Notizie dalla lotta di classe |
Luglio 2000 |
Unire quello che il capitalismo divide. |
Alla Pininfarina di Torino i sindacati hanno presentato all'azienda la piattaforma - approvata dal 92% dei lavoratori -, chiedendo incrementi salariali (conferma del milione e mezzo del precente contratto e 2.200.000 di salario fresco nei prossimi quattro anni), garanzie per i lavoratori considerati "inidonei al lavoro di linea", maggiori indennità per il lavoro notturno. Pininfarina le ha considerate incompatibili con il contratto nazionale, chiedendo di modificarle radicalmente. A sostegno della loro iniziativa i sindacati hanno raccolto oltre 1.500 firme tra i lavoratori Pininfarina, chiedendo che l'azienda rispetti la moratoria contrattuale e non abbia atteggiamenti pregiudiziali sulla vertenza.
In arrivo mobilità e cassa integrazione per una parte dei dipendenti del Gruppo finanziario tessile torinese (Gft), al termine di un accordo siglato con il gruppo Armani. Gft (controllato al 100% dalla Hdp) trasferirà ad Armani due stabilimenti - Settimo Torinese e Matelica (Marche) - per un totale di 700 lavoratori. Verranno chiusi due altri stabilimenti, a San Damiano d'Asti e a Bosconero (To). Un centinaio di dipendenti andranno in mobilità; gli altri in cassa integrazione a rotazione. In tutto circa 600 esuberi, sebbene la Hdp non difetti di liquidità. Recentemente la società ha investito 300 miliardi nel settore moda: 165 per Valentino, e 135 per comprare il marchio di Iosef Abboud, ben noto negli Usa.
Il contratto unico delle telecomunicazioni - firmato tra confindustria e sindacati confederali - non soddisfa i lavoratori del settore. "L'utilizzo del lavoro interinale non è uno strumento applicato una tantum, ma viene a costituire l'asse privilegiato di una politica aziendale mirata ad aumentare la flessibilità e ricattabilità dei lavoratori cosiddetti "garantiti"". La presa di posizione viene dai Cobas delle tlc che, preannunciando opposizione e organizzazione di uno sciopero, puntano a battersi nel referendum tra i lavoratori per assicurarne la bocciatura. Tra i punti dell'accordo maggiormente contestati: l'aumento dell'orario di lavoro a 40 ore settimanali, l'introduzione stabile di tutte le modalità del "lavoro atipico" (part-time, ecc), le appena 40-50.000 lire nette di aumento del salario. Soprattutto, però, si denuncia l'introduzione di un doppio livello contrattuale che, inevitabilmente, produrrà una dinamica volta a "favorire" la fuoriuscita dalle aziende di tutti i lavoratori assunti fin qui e "garantiti" dai contratti precedenti. E' facilmente prevedibile, infatti, che il "doppio livello" sia considerato dalle aziende come un "regime transitorio" verso una nuova equiparazione al livello più basso.
La Fiom ha detto "no", mentre Fim e Uilm hanno siglato l'accordo con la Zanussi che introduce il job on call. A questo punto ci sarà una nuova votazione delle Rsu e poi il decisivo referendum tra i lavoratori che dirà la parola definitiva sull'avvio del caporalato industriale.
Rispetto alla versione precedente dell'intesa tra le parti (osteggiata dai metalmeccanici della Cgil e sottoposta a richieste di emendamenti dalla maggioranza delle Rsu) sono stati introdotti lievi cambiamenti che non ne cambiano la sostanza. Rimane lo scandalo del lavoro a chiamata, quello per cui un lavoratore assunto a tempo indeterminato dovrebbe attendere a casa la convocazione aziendale - con un preavviso di 72 ore - che gli garantirebbe un minimo di sole 300 ore annue di lavoro. Per il resto, dovrebbe rimanere a disposizione dell'azienda. L'unica novità a questo proposito è che le parti sottoporranno al giudizio del ministero del lavoro questo nuovo istituto; ma difficilmente, di fronte a un accordo sindacale, per quanto separato, il ministero dirà di no. Rimangono intatte anche le parti relative alla banca ore (non più a disposizione del singolo lavoratore, contrariamente a quanto dice il contratto nazionale) e quella sui premi di produttività (legati al raggiungimento di obiettivi fissati dall'azienda). Leggermente modificato il capitolo del salario d'ingresso che prevede ora un'equiparazione (ma in tre anni) delle indennità notturne. Cancellata, invece, la parte delle sanzioni che avrebbero colpito i delegati che non approvano un accordo firmato centralmente (ma potrebbero rientrare "dalla finestra" attraverso l'escamotage di un protocollo aziendale parallelo al contratto). Complessivamente è un contratto che viola princìpi fondamentali di quello nazionale, che aprirebbe una nuova stagione della flessibilità e annulla il principio di parità di trattamento a parità di prestazione. Fim e Uilm puntano a convincere i lavoratori a dire sì con il ricatto che senza accordo non ci sarà alcun aumento salariale (1.400.000 lordo annuo). A decidere saranno i lavoratori con il referendum: dovranno scegliere tra "l'operaio squillo" proposto dalla Zanussi e la difesa di diritti fondamentali sostenuti dalla Fiom. Una scelta fondamentale perché potrebbe essere un'indicazione per il futuro di tutto il mondo del lavoro industriale, e non solo.
L'ultimo ritrovato della fantasia aziendale inventa una versione particolarmente sinistra della lotteria: un premio di "presenza" di mezzo milione da sorteggiare fra gli operai cui non capitino né malattie né infortuni.
La trovata si deve alla Stabilus di Villar Perosa (Torino), azienda metalmeccanica di un gruppo multinazionale (Mannesmann), oltre 100 dipendenti, fornitrice di molle a gas per il gruppo Fiat e il gruppo Psa, ed è stata spiegata in dettaglio in un comunicato affisso ai primi di giugno, con la firma congiunta della direzione aziendale e delle Rsu. Vi si legge che il premio di presenza di 500 mila lire "viene istituito dal mese di giugno 2000", assegnato a "un unico operaio a sorteggio tra tutti quelli che nel mese non hanno effettuato giorni di assenza per mutua e/o infortunio".
La Stabilus, che fa parte dell'Unione industriale di Torino, insofferente dei vecchi lacciuoli - regole contrattuali, leggi per la salute e sicurezza sul lavoro - inaugura così una propria legge, in vigore dentro i suoi cancelli, e la correda dei cerimoniali di rito: "Il primo sorteggio avverrà entro i primi 5 giorni di luglio alla presenza delle Rsu, della direzione e di un lavoratore che effettuerà il sorteggio. Il nominativo del premiato verrà affisso in bacheca turni". Il premio "verrà inserito nella busta paga di giugno" del prescelto, e diverrà un'istituzione stabile, "assegnato con le stesse modalità per i successivi mesi dell'anno".
Perché le Rsu hanno accettato di controfirmare? "Noi non l'abbiamo saputo subito, non ci sono delegati della Fiom dentro l'azienda, ce l'ha detto un nostro iscritto - ha spiegato Ferruccio Colina, responsabile di zona: "la vicenda mette in evidenza in che considerazione siano tenuti i diritti, la dignità dei lavoratori", e "scopre una pagina vergognosa di relazioni sindacali" - questa la denuncia, seguita dalla richiesta alle Rsu di "ritirare l'assenso dato"; "alle altre organizzazioni" di "richiedere il ritiro della firma; e alla Federmeccanica di "sconfessare pratiche così vergognose".
A firmare come Rsu sono i due delegati superstiti della Stabilus, iscritti alla Fim.Questa la loro motivazione: "Con questa azienda è tanto che litighiamo, è una bestia", e poi, non tutti i delegati sono "politicizzati", sanno reggere all'urto, e questi due sono giovani. Enrico Tron l'ha saputo subito, del comunicato, da un lavoratore, "e ho chiesto un incontro con l'azienda, l'ho avvertita: voi incorrete in una denuncia penale, e nella denuncia sindacale, per l'articolo 28". Ai delegati, una "telefonata incazzata", Tron ha spiegato l'errore, e: "o ritirate la firma, o vi dimettete" - gliel'ho fatto capire, e proprio oggi uno dei ragazzi mi ha chiamato, mi ha detto che si è dimesso". Non sarà che questi "giovani delegati" vengno formati a firmare accordi di ogni tipo con i padroni dalle scuole quadri sindacali, salvo poi essere scaricati quando la fanno troppo grossa?
Aumentano in Veneto, più velocemente rispetto agli uomini, le donne che svolgono un lavoro atipico. L'esercito dei parasubordinati conta, secondo una ricerca svolta dalla Cgia (Confartigianato) di Mestre sugli anni '97-'99, circa 160 mila lavoratori, l'8,5% del totale degli occupati (1.887.000): 100 mila sono uomini, 60 mila donne. Negli ultimi tre anni sono entrate a farne parte 46 mila nuove leve, con un balzo in avanti delle donne. Le province dove questo sviluppo è più marcato sono Padova (dall'8,6% sul totale delle donne occupate del '98, al 10,2% del '99) e Venezia (dal 7,4% del '98 all'8,3% del '99). Gli uomini arrancano, anche se, nell'ultimo anno considerato, i parasubordinati sono cresciuti di 5000 unità: a Rovigo sono scesi dal 6,7% al 6,6%; a Treviso, dal 9,3% al 9,1%; e soprattutto a Verona, dove dal 9,1% si è scesi all'8,3% sul totale degli occupati.
In un rapporto basato su interviste a 26 operai della Sata (Fiat di Melfi) viene fuori che il modello della fabbrica integrata, col suo supposto coinvolgimento dei lavoratori, è in piena crisi. C'è uno scarto netto tra quanto teorizzato dalla Fiat e quanto realizzato. Si potrebbero citare molti dati, a partire dai livelli gerarchici aumentati invece di diminuire. Oppure dal grado di sopportazione dei carichi di lavoro, a partire dai turni stressanti: l'aumento di coloro che lasciano spontaneamente il lavoro in Sata (1.200 dall'inizio della produzione), è più che indicativo. Così come è indicativo il tasso di assenteismo.
Altra nota da rimarcare nel rapporto, e che si differenzia dalle risposte del 1998 quando non c'era ancora questo disincanto, è che oggi c'è una propensione dei lavoratori verso il sindacato, oltre ad avere ben chiare le differenze tra la politica della Fiom e quella della Fim.
I coltivatori di riso manifestano a Vercelli, portando in piazza 600 trattori, contro la proposta per la riforma dell'Ocm (organizzazione comune di mercato del riso), del commissario europeo all'agricoltura, Franz Fischer. Il Ciri (comitato internazionale risicoltori italiani) si oppone al "set aside", ovvero la messa a riposo del 10% dei terreni coltivati ogni anno: "Il disuso di migliaia di canali irrigui nella Pianura padana potrebbe sconvolgere i delicati equilibri della falda freatica, costringendo a scavare più in profondità per l'approvvigionamento d'acqua potabile". L'Italia è il primo produttore di riso in Europa, per il 2000 sono previste 1.350.000 tonnellate di prodotto grezzo. Le risaie occupano 220 mila ettari. La rete di rogge e canali di irrigazione della Pianura padana è lunga quasi 30 mila chilometri.
A Roma corteo di lavoratori metalmeccanici installatori telefonici. Tira una brutta aria per i 25 mila installatori del telefono (Sirti, Italtel-sistemi, Alcatel, Site, Ici...). Il motivo principale è tecnico e finanziario. Vi sono molte incertezze sul futuro del sistema telefonico, sul modo di essere delle imprese, sui gruppi che si formeranno, sulle scelte tecnologiche. Vi è una battaglia sui prezzi e ogni nuovo entrante, nel fisso o nel mobile, strappa una piuma a Telecom il monopolista di un tempo; che a sua volta cerca di esternalizzare i servizi e di ridurre le spese relative, tagliando quanto è possibile sui salari per lavori in appalto.
E' la conseguenza reale della rottura del monopolio naturale in telefonia, della privatizzazione di Telecom Italia e della collegata liberalizzazione del settore, tanto nel fisso che nel mobile. Gli installatori di cavi telefonici, di bande larghe e strette, di antenne di ogni forma e dimensione, ancora due anni fa lavoravano prevalentemente per Telecom Italia, con un lavoro abbastanza sicuro e una situazione abbastanza protetta. Dopo si è creata una frattura tra il Sud e il Centro nord, soprattutto urbano, nel quale Telecom Italia e le imprese concorrenti fanno a gara per cablare le città, stendere cavi, alzare ricevitori per segnali dei satelliti. Il risultato è un certo fervore di lavori, ormai poco protetti, spesso aleatori, ma comunque esistenti.
Al Sud invece vi è un vero e proprio decadimento del settore; girano pochissimi soldi e si riproduce quella situazione del liberismo che equivale all'ingiustizia geografica e regionale. I lavoratori del settore sono oggi 24.000; un terzo potrebbe essere tagliato fuori entro l'anno, e la ristrutturazione (chiamiamola così) potrebbe continuare per il 2001. 80 tagli su 100 potrebbero venire dal Mezzogiorno, con l'eliminazione pressoché totale del lavoro organizzato negli impianti telefonici. Già oggi presenti nel settore sono soprattutto imprese virtuali, che si affidano ad appalti e subappalti, una volta che hanno ricevuto la commessa. Verrebbero tutelati solo i ruoli specializzati di cavisti e progettisti, mentre il resto, la palificazione, lo scavo, non sarebbe tutelato, ma consegnato a chi paga meno e dà meno garanzie ai propri addetti: così il sottosalario e l'assenza di diritti sindacali diverrebbero valori da ricercare e premiare.
E' una storia di disperazione dovuta alla disoccpazione. I 152 operai della fabbrica Cellatex di Givet, una cittadina delle Ardenne che produce rayon, sono barricati all'interno dell'edificio da alcuni giorni e minacciano di "far saltare tutto in aria". La Cellatex è in liquidazione giudiziaria da una settimana. Il quartiere della Seta di Givet, dove vivono 500 persone, è stato evacuato. All'interno della fabbrica occupata, ci sono 47mila litri di solfuro di carbonio, prodotto che serve per fare il rayon, classificato "Seveso", cioè pericolosissimo. "Se tutto saltasse in aria - afferma il responsabile della sicurezza ambientale del sito, Remo Pesa - tre quarti di Givet sarebbero colpiti". Tutti i 152 operai hanno firmato il volantino di protesta, dopo la messa in liquidazione della Cellatex, che diceva : "se non viene trovata una soluzione, tutto salterà in aria". Secondo Pesa, "è gente che non ha nulla da perdere". Nella zona, il tasso di disoccupazione supera il 20%. Se chiude anche la Cellatex, non ci sarà più lavoro a Givet. La gente, che vive in una regione di confine, si sente abbandonata dal centro. "Perché solo adesso arrivano i negoziatori? - si chiede un operaio - finché non sarò sicuro io, non lo saranno loro".
La sicurezza che gli operai chiedono è quella del posto di lavoro e per questo hanno deciso, con la forza della disperazione, di minacciare quella di tutta la cittadina. Sono iniziate trattive con un possibile acquirente: si tratta di una società tedesca, già cliente della Cellatex. Ma nulla è sicuro. Nel tessile, c'è la concorrenza dei paesi del terzo mondo e in Francia le fabbriche chiudono da anni una dopo l'altra. Gli operai che occupano la fabbrica hanno chiesto che i 220 poliziotti, chiamati d'urgenza da tutta la regione, siano allontanati. E quando i rappresentanti delle autorità, ministero del lavoro, prefettura, hanno preteso di portare via i bidoni di solfuro di carbonio, gli operai hanno detto di no: "è la nostra unica arma". Di notte, gruppi di 25 persone si danno il cambio, per impedire l'evacuazione degli occupanti. Tutta la città è solidale con gli operai della Cellatex, che con un'azione spettacolare hanno messo sotto gli occhi di una Francia che si arricchisce la miseria di sacche di disoccupazione persistenti.
La forza degli operai deve stare proprio nel conquistarsi la solidarietà della popolazione: e questo, in Francia, è già accaduto e costituisce sempre un esempio da tener presente.
959.907 gli infortuni dichiarati nel 1999 all'Inail, oltre 1200 morti e 30mila inabili permanenti. i dati relativi al primo trimestre del Duemila mostrano una tendenza all'aumento: 231.149 infortuni, di cui 266 mortali. Nello stesso periodo del '99 gli infortuni erano stati 220.812. Tra questi 200 mortali. Sono già morte 66 persone in più.
L'Inail stessa non ha dubbi: la crescita economica porta con sé la crescita degli infortuni sul lavoro. Pietro Mercandelli, presidente dell'Anmil (l'associazione mutilati e invalidi sul lavoro) denuncia "l'atteggiamento di Confindustria che, in modo sottile, cerca di portare il problema fuori dall'azienda, ponendo l'accento sull'aumento degli infortuni nel settore dei trasporti". E' vero, i trasportatori sono la "categoria" che nel '99 ha conosciuto un aumento delle morti del 26% (157 persone), ma l'industria manifatturiera nel suo complesso paga ancora una volta il prezzo più alto (262 lavoratori). In aumento nel '99 gli infortuni nel Nord Est, al centro e nel Mezzogiorno (qui il picco più alto di quelli mortali) per quanto riguarda l'aggregato "Industria e Servizi". La piccola azienda è quella a maggior rischio; le imprese artigiane hanno dichiarato circa 140.000 infortuni contro il mezzo milione delle altre. Quanto all'età, prima il dato più impressionante: i minori, fino a 17 anni, infortunatisi nel '99, sono stati quasi 20.000 e fra gli apprendisti in genere si sono contati oltre 27.000 infortuni, 537 dei quali hanno portato a un'inabilità permanente. Poi il dato che fa pensare: il 45% degli incidenti è avvenuto tra i 18 e i 34 anni. Sono lavoratori più di altri legati a forme contrattuali "atipiche", comunque meno retribuite, e che in caso di infortunio sono maggiormente penalizzati poiché - ricorda Mercandelli dell'Anmil - "il risarcimento dell'Inail è proporzionato alla retribuzione dell'ultimo anno". Si tratta di lavoratori che hanno conosciuto la "flessibilità" del lavoro. E in periodo di "congiuntura positiva cresce la quantità di lavoro svolto, cresce lo stress, la manutenzione si fa a volte più saltuaria. Tutto ciò comporta una impennata nel numero di infortuni", dice Billia.
Per quanto riguarda i profitti e la produzione che li sottende, che spingono in modo mortale lo sfruttamento dei lavoratori, il governo è molto soddisfatto perché la ripresa non è certo frutto "di una congiuntura favorevole degli astri", ma il risultato delle scelte di politica economica. I dati Istat sulla produzione industriale mostrano una forte crescita: + 10,8% sul maggio '99, mentre nei primi cinque mesi dell'anno l'incremento è del 4,6% rispetto allo stesso periodo del 1999. La produzione media giornaliera segna un incremento rilevante: +6,7% che trova conferma nel +4,4% della media dei primi cinque mesi. L'indice destagionalizzato ha raggiunto quota 109,3, il livello più elevato degli ultimi quattro anni.
A tirare l'offerta, segnalano i dati Istat, è soprattutto la produzione di beni di investimento: +13,8% sul maggio '99; +5,2% nei primi cinque mesi; + 4,2% rispetto al mese precedente. L'accresciuta produzione di beni di investimento appare come un segnale di ripresa degli investimenti. Un fenome che non nasce all'improvviso, ma che negli ultimi mesi si sta rafforzando. Non a caso, nel Dpef è previsto che quest'anno a fronte di un crescita del Pil del 2,8%, gli investimenti fissi lordi saliranno del 5,9%, mentre i consumi interni l'incremnto sarà solo dell'1,8% (+2,2% la spesa delle famiglie). La performance più brillante è quella realizzata nella produzione di mezzi di trasporto: +20,1% in maggio; +12,5% nei primi cinque mesi del 2000. Il dato non si riferisce unicamente alle autovetture, ma a tutti i mezzi di trasporto sia finalizzati alle imprese che ai consumatori.
Per Franco Bassanini è una svolta: il lavoro interinale entra anche nella pubblica amministrazione. Il consiglio dei ministri lo ha, infatti, autorizzato a dare parere positivo alla bozza di contratto nazionale siglata dall'Aran e dai sindacati. In una nota diffusa dal ministero è scritto che "in questo modo il mondo della Pubblica amministrazione si avvicina ai modelli di impiego interinale già vigenti in alcuni paesi europei, come in Germania, Gran Bretagna e Olanda". Le amministrazioni pubbliche - viene spiegato - potranno usare con il lavoro interinale "in modo più efficace ed efficiente" le proprie risorse, "ripensando il tradizionale modello lavorativo in funzione della differenziazione e del'articolazione del mercato del lavoro e delle esigenze legate all'introduzione delle nuove tecnologie".
All'Iveco di Brescia i lavoratori hanno bocciato con una maggioranza del 55,7% l'ipotesi di piattaforma elaborata dalle segreterie nazionali - che altrove è invece stata approvata. Il risultato è coerente con quanto era già stato espresso nelle assemblee, dalle quali erano emersi con chiarezza alcuni dati: un basso livello di presenze; una forte critica alla piattaforma, con particolare riferimento al salario che propone un aumento aggiuntivo di 2.200mila lire di cui 1.100mila sulla "redditività" -che, già negli ultimi 3 anni non ha prodotto alcun risultao economico. Critiche anche alle ipotesi di tutela dei lavoratori precari, giudicate aleatorie. Inoltre forte era il disagio espresso dai lavoratori intervenuti per non poter minimamente modificare le proposte loro presentate.
Sul salario i lavoratori Fiat non possono ricevere lo stesso trattamento e lo stesso inganno del 1996, quando FIAT promise, a conclusione della vertenza aziendale, un premio di risultato che i lavoratori non hanno mai riscosso.
Un bel giorno, per la precisione lunedì 19 giugno, sono andati a lavorare e hanno trovato il cancello della loro fabbrica sbarrato. Solo un cartello appeso al cancello: "chiuso per ferie", senza nessuna specificazione, né tantomeno la data della riapertura dello stabilimento. In sostanza si tratta di un caso speciale di serrata, attuato nella zona industriale di Pomezia alle porte di Roma (ex cassa del Mezzogiorno) in una piccola azienda, la "General 4", legata alla "Mistel" (130 dipendenti) dello stesso proprietario, D'Attoma.
Da quel giorno il manipolo di operai metalmeccanici ha ingaggiato una battaglia contro l'azienda fantasma. Il proprietario non si è infatti fatto vedere e i rappresentanti dei lavoratori sono stati costretti ad andarlo a cercare. Nel frattempo le trattative nella sede della Federlazio non hanno dato alcun esito. Tramite una sua consulente, l'azienda ha ribadito l'intenzione di lasciare in ferie le maestranze, che però ora non ricevono neppure lo stipendio. E i lavoratori hanno deciso, vista l'impasse del negoziato, di presidiare lo stabilimento. Non si tratta di una vera occupazione (anche perché i sindacati hanno vivamente sconsigliato gli operai), ma di un presidio o assemblea permanente. Tradotto: i lavoratori della Genaral passano le giornate davanti al loro posto di lavoro. Dormono dentro le tende, perché pensano che se accettano di ritornasene tranquilli a casa perderebbero per sempre ogni possibilità di tornare un giorno a lavorare lì dentro.
La General 4 si occupa dell'assemblaggio di sistemi di telecomunicazione anche per contro della Telecom. L'ultimo lavoro di cui si è occupata l'azienda prima delle ferie forzate ha riguardato le borghie "Isdn" usate dalla Telecom. Operai e tecnici sono quasi tutti giovani. Tra loro la media si aggira sui 33 anni. "Siamo però troppo giovani e troppo vecchi - dice una delegata interna della Uilm - perché le altre aziende, se devono assumere, scelgono magari gente di venti anni".
Finora, almeno a giudicare dagli incontri con i sindacati che si sono svolti, non si intravvedono soluzioni. L'unica cosa certa è che l'azienda, che era stata creata come una sorta di distaccamento della Mistel, non riceve più i soldi dalla Cassa del Mezzogiorno. Ed è probabile che non ricevendo il finanziamento la proprietà non ne voglia più sapere. E gli operai che fine faranno? Loro, gli operai, chiedono almeno al sindacato di ricorrere all'articolo 28 dello Statuto dei lavoratori, ovvero comportamento antisindacale.
"Il personale eccedente, per il quale non vi sono altre possiblità di riutilizzo, da collocare in mobilità è stato individuato in 120 dipendenti". Dipendenti, viene spiegato per i "quali non sono previste evoluzioni organizzative (...) nel fuuro assetto della società. [...] La mobilità è necessaria per "migliorare l'efficienza e quindi la competitività aziendale". Questo a fronte di quanto sostenuto nella Relazione trimestrale (il bilancio dei primi tre mesi del 2000) presentata alcune settimane fa dall'ENI, secondo cui la società non sembra proprio avere problemi di competitività, visto che migliora i già notevoli risultati del '99: il margine operativo lordo è salito del 56,8%; l'utile operativo addirittura dell'81,7% raggiungendo i 3.348 milioni di euro, contro i 1.843 milioni del '99. Alla straordinaria performance non è estraneo l'aumento del prezzo del greggio: la società che licenzia (questo è il senso della mobilità) è infatti l'Eni che "con una capitaliazzazione di borsa nel maggio 2000 di oltre 47 miliardi di euro, è una delle società energetiche più importanti del mondo".
I licenziamenti avvengono nonostante il costo del lavoro nel primo trimestre (689 milioni di euro, appena un quinto dell'utile operativo e un ventesimo dei ricavi) sia diminuito del 4,8% grazie "alla riduzione media di circa 5000 unità dovuta all'azione di razionalizzazione e dismissioni effettuate nel 1999". Tuttavia, lamenta la Relazione trimestrale, gli effetti benefici della riduzione del personale sono stati "parzialmente assorbiti dalla crescita di circa l'1% del costo lavoro unitario in Italia e dall'aumento di quello estero dovuto all'effetto cambio".
I 120 colletti bianchi della sede di Piazzale Enrico Mattei (che potrebbe, a questo punto, anche chiudere i battenti) sono solo la prova generale per più massicci licenziamenti che a partire dall'autunno dovrebbero ulteriormente decimare i colletti blu dell'Enichem a Porto Marghera, Priolo, Mantova e Ravenna. Forse a quel punto il sindacato (sempre più silente) si darà una mossa.
Lo sciopero generale di due ore alla Fiat Sata di Melfi, proclamato dalla Fiom Cgil lucana, si è concluso, dice la stessa Fiom, con la partecipazione del 35% dei lavoratori nei tre turni in cui è cadenzato il lavoro, il quale è rimasto in buon parte bloccato.
Tutto ha avuto inizio con la rottura operata dalla Fiat su regole, tempi e procedure stabilite dall'accordo del 1993. Una rottura, per la verità, che viene da lontano ed è scoppiata all'inizio dell'estate, dopo anni in cui i ritmi e i carichi lavorativi diventano ogni giorno più insostenibili. Ed ecco che, nelle settimane scorse, la goccia che ha fatto traboccare il vaso: la Fiat rifiuta il confronto chiesto dalla Fiom per valutare alcune questioni legate all'organizzazione del lavoro e alla crescita occupazionale e decide unilateralmente di rimettere mano al processo produttivo, intervenendo sulla prestazione lavorativa; diminuisce di due operai il numero degli addetti a ogni "Ute", Unità tecnologica elementare), innalzando la "produttività" e il tasso di sfruttamento dei lavoratori.
Lo sciopero ha segnato forse l'inizio di un nuovo scontro in un'azienda che si lascia sempre più alle spalle il modello ideologico della "collaborazione" dei primi anni '90. Diversi comunque i giudizi dei delegati Fiom che hanno preparato la mobilitazione. Emanuele De Nicola è abbastanza soddisfatto: "Siamo stati sotto il tiro non solo dell'azienda ma anche degli altri sindacati, che non solo non hanno aderito, ma hanno mostrato un impegno che non si vede in altre occasioni. Nelle assemblee che abbiamo fatto fuori dalla fabbrica molti lavoratori iscritti alla Fim e alla Uilm, pur non partecipando allo sciopero, hanno apprezzato la nostra lotta e criticato il comportamento della loro organizzazione".
Michele Iacovera si aspettava di più dopo la lunga preparazione, Ute per Ute, dei giorni scorsi: "Mi aspettavo un po' di più perché la questione non è solo legata ai carichi di lavoro ma è più di fondo e riguarda l'integrativo che stiamo preparando per settembre. I lavoratori sono ossessionati dall'unità e spesso non riescono a distinguere per bene la differenza tra un sindacato e l'altro. Così come c'è talvolta un senso della solidarietà che non va oltre la Ute e non riesce a pensare in grande".
L'ultima notte hanno scritto una canzone, un brano in sardo campidanese. "Per rompere il silenzio, per passare la notte. Poi abbiamo scoperto che ci dava energia". Sarà la colonna sonora del documentario che da due giorni sta girando con loro Daniele Segre, il regista di "Dinamite", film sulle miniere poco lontane, dove hanno lavorato, si sono ammalati e a volte ne sono morti i padri degli operai di questo nuovo dramma sardo, a Villacidro. E' un brano che si salmodia al ritmo di una "Repentina", genere di cantilena popolare diffusa nell'area meridionale della Sardegna. "Cantiamo la storia di questa fabbrica, e questo gesto, di salire quassù. Diciamo di non volere scendere prima che ci garantiscano che non ci verrà tolto il lavoro". Così si è spezzato il silenzio della quindicesima notte sotto la tenda di plastica e teloni da camion, sulle gigantesche bombole posate a forma di missile in un recinto del grande cortile della Scaìni, fabbrica di Villacidro ora in liquidazione, occupata da due settimane dai centocinquanta operai dei cinquecento di una vola, il 1979, quando aprì. Sei di loro, il volto mascherato, in forma anonima, hanno deciso il gesto clamoroso, accampati sui serbatoi carichi di otto tonnellate di gas propano.
Sono vent'anni che le fabbriche aperte negli anni settanta in questa area del Medio Campidano, ai confini tra la grande pianura meridionale dell'isola e la zona mineraria fra Arbus e Iglesias, chiudono, pian piano, fra cassa integrazione, riconversioni sbagliate, privatizzazioni fallimentari. A metà di quegli anni, c'erano tremilacinquecento occupati solo tra Snia e Filati. Adesso trecento, in quel che resta: la Keller, vagoni ferroviari, la Scaìni, e in una fabbrica per la produzione di aerei ultraleggeri, in crisi anche quella.
Tre linee per la produzione di batterie per auto, ferme da due anni, da quando è fallita la privatizzazione avviata dalla società dell'Eni, che aveva affidato l'industria a una società svizzera costituita soltanto qualche mese prima, e contro l'opinione del sindacato. L'Agip ha il venti per cento del pacchetto azionario, ma non vede l'ora di liberarsene. Sono quaranta, cinquantenni, lavorano qui da vent'anni. Padri di famiglia, con un solo reddito. Da un anno non percepiscono il salario, gli è negata la cassa integrazione. Hanno consumato la liquidazione, un milione e trecentomila lire al mese. Finita anche questa risorsa. "Arrivano buste paga di mille lire: io l'ho incorniciata, mi vergognerei ad andare a cambiare l'assegno", dice Renato. L'ultima busta di una delle poche donne impiegate alla Scaìni, Immacolata, ha il segno meno. "Devo restituire duecentocinquantamila lire".
Il no ha vinto in tutti i grandi stabilimenti, nelle fabbriche dove la presenza di giovani è più alta e negli uffici tra i colletti bianchi. No al lavoro a chiamata, ai premi di produzione che sembrano lotterie. Almeno il 70% dei circa 13 mila dipendenti del gruppo Electrolux Zanussi ha respinto l'ipotesi di contratto integrativo raggiunta nelle scorse settimane dall'azienda e Fim e Uilm, ma respinta dalla Fiom.
Il cuore dell'accordo era proprio il job on call, assunzioni a tempo indeterminato, ma con lavoro garantito solo per tre mesi; negli altri nove, a casa in aspettativa non pagata, ma a completa disposizione dell'azienda. Un "moderno" caporalato industriale che per Confindustria rappresenta la punta più avanzata della flessibilità in Italia. Ora la clamorosa bocciatura. La Fiom esulta. Il no ha vinto in tutti i grandi stabilimenti, da Solaro a Mel, da Porcia a Susegana. Nelle fabbriche in cui la presenza di giovani è più alta (Solaro, Comina, Villotta, Rovigo).
Una rapida stima porta i no a circa il 70% dei votanti: 6714 contrari all'accordo contro 2986 a favore. Risultati eclatanti. Nei due stabilimenti maggiori, Porcia (1364 no e 471 sì) e Susegana (1122 no e 526 sì), ma anche a Forlì, dove tutti i delegati e funzionari erano a favore dell'intesa (622 no e 296 sì). E, tra gli impiegati, soprattutto quelli del centro direzionale di Pordenone, pare che i no abbiano raggiunto l'80-90% dei voti. Su quest'ultimo dato insiste chi ha perso. Dice Cupiello, responsabile Fim-Cgil per la Zanussi: "Il referendum l'abbiamo proposto, non subito. Pensavamo di vincerlo, invece abbiamo perso. Sconfitta secca, rispetto il risultato. Rilevo soltanto che sono stati i colletti bianchi a spostare davvero il voto. Temevano forse una perdita di protagonismo, visto che gran parte dei centri decisionali, a partire dalla divisione commerciale, sono stati trasferiti a Bruxelles".
Alla flessibilità e qualche soldo in più hanno preferito la tutela dei diritti. L'azienda aveva addirittura promesso che un acconto di 700 mila lire sui premi sarebbe scattato immediatamente, anziché a fine anno, se fosse passato il sì. Quella dei lavoratori Zanussi è stata un atto di grande consapevolezza. E un segnale forte, che va oltre la stessa Zanussi.
Sul piatto c'era soprattutto il lavoro a chiamata - job on call - vero cuore dell'accordo e simbolo delle più avanzate forme di flessibilità aziendale. In questo la Zanussi ha fatto sempre da battistrada, così come nel reprimere e marginalizzare il ruolo dei rappresentanti sindacali non coerenti con la linea di cogestione delle segreterie confederali. La possibilità per l'azienda di assumere lavoratori a tempo indeterminato, ma garantendo loro soltanto tre mesi di lavoro: negli altri nove mesi si resta a casa, in aspettativa non pagata, ma a completa disposizione dell'azienda, la quale può chiamare in ogni momento, col preavviso di 72 ore. L'azienda assume così il controllo del tempo personale. E poi c'era un premio: un milione e ottocentomila lire l'anno, per ottenere i quali l'azienda avrebbe voluto imporre ritmi infernali: un aumento di produttività.
Autobus e metropolitane bloccate in diverse città italiane per lo sciopero generale proclamato dagli autoferrotranvieri aderenti ai sindacati di base. Per i responsabili delle Rappresentanze sindacali di base e per il Coordinamento nazionale dei sindacati di base la fermata di 24 ore ha riguardato all'incirca il 38% dei lavoratori su scala nazionale, con punte massime intorno al 70-90% registrate a Venezia, Torino, Cagliari. Roma si è fermata al 60%. I sindacati considerano lo sciopero riuscito tanto più che ci troviamo in periodo estivo. A Milano lo stop della metropolitana ha creato i disagi più grossi per i cittadini dovuto anche al fatto che l'Atm avrebbe chiuso "totalmente il servizio per motivi di sicurezza". Così la mobilità in superfice non è risultata sufficiente (per il 65% delle astensioni) ad assorbire il carico degli spostamenti.
Il presidente della Federtrasporti ha "bollato" lo sciopero che, secondo lui, ha riguardato soltanto il 20% del personale. Enrico Mingardi ha anche sostenuto che "questi disagi - provocati da piccoli sindacati - impediscono al servizio pubblico di raggiungere gli obiettivi di efficienza e liberalizzazione che il settore sta faticosamente realizzando. Da parte loro, i sindacati di base ribadiscono la netta contrarietà al pre-accordo siglato dalla Cgil, dalla Cisl, dalla Uil e dalla Federtrasporti nel quale si continua ottusamente a negare uno spazio di rappresentanza contrattuale a questi organismi. Un accordo fra le parti che è peggiorativo per i lavoratori e nel quale si continua a perserverare in una politica aziendale che cerca di inasprire i carichi di lavoro, aumentando turni ed orari.
I 153 operai della Cellatex, che minacciavano di far "saltare tutto in aria" a Givet, cittadina delle Ardenne, incendiando i 56mila litri di acido solforico conservati nello stabilimento, hanno vinto la battaglia: le loro richieste sono state accolte. Intanto, la loro lotta "estrema" ha trovato i primi emuli: una trentina di dipendenti di uno stabilimento della Birra Adelshoffen (gruppo Heineken) minacciano di far saltare tutte le bombole del gas se la direzione non ritirerà i 101 licenziamenti.
Gli operai della Cellatex, hanno ottenuto un'indennità di licenziamento di 80mila franchi (24 milioni), la garanzia di due anni di salario e l'istituzione di una "cellula" locale per aiutarli a ritrovare un lavoro. Queste disposizioni verranno applicati a tutti i licenziati, alle donne (un terzo dei dipendenti), e a chi ha più di 50 anni e nessuna speranza di ritrovare un posto. "Una vittoria: arrivare così in fretta e così lontano, non ci credevo proprio" afferma, sfinito, un operaio, quando, verso le tre del mattino di ieri, i delegati sono tornati alla Cellatex dopo la conclusione dell'ultima riunione alla prefettura di Charleville Méziéres.
Il preambolo del protocollo di accordo concluso nella notte sottolinea che gli operai della Cellatex, fabbrica di rayon che fino al '91 era di proprietà della Rhòne Poulenc, hanno ottenuto indennità speciali perché lo stabilimento sorge in un'area disastrata, dove nessuno investe perché mancano le infrastrutture e dove la disoccupazione supera il 20%. Ma nessuno nasconde che "il ricatto" fatto dagli operai con la minaccia di far saltare tutto in aria - che avevano già cominciato a tradurre in atto, con i 5mila litri di acido riversati nel canale che dà nella Meuse lunedì notte - ha avuto un ruolo decisivo per smuovere le autorità pubbliche e spingerle a intervenire finanziariamente per mettere fine al conflitto.
Alla Adelshoffen 101 persone sono minacciate di licenziamento, perché la Heineken ha deciso di chiudere il sito di produzione alla periferia di Strasburgo, in Alsazia. "Siamo in sciopero illimitato - spiegano gli operai alsaziani - non abbiamo più niente da perdere. Faremo saltare in aria le bombole di gas. O peggio ancora, visto che abbiamo molti prodotti pericolosi in magazzino".
Le "cartelle pazze" sono solo la punta dell'iceberg: tutta l'organizzazione della riscossione delle tasse è in questo momento sottoposta a una trasformazione che somiglia tanto a una destrutturazione distruttiva. "Tutta colpa della riforma Visco", asseriscono i lavoratori dei centri di meccanizzazione. Qual è la situazione? Lo stato italiano, pressoché unico in Europa, non riscuote le tasse in prima persona; e si affida a una rete di "società concessionarie". Le società sono nella quasi totalità filiazioni dirette di istituti bancari (la Esadri, ad esempio, è della Cariplo, la Userit e l'Etr del Monte dei Paschi, ecc); per il resto società per azioni con capitale di almeno 5 miliardi. Un'area che tenderà ad espandersi, vista l'esiguità del capitale necessario. Tutte queste società sono state fin qui obbligate a essere riunite in un consorzio, sotto la vigilanza e il potere di commissariamento del ministero delle finanze. Questo controllo non è ben tollerato dalle banche. Che infatti hanno preso spunto dalla rifoma Visco per delineare un piano industriale che porta allo scioglimento di fatto del consorzio e, soprattutto, dei centri di meccanizzazione. Con ciò verrebbe a mancare il momento della omogeneizzazione dei dati, centrale per qualunque amministrazione tributaria statuale. Per altro, in questo modo, le banche eliminano una certa quantità di manopera qualificata che ragiona secondo finalità di "pubblico servizio" (non di profitto aziendale).
Così si rischia di aumentare le possibilità di errore nella raccolta dei tributi: infatti è da questa situazione che vengono fuori le "cartelle pazze". Le società concessionarie subappaltano la trasformazione delle dichiarazioni dei redditi dalla carta al supporto elettronico; e con ciò scompare anche la possibilità di tener sotto controllo la moltiplicazione esponenziale degli errori materiali.
Il piano industriale che l'assemblea delle società concessionarie ha esaminato ieri elimina i centri e dichiara "in esubero" alcune centinaia di lavoratori e ne prevede il trasferimento di almeno 300. Per altri ancora (alcune voci parlano di quasi 200 lavoratori) sarebbero in arrivo "percorsi di accompagnamento alla pensione".
Se sarà decisa la chiusura dei centri, dicono in Cgil, "sarà inevitabile dichiarare lo sciopero". E quindi il blocco totale.
La "pensata" della "In-time", società per il lavoro in affitto è scientifica. Il progetto è quello di un villaggio "all-inclusive", i cui inquilini sono gli stessi lavoratori interinali. La In-time opera soprattutto nella provincia di Brescia e dichiara di occupare 800 lavoratori in affitto con una prospettiva a fine anno di arrivare ad almeno 1.500 "dipendenti". L'occupazione potrebbe crescere ancora di più - si lamentano alla In-time - se non ci fosse la strozzatura delle abitazioni: i dipendenti della società interinale, infatti, sono soprattuto immigrati (italiani e non), lavoratori specializzati o comuni, impiegati, soprattutto a tempo determinato, dalle aziende locali.
L'idea delle villette interinali è venuta a Ettore Narchina, gran patron della In-time che sta girando tutti i comuni della zona per farsi approvare il progetto e trovare il terreno dove far sorgere la cittadella degli atipici. Già, perché di cittadella si tratta, visto che saranno edificate circa 170 villette, per una superficie abitativa di circa 7.500 metri quadrati. In ognuna di queste villette costruite (due camere da letto, cucina di 20 metri, bagno e un ampio patio dove, tempo permettendo, si potrà anche mangiare) potranno essere accolti dai 3 ai 6 lavoratori. Se tutte le villette saranno occupate, l'atipic village avrà una popolazione di 800-850 abitanti. Nella cittadella ci sarà un minimarket, un ristorante (per chi non ha voglia di cucinare) una infermeria, la lavanderia e spazi comuni, ma anche un eliporto, necessario, si dice, per i lavoratori che vengono portati con l'elicottero sulle dighe di alta montagna.
Per costruire il villaggio si dice che saranno necessari 23 miliardi. Nessun problema, assicura Marchina: tre banche bresciane sono pronte a finanziare il progetto che, una volta approvato, potrebbe essere realizzato in appena sette mesi. Tempi rapidi: d'altra parte le case sono prefabbricati modulari, anche se decisamente più razionali e funzionali (saranno, tra l'altro, climatizzate e insonorizzate) di quelle nelle quali vivono migliaia di terremotati.
Che alcune banche siano disposte a finanziare il progetto, non ci sono dubbi: l'affare, infatti, sembra sicuro. Le casette, infatti, non saranno concesse in uso gratuito, ma ogni lavoratore dovrà pagare per il posto letto 350 mila lire al mese. Facendo due conti, a villaggio pieno, l'incasso degli affitti è di quasi 300 milioni al mese, cioè 3,6 miliardi l'anno e ogni letto frutterà 4,2 milioni l'anno. Anche togliendo i costi (luce, gas, acqua) il rendimento netto del villaggio è superiore al 10% del costo dell'investimento, superiore a quello degli affitti più cari.
Di più: a fruttare reddito c'è anche il minimarket, il ristorante, la lavanderia. Insomma, il businnes è a 360 gradi. Forse sarà per questo che molti comuni della zona, per non scontentare albergi, affittacamere, ristoranti e bottegai vari, si sono tirati indietro, non concedendo i 60 mila metri quadrati di terreno necessari alla cittadella degli atipici. Ma Marchina non si arrende: è stata identificata un'area appetibile a Mandolossa, dove sarebbe dovuto sorgere un polo produttivo. Si tratta di un'area ben collegata dal punto di vista stradale, contigua a molti comuni fortemente industrializzati e forti utilizzatori di lavoro interinale.
A fianco alla "novità" si deve riscontrare però il ritorno al "vecchio" paternalismo industriale, dai villaggi che sorgevano a ridosso dei grandi opifici della prima metà del'900, dove prendeva corpo la comunità operaia e si consumava il destino di generazioni intere, alle moderne frontiere dell'usa e getta, spacciate per un traguardo della civiltà e della libera scelta di liberi individui. Dai ghetti per gli immigrati, a quelli per gli interinali, si squaderna una stratificazione sociale ed etnica che dispone il proletariato degli anni 2000 lungo filiere prive di comunicazione interna ed esterna.
Sarà Ferrara la culla di nuove strategie per l'occupazione giovanile? Il sindaco Gaetano Sateriale ha riunito tutto il Gotha del mondo del lavoro con il ministro Cesare Salvi, i segretari Cofferati, D'Antoni e Angeletti, il consigliere di Confindustria Guidalberto Guidi, il presidente della Regione Vasco Errani. Oggetto: i "Contratti di prima esperienza", con l'attribuzione di uno stipendio "vero" al giovane in formazione. Il progetto, rivolto agli over 18, diplomati e laureati, e applicabile a tutti i settori, pubblici e privati, prevede un corso di orientamento e formazione, a cui seguono uno stage e un'assunzione a termine.
Nel documento di intesa (sottoscritto da comune e provincia, confederali, Unione industriali, Lega delle cooperative, Confcooperative, Confintesa e Camera di commercio), si specifica che gli inserimenti lavorativi "saranno finalizzati alla realizzazione e allo sviluppo di progetti di impresa aggiuntivi o innovativi rispetto alle attività tradizionalmente svolte". Cofferati: "Un ottimo esempio di flessibilità buona". Angeletti: è "un'esperienza molto interessante che tenta di superare la difficoltà strutturale di fare incontrare domanda e offerta". D'Antoni: "soltanto un'azione concertata garantisce che il cambiamento avvenga nel senso della competitività e dell'equità. Questo è un buon modello di concertazione territoriale". Ok dagli industriali, Guidi elogia il patto: "Poche regole, pochi vincoli, pochi sussidi". Salvi dà un giudizio "estremamente positivo del piano, che valorizza i poteri delegati agli enti locali, poggia sulla concertazione e sulla ricerca del consenso e indica una via alta alla flessibilità".
Insomma, contro i lavoratori, la loro dignità tutti d'accordo.
E' questo da una parte il segno che il lavoro non imbocca nessuna strada nuova nell'ambito del capitalismo, che non sia soddisfacente allo sfruttamento, il quale altro non è che estrazione di plusvalore con i metodi vecchi e nuovi. Quando sindacati, padroni e governo si siedono assieme per dire "viva la flessibilità", è segno che ai lavoratori salariati, precari o "stabili" non resta molto da scegliere in questo ambito sociale. La "libertà" è libertà dal lavoro salariato, in qualunque forma esso si esprima. E' questa libertà si trova nel costruire una società diversa, socialista.
Un milione subito e un altro milione e 200 mila lire di aumento in busta paga entro il 2003. Domani i sindacati dei metalmeccanici presenteranno alla direzione della Fiat la piattaforma per il rinnovo del contratto integrativo, approvata dall'85% dei lavoratori del gruppo con un referendum che si è svolto nei giorni scorsi. Con questa piattaforma, Fim, Fiom, Uilm e Fismic tentano di mettere un argine al processo di terziarizzazione e all'uso incontrollato della flessibilità. I contratti atipici, chiedono infatti i sindacati, dovranno essere limitati a situazioni particolari e definite. Attualmente la maggior parte delle assunzioni effettuate dalla Fiat vanno sotto le voci "contratti a termine" e "lavoratori interinali". La costituzione dei comitati di sito è una delle novità: dovrebbero farne parte le aziende che operano nella stessa fabbrica, le rispettive Rsu e i sindacati, con impegni negoziali comuni. E in caso di aziende prive di Rsu, i lavoratori dovrebbero essere tutelati dai delegati delle altre aziende. La piattaforma sarà presentata in tutte le aziende del gruppo Fiat, ma anche nelle società terziarizzate. Infine, l'accordo dovrà essere sottoposto all'approvazione dei lavoratori mediante referendum. Non sarà una trattativa facile, la Fiat ha già pianto miseria rispetto ai contenuti economici della piattaforma, oltre a ribadire il suo attacco ai due livelli contrattuali. "L'esito del referendum alla Zanussi ci incoraggia e dovrebbe convincere la Fiat ad avviare un confronto serio con noi", dice Claudio Stacchini, segretario della Quinta lega Fiom.
Alla Nuovo Pignone di Vibo Valentia 180 operai diretti e 300 dell'indotto rischiano il posto. Nuovo Pignone è dell'americana General Electric e produce refrigeratori. Nell'area industriale di Vibo si sono già persi 1.500 posti di lavoro in pochi anni. "Non intendiamo essere colti alla sprovvista come è avvenuto per la Nostromo", dicono i sindacalisti.
Il nome di questo insigne legislatore indica anche la tendenza a "sradicare", "smurare" diritti e forza dei lavoratori. Siano essi quelli conquistati nel corso di decenni di lotta e di avanzamento delle masse popolari, siano quelli tuttora solo "presunti" dei nuovi tipi di lavoratori, sorti per la necessità del capitale di aumentare lo sfruttamento relativo e assoluto (modalità e tempi di lavoro). La "legge smuraglia" sui "diritti" dei lavoratori atipici è stata affossata alla Camera, e verrà ben ridimensionata, perchè propagandare la flessibilità fa a pugni con il parlare di diritti. Il governo elimina il riferimento ai "minimi" salariali. Viene soppresso l'articolo 1 che prevede che "non può essere imposto, o previsto, alcun tipo di orario di lavoro" ai collaboratori. Nel medesimo articolo si prescrive, tra l'altro, un controllo della salute affidato agli organismi pubblici: anche questa garanzia scompare. E la precisazione (art.3 e) che la durata di questo tipo di contratti, salvo casi particolari, "non può essere inferiore a tre mesi", viene anch'essa cancellata.
Soppresso anche il punto (art.4 b) che sottolinea "il diritto di preferenza del prestatore di lavoro, rispetto ad altri aspiranti", se il committente decide di stipulare un contratto "di tipo analogo e per lo stesso tipo di prestazione". E viene stravolto l'articolo 11, teso a evitare l'impiego di lavoro subordinato mascherato da 'autonomo'. La Smuraglia prescrive che se un simile uso scorretto viene accertato dal giudice, il rapporto di lavoro si converte "automaticamente" in rapporto fisso a tempo indeterminato. Ma il governo elimina questa rigidità; e sopprime del tutto l'altro passo, che vieta al committente (salvo esigenze da documentare) di trasformare contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato presenti in azienda, in "collaborazioni" per la medesima prestazione. Non può stupire, dunque, se viene cancellato anche il diritto degli "atipici" a partecipare alle assemblee degli altri lavoratori in azienda.
Perrier Vittel France aveva deciso di "terzializzare" l'attività di imballaggio delle bottiglie per il trasporto. Questo subappalto prevedeva anche la cessione alla nuova società, formalmente indipendente, di tutti i lavoratori addetti a questa attività. Una strada comune alla maggior parte delle industrie in tutto il mondo, con l'obiettivo principale di risparmiare sui costi della manodopera, visto che in genere, in questo tipo di operazione, le società di subappalto sono entità fragili, che pagano meno e che danno minori garanzie dal punto di vista dei diritti. Ma la camera sociale della Corte di Cassazione ha bocciato l'operazione spiegando nelle motivazioni della sentenza che il subappalto è possibile solo nel caso in cui l'attività interessata dà luogo a una vera e propria attività economica. Ma che è invece illegale quando diventa una manovra finalizzata esclusivamente a risparmiare sul costo del lavoro. La Perrier Vittel voleva "esternalizzare" in questo modo 15 lavoratori nei Vosges e 37 nel Gard. Per la Cassazione, si tratta di "un semplice smembramento dei servizi centrali dell'impresa, che non dispongono di autonomia, sia per quello che riguada il personale, vista la polivalenza della maggior parte dei dipendenti, che nell'organizzazione della produzione".
Le aziende, in Francia come altrove, stanno sempre più facendo ricorso all'outsourcing, che fa risparmiare molto denaro sulle spalle dei dipendenti. Non tutto l'outsourcing si risolve con una cessione congiunta anche degli operai addetti all'attività terziarizzata. C'è per esempio il caso recente di Peugeot. La casa automobilistica ha terziarizzato le attività di selleria e di cablaggio della sua fabbrica di Mulhouse. In questo caso, però, i circa mille dipendenti che vi lavoravano non sono stati ceduti alla nuova società, ma riciclati all'interno della casa madre per altre attività. L'outsourcing "dolce" della Peugeot è stato permesso solo da un fattore: la ripresa economica e il successo dell'ultima vettura, la 206, che è prodotta appunto a Mulhouse.
La joint venture di Armani con Zegna, segue di qualche settimana, certo non casualmente, l'acquisto, da parte di Armani degli stabilimenti produttivi Gft di Settimo Torinese e Matelica. L'operazione è costata il posto di lavoro a 600 persone, ex dipendenti Gft.
L'obiettivo è chiaro. Armani vuole sottrarre quanto più può del proprio marchio "Le Collezioni" alla produzione esterna su concessione, e poter fare, così, tutto "in casa". Ecco che, per dare una base materiale e di competenze professionali alla produzione, entrano in ballo l'acquisto delle attività di produzione delle linee uomo Gft di Settimo e Matelica, e la joint venture con Zegna. Che potrebbe, magari in un prossimo futuro, farsi carico lei stessa (perché no?) di parte dell'attività produttiva. Cosa che avrebbe potuto realizzarsi - era nell'aria - anche con Hdp, proprietaria della Gft. Ma il gruppo Armani - è qui il nodo di tutta la questione - ha scelto diversamente: ha rilevato Settimo e Matelica con un personale "dimagrito" di 700 lavoratori, e però si è guardato bene dal fare la joint venture con Hdp, perché avrebbe dovuto farsi carico anche dei 600 lavoratori Gft oggi in esubero.
L'agitazione programmata il 24 luglio dalle 10 alle 14 dai controllori di volo ha visto l'adesione pressoché totale della categoria. Anpcat e Cila-Av, organizzazioni di base aderenti all'Orsa, avevano indetto questo sciopero fin dal 14 giugno. Alla base dell'iniziativa di lotta un contratto non attuato e con una parte economica il cui articolato è ancora in alto mare; un grande aumento del traffico aereo cui non è corrisposto un adeguato aumento dell'occupazione (i concorsi per le nuove assunzioni sono stati effettuati circa tre anni fa, ma i vincitori non sono mai stati avviati ai corsi di formazione). Nonostante siano stati garantiti tutti i servizi minimi dovuti per legge, a Fiumicino sono stati cancellati 146 voli in partenza o in arrivo. A Milano, invece, 125. La Cgil, unica organizzazione sindacale a non aderire allo sciopero, ha chiesto per l'Enav l'immediato passaggio alla forma di società per azioni.
Secondo l'Istat, nell'industria l'occupazione è diminuita dello 0,3% su marzo (il confronto è tra dati destagionalizzati) mentre rispetto all'aprile del '99 la caduta è del 2,3% (2% in marzo). Il che significa 19 mila lavoratori in meno, con una crescita di 3 mila unità sul dato di marzo. Un po' meno peggio la situazione nelle grandi imprese dei servizi: in aprile viene segnalata un lieve miglioramento congiunturale (0,1% su marzo) e anche il confronto tendenziale è positivo dello 0,1%.
L'unico dato non negativo dell'industria è evidenziato dalla ulteriore discesa (è iniziata nel luglio '99) delle ore di cassa integrazione che in aprile sono risultate del 35,4% in meno rispetto a quelle dello stesso mese del '99 (-39,4% nella media dei primi quattro mesi dell'anno). Ma neppure il minor utilizzo di Cig si risolve in maggiore occupazione. Tanto che negli ultimi 5 anni (gli indici hanno come base il 1995) i dipendenti nell'industria sono diminuiti di un abbondante 10%. Ma il dato non stupisce, visto che, invece, seguita a aumenta l'incidenza delle ore di straordinario: tra l'aprile del '99 e quello di quest'anno è salita dal 3,8 al 4,8 per cento, mentre nei primi quattro mesi dell'anno è salita dal 3,9 al 4,5 per cento. Segnale che associato all'aumento delle ore effettivamente lavorate per dipendente e alla riduzione della Cig dimostra che la ripresa effettivamente è in atto, ma non per l'occupazione. O meglio non per quella delle grandi imprese che seguitano a dimagrire grazie ai processi di esternalizzazione del lavoro.
Quanto alle retribuzioni, in aprile (nell'industria) segnano una variazione procapite del 3,2% che diventa -1,3% per la componente continuativa per lavoro ordinario. Nei primi quattro mesi dell'anno, invece, la retribuzione per dipendente segna un più 5%. Ma c'è il trucco: è stata determinata "prevalentemente - avverte l'Istat - dagli esodi incentivati del mese di gennaio".
Da tre giorni vivono su un traliccio alto 20 metri, al vento e al sole. Altri si sono barricati nel terrazzo di un centro elaborazioni dati e rifiutano ogni richiesta di abbandonare il posto. Sono asserragliati per manifestare la loro disperazione. Quando la protesta era iniziata sul traliccio erano otto, sul terrazzo una quindicina. La metà, dei primi e dei secondi, ha dovuto rinunciare colpita da insolazione o problemi cardiocircolatori. Sono loro, bandiera dello sciopero generale che il 28 LUGLIO coinvolgerà tutte le ditte - esterne e interne - del Petrolchimico di Gela, la manifestazione più palese di una crisi che a fine anno dovrebbe portare a un migliaio gli attuali 1.800 dipendenti di una delle aree industriali più grandi della Sicilia.
Gli operai della Comi, ditta edile dell'indotto che ha lavorato per conto dell'Agip dentro il Petrolchimico, lottano contro il licenziamento. Sono 54 in tutto, tra operai e impiegati, e tutti licenziati. Sono da appena un anno alla Comi, da quando è stata istituita. Ma non sono da un anno al Petrolchimico. Hanno sempre fatto parte di ditte edili del gruppo Trainito, una delle prime famiglie che impiantò società edili nel Petrolchimico sin dalla sua nascita, a metà degli anni '60. Il 29 marzo dell'anno scorso, improvvisamente, si trovarono dipendenti della Comi, amministratore delegato l'ingegner Marco Trainito. Una ditta nuova per usufruire degli sgravi fiscali di legge. Della vecchia ditta, dalla quale erano stati licenziati una settimana prima (ma solo sulla carta, perché in quella settimana di buco tra licenziamento e nuova assunzione hanno continuato a lavorare gratis), attendono ancora liquidazione e risarcimento per ingiusto licenziamento.
La Comi nella primavera scorsa ha deciso di chiudere i battenti e di mandare a casa tutti i dipendenti. Ufficialmente non avrebbe più commesse dall'Agip - anche se alcuni lavori continuano a essere eseguiti con un ricorso a piccole ditte edili esterne - sostanzialmente non serve più la scatola creata per ottenere i benefici di legge. Dalla Comi, ora i 54 lavoratori attendono gli stipendi degli ultimi tre mesi e le solite spettanze di fine lavoro che avanzano dalla precedente ditta. L'Agip, ufficialmente esterna a tutta la vertenza, in questi giorni si è però premurata di giustificare che tutto questo avviene all'interno di un processo di riordino dell'indotto del Petrolchimico che prevede "la riduzione del numero delle imprese, l'abbassamento dei costi di produzione, la diversificazione della committenza". Insomma, aria nuova.
I lavoratori hanno ricevuto solidarietà dai colleghi delle altre ditte del Petrolchimico, ma fino ad ora hanno rifiutato tutti gli inviti a desistere dalle forme estreme di protesta che li vedono sopra un traliccio o sopra il terrazzo di un ufficio. Si sono arresi solo per problemi di salute.
La pace sociale sta massacrando i salari. Nei primi sei mesi dell'anno, secondo i dati Istat, sono stati "perduti" per conflitti di lavoro poco più di tre milioni di ore, il 42,3% in meno rispetto al primo semestre del '99. Visto che i lavoratori dipendenti sono oltre 12 milioni, in 180 giorni ogni lavoratore ha sciperato meno di un quarto d'ora. Anche in giugno le retribuzioni sono rimaste ferme, ma poiché i prezzi al consumo non stanno fermi, il potere d'acquisto dei salari seguita a diminuire. I dati diffusi dall'Istat sulle retribuzioni contrattuali (orarie e per dipendente) mostrano come nel mese di giugno (rispetto a maggio) non vi sia stato alcun aumento, mentre rispetto al maggio '99 i salari sono aumentati dell'1,8%. Sempre in giugno, invece, i prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati sono cresciuti dello 0,4%, facendo salire il tendenziale al 2,7%. Insomma, in dodici mesi, la crescita delle retribuzioni lorde è stata di quasi l'1% inferiore alla crescita dell'inflazione.
Il blocco delle retribuzioni è generalizzato a tutti i settori produttivi, anche se i lavoratori di alcuni settori se la passano decisamente peggio di altri. Nell'agricoltura, per esempio, negli ultimi dodici mesi l'aumento delle retribuzioni è stato di appena lo 0,1%, nonostante tutti i contratti siano già stati rinnovati; stesso incremento tendenziale dello 0,1% nel settore energia elettrica, gas e acqua; 0,3% poste e telecomunicazioni; 0,4% per i lavoratori dei trasporti.
Complessivamente, come segnala l'Istat, la rilevazione sulle retribuzioni evidenzia che a tutto giugno erano stati rinnovati 45 contratti nazionali (per 7,3 milioni di lavoratori), mentre risultano in attesa di rinnovo 35 accordi collettivi (molti dei quali non ancora scaduti) che coinvolgono 4,2 milioni di dipendenti. Questo significa che, forse, che per i lavoratori che rinnoveranno il contratto nei prossimi mesi sarà possibile un certo recupero della perdita del potere d'acquisto, mentre per i contratti rinnovati negli scorsi mesi (sulla base dell'inflazione programmata) il recupero sarà decisamente tardivo, ammesso che ci sia. Non a caso, se il confronto tra andamento dei prezzi e quello dei salari viene esteso al medio periodo (gli ultimi cinque anni) è possibile osservare che la variazione dei salari è di appena lo 0,3% superiore a quella dei prezzi al consumo.