Notizie dalla lotta di classe |
Luglio 2001 |
Unire quello che il capitalismo divide. |
Centri sociali, giovani comunisti, collettivi studenteschi e disoccupati organizzati hanno occupato gli uffici delle agenzie interinali dell'Adecco, elette ad emblema della precarietà spacciata dai padroni come il nuovo che avanza. L'azione coinvolge Napoli, Benevento, Messina, Catania, Cosenza, Bari e Taranto. Le agenzie interinali di Genova hanno ricevuto un fax "ufficiale" in cui vengono annunciate "occupazioni, invasioni, murature" se non decideranno di chiudere dal 15 al 22 luglio. La Confinterim ha contattato lo Ska di Napoli per chiedere se è possibile "avere un incontro". A Napoli in corteo con i centri sociali e Rifondazione comunista, c'è anche il movimento dei disoccupati organizzati. Una partecipazione convinta per le avanguardie dei senza lavoro di sinistra. "Cosa siamo noi disoccupati se non vittime della globalizzazione e del governo dei potenti?" è il messaggio che le punte più avanzate del movimento cercano di far passare nella realtà complessa e difficile del sottoproletariato napoletano.
I disoccupati del movimento di lotta per il lavoro di Acerra in duecento hanno invaso gli uffici del centro meccanografico del comune di Napoli a Soccavo, mentre all'Arenella si alternano da due settimane un centinaio di persone, dormono sui banchi, mangiano insieme, una decina per ogni turno controlla che non arrivi la polizia a sgomberarli. La protesta è contro i criteri scelti dalla giunta regionale di Antonio Bassolino per la partecipazione ai corsi di formazione professionale (potranno accedere 3015 disoccupati). "Se la Regione Campania non ha perso i 49 miliardi destinati a questi corsi lo deve solo alle nostre battaglie, a noi cosa resta?", chiede Consiglia, una delle donne alla testa del movimento di Acerra. "Non ci basta il riconoscimento politico, vogliamo una corsia preferenziale. I miliardi sono pochi e il bisogno è tanto, io uscirò da questo posto solo per andare al cimitero, in carcere o a lavorare. Si tratta di capire se la lotta paga", chiude Consiglia.
E' stato firmato il contratto collettivo nazionale per un milione e mezzo di lavoratori del commercio. Non si può dire che sia un buon contratto, nonostante la "soddisfazione" dei sindacati. Intanto perché la sua durata è diversa per la parte normativa (dicembre 2002) da quella economica (fine 2003). In un settore dove i diritti sono quantomeno "minimi" è inevitabile che si porrà presto - e comunque alla scadenza di "metà" contratto - il problema di discutere delle proposte nuove.
Altrettanto preoccupante è lo "sfondamento" del terzo anno, al posto dei previsti due. E, peggio ancora, le 130mila lire totali vengono diluite da qui al 2003, senza recuperare praticamente mai il gap tra inflazione reale e quella programmata. Per l'anno in corso, sommando le 320.000 di una tantum (che, bontà loro, non escludono i numerosissimi lavoratori con contratto a termine, seppur "in proporzione") alle 20.000 che entreranno in busta paga da luglio, si ha di fatto un 35/36mila lire al mese. Cui si aggiungeranno 42.500 lire da gennaio 2002, 40.000 da luglio e 28.000 da gennaio 2003. Nella piattaforma sindacale c'era una piccola somma relativa all'andamento del settore (o "legata alla produttività"), che nella stesura finale è andata completamente persa. L'accordo dovrà ora essere sottoposto al vaglio dei lavoratori, frammentati come pochi altri in una marea di esercizi di dimensioni variabili.
In mezz'ora hanno firmato un testo che era già scritto da giorni e che chiude una storia di quarant'anni: Fim e Uilm hanno concluso la loro vertenza per il contratto nazionale dei metalmeccanici con un'intesa che ripudia la piattaforma approvata dai lavoratori, accettando l'ipotesi che Federmeccanica aveva imposto negli ultimi mesi alla trattativa e rompendo con la Fiom per arrivare a un accordo separato, come non accadeva dal 1962.
L'intesa prevede 112.000 lire di aumento per recuperare - solo in parte - l'inflazione pregressa e quella programmata, più 18.000 lire d'anticipo sul prossimo biennio contrattuale (soldi che non potranno più essere chiesti, ma saranno detratti dal futuro contratto). In totale fa 130.000 lire (70.000 dal primo luglio, 60.000 a marzo 2002, più l'una tantum di 450.000 lire per il periodo di vacanza contrattuale), solo in apparenza 5.000 lire in meno di ciò che era stato richiesto in piattaforma; in realtà molto meno perché - appunto - ci sono quelle 18.000 lire da "restituire". La firma è arrivata proprio mentre il padre dello statuto dei lavoratori, Gino Giugni, paventava la pericolosità di un accordo separato, affermando che "pur avendo valore giuridico, un'intesa separata che pure viene applicata a tutti, comporta un mare di problemi e, quindi, ha un valore giuridico negativo", concludendo che sul merito ha ragione la Fiom, "visto che gli aumenti salariali legati all'andamento della produttività di settore sono previsti dall'accordo del luglio '93" (all'epoca Giugni era ministro del lavoro). Ed è stato proprio il nodo degli aumenti legati alla produttività a determinare la rottura in casa sindacale: quel capitolo è stato considerato sostanzialmente "eversivo" da Federmeccancia che ha sempre opposto un rifiuto, finendo per convincere Fim e Uilm. Queste due organizzazioni hanno accettato l'impostazione del padronato per chiudere al più presto, "prima delle ferie" hanno detto, accusando la Fiom di "fare ostruzionismo per motivi più politici che sindacali". Alla fine, per poter millantare un aumento il più vicino possibile alla piattaforma presentata unitariamente, Fim e Uilm hanno dovuto aumentare il valore del punto d'inflazione (da 29.000 a 30.000 lire) e, soprattutto hanno finito per accettare l'intreccio di due diversi bienni salariali (le 18.000 lire d'anticipo). Per la Fiom, invece, la firma di ieri pomeriggio non cambia nulla e i metalmeccanici della Cgil hanno confermato la giornata di lotta di venerdì prossimo, otto ore di sciopero nazionale con manifestazioni a carattere regionale.
Cuore delle assemblee sono i giovani - che affollano di nuovo le fabbriche metalmeccaniche a seguito delle mutazioni di modello produttivo, organizzativo di questi ultimi anni - e i giovani sono decisi su un punto per loro incancellabile: come si permettono i sindacati di decidere "dall'alto" sulle loro teste? Come si sono permesse, Fim e Uilm, di andare all'accordo con gli industriali della Federmeccanica, rifiutando che fossero "le lavoratrici e i lavoratori a decidere se cambiarla o no", la piattaforma per il contratto che avevano già approvato con un voto? Perciò ha ragione la Fiom. Appena giunta la notizia dell'accordo separato sul contratto nazionale, ci sono anche stati degli scioperi.
Nel Torinese, zona ovest, scioperi spontanei e assemblee ai cancelli sono avvenuti in fabbriche importanti di Collegno, Orbassano, Valle Susa. Alla Lear, fornitrice Fiat, negli stabilimenti di Grugliasco (500 dipendenti) e Orbassano (altri 500) si sciopera di nuovo oggi, assieme a altre fabbriche. A Grugliasco i delegati di Fim e Uilm hanno fatto un comunicato per dire "no, l'accordo non c'è ancora", e questo ha prodotto rabbia, e il proseguimento dello sciopero per altre due ore. Scioperi anche alla Marelli, Ficomirrors, Sandretto, Sat, Ge Power, Filtrauto.
Alla Carrozzerie Bertone di Grugliasco (2000 dipendenti), le linee si sono fermate, nonostante Fim e Uilm qui dicessero "sì è accordo separato, ma sono 130mila lire". Alla Fergat di Rivoli, i delegati di Fim e Uilm hanno già detto che parteciperanno allo sciopero nazionale indetto dalla Fiom venerdì prossimo.
"18 mila lire sono di 'anticipo' per il 2003, dentro le 130mila? Quindi se le riprendono fra 18 mesi: è una presa in giro!". Nelle assemblee bolognesi il clima è già vivace, "e l'accordo separato farà aumentare l'incazzatura", prevede il segretario Fiom Maurizio Landini. Le assemblee degli iscritti, aperte a tutti, hanno fatto il pieno: tutti giovani alla Omnitel, ma ragazzi e ragazze danno il la anche in altre assemblee. Alle preoccupazioni sulla divisione sindacale, i giovani rispondono con l'attenzione concentrata sul fatto che gli si è "rubata la decisione", che poteva essere solo loro, sul che fare del contratto.
Fra l'altro non pochi lavoratori consideravano già poche le 135mila lire (non "truccate" da anticipi) della piattaforma iniziale. E dunque c'è chi dice "finalmente la Fiom si muove con chiarezza", sono affollate le assemblee alla Gd (1500 addetti) e all'Acma (dello stesso gruppo), intervengono anche iscritti delle altre organizzazioni, "in gioco c'è il contratto, il lavoro, i rapporti sociali in questo paese", ragazzi e ragazze pensano che la Fiom "ripristina i diritti", e sperano "che cambi qualcosa anche dentro il sindacato". Le Rsu di grosse fabbriche, l'Ima (più di mille addetti), la Selcom, la Bonfiglioli, la Cesab e altre, si sono già pronunciate per lo sciopero del 6.
A Parma circa 200 assemblee nei luoghi di lavoro per i diversi turni.
A Reggio Emilia assemblee in grosse fabbriche come Landini (850 addetti), Smeg (600), Tecnograf (500) Fantuzzi reggiane (450), e tutte con il confronto diretto tra la Fiom con le altre organizzazioni sindacali.
Nelle Marche l'attivo provinciale dei delegati e quadri ad Ancona si impegna per dare una manifestazione di forza, con presidi al Cantiere navale, alla Fiat, così come nel pesarese alla Bs, alla Alluflon, così come nell'ascolano, nel gruppo Merloni.
Scendiamo a Roma nord, dove sono state parecchie le assemblee non solo con iscritti Fiom. Da Roma sud rialzano le sorti i giovani, che riempiono l'enorme call center Omnitel, 900 addetti, dove c'è l'assemblea, e i delegati già sono sicuri dell'esito. Il segretario Fiom, Maurizio Marcelli, racconta dell'assemblea anche alla grossa Sogei, 1800 dipendenti, "con profondo disagio di delegati Fim e Uilm"; e dei successi nelle piccole aziende, di "manutentori", con tantissimi giovani: "qui si concentrano sul fatto che non si recupera 'per niente' il costo della vita". Ma adesione arriva anche in realtà dove il soldo forse conta un po' meno, la scolarità è alta, là dove prevalgono tecnici e informatici: "loro insistono sulla partita politica in gioco, sul senso e significato del contratto".
Un contratto che ha una posta concreta e una valenza simbolica densissime, e lo si conferma dalla Sicilia, dove ieri ai due turni di assemblee alla Fiat di Termini imerese "i lavoratori sono venuti tutti, e alla fine anche alcuni iscritti alla Fim hanno detto noi scioperiamo il 6".
Condizioni di lavoro. Irlanda, Paesi Bassi, Regno unito e Spagna presentano le peggiori condizioni di lavoro in termini di orari (fino a 60 ore settimanali) e di soglia minima di salario (tra il 45 ed il 53% della media della retribuzione netta nazionale). Italia, Lussemburgo e Olanda non rispettano le norme sull'indennità per i lavori insalubri e pericolosi; la salute e la sicurezza sul lavoro sono tutelati in maniera insufficiente in Italia, Olanda e Portogallo. Sono troppo brevi i termini di preavviso per i licenziamenti in Grecia, Spagna, Gb, Francia e Italia. In Danimarca e in Germania i dipendenti pubblici non hanno diritto di sciopero. 350.000 fanciulli al di sotto dei 15 anni, di cui 50.000 figli di immigrati, sono impegnati illegalmente in Italia nell'agricoltura e nei lavori domestici; nel Regno unito un milione e mezzo.
Lotta all'esclusione. Tra il 20 e il 40% della popolazione nei vari Stati dell'Ue vive al limite della soglia di povertà, soprattutto le famiglie monoparentali con a capo una donna e gli anziani. Secondo alcune legislazioni nazionali se il disoccupato non accetta qualsiasi lavoro perde il diritto ai sussidi, instaurando de facto un regime di lavori forzati; inattività forzata invece per i disoccupati di lunga data, considerati ormai irrecuperabili. La bassa qualificazione e formazione incidono sulla loro capacità rivendicativa.
Schiavitù domestica. 200 le vittime in Francia originarie dell'Africa Occidentale; 4.000 domestici schiavizzati nel Regno unito provenienti da 29 paesi differenti; filippini in Belgio e marocchini in Spagna costretti in servitù, in Italia si presentano numerosi situazioni di sfruttamento assimilabili alla schiavitù soprattutto in ambito domestico e agricolo. L'84% della vittime ha subito violenze psicologiche; il 54% un sequestro; il 38% percosse e il 10% abusi sessuali. Greci, italiani, britannici e francesi gli sfruttatori, come provenienti dal Medio oriente o dai Paesi del Golfo. Spesso si tratta di diplomatici di stanza, protetti da immunità totale penale, civile e amministrativa. La prassi internazionale favorisce indirettamente la schiavitù diplomatica, legando di fatto il domestico al diplomatico.
Diritto all'abitazione. Circa 35 milioni di persone vivono in abitazioni inadeguate e altri 5 milioni sono i senza tetto. L'urbanistica puramente quantitativa, utilitaristica, ripetitiva, la spersonalizzazione di molti quartieri e la mancanza o inefficienza dei servizi pubblici sono fenomeni presenti in tutti i paesi membri. Mancanza di un riconoscimento legislativo per il diritto alla soddisfazione dei bisogni materiali elementari per le persone che versano in uno stato di estrema precarietà. In questo ambito risulta estremamente interessante l'affermarsi di una recente giurisprudenza che riconosce lo stato di necessità come motivazione per l'occupazione di un immobile (Tribunal correctionnel di Parigi, 28.11.2000).
A Praia, e nella vicina Maratea, sin dalla fine degli anni '50 la massima aspirazione dei giovani e delle ragazze del luogo non è quella di diventare pescatore o artigiano, ma di essere assunto come operaio tessile all'interno del polo meridionale della lana e dei filati, la Marlane, industria del gruppo Lanerossi, di proprietà dei Marzotto. Un'industria che è passata di mano, in quarant'anni, a numerosi gruppi industriali di primo piano: dal conte Rivetti, il fondatore, dopo una breve gestione Imi, nel 1969 è passata all'Eni, per essere ceduta al pratese Marzotto nell'87, con tutto il gruppo Lanerossi, per soli 173 miliardi di lire.
I ricordi degli operai hanno "tinte" più forti. Sarebbe meglio, anzi, parlare di "tinture forti", perché lo stabilimento di Praia a mare, fino alla metà degli anni '90, non era assolutamente sicuro, dato che il reparto tintoria non era separato da tutti gli altri e gli operai per qualche decina di anni hanno vissuto immersi nelle polveri e nei fumi di lavorazione senza mascherine.
L'azienda è disposta ad ammettere la morte di 50 operai per tumori, ma non riconoscendo assolutamente la causa professionale. "Se consideriamo i 1058 lavoratori in 40 anni di attività - recita un rapporto stilato dal medico aziendale - ad oggi, con circa 50 casi di neoplasia, abbiamo un rischio relativo uguale a 1". A parte che 50 rappresenta il 5% di 1058, secondo molti operai della fabbrica il conto dei morti sale a oltre 80, e in ogni caso sono cifre che preoccupano, anche perché i tumori si manifestano dopo anni di esposizione al rischio. Per cui, se si accertasse davvero che il rischio tumore in quegli anni c'è stato, bisognerebbe visitare seriamente molti ex e attuali operai.
A cercare di rompere il silenzio sulla fabbrica è un gruppo di ex operai e impiegati aderenti allo Slai Cobas. Negli ultimi anni, hanno subito un fuoco di attacchi da parte del paese, che, compatto, ha preferito dimenticare i propri morti, perché adesso a lavorare nello stabilimento sono i figli. Inoltre, nella fabbrica e fuori, si è creato un vero e proprio gruppo di potere che ne ha difeso gli interessi, coinvolgendo spesso anche dei sindacalisti interni. Basti pensare che a firmare una sfilza di casse integrazioni, sessanta in tutto, nel 1996 c'erano anche Vincenzo Perri, ex Rsu e responsabile locale della Cgil, e Biagio Maiorana, Rsu e responsabile Uil, i quali nello stesso periodo erano anche amministratore unico e socio di "Attività 90 srl", azienda di lavorazione di rammendo tessile e di pinzatura, che serviva la Marlane per commesse esterne. Come dire: possiamo mettere gli operai in cassa integrazione, tanto poi l'azienda ci assegna i lavori che non riesce a eseguire.
Non sempre i sindacati hanno interesse a protestare per la salute dei lavoratori o a combattere per salvare i posti di lavoro.
L'ultima si chiamava Teresa Maimone, morta di tumore alla cervice dell'utero a soli 54 anni, dopo 36 passati a lavorare dentro la Marlane. E' successo l'estate scorsa, e da soli 20 giorni prima della sua morte, Teresa avvertiva dei forti dolori alla pancia. Ma è una storia comune a tanti e a tante, a Praia e a Maratea, tanto che uno dei figli di un altro operaio morto, Biagio Fiorenzano, dice: "Se facciamo un cerchio di 300 metri a partire da casa nostra, troviamo almeno altri 5 operai morti di tumore".
Le famiglie dei sopravvissuti della Marlane, una ventina in tutto quelle più combattive, per il momento hanno le loro storie in mano, perché le istituzioni che dovrebbero indagare, dalle Asl ai vari ispettorati del lavoro, non hanno prodotto granché fino a oggi. Luigi Pacchiano, però, uno degli ex operai oggi malato di tumore, ha una carta importante in mano, da cui le famiglie di Praia, abbandonate ed emarginate dai potenti locali, possono partire per le loro rivendicazioni: l'Inail gli ha riconosciuto la malattia professionale, per un tumore, guarda caso, alla vescica, dovuto all'esposizione dal 1969, anno in cui ha cominciato a lavorare, a "coloranti per lo più costituiti da derivati di amine aromatiche alcune delle quali note per il loro potere oncogeno sulla vescica".
Alla cervice dell'utero Teresa, alla vescica Luigi. La dottoressa Agata Scaldaferri, specialista in medicina del lavoro, consultata proprio da Pacchiano, spiega infatti che "i tumori professionali da amine aromatiche insorgono prevalentemente a livello della vescica urinaria, dove l'urina contenente le sostanze cancerogene ristagna più a lungo".
Parecchi operai ricordano le condizioni di lavoro degli anni della tintoria: si lavorava in un ambiente unico, dicono, e spesso ci investivano i fumi e le polveri provenienti dalla colorazione o dall'orditura dei tessuti. In quel caso, spiegano, dicevano che c'era "nebbia in Val Padana". "Le stesse vasche dove avveniva la colorazione - dice un'ex operaia - venivano aperte prima di farne raffreddare il contenuto, perchè bisognava fare in fretta. Quando tornavo a casa, di sera, avevo le narici piene di una polvere nera". Il marito, anche lui ex operaio Marlane, che deve combattere ancora oggi con un'allergia al braccio contratta mentre lavorava, ricorda "i ritmi di lavoro massacranti, fino a 12-18 ore di lavoro" e che nell'estate del '96 "ci fecero lavorare mentre delle macchine a diesel, all'interno dello stabilimento, e quindi senza areazione, eseguivano i lavori di pavimentazione".
Gli stessi ricordi, come una litania, riemergono dalle storie della famiglia di Fiorenzano, morto nel '99, dopo quasi quarant'anni di lavoro alla Marlane, a soli 53 anni, o dal racconto della moglie di un altro operaio scomparso, Biagio Possidente, morto a 54 anni, sempre di tumore, dopo oltre 30 di lavoro. "Nostro padre era meccanico riparatore - dicono i figli di Fiorenzano - per cui girava un po' per tutto il reparto. Riparava le macchine da sotto, quando erano appena spente, e non si risparmiava di ingoiare la polvere dei residui, dato che non c'era, quando lavorava lui, alcun impianto di aspirazione funzionante. Abbiamo chiesto alla Asl 1 di Paola di chiedere all'azienda conto di tutte le ispezioni effettuate in passato, e di farne di nuove, per vedere se almeno oggi tutto è in regola. Il direttore si è limitato a sentire i responsabili aziendali, e riportandoci quello che loro hanno da dire: ovviamente, "che va tutto bene"". Così la moglie di Possidente, che ricorda come il marito tornasse "ogni sera coperto di polvere, e quando si soffiava il naso usciva tanto nero".
Le assemblee sono riuscite alla Fiat anche grazie a "due errori". I capi Fiat, che insieme ai delegati di Fim, Uilm e Fismic hanno pensato bene (male) di invitare la gente a non andare all'assemblea, e naturalmente hanno suscitato un effetto opposto. Così come l'idea dei sindacati che hanno firmato l'accordo separato sul contratto nazionale con la Federmeccanica, di far trovare ai lavoratori arrivati in assemblea un volantino su ogni sedia, con stampato il testo di quell'accordo: ma senza dir niente che dentro le 130mila lire ce ne sono 18mila di 'anticipo' sul futuro biennio.
Un operaio riassume così: "è come se il capo vi dice: non avrete lo stipendio di luglio, ma tranquilli, vi anticipiamo quello di agosto"; un altro commenta "i messaggi sulle sedie, non hanno neppure il coraggio di venire a parlarci". Poi c'è chi si produce in conti, con ironia: senza le 18mila, restano 112mila lire per questo contratto, "e ne mancano comunque ottomila, cioè ci vogliono obbligare col contratto separato a fare una sottoscrizione forzosa ai padroni di 8mila lire al mese per tutta la vita". Scorci di assemblee che ne suggeriscono la discussione e l'attenzione che le ha animate, e, fuori, tentativi, non nuovi alla Fiat, "di ostacolare lo sciopero nazionale" che la Fiom-Cgil ha indetto per domani contro l'accordo separato che la Federmeccanica ha firmato con Fim e Uilm, strappando la piattaforma unitaria del contratto, che i lavoratori metalmeccanici avevano approvato con un voto.
Tentativi alle meccaniche: tre giorni fa, Fim, Uilm, Fismic hanno fatto un accordo separato con la Fiat per lo scorrimento dei turni notturni, onde tenere impegnate squadre di operai fino a sabato; e ancora, la Fiat ha scelto, e gli altri sindacati hanno convenuto, di fissare come giorno in cui devono andare a firmare i lavoratori in mobilità, proprio il venerdì dello sciopero...
Ai montaggi a Mirafiori, uno ha spiegato il suo consenso: "non sono Fiom, io sono oltre, ma questa è l'occasione di farci sentire, di riprenderci, un'occasione 'per tutti'".
Ritorna lo sciopero anche a Torino ovest, l'accordo separato, il veto al referendum, non piacciono, e così partecipano anche gli iscritti a Fim e Uilm, e vi sono loro delegati che invitano a partecipare alla giornata nazionale di lotta. Alla Fergat, come il giorno prima, sono i delegati della Rsu a dichiarare unitariamente l'astensione, e agli scioperi della vigilia, seguono quelli alla pininfarina di Grugliasco, alla Ge Power, alla Lear che replica anche oggi.
Scioperi spontanei nelle Marche: al molo sud di Ancona (cantieri navali Morini, Crn, Tommasi), alla Lazzarini e altre fabbriche della Vallesina; a Pesaro alla Morbidelli e alla Fema. A Reggio Emilia: scioperi alla Comer Group, il cui padrone, Storchi, è vicepresidente dell'Assindustria, alla Landini, Emak, Tecnogas, Fiat Om, Puntomecc e in molte altre; a Bologna scioperi alla Ducati, Arcotronics, Marposs, Acma Gd. In Toscana, alla Piaggio e Galileo; alle Ansaldo, alla Breda energia di Milano. Alla Zanussi di Porcia e di Mel.
Sono tornati in piazza, non solo fisicamente, ma anche politicamente. La riuscita dello sciopero di ieri dichiarato dalla Fiom contro la Federmeccanica e l'accordo separato di Fim e Uilm va al di là dei numeri, che - pure - pesano. Quel che più conta è che attorno ai metalmeccanici si è focalizzata l'attenzione della società come testimoniano le presenze di associazioni (prima fra tutte, il Genoa social forum), intellettuali, disoccupati nelle piazze di ieri. Per arrivare a questo i metalmeccanici sono ripartiti dalle loro fabbriche (dalla condizione di lavoro) e lì hanno accolto un'adesione superiore alle aspettative: a trascinare gli scioperi e i cortei di ieri sono stati i giovani, una nuova generazione operaia che dalle officine si è estesa agli uffici dei call center. La spinta è venuta dal non rispetto della piattaforma contrattuale, dall'accordo separato ma - forse soprattutto - dal bisogno di libertà e dalla richiesta di rispetto dei diritti delle persone che le imprese schiacciano ogni giorno di più. Solo così si spiegano 300.000 persone in piazza e uno sciopero riuscito al 75%, sfondando anche nei luoghi più difficili, come alla Fiat Mirafiori, dove l'adesione alla giornata di lotta è stata attorno al 65%. Cifre che Fim e Uilm non possono accettare, arrivando a battere Federmeccanica nella gara al ribasso (la Uilm parla di un'adesione al 15%, l'organizzazione padronale la fa "salire" al 26%). Fim, Uilm, Sida e Ugl, parlano tutti la stessa lingua, quella del padrone: "Lo sciopero è fallito".
Ora si attende il referendum per ridare la parola ai lavoratori che sono i soli titolari del mandato sindacale. Ma ormai la strada è aperta, è iniziata una nuova fase e se la situazione non si sbloccherà, si parla già di andare fino a Roma, e non da soli ma con i lavoratori e le lavoratrici di tutte le categorie per difendere il contratto nazionale e migliorare le condizioni di vita e di lavoro. Lo sciopero di ieri è stato fatto per tutti, quello che si annuncia sarà di tutti.
I netturbini italiani hanno scioperato contro la liberalizzazione selvaggia dei servizi di nettezza urbana e per un contratto unico, esteso anche ai dipendenti delle ditte in subappalto. L'adesione allo sciopero si è aggirata intorno all'80-90%. Con la liberalizzazione ormai avviata, molte grosse aziende terziarizzano parecchi servizi, affidandoli a ditte più piccole. Se passasse la linea di Confindustria, che in nome della "competitività" non vuole un contratto unico esteso a tutti gli operatori, ai dipendenti delle ditte in subappalto verrebbero applicati contratti di altre categorie, con una grossa perdita di retribuzione. E con un grave peggioramento della qualità dei servizi. Si è trattato del primo sciopero nazionale dopo oltre 5 anni. I circa 60 mila netturbini del nostro paese, come tanti altri dipendenti, sono in attesa del rinnovo contrattuale: la parte normativa è scaduta a fine '98, quella salariale nel dicembre 2000. Anche i dipendenti delle grosse aziende pubbliche di nettezza urbana, come l'Ama di Roma (oltre 6400 dipendenti), rischiano grosso. All'orizzonte, c'è la possibilità che l'Ama venga divisa in quattro spa, e i lavoratori temono di perdere l'attuale tutela contrattuale, venendo inquadrati in altri contratti di categoria. Un timore comprensibile. Basti pensare che i netturbini hanno una mensilità lorda che si aggira sui 2 milioni e 800 mila lire, mentre gli operatori delle pulizie, per esempio, hanno un lordo di circa 1 milione e 700 mila lire. Circa il 40% in meno. All'incontro dello scorso febbraio con i sindacati, le parti datoriali si erano addirittura presentate con l'ipotesi di abbassare il costo del lavoro del 20%. Attraverso la conservazione, ad personam, delle attuali condizioni ai vecchi addetti, e un abbassamento radicale delle retribuzioni ai nuovi ingressi. La richiesta d'aumento è di 145 mila lire per il terzo livello (recupero di salario reale '99-00 e inflazione attesa per il 2001 e il 2002). Inoltre si punta a unificare anche l'orario di lavoro, arrivando alle 36 ore per tutti, mentre adesso i privati fanno 37 ore e mezza.
Per Fim e Uilm è il miglior contratto del decennio, per la Fiom è già stato disdettato dallo sciopero del 6 luglio. Lo scontro sull'accordo separato dei metalmeccanici continua: le due parti sindacali polemizzano tra loro e scelgono strade diverse per la verifica tra i lavoratori. Fim e Uilm hanno iniziato la consultazione dei loro iscritti con assemblee che talvolta raggiungono un risultato opposto a quello sperato, come è avvenuto all'Alenia di Torino (un assemblea segnata da fortissime tensioni) e in alcune piccole fabbriche del bresciano (in una di queste gli 8 - otto - iscritti Fim presenti hanno votato no). la Fiom, invece, continua a chiedere un referendum che permetta un voto di tutti i lavoratori (evitando pasticciati e non verificabili verbali d'assemblea) e oggi riunirà il suo comitato centrale per decidere le modalità di Raccolta delle firme necessarie (circa 250.000) per indire il referendum.
Prosegue lo stato d’agitazione nella sede Atesia di Roma per protestare contro il licenziamento di 400 lavoratori con contratto a termine. La manifestazione di venerdì scorso sotto la sede della Telecom (proprietaria al 100% della società) e che ha visto una nutrita partecipazione dei dipendenti del call center, ha già ottenuto un primo risultato: durante la mobilitazione è stata ricevuta una delegazione di cui facevano parte i lavoratori, le segreterie sindacali e una rappresentanza unitaria delle Rsu di Telecom. C’è stato un impegno a riaprire il tavolo discussione sulla piattaforma, e al tempo stesso una parte dei lavoratori sono stati rinseriti. Ma la lotta è ancora lunga e il tentativo di Atesia sarà quello di continuare a prendere tempo per tentare di "impastoriare" le istanze dei lavoratori, che invece si battono per il riconoscimento dei loro diritti, per uscire dalla situazione di estrema precarietà in cui sono costretti. In Atesia nel settembre scorso si è costituita una rappresentanza sindacale unitaria che ha subito ottenuto il prolungamento della durata del contratto da 30 giorni a 3 mesi e la modifica del rapporto di lavoro, passato da "libero professionale" (Partita Iva) a prestazione "coordinata e continuativa". A febbraio la delegazione ha stilato una piattaforma che ha raccolto oltre il 75% di consensi dai lavoratori. Da parte di Atesia c’è stata l’assoluta intransigenza anche solo a discuterne. Da qui la rappresaglia, con la sospensione dei 400 lavoratori.
Seimilaquattrocento "nuovi" immigrati entreranno in Italia nei prossimi mesi con un contratto stagionale per essere impiegati nell'agricoltura in quattro regioni e due province autonome. Questo il blindatissimo decreto Maroni varato ieri, primo atto ufficiale del governo in materia di immigrazione.
Maroni esordisce, dunque, sulla scia della legge Turco-Napolitano rimpolpando il decreto Amato del 17 maggio scorso (83 mila ingressi dei quali 33 mila stagionali) e sulla scia delle pesanti pressioni giunte in questi giorni dagli imprenditori del nord. Maroni fa parte di uno schieramento politico che ha fatto del no all'immigrazione il suo cavallo di battaglia: ma altra cosa è quando gli immigrati possono essere forza lavoro a basso costo, in questo caso leghisti, padroni, destra e sinistra di governo sono perfettamente d'accordo. I 6.400 lavoratori stagionali saranno targati Padania essendo destinati esclusivamente al Friuli, al Veneto, all'Emilia Romagna, al Piemonte e alle province autonome di Trento e Bolzano. C'è intanto una sentenza della Corte di Cassazione: la durata del contratto di lavoro per una persona straniera non può essere legato alla durata del suo permesso di soggiorno. Il contenzioso era stato sollevato da una ragazza rumena, licenziata da un'azienda di Riva Del Garda. "Sarebbe incongruamente penalizzante per il lavoratore straniero l'automatica e definitiva perdita del posto di lavoro nel momento stesso della scadenza del permesso o della sua revoca", sulla base dell'articolo 1 della legge 943 dell'86 che "garantisce ai lavoratori extracomunitari legalmente residenti in Italia parità di trattamento e piena uguaglianza dei diritti rispetto ai lavoratori italiani".
Sullo scontro in corso per il contratto nazionale dei metalmeccanici arriva la notizia che il pretore di Cassino ha respinto il ricorso della Fiom per ottenere dalla Fiat l'elenco dei lavoratori di quello stabilimento per raccogliere le firme per indire un referendum contro un accordo aziendale separato sull'aumento dei ritmi di lavoro, firmato dalla multinazionale dell'auto con Fim e Uilm. Secondo il magistrato ci sarebbero problemi di privacy (risibile argomento visto che i tabulati in questione contengono nome, cognome e numero di matricola), ma in sostanza il pretore sostiene che un referendum si può fare solo se a richiederlo sono tutti e tre i sindacati "maggiormente rappresentativi". Questa logica plebiscitaria decreta un potere di veto, lo stesso che impedisce ai metalmeccanici di tutta Italia di votare sul contratto nazionale separato firmato da Fim, Uilm e Federmeccanica. La vicenda di Cassino, per quanto locale, diventa un nuovo paradigma dello stato della democrazia sottratta cui sono sottoposti i lavoratori metalmeccanici. "Perché - ha ricordato Sabattini - sono i lavoratori i soggetti protagonisti del contratto, mentre i sindacati ne sono gli strumenti. Invece ora si rovesciano i termini e una piccola minoranza, gli iscritti a Fim e Uilm (meno del 25% del totale degli interessati al contratto), viene delegata a decidere per tutti gli altri". Il riferimento è alla consultazione degli iscritti avviata dalle organizzazioni firmatarie dell'accordo separato e al rifiuto di Fim e Uilm di sottoporre l'intesa contestata al vaglio di tutti i metalmeccanici.
Si è risolta positivamente la vicenda di Mara Cortellazzi, operaia mamma della Siemens che era in sciopero da quattro mesi contro la decisione di metterla in un turno di lavoro particolare. Lo sciopero della donna, organizzato dalla Flmuniti-Cub, si è risolto con una vittoria dato che ora potrà lavorare in un reparto con orari fissi (8.30-16.45) potendo così accompagnare il figliolo a scuola, che poi è stata la miccia della vertenza. Per sostenere la causa dell'operaia-mamma la Flmuniti-Cub aveva proclamato lo sciopero permanente dei turnisti della Siemens.
Per il 31 luglio sono state proclamate 24 ore di astensione dal lavoro per protestare contro il piano che prevede la messa in eccedenza di 9.000 dipendenti dell'azienda Poste spa. Lo sciopero vuole sollecitare il governo ad adottare una corretta politica tariffaria che adegui il costo delle stampe. L'astensione dal lavoro, il 31 luglio, durerà 24 ore e, per ora, è solamente dichiarata da una organizzazione e non da un cartello unitario di organizzazioni. La Slc-Cgil ribadisce la propria volontà a trovare soluzioni unitarie con tutte le altre organizzazioni sindacali del settore postale
"Noi facciamo i vestiti da bambino per Prénatal, Guess, Gymboree, ma non possiamo dare da mangiare ai nostri figli". Era scritto così sui cartelli delle lavoratrici della Ladybird Garment Factory di Bangkok, che un mese fa sfilavano lungo le strade della capitale thailandese per chiedere al governo di far rispettare i loro diritti. Una lotta che, tra scioperi e serrate, si è prolungata per parecchi mesi e che si è conclusa solo qualche giorno fa con una parziale vittoria, dopo aver smosso organizzazioni per i diritti umani, sindacati e le stesse multinazionali accusate di scarsa sensibilità, timorose di macchiare la propria immagine.Tra le aziende "globali" di cui l'industria tessile Ladybird è fornitrice, c'è anche l'italiana Prénatal, controllata da Artsana, e le statunitensi Guess, Gymboree, TJMax and Marshall. Cinquecentoquaranta lavoratori, la maggior parte donne, che tagliano i tessuti e confezionano gli abiti che poi vanno a finire sugli scaffali dei negozi per bambini di una decina di paesi occidentali, Usa e Unione europea in testa.Quanto costi mediamente una tutina da neonato o un paio di scarpette di pezza dei succitati marchi non è un mistero: ebbene, lungi dall'idea di potersi permettere di vestire "lussuosamente" i propri figli, le mamme-lavoratrici della Ladybird, che quegli abiti li producono, hanno chiesto semplicemente una serie di aumenti, benefit e diritti sindacali, per assicurarsi una vita minimamente dignitosa. Tra le richieste, quella che dà più di tutte l'idea di quanto da quelle tutine siano lontane nonostante vi dedichino la propria fatica quotidiana, riguarda gli aumenti giornalieri, che si giocano nell'ordine di poche decine di bath. E un bath vale appena 50 lire.Maggiorazioni richieste in base all'anzianità, dato che quasi tutte le lavoratrici della Ladybird non ricevono aumenti di stipendio con il passare degli anni, ma in base alla "qualità" del lavoro. In pratica, a discrezione del padrone. Secondo il Clist, centro d'informazione e avviamento al lavoro thailandese, che ha sostenuto il giovane sindacato di fabbrica tutto femminile, 200 lavoratori sono temporanei, e non possono pertanto neppure iscriversi a un sindacato. Degli altri 340 "regolari", solo 100 avrebbero una busta paga mensile, mentre tutti gli altri sarebbero pagati a giornata. Una precarietà che si legge anche nelle altre richieste in piattaforma: per esempio, quella di una indennità per la maternità, di 100 bath al mese per tre mesi di gravidanza, dato che l'operaia thailandese incinta deve lavorare, ma senza fare gli straordinari.E ancora: qualche giorno di paga in più secondo l'anzianità, benefit già acquisito in molte fabbriche thailandesi. Il potenziamento dei mezzi di trasporto aziendali, per rendere più agevoli gli straordinari, e l'autorizzazione, per i rappresentanti sindacali, di assentarsi dal lavoro per un massimo di 30 giorni all'anno. Il capo della Ladybird, però, aveva deciso di respingere qualsiasi richiesta delle operaie, rifiutandosi in pratica di riconoscere il sindacato. A fine maggio, 80 lavoratrici scendono in piazza per uno sciopero generale a sostegno dei minimi salariali e dell'indennità di disoccupazione. Il titolare, così, decide una sorta di "serrata parziale": alle 80 "disobbedienti" viene vietato l'ingresso in fabbrica. Seguono altre manifestazioni, e 100 nuove assunte sostituiscono le escluse: la produzione non può fermarsi.A questo punto intervengono soggetti come la Clean Clothes Campaign, associazione europea che si batte per una produzione "pulita" dei nostri vestiti, e l'italiano Coordinamento lombardo nord/sud del mondo: i consumatori vengono invitati a scrivere alla Prénatal, alla Guess e alle altre aziende committenti. Prénatal chiede chiarimenti al capo della Ladybird, la Gymboree invia degli ispettori. Il 2 luglio, la firma di un accordo, e il 4 luglio le lavoratrici espulse vengono riammesse. Hanno ottenuto soltanto l'indennità di gravidanza e i permessi retribuiti per i sindacalisti di fabbrica. Ma è già qualcosa, e le donne della Ladybird continueranno a lottare.
18 luglio ’01
ARGENTINA: SCIOPERO GENERALE
Il presidente Fernando De La Rua e il super-ministro dell'economia, Domingo Cavallo, hanno nei giorni scorsi deciso la strategia per ridurre il deficit pubblico: diminuire del 13% le retribuzioni dei dipendenti pubblici e le pensioni superiori alle 660mila lire al mese. Per comprendere la portata sociale delle misure bisogna avere ben chiaro che il livello dei prezzi, con l'esclusione della carne di manzo (forse la principale risorsa del paese), è praticamente uguale a quello europeo. Anzi, in alcuni servizi (telefonia, poste, trasporti), è spesso anche superiore. Il prezzo di un francobollo da cartolina dall'Argentina all'Europa, per esempio, è di 4.000 lire; dall'Italia all'Argentina solo 1.000 lire. Mentre il salario medio di un operaio è di 300 dollari al mese; quello di un insegnante di scuola superiore, 400.Per sostenere lo sforzo hanno cercato di mettere in piedi un clima politico da "unità nazionale", chiedendo l'appoggio dell'opposizione peronista. D'altro canto a ottobre ci saranno le elezioni politiche, e presentarsi alle urne come gli unici "affamatori del popolo" significherebbe andare incontro alla disfatta. I 14 governatori provinciali eletti nelle liste del Partito Giustizialista hanno raccolto l'invito, anche se non nella misura che De La Rua e Cavallo speravano. Dopo quattro giorni di trattative, infatti, i 14 peronisti hanno deciso di firmare un proprio documento anziché quello preparato dai governatori della coalizione di governo (di "centro-sinistra"), il cosiddetto "Patto per l'indipendenza". La risposta dei sindacati non si è fatta attendere. Anche su questo fronte i "filo-governativi" della Cta e i peronisti delle due Cgt ("ufficiale" e "dissidente") si sono mostrati assolutamente uniti: ma nel dichiarare lo sciopero generale contro il pacchetto della "cura Cavallo". Oggi, invece, sciopereranno i diretti interessati al taglio salariale, i dipendenti pubblici. Anche questa insolita unità sindacale è un'assoluta novità politica nel recente panorama argentino, e testimonia della profonda rottura tra forze sociali e classe politica.La situazione sociale, d'altro canto, è fortemente degradata. La città di Buenos Aires, agli occhi di chi riesce a vedere quasi soltanto il centro, sembra tutto sommato in discreta salute civile. Ma solo nella capitale sono stati calcolate in 100.000 che sopravvivono "differenziando" la raccolta della spazzatura. Quando scende la sera, a gruppi di ogni età, si gettano sui cassonetti della spazzatura per "selezionare" i rifiuti che possono essere rivenduti a peso ai riciclatori. Molto "ambita" la zona degli uffici, ricca di tanta carta "quasi nuova". Non si sa invece quanti siano quelli che razziano i cassonetti dei ristoranti o dei McDonald's semplicemente per trovarvi da mangiare. Fuori della capitale, nelle province del Nord, siamo invece alle immagini da centro-America. Strade sterrate, gente a piedi scalzi nel fango, la ressa intorno ai rari turisti per qualche spicciolo d'elemosina.Anche le agitazioni sociali ricevono un trattamento militare diverso. I 50.000 che hanno manifestato contro la repressione dei tumulti nella provincia di Salta hanno potuto farlo in relativa tranquillità; a Salta, invece, vige ancora la legge marziale. La dichiarazione di sciopero generale, però, recepisce il rifiuto diffuso di pagare - e in questa misura - i costi delle politiche economiche volute dal Fondo monetario, accettate fin troppo supinamente dai governi succedutisi negli ultimi anni, e rivelatesi - ancora una volta - assolutamente fallimentari.
19 luglio ’01
ZANUSSI
La Zanussi diffida la FIOM dal raccogliere le firme contro l'accordo separato firmato da CISL e UIL con i padroni.Il sindacato metalmeccanico della Cgil, che aveva da subito dichiarato "ancora aperta" la vertenza contrattuale si è visto rafforzato nelle sue ragioni dallo stesso governo che ha alzato (seppur ben sotto il dovuto) il tetto dell'inflazione programmata. Perciò la Fiom ha invitato la Federmeccanica a "aggiornare la piattaforma".A Porcia i guardiani hanno avuto l'ordine di diffidare anche a voce, dopo la lettera, fatto grave sindacalmente e politicamente. Ma ai primi banchetti messi fuori ieri, in un'ora han raccolto 300 firme. Anche in altre fabbriche Zanussi capi indaffarati, mentre si organizza la raccolta di firme, da oggi, a Susegana, Mel, Forlì: "qui no, è proprietà privata"; "fatelo fuori, sul terreno comunale"."Nervosismi padronali" si registrano anche in zone, come Torino ovest - Collegno, Orbassano, Vallesusa - dove la raccolta di firme è già iniziata in fabbriche come la Bertone. Alla Bitron di Grugliasco (450 dipendenti) dove era programmata un'assemblea convocata dalle Rsu a maggioranza per discutere del contratto e delle firme per una nuova democrazia nei luoghi di lavoro, han cercato in vari modi di negare il diritto di assemblea. Poi a qualche bello spirito aziendale è venuta l'idea: la sala mensa, dove di solito si svolgono le assemblee, è stata chiusa appiccicando alla porta il cartello "Lavori in corso". Risposta immediata, sciopero di tre ore, e sono state utilissime per raccogliere le firme delle lavoratrici del primo turno.Due ore di sciopero alla Fiat di Melfi, il 28 luglio, con manifestazione e raccolta di firme ai cancelli. La Uilm giudica non "degno" lo sciopero "a fine turno prima delle ferie": non ricorda più cos'è il tempo di non-lavoro?
20 luglio ’01
I GIOVANI CAMALLI A GENOVA"Il console aveva detto: né con il G8 né contro il G8 con le tute bianche e gli antiglobalizzatori. Io e i miei compagni non la pensiamo allo stesso modo e per questo siamo qui". Matteo ha 23 anni e di mestiere fa il camallo, per la precisione "portuale generico" nella Compagnia unica. Stava davanti alla scalinata della chiesa a Cargnano, distribuendo un volantino firmato "Portuali no-global" che spiega: siamo "lavoratori non servi, in piazza contro gli 8 padroni del mondo". Il porto è per sua natura il luogo globalizzato per eccellenza, perché siete "contro"? "Noi siamo l'esempio vivente della flessibilità totale messa a disposizione della globalizzazione, di questa globalizzazione capitalistica" risponde un altro giovane camallo, Luca, 33 anni, "lavoratore polivalente, tratto le merci a bordo e di mezzo: noi la globalizzazione la conosciamo e ci facciamo i conti tutti i giorni dell'anno. Il nostro, con la trasformazione della Compagnia in azienda, è un lavoro medievale, un lavoro a chiamata, siamo a disposizione 24 ore su 24 su quattro turni. Se la chiamata arriva siamo pagati e sennò no. Il lavoro non è distribuito su base egualitaria: ci sono i soci che fanno anche 50-60 turni al mese e i ragazzi più giovani che non arrivano a venti. Io il mese scorso ho lavorato 21 giorni e per arrivare a 2 milioni e 200 mila lire ci ho dovuto mettere due giornate di ferire". Matteo, che è più giovane di Luca, si sente come se fosse interinale, lavoratore di serie B: "Il mese scorso ho fatto appena 16 o 17 turni e in busta paga ho trovato solo 1,4 milioni. Secondo me il potere favorisce chi gli garantisce il consenso, e noi non abbiamo alcuna garanzia quando non siamo chiamati al lavoro".Ma nella Culmv, la mitica Compagnia unica di Paride Batini, non c'è un sindacato interno? I due giovani portuali spiegano che la Compagnia diventata azienda sottoponendosi alle leggi del mercato e della globalizzazione. E gli infortuni aumentano (3-400 in un anno su 1.000 lavoratori, 4 morti in tre anni). "Nonostante le promesse di essere in piazza il 30 giugno, in ricordo dei fatti del '60, contro Forza nuova, alla manifestazione ci siamo trovati solo noi giovani insieme ai centri sociali". E il sindacato? "Certo che c'è, sono i figli della classe dirigente. Noi non siamo rappresentati da nessuno", risponde Matteo. E Luca: "Il sindacato è in mano a quelli di Lotta comunista e ai Ds, tutti che vanno a braccetto con i dirigenti. Noi siamo una cinquantina che ci vediamo regolarmente, turni permettendo. Ci chiamiamo Collettivo portuale antifascista. Certo, sentiamo il bisogno di collegarci, di organizzarci. Non abbiamo nulla contro i sindacati, ma siamo qui a manifestare per far sentire il peso del mondo del lavoro, perché noi siamo contro la globalizzazione e il G8 tutti i giorni dell'anno".Con chi sfilerete in corteo? "Bella domanda, questa. Forse con il coordinamento delle Rsu, o forse no. Vedremo". La manifestazione dei migranti sta partendo, passa uno striscione che toglie ogni dubbio ai nostri amici che non sanno con chi sfilare: "Compagnia portuali Venezia", dietro una bella schiera di camalli che nel nordest forse si chiamano in un altro modo, ma sono globali allo stesso modo.
FIAT e AMMA SEGUONO ZANUSSI
Dopo la Zanussi, le diffide della Fiat e una lettera dell'Amma (Federmeccanica) ai sindacalisti piemontesi contro la raccolta delle firme nelle fabbriche organizzata dalla Fiom-Cgil per il referendum sul contratto nazionale e "per la democrazia nei luoghi di lavoro". Alla Fiat Avio e all'Iveco le direzioni aziendali hanno vietato ai delegati e alle commissioni elettorali di raccogliere le firme all'entrata della sala mensa.Le firme, certificate da autorità pubbliche, in Piemonte, in 3 giorni, sono già più 10.740, e si stanno raccogliendo in tutt'Italia perché sia il voto dei lavoratori a decidere sul loro contratto nazionale, dopo l'accordo separato della Federmeccanica con Fim, Uilm, Fismic il 3 luglio - in violazione della piattaforma sindacale unitaria - e il rifiuto degli altri sindacati del referendum nelle fabbriche.Con la nuova inflazione, il salario fissato nell'accordo separato s'abbassa ancora. "L'aumento reale per i metalmeccanici finisce sotto le 100mila lire".Oltre alle aziende specifiche c'è l'anatema per lettera dell'Amma: la Fiom piemontese sappia che l'associazione degli industriali non riconosce le firme perché "il referendum non è previsto da leggi e contratti" e perché "le aziende non debbono essere coinvolte".Intanto, contro la Fiat si è scioperato anche ieri, con cortei interni e blocco delle merci a Melfi: l'azienda vuol mettere 2600 dipendenti in cassa integrazione, e cacciarne 700 "a termine" e in affitto. Contro la Fiat oggi sembrano uniti i sindacati, e ne ha parlato ieri anche il segretario Fim Spagnolo nell'assemblea a Mirafiori: dove invece, sull'accordo separato sul contratto nazionale è stato contestato da molte voci che gridavano "referendum!".
SCIOPERO ELETTRICO CON BLACK OUT
Questa volta sarà black out. Non nelle case, nè per i servizi pubblici, ma il prossimo sciopero degli elettrici minaccia di bloccare l'erogazione dell'energia alle utenze industriali e commerciali. Il 30 e 31 luglio e l'1 agosto prossimi verrà meno un terzo della potenza disponibile sull'intera rete nazionale, circa 25 mila mega watt sui 75 mila complessivi.Uno sciopero senza precedenti, dato che negli ultimi anni i sindacati di categoria - Fnle Cgil, Flaei Cisl e Uilcem Uil - avevano sempre scelto la "linea morbida", a tutela degli utenti. Ma questa volta la rottura con le parti datoriali - Assoelettrica-Confindustria, Enel e Federelettrica - è netta, e la liberalizzazione del settore rende il terreno delle trattative più scivoloso, determinando una "precipitazione" degli eventi a cui non eravamo abituati ai tempi del vecchio monopolio.Gli 85 mila lavoratori dell'energia - la sola Enel ne conta 70 mila - attendono il rinnovo del contratto da ben 31 mesi, ovvero dal 31 dicembre 1998. L'ultima offerta prima della rottura è definita dai sindacati "un piatto di lenticchie": 100 mila lire di aumento dei minimi per il biennio 2001-2002 e 1 milione e 500 mila lire di "una tantum" per gli anni '99-2000. "Valori assolutamente inadeguati - aggiunge Berni - considerato che le retribuzioni sono ferme dal 1997, che l'unificazione dei contratti preesistenti comporterà il superamento di alcuni istituti economici e che i lavoratori elettrici risultano tra gli ultimi in Europa nelle graduatorie dei trattamenti contrattuali". Basti pensare che la retribuzione italiana è inferiore del 23% rispetto alla media europea.La rottura definitiva sul rinnovo è arrivata il 26 giugno scorso, quando Enel, Federelettrica e Assoelettrica hanno lasciato il tavolo delle trattative senza avanzare una proposta economica. Da allora è stata decisa la linea dura. Nei tre giorni di sciopero i lavoratori si asterranno nelle ultime 4 ore di turno del mattino e nelle prime 4 ore del turno pomeridiano, determinando una vacanza di turno di 8 ore.
21 luglio ’01
CHIUDE RIVALTA
O la Fiat - lunedì - presenterà il suo piano industriale per tutti gli stabilimenti italiani, oppure si romperanno le relazioni sindacali e comincerà un lungo periodo di scioperi. E' questo il comunicato diffuso ieri da Torino dalla Quinta Lega Fiom. "Solo in Italia - dice il segretario della Quinta Lega, Claudio Stacchini - la Fiat rifiuta di presentare e discutere i propri piani industriali. La situazione è diventata intollerabile per i lavoratori, per il sindacato e per le istituzioni pubbliche".La reazione sindacale è scattata ieri, in vista appunto della riunione di lunedì, alla luce degli ultimi annunci della Fiat sul massiccio ricorso alla cassa integrazione per il mese di settembre e dopo la decisione di "licenziare" i 600 lavoratori interinali e a tempo determinato in forza a Pomigliano e, infine, dopo la decisione di chiudere la produzione automobilistica dello stabilimento di Rivalta. Per la Fiom, si rende necessario e urgentissimo un chiarimento definitivo. "Non è più accettabile - recita il comunicato sindacale - l'atteggiamento dilatorio assunto dall'azienda sul piano industriale". In pratica, spiegano i dirigenti della Quinta Lega, è dal 1999 che non esiste più alcun confronto tra azienda e sindacati sulle prospettive industriali e occupazionali degli stabilimenti torinesi e più in generale di tutti quelli presenti nel nostro paese.Sul destino dello stabilimento di Rivalta le dichiarazioni ufficiali e ufficiose della Fiat parlano del trasferimento di lavoratori e produzioni a Mirafiori, cosa ritenuta, allo stato attuale delle cose, poco credibile. L'esito vero di questa operazione di ennesima ristrutturazione industriale potrebbe invece essere la chiusura definita dello stabilimento di Rivalta.
FIAT POMIGLIANO: 3 GIORNI CONTRO I LICENZIAMENTI
Terzo giorno di paralisi produttiva allo stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco. La decisione di mettere in cassa integrazione per due settimane a settembre 2mila e 600 operai (decisione che avrà come immediata conseguenza il licenziamento di 700 giovani con contratti a termine e interinali) ha scatenato la rabbia degli 8mila lavoratori dell’impianto. Per la giornata di ieri erano previste solo due ore di sciopero, con assemblea e cortei interni. Troppo poco per lo Slai Cobas, che hanno ostruito le strade di accesso allo stabilimento dando anche fuoco ad alcuni copertoni, impedendo fino alle prime ore del pomeriggio l’ingresso degli operai. Una protesta che raccoglie molti consensi in quanto c’è la consapevolezza tra i lavoratori dell’illegittimità del provvedimento preso dalla Fiat. Le tute blu dello stabilimento campano non sono per fortuna sole a condurre questa battaglia. "Pieno ed incondizionato appoggio alla lotta dei lavoratori di Pomigliano d’Arco" è stato espresso ieri dalla Quinta Lega Mirafiori Rivalta e dalla Fiom Piemonte. "Nel febbraio anche Mirafiori scese in lotta di fronte ad analoghi licenziamenti della Fiat - ricorda la Fiom in una nota - è evidente che siamo di fronte ad un disegno complessivo di attacco all’occupazione ed ai diritti dei lavoratori da parte dell’azienda, che richiede una risposta generale". La 5ª Lega accusa apertamente i vertici del Lingotto di perseguire "un disegno di ristrutturazione permanente, che a Torino colpisce ora lo stabilimento di Fiat Avio e quello di Rivalta dell’auto, disegno che è dettato dalle scelte della General Motors e dalle esigenze delle operazioni finanziarie della proprietà".
Tredici morti e novanta dispersi. E'questo il primo bilancio di una esplosione avvenuta in una miniera di carbone in Cina, nella provincia dello Jiangsu.
La tragica esplosione della miniera della città di Xuzhou - sembra per la solita fuga di gas - è solo l'ultimo atto di una lunga catena di "morti bianche" nelle miniere cinesi. L'altra settimana, l'agenzia ufficiale Xinhua aveva dovuto rivelare che altri 31 minatori sono deceduti per il crollo e l'incendio di una impresa di estrazione nella provincia dello Guizhou. Soprattutto, ormai, il bilancio delle morti in miniera è diventato un "primato" per la Cina. Cinquemila lavoratori sono infatti deceduti nel 2000 e tremila e cinquecento solo dall'inizio di quest'anno. Le cause dell'incidente sono da attribuire a più di una ragione. In primo luogo, questa "fosse della morte" sono miniere di estrazione dismesse dallo stato e dagli organi che governano le province. Sono spesso miniere che vengono riattivatte all'improvviso, senza regole e controlli di sicurezza. Sono sfogatoi, per un posto di lavoro, per centinania di migliaia di lavoratori che sono stati licenziati dall'industria di stato e hanno perduto qualsiasi garanzia di assistenza sociale. La maggior parte di queste miniere di carbone si trovano nelle zone più depresse e povere del paese (quelle centrali), dove chi non vuole emigrare a ridosso delle città per formare lo sterminato esercito di riserva che gira ogni giorno per la Cina (ma non sempre, tra l'altro, gli è consentito dalla legge) è costretto a cercare un posto in queste "fosse". Sono per lo più renumerati con salari bassissimi e senza nessuna protezione. Mesi fa, duemila minatori della provincia dello Shanxi si sono ribellati a questo stato di cose e si sono scontrati con la polizia mentre protestavano - davanti alla direzione della miniera Shanxi Datong Mining - contro i licenziamenti e le paghe da fame. La Cina è il più grande paese produttore di carbone e un grande inquinatore del mondo. Pechino ha portato avanti un durissimo processo di ristrutturazione del settore e ha praticamente distrutto lo stato sociale nel settore minerario. Zhu Rongji ha accettato di arrivare a tanto, pur di entrare nel Wto. Ha decretato la fine della grande impresa pubblica, considerata una fonte di spreco per il paese, scontando, a livello sociale, di pagare un prezzo in termini di disoccupazione o di incidenti sul lavoro.Una manifestazione dei lavoratori delle imprese d'appalto operanti nelle ferrovie si è tenuta a Roma, davanti al ministero dei trasporti. L'obiettivo è difendere diritti e salari a fronte dell'apertura di gare d'appalto che prevedono lo spezzettamento delle prestazioni "senza una reeale selezione qualitativa". La conseguenza ovvia è quella di una "metodologia d'assegnazione dell'appalto basata sul massimo ribasso, e quindi una competizione giocata esclusivamente sulla compressione del costo del lavoro, escludendo condizioni minime di garanzia per i lavoratori". Cimoli, però ha già fatto sapere che procederà unilateralmente ad aprire le gare nei prossimi giorni.
Iuri non arriverà mai al suo sedicesimo compleanno. E' morto l'altra mattina, schiacciato dal "suo" muletto, mentre stava lavorando per conto di un'impresa esterna che ha un appalto nella fonderia Mazzucconi di Ambivere (Bergamo). Contemporaneamente, sempre in Lombardia, a Caravate (Varese), un operaio di 41 anni è morto cadendo da un ponteggio del cementificio Colacem. La "notizia" di queste due ultime morti stride con i dati diffusi proprio ieri dall'osservatorio dell'Inail: gli infortuni mortali sul lavoro nei primi cinque mesi del 2001 sono diminuiti del 12,6% rispetto all'anno precedente passando da 458 a 432. Un massacro. Secondo i dati Inail sarebbero in costante diminuzione (in tutti i settori tranne che nell'industria) anche gli infortuni non mortali registrati quest'anno. Nel bergamasco i picchi di lavoro e le produzioni sono altissimi, si lavora in nero e si assiste a un incremento dei ritmi di lavoro. Tutto ciò favorisce il rischio incidenti. Forse le aziende stanno facendo il giochino di occultare gli incidenti: per far calare le statistiche basta dire che il lavoratore infortunato è a casa con la polmonite... Quanto ai decessi, Bergamo lo scorso anno ha visto morire 34 lavoratori (quest'anno, "solo" 4). Il territorio di Varese (15.295 incidenti sul lavoro in tutta la provincia nel corso dell'anno 2000) conserva il primato di essere l'unica provincia lombarda dove non diminuiscono gli infortuni.
Un annuncio anonimo indica che un'industria meccanica a livello nazionale seleziona operatori della manutenzione in provincia di Napoli. I giovani tra i 16 e i 26 anni che fossero interessati ad un'assunzione con contratto di apprendistato dovranno inviare curriculum e titolo di studio ad una casella postale della Piemme. Di che si tratta? Quale sarà l'azienda che in una zona come il Napoletano, con un tasso di disoccupazione superiore al 20 per cento, cerca operai? Difficile capirlo subito, considerato che la Piemme altro non è che la concessionaria di pubblicità del "Mattino", il quotidiano che ha pubblicato l'annuncio. Una prima volta il 12 luglio, rivolgendosi esclusivamente ai giovani tra i 18 e 25 anni in possesso di un diploma di scuola media superiore in discipline tecniche; una seconda il 19 luglio, correggendosi e allargando la fascia d'età, dopo aver specificato che il diploma è solo un titolo preferenziale. In tutti e due i casi modalità di selezione, serietà dell'industria, numero dei giovani da impiegare restano ignoti a chi legge. Inutile pensare di ottenere maggiori informazioni telefonando alla Piemme, che, ovviamente, non è tenuta a fare null'altro che raccogliere le domande inviate da disoccupati interessati a rispondere a quest'annuncio al buio. Ma se il dubbio resta, non è accompagnato dallo stupore, essendo quest'ultima una formula standard utilizzata in genere dalle aziende private in cerca di personale. Meno ordinaria, però, diventa la procedura se, grazie alla protesta di alcuni rappresentanti del consiglio di fabbrica di uno stabilimento delle Ferrovie dello Stato, si riesce ad attribuire un nome "all'industria meccanica di livello nazionale". Questa sigla indica, infatti, la maggiore azienda trasporti italiana, colta, a quanto pare, da improvvisa modestia, proprio nel momento in cui sceglie la procedura per selezionare 55 giovani da assumere nello stabilimento delle Grandi Officine riparazioni a Torre del Greco. Una fabbrica alle porte di Napoli, gestita da Trenitalia, uno dei due tronconi principali nei quali sono state divise le Fs nell'era della privatizzazione, che ora è interessata da un programma di assunzioni concordato con i sindacati. Questo stabilimento curerà la ristrutturazione di tutte le carrozze dei treni regionali. Significa un aumento della produzione del 60-70% e il passaggio del personale dagli attuali 460 addetti a circa 800 assunti. L'accordo siglato con l'azienda prevede che ci siano 150 trasferimenti dal Nord al Mezzogiorno, mentre altre 150 dovrebbero essere le assunzioni. E perciò, i 55 giovani cercati con l'annuncio sul "Mattino" dovrebbero essere solo i primi di un pacchetto più consistente. Ma sulla procedura per la selezione non c'è stata trattativa. L'azienda ha spiegato che può agire come un qualsiasi privato e che fanno così in tutt'Italia.
Supplenti annuali nominati autonomamente dai presidi e sostanziale equiparazione del punteggio dei precari della scuola statale e di quelli della scuola privata (parificata) attraverso l'unificazione delle graduatorie. Questi i contenuti fondamentali e più aberranti del decreto sui precari che - approvato dalla Camera con 268 voti a favore, 219 contrari (centrosinistra e Rifondazione), 5 astenuti - passa adesso all'esame del senato per la definitiva conversione in legge. Sostanziale equiparazione, dicevamo, perché almeno formalmente il punteggio annuale maturato dai precari che hanno prestato servizio nelle scuole private resta - e resterà sino al 2002 - di sei punti contro i dodici maturati da coloro che hanno lavorato nelle scuole pubbliche. Ma l'escamatoge inventato dal governo Berlusconi è sin troppo semplice. Accorpare la terza e la quarta fascia, significa creare un'unica graduatoria per coloro che - oltre all'abilitazione - hanno prestato servizio nella scuola statale per almeno 360 giorni (terza fascia) e coloro che sono dotati di sola abilitazione ma magari hanno per più anni - e non si sa in base a quali criteri di selezione - prestato servizio nella scuola privata e lì accumulato punteggio. Quanto all'autonomia che partirà dall'1 settembre: come ogni anno, molte saranno le nomine che - per ragioni di burocratico disordine - non saranno state ancora effettuate. Bene - anzi male - perché coloro che avrebbero dovuto essere nominati verranno scavalcati. E per "velocizzare", i presidi nomineranno prima su graduatorie del provveditorato, poi su quelle d'istituto. Il risulto? Le nomine scadranno con la fine delle lezioni. Ferie riconosciute, alcuna.
Nuovo affondo di un'azienda ex-Fiat "terziarizzata" per ridurre in modo drastico il costo del lavoro sulle spalle dei lavoratori e della collettività. La Comau ha dichiarato 135 "esuberi", per la maggior parte concentrati nello stabilimento Fiat di Mirafiori (dove dipendenti "doc" e "terziarizzati" lavorano fianco a fianco tutti i giorni). Alla richiesta sindacale di discutere la situazione, l'azienda ha risposto proponendo di sostituire i 135 esuberi con la mobilità per oltre 600 lavoratori. La Fiom parla di tentativo di condurre in porto un'operazione di "rottamazione" dei lavoratori contrattualmente "protetti" per sostituirli con altri secondo le normative dell'"atipico". Ai nuovi, come condizione indispensabile per l'assunzione, viene inoltre spesso chiesto di firmare una dichiarazione di accettazione dei 18-20 turni, molto al di là dei livelli previsti dal contratto. Un risparmio medio del 40% circa, e un bel po' di "flessibilità" aggiuntiva, su cui si vorrebbe ottenere la complicità del sindacato. La procedura di mobilità, in particolare (regolata dalla legge 223), è un ammortizzatore sociale pensato per tutt'altre situazioni produttive. In questo caso viene evocata per "garantirsi dei risparmi scaricando i costi sull'intera collettività".
La Commissione di garanzia, che già aveva più volte rivisto la normativa che disciplina il diritto di sciopero nel settore dei trasporti, ha approvato il testo di regolamentazione provvisoria del trasporto aereo. Si tratta di "norme più rigorose", ma la stretta viene realizzata attraverso la ridefinizione dei "bacini di utenza" (ridisegnati con una "configurazione più selettiva" che alleggerisce le regole della cosiddetta "rarefazione oggettiva"). Oscuri anche i passaggi relativi alle modifiche della durata degli "intervalli soggettivi" tra uno sciopero e l'altro (ridotti), mentre resta inalterata quella relativa agli "intervalli oggettivi". L'unica concessione sembra esser relativa alle "prestazioni indispensabili" richieste nei servizi accessori al volo (come pulizie e ristorazione).
Uno dei primi cinque produttori di computer e periferiche, la Hewlett Packard, ha annunciato ieri un forte calo delle sue entrate nel secondo trimestre. La risposta immediata è un secondo annuncio: 6.000 posti di lavoro in meno, il 6,5% del totale. Già nel corso dell'anno Hp aveva previsto mille licenziamenti. Il presidente, Carly Fiorina, ha oltretutto ammesso di non attendersi "un risanamento nella seconda metà del 2001". Il titolo ha perciò guidato per un po' l'onda ribassista a Wall Street, perdendo il 14%.
Ci aveva pensato su un attimo, il cd Luca Volontè, quando persino la ciellina Compagnia delle Opere aveva chiesto lo stralcio dell'art. 5 della legge Mirone riguardante le cooperative. La Malfa aveva infatti preparato un emendamento per affidare al governo il compito di stabilire quali cooperative vanno "costituzionalmente protette" (e quindi godere delle esenzioni fiscali) e quali vanno avviate alla chiusura. Poi deve aver ragionato: "le cooperative a noi vicine saranno facilitate per definizione". E così ha respinto - insieme a tutto i componenti del Polo presenti in Commissione Bilancio - ogni proposta di stralciare l'art. 5 per fare invece un Testo unico sulla cooperazione. A questo punto la discussione passa all'aula, dove però i rapporti numerici tra maggioranza e opposizione non lasciano nessun margine a ipotesi di ripensamento sul punto specifico. Caduta nel nulla anche l'ipotesi iniziale: visto che il decreto Mirone comprende anche la derubricazione del falso in bilancio da reato a semplice contravvenzione, sembrava che il Polo intendesse "ricattare" l'Ulivo proponendo uno scambio. Invece no. Nessun compromesso e attacco a testa bassa contro la "base economica" di alcune forze dell'Ulivo. Anche la Cna (confederazione dell'artigianato) ha riconosciuto nella linea del governo una logica precisa: "è il via allo smantellamento del sistema cooperativo". E' un altro pezzo della Costituzione che viene azzerato.
Sciopero a oltranza, sit-in e altre manifestazioni di protesta dei dipendenti - ma soltanto quelli contrattualmente più tutelati - dell'hotel Sheraton di Firenze, per rispondere al licenziamento immediato di un membro della Rsu, che aveva protestato contro l'atteggiamento antisindacale della direzione dell'albergo. La decisione presa dai lavoratori, e appoggiata dai sindacati di categoria Filcams Cgil e Fisascat Cisl, è arrivata ieri mattina, dopo che nei giorni scorsi c'erano già stati due stop di tre ore. L'accusa dei sindacati è confermata dai racconti dei lavoratori, che segnalano come il 60% di loro si sia dimesso o sia stato licenziato negli ultimi mesi, dimezzando la forza lavoro all'interno dello Sheraton, nonostante che siano stati chiamati in sostituzione alcuni giovani contrattisti a termine.
L'Aran e le organizzazioni sindacali hanno siglato ieri l'ipotesi di accordo relativa al rinnovo del contratto di lavoro del personale degli Enti di ricerca, che riguarda circa 5.000 tra ricercatori e tecnologi e 11.000 unità di personale appartenente agli altri livelli. L'intesa prevede aumenti sullo stipendio pari a 88.000 lire medie per il primo biennio 98/99 e 106.000 per il II biennio 2000/2001. L'indennità di Ente è stata aumentata di circa 50.000 lire medie a regime, mentre la quota di risorse aggiuntive pari al 5% è stata destinata in parte a compensare la produttività e in parte a sostenere i costi di selezione interna. Per i ricercatori e i tecnologi gli aumenti di stipendio sono di 200.000 lire medie per il I biennio e 200.000 per il II biennio. La quota del 5% di risorse aggiuntive è finalizzata ad una indennità specifica di ulteriori 180.000 lire medie mensili e a garantire percorsi
La
mini-Jugoslavia è diventato un paese normale. E' arrivata la democrazia
occidentale, portandosi al seguito i suoi inconvenienti. Ne sanno qualcosa i
lavoratori della Zastava, la più grande fabbrica di aumobili dei Balcani prima
dei bombardamenti della Nato. Il governo serbo ha annunciato la ristrutturazione
del gruppo finalizzata alla privatizzazione: nella speranza che qualche società
straniera (che fine ha fatto la Iveco-Fiat, formalmente proprietaria del 47%
della Zastava Kamiona?) decida di mettere le mani su quel che le bombe
umanitarie hanno risparmiato, il primo passo sarà la decimazione degli
organici.
Mentre il governo vara le leggi necessarie per mettere sul mercato uno
spezzatino di aziende nato dalla frantumazione della Zastava, un gruppo di
esperti appronta un piano particolareggiato. Ce ne parla il segretario generale
del sindacato autonomo del gruppo (alle elezioni di novembre ha raccolto l'80%
dei consensi), Radosan Bjeletic: "Il piano prevede la costituzione di una
holding di cui dovrebbero far parte 16 fabbriche, quelle legate alla produzione
di automobili, di camion, di vetture commerciali e di componentistica. 47
aziende impegnate in altri tipi di produzione saranno invece messe autonomamente
sul mercato. E' proprio nel settore auto che si concentra il massimo degli
esuberi, che ammontano a 15.500 unità lavorative su poco più di 30 mila
dipendenti del gruppo". Il grosso dei licenziamenti sarà a Kragujevac, la
"Torino dei Balcani", dov'è concentrata gran parte della produzione
autobilistica.
"Noi siamo convinti che una ristrutturazione è necessaria - ci dice
Radosan Bjeletic - e forse è addirittura inevitabile un ridimensionamento
dell'organico. Il problema è come si intende governare il processo, tutelare i
redditi, evitare le svendite della proprietà sociale collettiva: la Zastava è
dei lavoratori da generazioni". Le prime mosse del governo federale non
lasciano ben sperare: "E' stato fatto un decreto che liberalizza l'acquisto
dall'estero di automobili vecchie fino a sei anni, con prezzi competitivi con le
Yugo che produciamo noi. Questa decisione, insieme alla crisi interna che ha
fatto crollare la domanda, per noi è stata una mazzata tra capo e collo. Sono
già entrate 200.000 vetture straniere".
Quali ammortizzatori sociali propongono gli esperti, per attutire le conseguenze
dei licenziamenti? "Si parla della costituzione di un'agenzia - risponde il
dirigente sindacale - che dovrebbe prendere in carico gli esuberi, a cui
dovrebbe essere garantito per 4 anni un mensile pari a 70 marchi tedeschi. In
teoria l'agenzia dovrebbe farsi carico della riqualificazione e della
ricollocazione dei lavoratori. Ma in una città come Kragujevac, che embargo e
bombe hanno trasformato in un deserto abitato solo da disoccupati, chi vuoi che
se li prenda i nostri licenziati?".