabelle" per classificare le malattie nuove, alcune per altro già riscontrate in molti ambiti di lavoro.
Se per l'eliminazione di alcune sostanze tossiche, per l'attenzione fin qui riservata - quando c'è - ai rischi delle macchine, alcune malattie risultano in declino, avanzano ad esempio quelle che gli americani chiamano "malattie dell'edificio": un luogo di lavoro, un ufficio, apparentemente in regola e in "sicurezza", che invece ammala quelli che ci stanno dentro. O le "malattie perdute", come le definiscono le ricerche internazionali: non si individuano, e però 20 anni dopo tutti i lavoratori sono morti.
Lo stress, la monotonia, l'insoddisfazione per il vuoto di senso nel lavoro, l'ossessione dei tempi, la tensione sempre più insopportabile fra quelli del lavoro e della vita, l'introduzione di nuove tecnologie, in una parola l'organizzazione del lavoro: ecco la causa o "concausa" di molte nuove malattie. Tanto che il confine tra infortuni e malattie tende a farsi in molti casi labile: come dimostrano le ricerche, e le domande che si pongono su come "prevenire" le minacce all'incolumità e alla salute psicofisica delle persone, paesi come Svezia, Finlandia, Danimarca.
Da noi, nonostante norme e decreti già approvati (ma ne mancano ancora per completare la legge 626 del 1994, la 277 del 1991), gli organismi di coordinamento, per esempio regionali, spesso esistono solo sulla carta. Quanto alla "programmazione", per ora le istituzioni preposte alla sicurezza sul lavoro intervengono solo per chiamate esterne, ossia per emergenze.
Si nota, nel documento della commissione lavoro, che le Unità sanitarie locali, da quando sono diventate "aziende sanitarie", per l'appunto si sono "troppo aziendalizzate", destinando alla vigilanza e alla prevenzione "meno dell'1% del personale". Per altro troppo scarsi, in numero e strumenti anche gli ispettori del lavoro.
E naturalmente licenziare! Sessantamila posti di lavoro sono a rischio e i sindacati si sono precipitati in Germania per capire le reali intenzioni del padrone tedesco. I sindacati hanno sottolineato che "a rischio ci sono non solo le migliaia di lavoratori degli stabilimenti di Longbridge a Birmingham e Cowley vicino a Oxford, ma anche le migliaia di lavoratori degli stabilimenti Rover più piccoli e dell'indotto: parliamo - ha detto il segretario generale dei metalmeccanici, sir Ken Jackson - di quasi sessantamila posti di lavoro". Ma la realtà dei numeri, secondo il gruppo tedesco, parla chiaro e lascia poche speranze agli stabilimenti Rover britannici. Secondo i tedeschi i costi esorbitanti derivano dall'ormai vasto programma di cassa integrazione che coinvolge gli stabilimenti britannici, dalla forza della sterlina e dal fatto che la Rover necessita di investimenti continui per poter arrivare ad una produzione che risponda agli standard tedeschi. Sulla vicenda pesa poi il possibile veto che la Commissione europea potrebbe mettere sugli aiuti per Longbridge concessi del governo alla Bmw.
12.000 portuali italiani in sciopero. In 1.500 si sono dati appuntamento a Genova e hanno chiesto il contratto unico. "Se siamo qui - ha detto Bruno Rossi della Culmv - è perché vogliamo ripristinare regole che sono il frutto di lunghe lotte dei lavoratori portuali e che la privatizzazione selvaggia ci ha tolto. Sull'altare della privatizzazione si è sacrificata la vita degli uomini; in nome della concorrenza si vuole precarizzare tutto il lavoro, con le conseguenze drammatiche di incidenti che da questo conseguono". I portuali vogliono "regole uguali per tutti e parità di salario all'interno dei porti e tra tutti i porti". Da circa 6 anni, dopo la privatizzazione dei porti (terminal affidati in concorrenza ai privati) e con la cancellazione della riserva del lavoro, conquistata e mantenuta per anni dalle Compagnie dei portuali (oggi tutte trasformate in imprese di servizi), i lavoratori dei porti operano senza un contratto collettivo.
La legge per "regolamentare" gli scioperi nei servizi, che introduce modifiche alla precedente legge 146 del 1990, è stata approvata dalla camera il 15 marzo.
Il Prc ottenute le modifiche richieste, abbandonava l'ostruzionismo, e votava contro "un provvedimento insufficiente e lacunoso, sul quale quindi il giudizio politico negativo resta invariato" - così l'on. Boghetta. La legge è quindi stata approvata con 325 voti favorevoli, dopo che il Polo aveva fatto mancare più volte il numero legale, per poi astenersi insieme alla Lega.
Punti critici di questa norma, che ora passerà al senato, restano le procedure di "rarefazione" degli scioperi: 10 giorni dall'annuncio all'effettuazione, 10 giorni tra uno sciopero e l'altro, col divieto del sommarsi di scioperi indetti da categorie diverse che riguardino, ad esempio, il medesimo servizio. La prescrizione di queste modalità non tiene conto dei diversi livelli di contrattazione, nazionale e articolata, e dunque dei diversi conflitti che ne possono derivare.
Un altro punto critico, e contraddittorio, è il "raffreddamento": procedure più stringenti per obbligare le "controparti" al confronto e all'eventuale accordo, dopo la proclamazione dello sciopero, onde evitarlo. Una novità di questa legge è l'estensione delle regole sullo sciopero anche a lavoratori autonomi, professionisti, piccoli imprenditori - dai tassisti ai medici, dagli avvocati ai "padroncini" camionisti.
Non va dimenticato che non sono in gioco normali vertenze, nei servizi, ma processi pesanti di ristrutturazione, privatizzazione, che minano condizioni di lavoro e di vita (l'Istat attribuisce a queste cause il 65% dei conflitti).
E' perciò stridente la potestà assoluta accordata a governo, e prefetti, di "precettare". Si tratta in sostanza di "interessi privati" in atti pubblici, essendo governo e aziende ancora pubbliche parti in causa.
Questa è infatti materia che già fece molto discutere anche sulla legge del 1990, e che richiede una premessa sui "diritti costituzionali". Tale è infatti il diritto di ogni persona alla vita, alla salute, all'istruzione, per esempio. E insieme è ugualmente tutelato costituzionalmente il diritto di sciopero, che è anch'esso diritto individuale di libertà della persona, e quindi di ogni cittadino - che è ad un tempo "utente", ma anche "lavoratore", attuale o potenziale. Sia chiaro che in questione non è una qualche sfumatura attenuante del diritto alla salute e all'integrità e pienezza psicofisica e intellettuale - e anzi l'inventiva, la scelta autonoma anche di forme di conflitto nei servizi alternative allo sciopero è auspicabile - ma solo ricordare che a quella pienezza concorrono anche altre prerogative, che perciò la libertà è indivisibile.
Per questo la potestà di "precettazione" di governo e prefetti ha un lato oscuro, che si trascina dalla vecchia legge: dove fu soppresso il riferimento preciso ai diritti lesi - per l'appunto "vita", "salute", ecc. - che la farebbero scattare, lasciando il riferimento complessivo ai "diritti della persona costituzionalmente garantiti". Non si vede la differenza? C'è, perché nonostante i pronunciamenti della Corte costituzionale portassero già a escludere da questo novero "il diritto di iniziativa economica", i prefetti non hanno sempre dimostrato sottigliezza interpretativa nelle precettazioni.
I punti importanti della nuova legge sono: che i servizi durante gli scioperi vengano garantiti al 50 per cento, e che in essi non sia impiegato più di un terzo degli addetti di un servizio; con possibili modalità alternative, per esempio le fasce orarie (per tutelare i pendolari nei trasporti). Mentre è contemplata per garantire il servizio anche la "concorrenza" tra aziende: ad esempio, in uno sciopero all'Alitalia, può garantire servizi AirOne. Ultima annotazione quanto al cumulo di scioperi di tipo diverso. Prc e una parte dei Ds avevano già chiesto di approvare, prima della legge sullo sciopero, quella sulla rappresentanza - che riconosce tra l'altro il ruolo delle Rsu -. Ma la ben nota guerra della Confindustria, che ha molti sostenitori in parlamento, ancora una volta l'ha impedito.
E' come quando le squadre di calcio trattano per comprare un giocatore: si va avanti fino all'ultimo ma alla fine trovano sempre un accordo". Le parole di Reno Civitelli (operaio costruttore, da trent'anni dipendente Goodyear) potrebbero aver colpito nel segno. La Goodyear, decisa ad abbandonare lo stabilimento di Cisterna di Latina, ha deciso di aspettare fino al 31 marzo prima di avviare la procedura di mobilità contro i suoi 549 dipendenti. Il 22 il Ministero dell'Industria dovrebbe essere in grado di inserire nella trattativa la proposta di un acquirente disposto a rilevare l'azienda. Il compratore potrebbe essere un'azienda del settore attiva in Italia. Per ora l'unica certezza è che la Goodyear lascerà lo stabilimento di Cisterna. La sovrapproduzione di 6 milioni di pneumatici l'anno a livello mondiale, presentata dall'azienda come motivazione della chiusura, non sarebbe che una scusa. "La verità è che preferiscono spostare le produzioni ad est per abbassare i costi e guadagnare di più. Non bastano i sacrifici, non bastano 4 anni di accordi al ribasso. E' la globalizzazione" dice convinto Alfredo Sabatini (operaio manutentore, da 18 anni dipendente della Goodyear) e gli fanno eco molti suoi colleghi. Cento di loro hanno passato tutto il pomeriggio davanti al ministero dell'Industria. Una manifestazione silenziosa, senza bandiere senza slogan, quasi rassegnata. "E' stata una pugnalata alle spalle - dice Casciotta - fino ad oggi i rapporto con l'azienda sono sempre stati buoni. Abbiamo sempre fatto quello che ci chiedevano, anche a costo di sacrifici, pur di mantenere l'azienda aperta. Ma non è servito a niente".
Di seguito riportiamo alcuni stralci del Comunicato del Comitato di solidarietà con i lavoratori Goodyear:
...I padroni della Goodyear (ma anche quelli della Mediser, della Fiat, etc), non hanno aspettato l’esito del referendum e si apprestano a licenziare gli operai dello stabilimento di Cisterna di Latina, rei di avere ‘prodotto troppo’, saturando il mercato.
...I sindacati Cgil-Cisl-Uil si sono liquefatti in questa dura vertenza. Non sanno più che proporre; tartagliano appresso ai padroni della Goodyear.
...Gli operai della Goodyear di fatto li hanno già isolati. Ed è meglio così: i ‘cani da guardia’ filopadronali vanno tenuti lontano.
I partiti politici della sinistra e/o progressisti, tranne per qualche emendamento, interpellanza, etc, non hanno mobilitato i lavoratori attorno a questa vertenza che è emblematica nello scontro tra padroni e operai e tra i singoli capitali ( Europa contro America per esempio).
I sindacati alternativi e di base non si sono fatti vedere in questa vertenza. Perché? Ce lo domandiamo come lavoratori. La loro assenza è preoccupante, tanto quanto la forzata e devastante ‘presenza’ dei sindacati ufficiali.
Gli operai della Goodyear da soli, raccolti nel comitato di lotta, hanno lottato indipendentemente, aiutati soltanto da singoli lavoratori o da singole strutture di lavoratori e/o operaie che si sono messi assieme da 100 giorni stringendosi concretamente attorno ad essi, senza badare a sigle o ad altro.
Solidarietà con gli operai Goodyear e con tutti gli operai che lottano contro i licenziamenti e lo sfruttamento!
"Sappiamo produrre energia, vogliamo continuare a farlo". L'ultimo generatore è stato prodotto per l'Amsa, l'azienda municipale per i servizi ambientali. Poi più nulla. Abb Alstom Power (il secondo gruppo mondiale dopo General Electric) - 10 miliardi di euro di fatturato e altrettanti di ordini, 58 mila addetti - ha deciso di tagliare 10 mila posti di lavoro, metà in Europa e metà nel resto del mondo.
Il taglio in Italia, dove i dipendenti sono circa 2 mila, è di 230 addetti, 170 a Sesto e 60 in piazzale Lodi. Sembrano cifre piccole, se paragonate alla dose più alta che tocca a Francia e Germania, ma toccano la cosa più importante che l'Abb Alstom Power ha nel nostro paese: lo stabilimento di Sesto, dove resterebbe solo l'attività di service, la manutenzione di centrali già installate.
"Noi siamo quelli della old economy e in questi tempi di telefonini, internet e finanza di carta non ci sentiamo tanto bene", dice Patrizio Riva. I "tiscalisti" festeggiano con Soru i miliardi fatti in pochi mesi e tutti corrono a vederli, "noi non ci fila nessuno, eppure senza di noi non si potrebbero accendere i computer e neppure le lampadine in casa". "Di energia ci sarà sempre bisogno, i telefonini non danno da mangiare alla gente - interviene Gaetano Cannizzo, un 'vecchio' della Fim - il consumismo sfrenato ci porterà alla rovina. Si vive alla giornata, la classe dirigente non vede un palmo oltre il naso. Negli Stati uniti dilaga la sindrome da ricchezza improvvisa tra i Paperoni della new economy, ma io mi domando: chi le costruisce le centrali elettriche per i paesi sottosviluppati? Vogliamo tenerli sempre a morire di fame?".
Nei discorsi e nei cartelli riferimenti alla vicenda simile della Good Year: "Sovvenzioni alle multinazionali=furto di posti di lavoro".
In Italia nei prossimi 20 anni 20 mila persone moriranno per mesotelioma, un tipo di tumore causato con certezza dall'esposizione professionale all'amianto. E' una delle tante cifre di un'indagine dell'Ispesl, l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro.
Nonostante l'amianto sia stato messo al bando nel '92, secondo il direttore dell'Ispesl Antonio Moccaldi, "l'amianto è ancor oggi un problema di sanità pubblica di estremo rilievo". I 20 mila decessi "attesi" per mesotelioma sono la conseguenza delle esposizioni massicce negli anni '50-'80, ai quali vanno aggiunti i decessi già avvenuti e i numerosissimi casi di asbestosi, l'altra malattia professionale di chi ha inalato l'amianto. Alla Fincantieri di Monfalcone così ricordano gli operai: "Per noi era polvere, solo polvere". Ricoprivano le tubazioni con le "malte" di amianto, senza neppure una mascherina e con mezzo litro di latte come unica "difesa". Quella "polvere" ha fatto ammalare persino un'inserviente della mensa Fincantieri e la moglie di un operaio che ha inalato "aghi" d'amianto lavando le tute del marito.
Secondo la stima più prudente il 4% di tutti i tumori va attribuita a esposizioni professionali, altri studi alzano la percentuale al 12% per i lavoratori manuali. Essendo 160 mila i morti da tumore ogni anno in Italia, il 4% significa 6.400 decessi da neoplasie professionali. Un dato "silenzioso" che deve essere sommato ai 1.200 morti per infortuni sul lavoro. L'Inail riconosce e indennizza come tumori da lavoro solo un centinaio di casi l'anno.
Quanti lavoratori in Italia sono esposti a sostanze cancerogene? Secondo lo studio europeo Carex, 350 mila gli esposti all'amianto (prima della legge del '92), 180 mila al benzene, 300 mila a polveri di legno, 550 mila a scarichi diesel, 220 mila al piombo, 260 mila a silice cristallina, 130 mila a cromo esavalente, 130 mila a idrocarburi policiclici aromatici. Ma ogni anno vengono messe in commercio 50 mila nuovi composti senza che si sappia bene quali effetti abbiano sull'uomo. Per evitare che l'esperienza venga fatta in corpore vili, l'Ispesl sollecita maggiori attenzione alle "problematiche emergenti": campi elettromagnetici, fibre sostitutive dell'amianto, sorgenti naturali di radiazioni ionizzanti come il radon.
Fuori dal mondo? Provincia di Varese, il mondo è quello del lavoro nero o sommerso nei cantieri edili di tutto il nord Italia, storie di schiavitù più che di sfruttamento. Jannace, titolare dell'omonima ditta registrata alla camera di commercio, è agli arresti con l'imputazione di tentato omicidio e violazione delle leggi sull'immigrazione.
Quando si dice imprenditore forse si rischia di essere fraintesi. Claudio Croci, della Fillea-Cgil, scioglie l'equivoco con un esempio: a Samarate, piccola località nel varesino, ci sono 21 imprese edili registrate e appena 40 lavoratori, e in tutta la provincia di Varese in teoria ci sarebbero appena 4 lavoratori per ogni impresa. "Sono aziende fittizie senza alcuna struttura ma con a disposizione uomini da sfruttare - dice Croci - e questo spiega perchè in provincia abbiamo 7 mila lavoratori edili regolari e circa 10 mila irregolari". Uomini che lavorano dieci ore al giorno per 40 mila lire, spesso stranieri, anche laureati, senza permesso di soggiorno, ricattabili, impauriti, disposti a dividere un bilocale in quattro a 600 mila lire a testa, come nel caso dei muratori rumeni che lavoravano per Jannace; persone che avrebbero potuto essere espulse da un giorno all'altro. Una situazione "normale", spiegano i sindacalisti. Lo raccontano le storie (è appena di tre giorni fa l'ultimo lavoratore edile morto in cantiere nel varesotto) e lo fotografano i dati. Nel 1999 - anno in cui si è registrato un incremento delle attività di ispezione - nella provincia di Varese sono state trovate 1159 aziende non regolari. Su un totale di 77.409 occupati nelle aziende ispezionate, sono 6231 i lavoratori trovati non in regola. L'evasione contributiva relativa al '99 è stata calcolata oltre i 15 miliardi, mentre i contributi versati in ritardo si aggirano attorno ai 14 miliardi e mezzo. In in tutta la provincia si stimano non meno di 100 mila rapporti di lavoro irregolari. "Questo tipo di frantumazione - spiega Gian Marco Martignoni, della Commissione provinciale di controllo e vigilanza della Cgil - rende difficilissimo il monitoraggio del territorio e nonostante ciò lo stato sta smantellando il controllo nei luoghi di lavoro". Il dato è nazionale: nel '91 sono state fatte 100 mila "visite" riscontrando un tasso di irregolarità del 50%, mentre nel '98 ne sono state fatte appena 50 mila, riscontrando irregolarità nel 75% dei casi. a Ion Cazacu, è uno di questi lavoratori semischiavi e il suo tentativo di opporsi è stato "punito" dal padrone conbotte e fiamme. I suoi compagni di lavoro si sono coraggiosamente esposti denunciando il fatto.
C'è il lavoro nero dietro l'ultimo edile morto a Milano. Gennaro Saturno è precipitato dal tetto della Selemag, un'azienda grafica in via Robinio. Erano in due sul tetto e senza cinture di sicurezza. Il collega più giovane, dato l'allarme, è scappato. Per caso il rappresentante sindacale di zona per la sicurezza passava di lì, ha sentito le urla e visto l'ambulanza andar via. Saturno è morto qualche ora dopo a Niguarda. Giorgio Roilo, segretario della Cgil milanese, lega il mortale infortunio all'immigrato rumeno bruciato dal padrone a Gallarate: in entrambi i casi, edilizia e lavoro nero. A Milano, un'indagine della Fillea-Cgil ha evidenziato "forti elementi di irregolarità" in oltre i 2/3 dei 345 cantieri ispezionati.
La scadenza è importante. Lo sciopero dei ferrovieri - che è iniziato ieri (si sono fermati i lavoratori degli "impianti fissi" e uffici nelle ultime 3 ore e mezzo) e vedrà i suoi effetti pieni dalle 21 di stasera fino alla stessa ora di domani - potrebbe ridisegnare ex novo la mappa della rappresentanza sindacale nelle Fs e costituire un serio ostacolo politico frapposto sulla strada della "privatizzazione".
Non è ovviamente il primo sciopero che viene indetto dalla costellazione di sindacati autonomi e di base che si è da poco riunita nell'Orsa. E non è neppure la prima volta che a uno sciopero non indetto dai sindacati confederali partecipano i delegati delle Rsu. Ma è la prima volta che entrambe queste costellazioni provano a tracciare una linea di obiettiva convergenza. Ne è una riprova la partecipazione degli "impianti fissi e uffici", mentre fin qui le agitazioni avevano visto protagonista quasi esclusivamente il personale viaggiante (macchinisti, ecc) e i responsabili della viabilità (capistazione, ecc).
Altra novità: è la prima volta da molto tempo a questa parte che uno sciopero nelle Fs avviene senza l'incubo di dover garantire "servizi minimi", ultimamente "dilatati" fino a rendere non misurabile la percentuale "vera" di scioperanti e "soggettiva" la portata politica. Questa agitazione, insomma, si presterà poco e male alla solita "guerra delle cifre" perché non ci sono treni "garantiti per legge" dalla commissione di garanzia. La decisione della commissione di garanzia si basa sulle tre condizioni che un'astensione dal lavoro deve rispettare per evitare la tagliola dei "servizi minimi": avvenire in un giorno festivo, essere dichiarata con 20 giorni di anticipo, riguardare materia contrattuale. Esattamente come in questo caso.
Il fatto che la partecipazione "vera" allo sciopero si potrà "vedere" lo rende assolutamente politico. Fa impressione leggere il documento con cui il "Coordinamento nazionale dei delegati Rsu" - una quota rilevante dei "militanti" del sindacato confederale - indice lo sciopero e prende drasticamente le distanze dalle confederazioni: "i lavoratori hanno dimostrato di non condividere l'accordo del 23-11 e di non sentirsi rappresentati da un gruppo dirigente che sta decretando la morte del sindacato stesso". E ancora: "quando si è più impegnati ad accaparrarsi la gestione dei fondi pensione che a conquistare la credibilità tra i lavoratori, avere degli iscritti a cui render conto diventa addirittura controproducente". La lunga lista di scioperi nelle ferrovie sta insomma producendo la nascita, conflittuale e non semplice, di una nuova rappresentanza sindacale.
Non dissimile è la situazione nel trasporto aereo. Sul 24 si erano concentrati ben tre scioperi nazionali di categoria, indetti rispettivamente dall'Ampcat (aderente all'Orsa), dall'Ugl (l'ex Cisnal missina) e da Cgil-Cisl-Uil e Licta. Solo quest'ultimo, dopo una runione al ministero dei trasporti nella sera di giovedì, era stato revocato. I giornali, ignorando i comunicati dell'Ampcat, segnalavano il "cessato pericolo", convincendo migliaia di viaggiatori a raggiungere gli aeroporti. Peccato che proprio negli snodi più importanti - Roma e Milano, soprattutto - il sindacato di base sia molto radicato. Lo sciopero, riuscitissimo, ha gravemente compromesso la normalità del traffico aereo. La soluzione trovata dal ministro Bersani è stata sempre la stessa: criminalizzare gli scioperanti ed evitare di interrogarsi sulle conseguenze di una (pessima) gestione del conflitto sindacale.
Tutto ciò avviene mentre il diritto di sciopero nei trasporti (e negli altri servizi essenziali) sta per essere di fatto abolito. E' difficile interpretare altrimenti le sortite contemporanee, ieri, di D'Alema e del ministro dei trasporti, Bersani, per sollecitare una rapida approvazione della legge per "regolarli": "Io difendo il diritto dei lavoratori - ha detto D'Alema - ma quando viene esercitato in questo modo irresponsabile secondo me è un abuso". Di fronte a un piano aziendale delle Fs che prevede 20mila "esuberi", 20% di salario in meno, un diverso regime salariale per eventuali nuovi assunti, il 27% di produttività in più, l'abolizione degli scatti di anzianità, la disgregazione societaria delle Fs... solo chi si schiera dalla parte del profitto contro il servizio pubblico può definire "irresponsabile chi lotta. Delle ragioni degli scioperi nei trasporti però non si parla. "Fa notizia" solo il passeggero giustamente incazzato, inconsapevole strumento dell'ingessamento di diritti che è suo interesse poter esercitare una volta dismesse le transitorie vesti di "passeggero" per indossare quelle - un po' più durature - di cittadino, lavoratore, ecc. Da segnalare, in proposito, Cofferati, che ieri a Genova ha detto di considerare "legittima l'indignazione dei cittadini che non sono riusciti a viaggiare", invitando i media a evidenziare che la Cgil non aveva partecipato allo sciopero dei controllori di volo.
In Spagna, ieri, si era al terzo giorno consecutivo di agitazione dei macchinisti; in Francia si sono avuti scioperi prolungati, anche di un mese (gli insegnanti, ad esempio). Ben poche, e in genere di ultradestra, le voci che chiedono limitazioni al diritto di sciopero. Da noi, invece, il coro è unanime. Invece di affrontare i problemi sul tappeto - un conflitto sindacale è un evento "normale", in un paese "normale" - ci si ingegna su come impedire l'espressione del conflitto.
La pervasività di quest'idea è dimostrata dalle parole con cui Alessandro D'Alessio, responsabile Cgil degli "uomini radar", ha protestato contro la convocazione dell'Anpcat - il sindacato di base che venerdì ha messo in crisi il traffico aereo - al tavolo delle trattative: "E' venuto il momento di fare le debite distinzioni tra organizzazioni che trattano con responsabilità e chi invece ha sposato il metodo della trattativa armata". Si sta giocando una partita che mette in discussione la rappresentanza di categorie importanti del mondo del lavoro: i toni si induriscono, il controllo delle parole si affievolisce.
Questo indica a tutti che ormai, almeno nel pubblico e nei servizi, la strada per la difesa dei diritti dei lavoratori, contro lo sfruttamento e per la generale tutela delle conquiste strappate alla borghesia non passa certo per i sindacati confederali.
E' finito con la scoperta di un bluff l'incontro al ministero dell'industria tra gli operai della Goodyear di Cisterna di Latina e Morgando. Il compratore per lo stabilimento - tutti davano per scontato fosse Marangoni - non c'era e non ci sarà più. Al posto di una ripresa del lavoro sotto una diversa ragione sociale e a ranghi ridotti c'è invece il buio dell'affidamento a "Sviluppo Italia". Ovvero alla scrematura tra quanti passeranno per cassa integrazione e mobilità lunga per approdare alla pensione, e quanti andrebbero "ricollocati" (dove? quando?). Cominciano a farsi avanti i piazzisti del "lavoro interinale", promettendo contratti a tempo indeterminato in un raggio di 50 chilometri da Cisterna. Alto, il prezzo di scambio: l'intero incentivo che la Godyear dovrà dare agli operai (qualche decina di milioni). Ovvero: vuoi il lavoro? te lo compri.
I risultati della ricostruzione e degli 8000 miliardi del dopo trerremoto nell'avellinese non sono stati brillanti: gli occupati sono meno della metà dei previsti, ci sono fabbriche che hanno chiuso i battenti da tempo (qualcuna non è mai andata in funzione), ce ne sono alcune che funzionano bene almeno dal punto di vista produttivo, ce ne sono altre che si lanciano in progetti avveniristici appena bocciati dal ministero (è il caso della Taema, che voleva produrre tecnologia avanzata per stazioni satellitari). Ma mentre si è in attesa di contratti d'area, continua lo sfruttamento dei lavoratori e l'attacco alle loro (poche) conquiste. Siamo nell'area di Morra De Sanctis, in Alta Irpinia, dove da un po' di tempo si è sviluppato un duro braccio di ferro tra la I.m.s, un'azienda che produce servomeccanismi per l'industria dell'elettrodomestico, e parte dei lavoratori. A farne le spese, come al solito, sono le avanguardie più combattive. Dopo lo scontro sul piano aziendale che ha diviso l'I.m.s. in due tronconi (area motori con 145 unità e linea di servizio alle imprese con 75) e che è servita tra l'altro a dividere una classe operaia che cominciava a prendere coscienza della propria forza, è sull'accordo integrativo, soprattutto sul punto che riguarda il premio di risultato (i lavoratori lo vogliono in quota fissa, non evanescente e ballerino com'è adesso), che è scoppiato un nuovo scontro nel settore motori. Alla richiesta di un'assemblea, concordata con i vertici sindacali, l'azienda ha risposto picche. Una parte degli operai proclamano un'ora di sciopero e l'assemblea. La direzione della fabbrica sbatte fuori una ventina di operai che sono costretti a fare l'assemblea davanti ai cancelli. Si decide la raccolta di firme tra i lavoratori per delegittimare le Rsu accusate di non fare gli interessi degli operai. Giannino Ciccone, delegato in quota Fim Cisl e leader della lotta dei "ribelli", è quello che paga di più per il suo atteggiamento. Viene sospeso perché si rifiuta di lavorare in condizioni di scarsa sicurezza. Denunzia la cosa al ministero e al sindacato unitario che lo difende. L'azienda riconosce di aver sbagliato, ma siamo solo alle parole, perché la battaglia si fa più aspra. La busta paga è stata consegnata senza la quota fissa del premio e la raccolta di firme per andare a nuove elezioni delle Rsu ha raggiunto il 50% degli addetti. "Non c'è nessuna intenzione di mollare - dice Ciccone -. I gravi atti discriminatori consumati contro di noi non possono rimanere impuniti perché le conseguenze sarebbero devastanti per i nostri diritti".
Era il 19 novembre del 1993 quando a Shenzhen, zona economica speciale nella Cina meridionale, prese fuoco la Zhili Handicraft, una fabbrica che produceva giocattoli per alcune multinazionali occidentali tra cui la Artsana Spa/Chicco. Morirono 87 operaie, altre 47 rimasero ferite. I dirigenti dell'azienda aveva pensato bene di bloccare con catene tutte le uscite di sicurezza e mettere alle finestre sbarre d'acciaio. La fabbrica, a capitale hongkonghese, era già nota per essere del tipo "tre in uno": il magazzino, l'officina e il dormitorio convivevano nello stesso edificio e il corto circuito che causò l'incendio bastò a provocare una carneficina, facilitata anche dalla pratica di tenere le lavoratrici recluse. Già nel marzo del '93 la fabbrica aveva avuto problemi per il mancato rispetto delle norme sulla sicurezza, eppure due mesi dopo aveva ottenuto senza difficoltà permessi e certificati di sicurezza. Le lavoratrici che fino ad allora avevano prodotto i giocattoli della Chicco avevano turni di 10-15 ore al giorno, con un solo giorno di riposo mensile. Inoltre, durante il periodo di maggior lavoro era consentito usare i gabinetti solo in precisi momenti, e a volte la catena produttiva doveva andare avanti anche di notte. Tutto questo per 25 dollari americani al mese. O, se preferite, 47.500 lire.
Questo drammatico episodio viene ricordato perchè dopo 7 anni nessuno ha risarcito ancora le vittime o i loro famigliari, per quanto poco veine valutata dai padroni la vita degli operai in queste aree "speciali". La cosa più importante è però sottolineare come queste aree speciali siano tali per i profitti dei padroni, per la riduzione dei diritti e dei salari dei lavoratori. I Contratti d'area in Italia non sono molto differenti: conservano, dimagriti, parte dei diritti del resto dei lavoratori, ma assicurano comunque profitti più alti tramite salari al di sotto di quelli previsti dai contratti nazionali.
Firmata la preintesa per il contratto nazionale per il settore tessile, che riguarda circa 800.000 lavoratrici e lavoratori, il 70% sono donne, diffusi in circa 60.000 imprese di cui l'85% occupa meno di 50 persone.
Preliminarmente c'è da dire che non a caso quella firmata è una preintesa: il contratto vero e proprio, infatti, è previsto entro il 18 aprile, e solo allora si potrà dire se si tratta di un contratto nazionale, che stabilisce una unicità di norme e diritti di base per tutti, o se invece si usano vecchie parole per nascondere nuova sostanza: in questo caso lo svuotamento di un contratto nazionale degno di questo nome.
Da discutere ancora c'è, infatti - oltre alla materia del job sharing, ossia un posto di lavoro diviso tra due persone -, la questione cruciale di che cosa alla fine questo contratto stabilirà per il Mezzogiorno visto che si parla di orario d'ingresso, e salario d'ingresso, di nuovi assunti inquadrati due livelli sotto il contratto.
Se così fosse, si sancirebbe a livello centrale un vero e proprio "contrattone d'area" per tutto il Mezzogiorno: e dunque, quello dei tessili, che pur ne mantiene il nome, non sarebbe più di fatto un "contratto nazionale".
Per fare un esempio concreto: sul part time in generale, che aumenterà dal 5 all'8%, l'accordo fissa criteri restrittivi alla possibilità di scelta individuale: potrà ottenerlo solo chi ha un problema di assistenza parentale o altre disgrazie in famiglia, e basta. Ma per il Sud si parla di ben il 50% di nuove assunzioni a "part time": come si vede, qui il medesimo termine indica un orario d'ingresso obbligato.
Nella preintesa sia l'orario settimanale di 40 ore che quello giornaliero di 8 ore possono essere superati con un'"articolazione plurisettimanale multiperiodale", per approdare a un orario "realizzato in regime ordinario come media in un periodo non superiore a 12 mesi, alternando periodi con orario diverso". Insomma, l'orario annuale richiesto dalla Federtessile. Con i regimi d'orario diversi lungo l'anno, per "variazioni d'intensità dell'attività dell'azienda o di parti di essa", si può superare l'orario contrattuale di 48 ore, per un massimo di 96 ore annue. Per le ore extracontrattuali, la maggiorazione è del 12% per le prime 48 ore in più, del 15% per quelle ulteriori. Dentro le 96 ore annue ottenute, le imprese possono anche richiedere la "flessibilità tempestiva", o "veloce", per tutti, per reparti, o singoli gruppi di lavoratori: sia "per periodi di supero, che di riduzione dell'orario contrattuale", cone preavviso alle Rsu entro 5 giorni ma dopo 5 giorni la "flessibilità" diventa comunque "operativa". Qui la maggiorazione di paga è del 21%. Quanto alla Banca ore: vi si traducono in permessi 4 ex festività, e le prime 32 ore annue di straordinario (ma non quello speso per manutenzione), se uno lo richiede a gennaio di ogni anno per goderne "entro l'anno solare successivo".
Salario. 120mila lire "una tantum" subito. Aumento di 65.000 lire medie: prima tranche a maggio, l'altra a febbraio 2001. Un particolare: per il I livello - che torna a riempirsi di lavoratori, per esempio interinali - l'aumento di 37.500 lire è sotto il livello d'inflazione, violando il famoso "23 luglio".
In questa nuova fase non arrivano al ministero aziende decotte; arrivano aziende con profitti, le quali ci pongono il problema della necessità di riqualificazione per rimanere in attività. Gli ammortizzatori vanno visti nella nuova ottica: la tenuta della competitività". E' Raffaele Morese, sottosegretario al lavoro, ex numero due della Cisl, a illustrare con orgoglio la "nuova filosofia" del governo nell'uso degli ammortizzatori sociali. E lo fa a chiusura della conferenza stampa che segue la firma dell'accordo tra Telecom e sindacati sui 13.000 "esuberi" dichiarati dall'azienda.
Telecom, nel '99, ha avuto un attivo di 3mila miliardi. Ma per ristrutturarsi e "competere" sul mercato usa tutti gli strumenti "pubblici" utili a moltiplicare quei profitti che debbono restare assolutamente "privati". Il ministro del lavoro, Cesare Salvi, ha parlato però di un accordo "senza oneri per lo stato". Il piccolo miracolo consisterebbe nell'esentare Telecom dal versamento dei 200 miliardi l'anno di contributi. A rigor di bilancio, sono 200 miliardi di entrate in meno, per lo stato.
I sindacati di categoria di Cgil, Cisl e Uil hanno enfatizzato il "salvataggio di 5200 posti di lavoro"; risultato ottenuto sottraendo le 6200 assunzioni (con contratti di apprendistato, inserimento lavorativo e tirocinio: ovvero a costi irrisori per l'azienda) e quelle ipotizzabili con alcuni progetti sperimentali minori dai 13.000 "esuberi" accettati.
L'accordo firmato al ministero del lavoro riguarda il modo in cui verrà la fuoriuscita di 13.000 lavoratori da Telecom Italia. Colaninno ne voleva 13.500, e tutti tramite l'uso della "mobilità lunga" (secondo le modalità previste dalla legge 223). La mediazione del ministro del lavoro, alla fine accolta dalle parti, mette invece insieme un mix di ammortizzatori sociali più variegato, da applicare all'interno di un piano d'azione triennale.
2.200 saranno i lavoratori che andranno in cassa integrazione straordinaria a zero ore per 24 mesi per essere impegnati in progetti di riqualificazione professionale finalizzati al reimpiego.
1.000 saranno invece spostati verso altre aziende del gruppo Telecom, con forme di mobilità interaziendale. 500 posti verranno tagliati con i "contratti di solidarietà"; di fatto, si cercherà di convincere 2000 lavoratori ad accettare una riduzione di orario del 25%, con il 10% di salario in meno.
100 andranno in "flessibilità oraria", aumentando il ricorso al part-time e avviando la sperimentazione del job-sharing. 900 nella manutenzione e assistenza, che non verrà più affidata a società esterne. 3.000 "esodi" incentivati riguarderanno soprattutto lavoratori che ormai hanno maturato le condizioni per la pensione di anzianità, ma ancora al lavoro a causa della "riforma Dini".
5.300 sono infine i ricorsi alla mobilità ordinaria, detta anche "mobilità lunga" in attesa della pensione, nella prima finestra del 2001.