Il papa
Clemente IV, il francese Gui Foulques, per sbarazzarsi dei discendenti di Federico II, diede in feudo il Regno
di Sicilia a Carlo D'Angiò, fratello del re di Francia Luigi IX (il Santo).
Carlo D'Angiò venuto in Italia, con un forte esercito, sconfisse e uccise
prima Manfredi, figlio naturale di Federico II, a Benevento e successivamente
fece decapitare suo nipote Corradino, dopo averlo sconfitto nella battaglia di
Tagliacozzo.
Carlo, dopo essere stato incoronato, nella basilica Vaticana, il 6 gennaio
1266, sovrano "dell'una e dell'altra Sicilia", prese possesso del
regno, stabilendo a Napoli la capitale.
Essendo l'Angioino il sovrano prescelto dal papa, Napoli, sempre fedele alla
Chiesa, si disponeva ad accoglierlo con tutti gli onori.
Prima di entrare in città , si formò un corteo , aperto dal clero con
I reali dopo essersi inginocchiati davanti alle reliquie dei santi patroni e
ringraziare il Signore, presero dimora nel Castel Capuano.
Carlo D'Angiò, rimasto vedovo, si risposò con Margherita di Borgogna, figlia
del conte di Nevers e di Tonnerre Eudes.
Dalla sua prima moglie Beatrice di Provenza, aveva avuto sette figli: Ludovico,
nato a Cipro e morto dopo pochi giorni; il futuro Carlo II, che nel 1271 fu
nominato dal padre suo luogotenente per la parte continentale del regno;
Filippo, che fu uno dei suoi preferiti, ma morì giovanissimo a Trani nel 1277;
Roberto, che non si sa molto; Bianca, che sposò Roberto di Fiandra;
Beatrice, che andò sposa a Filippo de Courtenay, figlio primogenito di
Baldovino II, imperatore di Costantinopoli ed Elisabetta, nata nel 1270, che fu
data per moglie a Ladislao, figlio primogenito di re Stefano d'Ungheria.
Carlo pur dimostrando molta devozione al papa, era un uomo molto ambizioso e
con i matrimoni dei suoi figli cercò parentele che potessero servire ad
accrescere i suoi domini e la sua potenza.
I primi quindici anni di regno angioino furono contrassegnati da una
incessante lotta contro i ghibellini italiani e da una politica
dinastica rivolta verso l'Oriente.
Inviò truppe in Albania e assunse il titolo di re d'Albania, partecipò ad una
disastrosa Crociata nel 1270, ma riuscì a trarne vantaggi e si fece convalidare
il titolo di re di Gerusalemme da papa Giovanni XXI (il portoghese Pietro di
Giuliano), che favorì la sua espansione in Oriente.
Castel Nuovo o Maschio Angioino Carlo I al suo arrivo a
Napoli si stabilì in Castel Capuano, quando ebbe dato un certo assestamento
al suo regno, egli desiderò una reggia più comoda e più degna del suo
rango. A quei tempi una reggia non poteva che essere un castello
e il re decise di farlo
costruire vicino al mare, non troppo distante dalla città, in modo da
assicurare buone possibilità di difesa nell'evenienza di uno
sbarco o di permettere una fuga nel caso il pericolo fosse venuto dalla terra
ferma.
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Vita quotidiana Nei castelli dei nobili
continua la civiltà di corte, con feste per celebrare vestizioni di
cavalieri, nozze o vittorie. Una festa dura parecchi giorni e vi si svolgono
tornei, banchetti e sfilate. La notizia che in una certa corte si terrà una
festa fa accorrere al castello saltimbanchi, attori, menestrelli e trovatori
da tutta Italia, che vengono alloggiati e mantenuti dal padrone di casa per
la durata dei festeggiamenti. Nelle corti più importanti il tono della festa
viene dato dai poeti, imbevuti dei valori di cortesia appresi dalla
letteratura provenzale. I pregi dell'uomo cortese sono la saggezza, l'equilibrio,
la generosità il senso della misura, l'amore dei piaceri della vita, tutte le
cose che trovano il modo di dispiegarsi nella fin'amor, il servizio che il
cavaliere presta alla dama amata. Al vertice della famiglia
sta il pater familias, da cui dipendono anche le scelte matrimoniali dei
membri. Si tratta di veri e propri contratti, spesso conclusi con l'aiuto di
mediatori. Anche se il diritto canonico vieta di sposare persone al di sotto
del quarto grado di parentela, i ceti superiori manifestano una certa
propensione di contrarre matrimonio esclusivamente all'interno del proprio
gruppo sociale. |
Nel 1282
Carlo I si accordò con Venezia per far partire truppe terrestri verso l'impero
greco.
Pochi giorni dopo però iniziarono a Palermo quei moti che furono chiamati
"Vespri Siciliani" che costrinsero l'Angioino a dirottare il suo
esercito verso
Nel regno di Sicilia il governo oppressivo di Carlo D'Angiò provoca lo
scontento della popolazione, anche per la forte pressione fiscale, che vede
esentati i nobili i provenzali e gli ecclesiastici.
Inoltre i Siciliani non perdonano al re di aver trasferito la capitale da
Palermo a Napoli.
Le opposizioni interne ed esterne contro Carlo D'Angiò sono all'origine della
guerra dei Vespri Siciliani (1282-1302), che prende il nome dell'insurrezione
scoppiata a Palermo all'ora del Vespro della Pasqua, forse per l'affronto fatto
da alcuni soldati francesi a donne del luogo, ma la ribellione era nell'aria e
ne approfittarono i seguaci di Giovanni da Procida, un docente
della scuola medica salernitana che era stato Gran Cancelliere del regno Svevo
e medico personale di Federico II, sostenuto ed incoraggiato da Pietro III
d'Aragona (marito di Costanza di Svevia figlia di Manfredi), che subito dopo
l'ascesa al trono nel 1276 dimostrò l'intenzione di scacciare gli Angioini
dalla Sicilia.
Uomo di talento e di grande coraggio Giovanni da Procida (Signore dell'isola di
Procida era nato a Salerno nel 1210) impiegò circa sei anni per preparare
diplomaticamente nel più grande segreto questo colpo di stato, o per lo meno volle
attendere pazientemente che maturasse il momento giusto.
Pietro III d'Aragona con la scusa di voler preparare una crociata, nonostante
le minacce del papa e di re Filippo di Francia, sbarcò a Trapani dove fu
accolto a braccia aperte dalla popolazione, già preparata da tempo a questa
evenienza.
Fu quindi riunito il parlamento che lo acclamò re di Sicilia.
Intanto, sia nelle terre del regno che in quelle del papato, continuavano le
ribellioni, nonostante la scomunica di tutti i nemici di Carlo I, da parte
di Papa Martino IV.
Carlo d'Angiò, nel tentativo di uscire da questa precaria situazione, giunse ad
una proposta, più politica che reale: i due sovrani si sarebbero sfidati a
duello, affidando le proprie ragioni al giudizio divino.
Il duello doveva avvenire a Bordeaux in presenza del re d'Inghilterra ma il
papa, come era ovvio, non approvò lo scontro, per cui tutti questi preparativi
sembrarono una messa in scena magistralmente architettata nella speranza di
stringere un trattato di pace con gli Aragona con la benedizione del papa,
senza perdere molto prestigio.
A questo scopo, Carlo I, nominò Vicario del regno suo figlio primogenito Carlo,
Principe di Salerno che insieme al Legato Pontificio ( Cardinale
Gerardo), dovevano concordare la proposta.
Il tentativo non andò a buon fine e dopo il finto duello (gli antagonisti
fecero in modo di non trovarsi nello stesso tempo sul terreno, così da poter
stendere un processo verbale di mancanza della parte avversa), le
ostilità continuavano e l'Aragonese ora spadroneggiava in tutto il regno
e minacciava da vicino anche Napoli, ma siccome cominciavano disordini anche a
Palermo, Pietro III d'Aragona rientrò in Sicilia.
Riunì il parlamento e dichiarò erede dell'isola il suo secondogenito Giacomo,
dando così al popolo siciliano l'assicurazione che doveva considerarsi
indipendente dai domini spagnoli, che sarebbero andati al primogenito Alfonso.
Dopo aver così tranquillizzati i siciliani se ne tornò in Catalogna,
lasciando in Sicilia la moglie Costanza (la figlia di Manfredi poté così
riprendersi indirettamente quello che già era suo) con alcuni fedeli ammiragli
e funzionari ed assegnò
Le flotte Aragonesi ed Angioine continuarono a fronteggiarsi nelle acque del
mediterraneo e in una battaglia nei pressi di Malta, l'Ammiraglio del re
d'Aragona, Ruggero di Lauria distrusse quella Angioina e sulla spinta di questa
vittoria riconquistò
Questa vittoria fu un'altro duro colpo per il sovrano angioino e l'occupazione
delle due isole del golfo destava molta preoccupazione.
Gli
stemmi dei sette Sedili o Seggi di Napoli Si deve a Carlo I nel 1268 la divisione della
città in Seggi o Sedili, dove per la prima volta era rappresentato anche il
Popolo. |
Il papa
continuava a proteggere il sovrano Angioino e il 21 marzo 1283 dichiarò
decaduto dai suoi domini il re Aragonese.
Re Carlo aveva l'appoggio di Filippo III di Francia. Re Filippo però, seguendo
il consiglio dei vecchi consiglieri di Luigi IX, non mandava aiuti, mentre
accettava i regni di Aragona e di Valenza, offertigli all'assemblea di Parigi
per il suo secondogenito Carlo Valois.
Carlo e i suoi alleati, proclamarono una crociata contro Pietro III, il quale
si trovò a dover predisporre contemporaneamente la difesa della Sicilia e del
suo paese.
Infatti dalla Provenza erano giunte nuove forze, alle quali si erano aggregate
quelle che il principe ereditario era riuscito a radunare nell'Italia
meridionale e si aspettava una poderosa flotta proveniente dalla Francia, per
sferrare un attacco decisivo alla Sicilia.
L'Aragonese, ben consigliato, decise di anticiparli e con Ruggero di Lauria si
portò con la sua flotta davanti al golfo di Napoli, dove aveva la possibilità
di appoggiarsi alle isole.
Il 5 giugno del 1284 Ruggero di Lauria cercò di sbarcare a Nisida e verso capo
di Posillipo.
Il principe di Salerno, nonostante gli si fosse stato consigliato di non
impegnare un combattimento vero e proprio finché non fossero giunte le navi
Provenzali al comando del padre, non ebbe l'animo di rimanere inerte a guardare
il nemico sbarcare nella capitale.
Forse non seppe dosare le forze e per di più volle imbarcarsi anch'egli su una
delle navi, per dare più coraggio agli uomini che dovevano combattere.
Gli Aragonesi avevano fatto solo finta di sbarcare e appena videro che le forze
Angioine entravano in azione, si ritirarono verso Castellammare per attirarle
in mare aperto.
Carlo avrebbe potuto fermarsi, invece preso dalla foga, pensò che il nemico
fuggisse e imprudentemente lo seguì.
Mentre la flotta napoletana non aveva un vero capo, quella Aragonese era
comandata sempre dal prode Ruggero di Lauria, che in breve tempo ne ebbe
ragione e fece prigioniero anche il principe ereditario, che fu condotto prima
a Sorrento e poi a Messina.
Il giorno seguente la battaglia, il 6 luglio del 1284, re Carlo entrava nel
golfo di Gaeta con la flotta Provenzale composta da trentaquattro poderose
galere e quattro galeoni: entro due giorni quindi, avrebbe potuto raggiungere
Napoli.
Alla nuova dolorosa prova, per la cattura del primogenito, Carlo reagì con la
consueta forza d'animo.
Mostrò sdegno ed ira verso il figlio che aveva trasgredito i suoi ordini e che
lo avrebbe preferito morto in battaglia anziché prigioniero.
Carlo avrebbe voluto subito prendersi la sua vendetta conducendo
personalmente l'esercito, mentre una flotta composta dalle navi superstiti e da
galere che dovevano giungere da Pisa, avrebbero circondato l'isola.
Ciò non fu possibile perché nel napoletano, da Gaeta a Caserta, erano in
rivolta ed in altre città come Sorrento era sorto un partito Aragonese chiamato
anche siculo-catalano, che ostentava le sue simpatie per Ruggero di Lauria.
La rivolta minava alle basi la potenza dell'esercito e metteva Carlo in una
condizione di continua incertezza.
Sperando che una dimostrazione di indulgenza e la promessa di riabilitazione ai
ribelli potesse allentare la tensione, il re cercò di mostrarsi generoso e
magnanimo ma i risultati non furono migliori.
Con tutto ciò cercò di sbarcare in Sicilia ma fu preceduto dal solito
Ammiraglio Ruggero di Lauria, il quale approfittando che la flotta Angioina era
stata dispersa da una furiosa tempesta, con le navi traghettò uomini in
Calabria.
Carlo fu quindi costretto a ripiegare verso
Il morale dei soldati era bassissimo e lo stesso pontefice si era
disinteressato delle cose di Sicilia.
Carlo I ritenne quindi più prudente interrompere per il momento le operazioni
guerresche e rinviarle alla primavera successiva.
Alcuni cenni di vita nel
periodo Angioino Religione Economia e commercio tornare a coniare monete
auree. Si diffondono le lettere di credito e le lettere di cambio, che
permettono ai mercanti di viaggiare senza liquidi e di godere del credito dei
colleghi anche in paesi lontani. Arte e cultura |
Carlo
I l'11 novembre del 1284 riunì il parlamento a Foggia e poco dopo, il 6
gennaio del 1285, sentendosi prossimo alla morte, esausto e sfiduciato, fece
testamento designando alla sua successione il nipote Carlo Martello fino a
quando il figlio Carlo fosse rimasto prigioniero.
Al fianco del principe avrebbe dovuto esserci un Consiglio di Reggenza con a
capo Roberto D'Artois, che era stato già nominato Vicario Generale per
Durante la prigionia del principe Carlo le contee di Provenza e di Forcalquier,
del Maine e di Angiò, erano affidate al re di Francia.
Il giorno seguente, il 7 gennaio 1285, Carlo I d'Angiò morì, lasciando il suo
regno in una situazione gravissima.
Le sue spoglie, trasferite a
Napoli, furono sepolte temporaneamente in un loculo della cattedrale, mentre secondo
le disposizioni testamentarie: le sue viscere vennero interrate nella
cattedrale di Foggia ed il cuore fu inviato a Parigi nella chiesa de' Jacobin
e messo all'interno di una statua che gli era stata innalzata, sulla quale fu
incisa questa iscrizione: "le coeur du grand Roi Charles qui concuit |
L'erede al trono Carlo II detto lo Zoppo, così chiamato perché un pò claudicante, era sempre
prigioniero e si era anche temuto per la sua vita.
Il reggente Carlo Martello, suo figlio, non aveva che dodici anni ed in tutto il
regno regnava il caos più assoluto.
La Calabria e
A Napoli la ribellione sedata nel sangue non aveva avuto il crisma di un
"Vespro" ma aveva provocato l'odio del popolo per i Francesi.
La direzione dello stato ritornò allora nelle mani del papa che riuscì, come
vedremo, a salvare il salvabile.
Martino IV, che riteneva suo dovere intervenire per difendere queste terre,
dopo appena un mese dalla morte di Carlo I inviò delle truppe nel regno per
cercare di riportare alla ragione quanti fomentavano tumulti, facendo
contemporaneamente da cuscinetto fra gli Angioini e gli Aragonesi, sperando che
prima o poi il principe ereditario potesse essere liberato e riprendere
possesso del regno.
Il papa esercitò una super visione sul reggente e il Legato pretendendo che
ogni atto portasse sempre la firma congiunta dei due personaggi.
In effetti il cardinale Gerardo e Carlo Martello governarono in un clima molto
cordiale.
La morte di Martino IV, avvenuta il 29 marzo del 1285, fece temere un
cambiamento di politica verso gli Angioini, ma il defunto aveva preparato il
terreno per la successione ed il Conclave scelse come nuovo pontefice il
cardinale Giacomo Savelli, anch'egli sostenitore degli Angioini, con il nome di
Onorio IV (era nipote di Onorio III).
Lo stesso anno morì anche
Pietro III d'Aragona e secondo la sua volontà |
Poiché
gli Aragonesi non si decidevano a liberare il principe Carlo, Onorio IV nel
marzo 1286 bandì una crociata contro di loro e scomunicò Re Giacomo e la regina
Costanza, ingiungendogli di lasciare
Probabilmente questa severità aveva solo lo scopo di far liberare il futuro re
di Napoli. Infatti qualcosa cominciò a muoversi: fra l'Aragonese e il re
prigioniero intercorsero dei negoziati.
Giacomo d'Aragona chiedeva in cambio della libertà di Carlo,
Onorio IV disapprovò in pieno questo accordo fra i due sovrani e fece
continuare la crociata contro gli Aragonesi, ma questi, nonostante tutto,
continuavano ad avere la meglio sugli Angioini.
Con l'occasione alcune pattuglie si spinsero anche nel territorio pontificio e ne approfittarono per vendicare il tradimento di Frangipane, reo di aver consegnato Corradino di Svevia a Carlo I, espugnando il castello d'Astura uccidendone il castellano, che era figlio di colui che aveva tradito il principe svevo. |
Dopo la
morte di Onorio IV, avvenuta il 3 Aprile 1287, il momento sembrò favorevole per
giungere ad un accordo, chiedendo al re d'Inghilterra Eduardo I° di offrirsi
come mediatore fra le due parti.
Fu così deciso di concedere la libertà provvisoria a Carlo dietro un pagamento
di 50 mila marchi d'argento, ma per assicurarsi il mantenimento dei patti,
Giacomo d'Aragona chiese in ostaggio tre figli dell'Angioino, Carlo Martello,
Ludovico e Roberto e 60 nobili provenzali.
Si intese in questo modo dare a Carlo la possibilità di portare a termine il
progetto di pace fra re Giacomo e re Alfonso da un lato, ed il suo regno, Roma
e
L'Angioino si impegnava sul suo onore, qualora non fosse riuscito a concludere
questa pace, a riconsegnarsi nelle mani dell'Aragonese, pena la perdita della
Provenza.
Il Sacro Collegio di Roma non approvò queste trattative ed anche
Il nuovo pontefice invitò subito il re d'Inghilterra a rendersi promotore della
liberazione di Carlo d'Angiò e la clausola fu modificata scambiando gli
ostaggi: Raimondo di Berengario per Carlo Martello.
Carlo si recò prima a Parigi, poi a Genova e Firenze e quindi presso il papa a
Rieti, dove fu incoronato con il titolo di Carlo II, il 29 maggio
del 1289.
Ritornò a Napoli nel mese di luglio, senza alcuna solennità, dopo un'assenza di
ben cinque anni.
Il 5 settembre si riunì a Napoli il Parlamento Generale e fu sancito per il
giorno 8 la consegna del cingolo militare e l'elezione a cavaliere del
primogenito Carlo Martello, in seguito nominato Vicario del Regno.
Poiché Carlo II non riuscì ad ottenere la pace trattata e sperata, si presentò
alla frontiera per consegnarsi simbolicamente al re d'Aragona e siccome nessuno
lo arrestò, Carlo II dopo aver fatto mettere per iscritto che nessuno gli
contestava l'arresto, tornò indietro e denunciò il trattato.
Ritornò a Parigi per
ritrattare la pace e gli accordi con Alfonso III, questo sovrano morì, il 18
giugno 1291, e il suo trono passava a Giacomo, re di Sicilia, mentre |
Frattanto
morì anche Niccolò IV, il 4 aprile del 1292, e la sede papale rimase vacante.
La sua successione fu molto travagliata, perché fra i cardinali vi era chi
propendeva per la causa angioina e altri che avrebbero voluto un papa che nel
fare le sue scelte non fosse influenzato dagli interessi del regno di Napoli.
Per il grande antagonismo esistente fra le famiglie patrizie dei Colonna e
degli Orsini si inserì un terzo incomodo, che non parteggiava ne per i
d'Angiò' ne per gli Aragonesi ma unicamente per
Per oltre un anno, cambiando varie sedi, i cardinali non riuscirono a trovare
un accordo, allora volle intervenire in conclave Carlo II per perorare la causa
del Cardinale Matteo Rosso degli Orsini, protetto di Niccolò IV e suo buon
amico, ma Gaetani, senza mezzi preamboli gli fece capire che l'elezione del
papa non era cosa che riguardasse alcuno al di fuori del Concistoro.
Visti i scarsi risultati Carlo II nel tornare a Napoli, pensò di aggirare la situazione,
si recò sul Morrone in Abruzzo dove viveva un eremita in fama di santità. Con
astuzia il re gli fece scrivere una lettera ai cardinali in conclave perché non
s'indugiasse oltre sulla scelta del Pastore della Cristianità. Questa lettera
scritta dal dolce e ignaro vecchio, fu per i cardinali del conclave come
un lampo che squarcia le tenebre: Pietro del Morrone, oltre ad essere
universalmente rispettato, era molto avanti negli anni, dunque perché non
elevare proprio lui al soglio di Pietro, per superare il momento di
immobilismo?
Questi, candido e innocente, nel suo rifugio montano, era l'ultimo ad
immaginare che potesse accadergli una cosa del genere: tuttavia dopo lo
sgomento e la sorpresa iniziali, accettò la volontà del Signore, ponendo come
condizione di non essere incoronato nello sfarzo di Roma ma tra i suoi monti,
nella basilica di Santa Maria di Collemaggio a l'Aquila.
Alla sua incoronazione, Pietro del Morrone, prese il nome di Celestino
V e alla la prima
benedizione non mancarono re Carlo II e suo figlio Carlo Martello, che
sollecitarono l'onore di poter far da scorta al nuovo eletto e di potergli dare
ospitalità nella loro reggia a Napoli.
Il papa accettò e subito dopo l'incoronazione, il corteo che lo accompagnava
s'incamminò verso Napoli, dove il Santo Padre giunse cavalcando una mula bianca
tenuta per la cavezza dai due Angioini, l'uno a destra e l'altro a sinistra e
lo seguiva la sua corte di cardinali.
In Castel Nuovo, la reggia Angioina, al pontefice fu assegnato un appartamento
regale, ma egli, ricusando ogni onore ed ogni pompa, chiese che gli venisse
destinata una umile cella.
Nel suo castello Carlo II poteva farsi ricevere dal pontefice quanto i
cardinali, della massima parte Celestino non aveva in gran stima, egli creò
anzi nuovi porporati per avere al fianco persone da potersi fidare, ma la sua
vita diveniva giorno per giorno sempre più difficile. Tutti, sovrani e
porporati, cercavano di ingraziarselo per i loro fini e riuscirono a fargli
emanare editti dei quali, nella sua grande bontà, il vecchio non vedeva gli
scopi reconditi.
Pur nella sua grande semplicità a poco a poco comprese che in realtà l'unico di
cui potersi fidare era proprio il duro cardinale Gaetani.
Sembra che Celestino V a lui si confidasse e gli chiedesse come avrebbe potuto
fare per cedere il suo oneroso compito e ritornare alla sua vita di preghiera.
Non esisteva una legge che permettesse al pontefice di dimettersi, ma data
l'occasione se ne propose una che gli desse questa possibilità e Celestino V,
l'approvò e si dimise.
Un conclave immediatamente riunito in Castel Nuovo prescelse come suo
successore proprio il cardinale Gaetani, che si era fatto valere per la sua
personalità, che prese il nome di Bonifacio VIII. Subito dopo l'incoronazione,
Bonifacio VIII, ringraziando il re di Napoli per la sua ospitalità, gli
comunicò la sua decisione di ritrasferire il soglio pontificio a Roma.
Il 12 giugno del 1295 Carlo II si recò presso il papa ad Anagni e lì fu
conclusa la tanto sospirata pace con Giacomo d'Aragona, che il pontefice
pubblicò il 27 giugno.
Giacomo consegnava
Il papa si ritenne soddisfatto e concesse la sua amicizia a re Giacomo e alla
regina madre Costanza e a tutti i Siciliani.
Le clausole di questo trattato furono rispettate e i figli del sovrano Angioino
vennero messi in libertà, ma proprio quando sembrava che il pericolo maggiore
fosse passato morì il figlio primogenito di Carlo II, Carlo Martello, per cui
fu nominato Vicario generale del regno il terzogenito Roberto d'Angiò che prese il titolo di duca di Calabria.
I denigratori di Roberto d'Angiò hanno voluto vedere in lui l'avvelenatore di Carlo Martello e l'ispiratore della vestizione religiosa dell'altro fratello Ludovico, per assicurarsi la successione al trono. |
Il papa
ne riconobbe il diritto alla successione sul trono di Napoli e in ottemperanza
al trattato celebrò poi a Roma il suo matrimonio con Violante d'Aragona, figlia
del re Pietro e di Costanza di Svevia.
In Sicilia intanto nacque un dissidio fra Giacomo d'Aragona che ormai era
imparentato ed alleato degli angioini e suo fratello Federico d'Aragona che non
accettò la soluzione, per cui avendo dalla sua parte il Parlamento, lo riunì a
Catania e si fece riconoscere e proclamare re.
Il 25 marzo del 1296, si fece incoronare a Palermo.
Un altro avvenimento di rilievo, dopo la rottura dei due fratelli,
fu la decisione di Ruggero di Lauria di rimanere con Giacomo d'Aragona, per cui
avrebbe difeso anche gli interessi degli Angioini. Per questo Carlo II
volle nominarlo Grande Ammiraglio.
Questo valoroso condottiero in uno scontro con la flotta di Federico
presso Milazzo, mandò a picco quasi tutte le galere siciliane e poco mancò che
non fosse preso prigioniero anche Federico.
Nel 1300 Ruggero di Lauria ebbe la meglio anche in un'altra epica battaglia
navale a Ponza contro le galee genovesi e siciliane, catturando anche
l'ammiraglio genovese Corrado Doria.
Re Carlo II per queste vittorie, il 22 febbraio del 1301, concesse a
Ruggero di Lauria la città di Castellammare.
Il pontefice desiderava che il problema siciliano si risolvesse e si diede
incarico a Carlo di Valois ( soprannominato Carlo "senza Terra" in quanto
pur essendo figlio, fratello e padre di sovrani non ebbe per sé nessun trono),
fratello del re di Francia di riconquistare
Dopo le prime vittorie alle dipendenze di Roberto d'Angiò, Carlo II lo
autorizzò a trattare la pace con Federico d'Aragona.
I preliminari furono esaminati a Castronuovo il 19 agosto del 1302.
Il 29 agosto a Caltabellotta, Roberto d'Angiò, quale Vicario del Regno e
Federico d'Aragona firmarono il trattato, il quale prevedeva che alla morte di
Federico
Questa pace che sembrava decisa con tanta convinzione da ambo le parti, fu
invece incrinata poco tempo dopo da un accordo di Federico con il fratello
Giacomo per la successione in Sicilia e nella penisola iberica.
Nel 1303 furono celebrate le nozze fra Federico ed Eleonora d'Angiò, e l'anno
dopo Roberto, che era rimasto vedovo di Violante, e sua sorella Maria,
sposarono i figli di Giacomo II d'Aragona Sancio e Sancia.
Il 1303 fu anche l'anno del
famoso insulto di Anagni, dove il papa Gregorio VIII, poco prima che
pronunciasse la scomunica contro il re di Francia Filippo IV detto il bello,
fu schiaffeggiato da Sciarra Colonna che assieme a Guglielmo di Nogaret era
emissario dello stesso re. |
Nel 1304
quindi la famiglia Angioina aveva stretto saldi legami di parentela sia con gli
Aragona di Trinacria, che con quelli di Spagna (
Carlo II il 6 marzo del 1308 era in Provenza quando sentendosi malfermo di salute
volle dettare il suo testamento.
Il 26 aprile si imbarcò per tornare a Napoli. Qui dopo una breve permanenza a
Castel Nuovo, volle trasferirsi nella residenza di campagna, che si era fatta
costruire nei pressi di Poggioreale, la sua "Casanova",
forse sperando che quell'aria potesse giovare alla sua salute, ma vi morì
all'alba del 5 maggio.
Nel testamento il re ribadiva la sua volontà che gli succedesse il figlio
Roberto.
Le sue spoglie furono temporaneamente tumulate nella chiesa di San Domenico Maggiore
per essere poi traslate ad Aix in Provenza.
Roberto venne
incoronato re di Napoli e di Sicilia il 3 agosto 1310 da papa Clemente V e governò con prudenza,
giustizia e liberalità fino alla sua morte avvenuta il 20 gennaio 1343.
Sotto Roberto d'Angiò Napoli, divenuta la capitale di un regno di importanza
europea, con una ricca ed elegante corte, fu maggiormente curata ed abbellita.
Il re fece proseguire la sistemazione di Castel dell'Ovo e di Castel
Nuovo e continuò l'opera di risanamento di tutta la città dandole un assetto
molto più ordinato e simmetrico.
Con la morte di Roberto il Savio, ha inizio il regno tormentato di sua nipote Giovanna d'Angiò incoronata in Santa Chiara
il 28 agosto del 1344 .
Suo marito Andrea d'Ungheria, fratello del re d'Ungheria
Luigi, non
adattandosi a considerarsi principe consorte premeva sul papa per
ottenere la parità dei diritti
con Giovanna, dopo vari tentativi, sembrava che il pontefice, anche sotto la
minaccia del potente fratello Luigi d'Ungheria, stava per concedere quanto
richiedevano. Fu allora che i parenti di Giovanna e la sua corte, considerando Andrea un grave pericolo per i loro
interessi, decisero di ucciderlo attirandolo in un tranello.
Suo fratello Luigi il Grande, successo nel
Quest'uomo così severo e rigido innanzitutto con se stesso, non avrebbe mai
potuto perdonare le sregolatezze di sua cognata Giovanna, la cui eco non aveva
tardato a raggiungerlo, ne tanto meno poteva accettare una liquidazione
parziale degli assassini di suo fratello Andrea.
Nel frattempo la regina Giovanna, imprudentemente
decise di risposarsi con il principe Luigi di Taranto.
Nel novembre del 1347 re Luigi d'Ungheria, partì con il suo esercito alla volta
dell'Italia, nonostante le esortazioni del papa Clemente VI, che fino
all'ultimo aveva cercato di farlo desistere dal suo proposito di vendetta.
La regina Giovanna allo scopo di evitare alla capitale saccheggi e rapine ella
desiderava che non si opponesse alcuna resistenza, anzi ordinò che fossero
consegnate a Luigi le chiavi della città e lei cercò rifugio nei suoi domini
francesi, lasciando in Castel Nuovo il piccolo Carlo Martello, che aveva poco
più di due anni , nella speranza che la sua presenza potesse placare le ire
dello zio.
Luigi dopo aver fatto arrestare e giustiziare tutti quelli che si erano opposti
al suo passaggio, i suoi rozzi ungheresi si macchiarono di nefandezze
inaudite, con abusi ed angherie di ogni sorta: ruberie, incendi, saccheggi e
stupri erano all'ordine del giorno.
Il popolo ben presto diede segni di insofferenza sfidando apertamente gli
stranieri al combattimento, spronati dalle famiglie baronali. Luigi fu
costretto a dare ordine che le sue truppe non uscissero dai loro quartieri.
Mentre gli uomini si combattevano e si arrovellavano per la conquista del
potere, si abbatté sul loro capo un castigo divino che finì per risolvere
l'ingarbugliata situazione: una grave epidemia che invase quasi tutta l'Europa.
La peste, questo grande flagello rammentò all'umanità la sua pochezza e la sua
impotenza.
Luigi d'Ungheria alle prime avvisaglie dell'epidemia e forse anche temendo
l'odio del popolo e dei baroni ritornò in patria nominando suoi luogotenenti
nel regno di Napoli i fratelli Conrad e Ullrich Wolff di Wolfurt, i due
capitani che durante l'occupazione avevano spadroneggiato ed erano diventati
tristemente noti per le loro efferatezze.
La regina Giovanna e suo marito ritornarono a Napoli il 17 agosto del 1348 e
cominciarono ad organizzarsi per scacciare gli Ungheresi dai castelli, che non
fu molto difficile far capitolare. Intanto anche Luigi di Taranto premeva per
essere incoronato re.
Mentre i sovrani napoletani perdevano tempo nell'inconcludente contesa di
stabilire a quale dei due spettasse lo scettro, Luigi d'Ungheria nella
primavera del 1350, organizzava una seconda spedizione in Italia.
Essendo morta la sua prima moglie egli progettava di sposare Maria d'Angiò,
sorella di Giovanna, erede al trono, a sua volta vedova di Carlo di Durazzo,
per assicurarsi così con tutte le forme ogni diritto al trono.
Nel frattempo a Napoli avveniva un fatto gravissimo: il ratto di Maria d'Angiò
da parte del Gran Siniscalco di Provenza Ugo del Balzo, che fece violentare da
suo figlio Roberto, allo scopo di costringerla a sposarlo, per evitare che lo
facesse Luigi d'Ungheria, chiaramente per introdursi nella successione
ereditaria del regno.
Il piano riuscì parzialmente perché mentre ritornavano in Francia, furono
costretti a fare scalo a Gaeta, dove furono tutti catturati e Ugo del Balzo
ucciso personalmente da Luigi di Taranto. La sventurata Maria d'Angiò fu fatta
sbarcare a Gaeta e le fu trovata una onorevole sistemazione.
Per risollevare il prestigio dei reali napoletani si inscenò una festosa
incoronazione. Questa cerimonia avvenne nel palazzo dei principi di Taranto e l'Arcivescovo Guglielmo de
Nel 1353 ebbe luogo un avvenimento le cui conseguenze si ripercuoteranno nella storia di Napoli: il matrimonio di Luigi di Durazzo con Margherita Sanseverino, dal quale nascerà un figlio, Carlo, che divenuto adulto, deponendo proditoriamente la zia Giovanna, diverrà re di Napoli e sarà a sua volta il padre di re Ladislao e di Giovanna II. |
Luigi e Giovanna dopo qualche tentativo non riuscito di
riprendersi
La sovrana, già vedova due volte, e regina da diciotto anni, si cominciò subito a cercare un'altro marito e se lo scelse nella persona di Giacomo di Mayorca, figlio di Giacomo II, (un pronipote della regina Sancia, che lo zio Pietro IV d'Aragona aveva tenuto prigioniero dopo essersi impadronito del regno del padre, nonostante fosse suo cognato). |
Il papa diede il consenso e il nuovo sposo giunse a Napoli il 16
maggio del 1363. Anche questa volta però la scelta di Giovanna fu inopportuna e
sfortunata e questo consorte essendo reduce da una lunga prigionia, ella
credeva di trovare più malleabile e modesto, invece anche lui voleva
impossessarsi del potere ed oltretutto non era più nelle piene facoltà mentali,
per cui Giovanna lo fece segregare anche se con tutti gli agi e gli onori
possibili. Infine Giacomo di Mayorca, tolse il disturbo spontaneamente
decidendo di andare a combattere con Enrico Trastamare in Spagna.
Il pontefice si insospettì di questa partenza e mandò un altro legato, perché
cercasse di mettere pace nella famiglia reale ponendo termine a quelle liti che
la futura santa,
Brigida Gudmarsson (era figlia del principe svedese Briger), non era riuscita a comporre.
I rapporti fra il pontefice e il regno di Napoli andavano man mano migliorando
(era il tempo di Urbano V, spinto da Brigida di Svezia e soprattutto da Caterina da Siena).
Caterina di Siena ( Santa domenicana, Caterina Benincasa da Siena, che era
figlia di un modesto tintore, che riuscì ad indurre papa Gregorio XI a
riportare definitivamente nel 1377 la sede pontificia a Roma).
Poiché la questione siciliana era rimasta in sospeso, si desiderava concludere
un matrimonio tra qualche parente della sovrana e Federico III d'Aragona, e la
scelta cadde su Antonietta del Balzo, figlia di Margherita di Taranto, la
sorella di Luigi che aveva sposato Francesco del Balzo. L'arcivescovo di Napoli
negoziò un trattato definitivo e il 2 marzo del 1373 fu firmata una pace che
stabiliva che il re di Trinacria conservava
Nel febbraio del
1375 giunse la notizia che Giacomo di Mayorca era morto e la regina rimaneva
vedova per la terza volta.
Il nuovo pontefice Gregorio XI ritenne quindi che non si dovesse indugiare a
dare a Giovanna un quarto marito che potesse proteggerla e combattere per lei.
Il prescelto fu questa volta un prode
soldato di buon lignaggio: Ottone di Brunswick, un principe tedesco
cinquantenne, coetaneo della regina di Napoli. Il contratto nuziale prevedeva che il
consorte avrebbe avuto il principato di Taranto, ma era escluso dalla dignità
regale e dalle successioni al trono.
Gregorio XI nel 1377 riportò definitivamente la sede pontificia a Roma, ma il
27 marzo del 1378 morì, prima che riuscisse a preparare la sua successione.
L'elezione del nuovo papa si prevedeva molto difficile, poiché alcuni cardinali
voleva confermare
Dopo grandi discussioni il 7 aprile del 1378 fu eletto l'arcivescovo di Bari
Bartolomeo Prignano, che ascese al trono con il nome di Urbano VI.
Il 20 settembre però alcuni cardinali francesi riunitisi ad Anagni dichiararono
nulla l'elezione di Urbano VI ed elessero a loro volta un altro pontefice nella
persona del cardinale di Ginevra, che prese il nome di Clemente VII, Roberto di
Ginevra fu antipapa dal 1342 al 1394.
Politicamente Urbano
VI sosteneva
Luigi d'Ungheria, nemico di Giovanna, mentre Clemente VII, l'antipapa, era stato riconosciuto
dagli Angioini.
Dopo vari scontri di piazza per motivi religiosi il mese di aprile del 1380 il
papa scomunicò Giovanna d'Angiò per eresia paragonandola a una novella
"Atalia" per la sua atrocità (regina di Giudea che per
governare fece uccidere tutti i suoi discendenti) e novella Jezabele traboccante di
empietà (moglie di un re d'Israele molto crudele che perseguitò i
profeti).
Contemporaneamente, Urbano
VI offriva il regno di Napoli a Luigi d'Ungheria, che ormai stanco di
guerreggiare, passò la proposta al nipote Carlo di Durazzo, già considerato
erede legittimo alla corona di Napoli.
Giovanna però lo
dichiarò decaduto da tutte le sue pretese e scelse quale erede al trono Luigi
d'Angiò fratello del re di Francia Carlo V.
Carlo Durazzo per nulla impressionato dal pericolo di così potenti competitori,
era tenuto a freno perché guerreggiava contro i Veneziani nel Trevigiano e dal
fatto che sua moglie Margherita e i figlioletti Giovanna e Ladislao erano a
Napoli.
Carlo giunse a Roma l'11 novembre 1380 e il papa gli offrì formalmente la
corona di Sicilia. Intanto nel caos che si creò in quei giorni ne approfittò
Margherita di Durazzo per fuggire con i suoi figli e rifugiarsi nel castello di
Morcone un feudo dei Gaetani, conti di Fondi.
Con questa fuga Margherita diede per la prima volta prova di quella virile forza d'animo che le permetterà, alla morte del consorte, di tenere la reggenza del regno con salde mani fino alla maggiore età del figlio Ladislao. |
Intanto a Roma il 2 giugno del 1381 Carlo di Durazzo
con una solenne cerimonia viene incoronato da Urbano VI re di Sicilia e di
Gerusalemme.
Dopo questa incoronazione in attesa del nuovo re, la città di Napoli si era
trasformata in un campo di battaglia, dal quale non si riconosceva l'amico dal
nemico.
Ottone combatteva da gran guerriero ma alla fine venne sconfitto e fatto
prigioniero e Carlo assicurando Giovanna che non avrebbe corso nessun
pericolo entrò in Castel Nuovo e con un sotterfugio riuscì a farla trasferire
nel Castel dell'Ovo dove venne imprigionata e successivamente trasferita nel
castello di Nocera e quindi nel castello di Muro di Lucania, dove l'attendeva
una ben più dura prigionia.
Quando poi si seppe che Luigi d'Angiò stava armando un esercito per venire a
prendere possesso di quel regno che gli spettava quale figlio adottivo di
Giovanna, sembra che Carlo chiedesse consiglio a Luigi d'Ungheria sul modo di
comportarsi con la regina e questi gli consigliasse di eliminarla.
Il 27 luglio del 1382, mentre Luigi d'Angiò varcava le Alpi con un esercito di
60.000 uomini, Carlo III di Durazzo gli comunicò ufficialmente la morte di Giovanna I di Napoli, ed affinché nessuno potesse dubitarne,
il suo corpo fu portato a Napoli ed esposto in Santa Chiara.
Carlo III con alterne fortune riuscì a mantenere il suo regno, anche
grazie alla pestilenza che aveva decimato l'esercito di Luigi d'Angiò e alle
successive diserzioni per mancanza di denaro.
Luigi d'Angiò morì a Bari il 20 settembre 1384 e lasciò in Provenza un figlio
di appena sette anni, che fu proclamato re con il nome di Luigi II.
Nel luglio del 1385 Carlo III di Durazzo aveva avuto l'offerta dall'Ungheria di
impossessarsi di quel trono, che alla morte di re Luigi era passato ad una sua
figlia. Nonostante gli fosse stato sconsigliato lui volle partire e impose alla
regina Maria di cedergli il regno.
Il 27 febbraio 1386
Carlo III di Durazzo moriva nel castello di Wisegrad in seguito ad un colpo di spada inferto
dalla vedova di re Luigi e sua figlia, che lo avevano attirato in un tranello.
I suoi partigiani che erano a Buda vennero tutti trucidati e il regno fu
ripreso dalla regina spodestata.
A Napoli la regina Margherita cercò di tenere nascosta la notizia il più a
lungo possibile per potersi organizzare contro i suoi numerosi nemici, fra cui
il papa da cui era stata scomunicata.
L'erede Ladislao aveva appena nove anni per cui la
reggenza toccava ancora alla madre che si destreggiò con grande coraggio fra
papi e antipapa e pretendenti Angioini, che avevano anche loro il proprio erede
in Luigi II d'Angiò.
Nel 1389 fece concludere un matrimonio d'interesse fra il figlio dodicenne e
l'ereditiera siciliana Costanza di Chiaromonte, figlia dell'ammiraglio
Manfredi, vicario di Sicilia, uomo molto influente e ricchissimo.
Il 2 novembre del 1389 fu eletto pontefice il napoletano Pietro Tomacelli, che
prese il nome di Bonifacio IX, appartenente ad una nobile famiglia amica dei
Durazzo, il quale proclamò immediatamente Ladislao di Durazzo re di Sicilia e di Napoli e tutti i cardinali approvarono il suo
operato.
Dopo poco tempo tolse anche la scomunica a tutta la famiglia reale.
L'incoronazione di Ladislao avvenne in occasione del suo matrimonio con
Costanza di Chiaromonte.
Intanto i d'Angiò di Luigi II che erano abbastanza numerosi a Napoli si
organizzavano a loro volta e si preparavano allo scontro.
Nel luglio del 1393 il giovane re aveva raggiunto i sedici anni, la regina
Margherita si ritirò e Ladislao rimase arbitro del suo destino.
Nel settembre del 1394 moriva Clemente VII, ma l'antipapa che lo sostituì, lo
spagnolo Benedetto XIII (Pedro de Luna di nobile famiglia aragonese) parteggiava
anche lui per Luigi II d'Angiò ma con minor impegno di Clemente VII.
Ladislao capì che per poter governare doveva farsi molti amici e cominciò a
guadagnarsi simpatie popolari riconfermando antichi privilegi fiscali e seppe
scegliersi validi e fidati funzionari in tutte le provincie.
Luigi II travolto dagli eventi fu costretto a firmare la capitolazione a Napoli
il 10 luglio 1399 e dovete rientrare in patria.
Ladislao riportò all'obbedienza del pontefice tutti i territori che ancora
issavano lo stendardo dell'antipapa Benedetto III.
Nell'autunno del 1404 morirono la regina e il papa Bonifacio IX, che tanto
aveva aiutato il giovane Ladislao.
Cominciarono nuove avversità si ribellò Raimondo Orsini principe di Taranto e
Luigi II con l'aiuto di Firenze riprovava a riprendersi il regno assoldando le
compagnie di ventura di due prodi guerrieri: Braccio da Montone e Muzio
Attendolo Sforza e nel settembre del 1410 occupò Roma.
Ladislao fu colto alla sprovvista e così fra un antipapa che incoronava Luigi
II e un papa legittimo che sosteneva Ladislao vi furono frequenti inversioni di
fronti anche da parte dei capitani di ventura che passavano allegramente da un
campo all'altro.
Nel 1411 Ladislao sconfisse definitivamente a Roccasecca Luigi II e firmò la
pace con l'antipapa Giovanni XXIII riconoscendolo, in cambio ottenne anche il
suo riconoscimento per se e la sua famiglia del suo diritto sul trono di
Napoli.
Ladislao, dopo aver
combattuto in Italia centrale si ammalò gravemente, il 4 Agosto del 1411
ritornò a Napoli dove morì in Castel Nuovo.
Ladislao non aveva avuto figli, fu quindi acclamata regina per acclamazione del popolo la sorella
Giovanna. La fiera
consorte del re, Maria d'Enghien, che poteva opporsi alla successione, fu
segregata in Castel dell'Ovo e poi confinata nella contea di Lecce dove morì
nel 1446.
La regina Giovanna di Durazzo aveva 43 anni quando salì al trono e non
aveva nessuna pratica di governo.
Vedova di Giovanni d'Austria da cui non aveva avuto figli, non si era
risposata.
Per riorganizzare l'esercito che dopo la morte di Ladislao si era sbandato, si
rivolse a un guerriero di mestiere: Muzio Attendolo Sforza (nato a Cotignola in provincia di
Ravenna, legò parte della sua vita al regno di Napoli, a cui rimase fedele fino
alla morte).
Giovanna fu invitata a prendersi marito nella speranza di dare un erede al
trono e la scelta cadde sul francese Giacomo II di Borbone, conte della Marca, che avrebbe dovuto accontentarsi del
titolo di vicario generale del regno e duca di Calabria.
Dopo alterne vicende in cui Giacomo tento di impossessarsi della corona,
fu praticamente isolato e tenuto quasi prigioniero in Castel Nuovo. Un nuovo e
potente amante era entrato nel cuore di Giovanna II: Giovanni Caracciolo, chiamato comunemente
"Sergianni", sposo di Caterina Filangieri, figlia del conte di
Avellino. Valoroso guerriero ai tempi di Ladislao.
Giacomo della Marca,
stanco di essere considerato lo zimbello di corte decise di ritornare in
Francia e qui indossò il saio francescano.
Il papa Martino V, avendo appreso che la regina Giovanna
tramava contro le volontà della chiesa la scomunicò e in valore del suo diritto
sul regno di Napoli, decretò che esso passasse a Luigi III d'Angiò, figlio di Luigi II.
Nel 1420 anche Muzio Attendolo Sforza passò dalla parte degli Angioini, creando
numerose defezioni fra i baroni nel regno.
In questo periodo, dalla parte della regina Giovanna, cominciò a mettersi in
vista un altro nobile napoletano Antonio Carafa, soprannominato Malizia per la sua abilità in diplomazia.
Egli si recò presso il re d'Aragona per chiedere un suo aiuto contro Luigi III,
facendogli intravedere che se la risposta fosse stata positiva la regina di
Napoli avrebbe potuto designarlo erede al trono.
Quindi mentre Luigi III d'Angiò aiutato dai Genovesi sbarca sul
lido della Maddalena, il 6 settembre del 1420 arriva a Napoli dalla Sicilia un luogotenente di Alfonso V, Ramon
Perilos a capo di una
imponente flotta. Gli furono affidati immediatamente Castel Nuovo e Castel
dell'Ovo e il popolo sofferente per le continue lotte interne giurò fedeltà ed
obbedienza alla regina e al suo figlio adottivo Alfonso d'Aragona, mentre Luigi III d'Angiò e Muzio
Attendolo Sforza furono costretti a retrocedere ad Aversa.
Secondo le direttive di Alfonso d'Aragona il governo napoletano si accordò con Braccio da Montone dandogli l'Aquila e Capua perché
prendesse le difese di Napoli contro lo Sforza.
Braccio da Montone partito da Perugia giunse a due miglia da Napoli per
attendere l'arrivo di Alfonso V. Nella primavera del 1421 decise di attaccare e
dopo aver sbaragliato le truppe dello Sforza, il 7 giugno dello stesso anno
entrò trionfalmente a Napoli. Per questa vittoria fu ricompensato con il
possesso di Castellammare e di Scafati.
A Napoli Braccio da Montone
scortò il giovane re spagnolo Alfonso d'Aragona, il quale dopo essere stato
ricevuto con tutti gli onori dai deputati del popolo si recò a Castel Nuovo
dove era atteso dalla regina.
Qui fu trascritto l'atto di adozione che gli assicurava la successione al
trono.
La guerra fra angioini e aragonesi ebbe una tregua su proposta di Firenze e del
papa, durante la quale vi fu un avvicinamento tra i due condottieri (Braccio da
Montone e Muzio Attendolo Sforza), Braccio da Montone riuscì a convincere Muzio
Attendolo Sforza a rimettersi agli ordini di Giovanna II, tanto più che la
posizione degli Angioini era divenuta piuttosto precaria.
Lo Sforza fu nominato nuovamente Gran Conestabile, mentre Braccio da Montone
ebbe il governo degli Abruzzi.
L'alleanza fra Giovanna II e Alfonso V d'Aragona nel 1422 andò in crisi a
causa delle pretese di Sergianni Caracciolo che non voleva rinunziare a
spadroneggiare. L'aragonese a sua volta deciso a non sopportare che gli si
mettessero bastoni fra le ruote, convocò a Castel Nuovo il favorito della regina
e lo fece dichiarare in arresto, subito dopo si recò a Castel Capuano per
arrestare anche Giovanna, ma questa informata dell'intenzione del figlio
adottivo riuscì a non farlo entrare nel castello: il popolo venuto a conoscenza
di queste manovre, insorse contro Alfonso ed il suo seguito e fu costretto a
rinchiudersi in Castel Nuovo.
Muzio Attendolo Sforza, riuscito ad entrare in Castel Capuano prese sotto la
sua protezione la regina e la scortò ad Aversa. I Catalani impossessatisi anche
di Castel Capuano rimasero padroni della città.
Sergianni riuscì ad ottenere la libertà in cambio di venti nobili
spagnoli prigionieri dello Sforza e indusse la regina a revocare
l'adozione, che rendeva Alfonso V erede al trono, e la convinse a cercare un
accordo con Luigi III d'Angiò.
Giovanna di Durazzo quindi il 14 settembre del 1423 adottò l'angioino e il
nuovo erede prese stanza nel castello di Aversa.
Alfonso V, non si fece impressionare e riprese contatto con Braccio di Montone,
invitandolo a venire in suo aiuto, mentre i suoi cavalieri si univano ai fanti
del condottiero napoletano Jacopo Caldora.
Lo Sforza con il figlio Francesco invece cercarono di avvicinarsi a Napoli
sfruttando il fatto che Alfonso V dovette ripartire per
A Napoli rimase come luogotenente di Alfonso V, il fratello Pietro,
con l'appoggio del Coldora.
Si preparavano grandi scontri, ancora una volta i due famosi condottieri
(Braccio da Montone e Sforza), si ritrovarono in campo avverso.
Si era nel 1424 e il 4 gennaio morì Muzio Attendolo Sforza, annegato
nell'attraversare un ruscello. Che venne subito sostituito da suo figlio
Francesco.
Il 5 giugno 1424 morì anche Braccio da Montone, in seguito ad una ferita subita
in battaglia in Abruzzo.
Il giovane Sforza riuscì a far rientrare la regina a Napoli e l'infante Pietro
d'Aragona decise di tornarsene in Sicilia.
Dopo la partenza di Alfonso V, Sergianni riuscì a mettere le cose in modo da
avere il governo completamente nelle sue mani, barcamenandosi fra l'uno e
l'altro dei pretendenti. Si fece concedere il ducato di Venosa e la città di
Capua e concluse vantaggiosi matrimoni per i suoi figli dando una sua figliola
in moglie ad un figlio di Jacopo Caldora (diventato nel frattempo Capitano
Generale dell'esercito napoletano), ed un'altra al fratello del principe di
Taranto, che era stato uno dei fautori di Alfonso d'Aragona.
Nel
Il nuovo pontefice fece subito capire di non approvare i maneggi del favorito
della regina.
L'ostilità di Eugenio IV verso Sergianni fece prendere coraggio ad un gruppo di
cortigiani, ( la duchessa di Sessa, Covella Ruffo, Ottino Caracciolo, il
giureconsulto Marino Boffa e i fratelli Mormile) che già da tempo cercavano
un'occasione per potersi liberare di lui, poiché anche la stessa regina era
stanca dei ricatti e delle angherie a cui la sottoponeva il suo amico.
Durante i festeggiamenti per il matrimonio del suo unico figlio maschio,
Trojano, con una figlia del Caldora, per rinforzare la sua posizione, i
congiurati entrarono in azione.
La notte del 19 agosto del 1432, bussarono alla porta dell'appartamento di
Sergianni in Castel Capuano, comunicandogli di accorrere perché la sovrana
stava morendo. Appena fuori fu immediatamente assassinato a colpi di spada.
Questo assassinio, anche se non ebbe il benestare preventivo della regina, ebbe
senz'altro la sua approvazione. I congiurati non furono puniti ed anzi furono
confiscati agli eredi i feudi che la regina aveva donato a Sergianni e fu
persino istruito un processo di lesa maestà alla sua memoria che terminò con la
condanna a morte per tradimento. La vedova di Sergianni, Caterina Filangieri, ebbe
un indennizzo per la confisca dei feudi.
Dopo la morte del Gran Siniscalco, la duchessa di Sessa divenne arbitra dei
destini del regno, per la grande influenza che aveva sulla debole e inetta
regina Giovanna. Ella convinse Giovanna a lasciare Luigi III d'Angiò in
Calabria anzichè chiamarlo nella capitale.
Ma quando, dopo qualche tempo, la regina cambiò ancora la designazione
dell'erede, revocando Luigi III a favore di Alfonso V d'Aragona, poiché questo
sconvolgeva i suoi interessi, la spinse nuovamente a revocare l'Aragonese a
favore di Luigi d'Angiò.
Nel mese di novembre del 1434 Luigi III
d'Angiò era ancora in Calabria ed era in procinto di sposare Margherita
di Savoia, quando inaspettatamente morì.
Nel febbraio del 1435 morì anche Giovanna di Durazzo,
dopo aver mutato per l'ennesima volta il suo testamento, riconoscendo come erede il fratello di Luigi, Renato d'Angiò.
La morte della regina Giovanna lasciava il regno nella più completa anarchia,
conteso fra il pretendente angioino e quello aragonese.
Renato d'Angiò, quando morì Giovanna, aveva
soltanto 26 anni e si trovava nelle prigioni del duca di Borgogna, per un
fallito tentativo di impossessarsi di quel ducato, avendo sposato
Isabella, la figlia del duca di Lorena.
In attesa di chiarire la situazione il regno venne governato provvisoriamente
da un consiglio composto da 18 rappresentanti 10 nobili e otto del popolo, che
durò molto poco per gli opposti interessi dei componenti il consiglio, per
cui nobili presero contatti con gli aragonesi e quelli del popolo con
Isabella di Lorena, invitandola a prendere la reggenza in attesa della
liberazione di Renato d'Angiò.
Isabella di Lorena giunse a Gaeta
nell'ottobre del 1435 e di lì proseguì per Napoli, accolta trionfalmente il 25
ottobre 1435.
Prese residenza in Castel Capuano e ricevette il giuramento di fedeltà.
La reggenza di Isabella durò dall'ottobre 1435 al maggio 1438.
Il 4 ottobre del 1437 i nobili napoletani giurarono fedeltà a Renato d'Angiò,
finalmente liberato dietro il pagamento di un pesante riscatto.
Il re sbarco a Napoli al ponte della Maddalena e si diresse a Castel Capuano,
rimandando al 22 maggio del 1438, giorno dell'Ascensione, il suo ingresso
trionfale nella capitale.
Il suo regno fu molto breve dal maggio 1438 al giugno 1442, ma il giovane
sovrano riuscì a conquistarsi subito le simpatie dei suoi sudditi.
Intanto Alfonso d'Aragona si avvicinava a Napoli, dopo aver conquistata Caserta
e riconquistata Scafati, guerreggiando in tutto il regno con gli Angioini con
alterne fortune.
Renato d'Angiò, sempre oberato di debiti, non riusciva più a mantenere le
truppe dei condottieri: Francesco Sforza andò a combattere in Lombardia e
inutilmente Renato tentò di ricevere il suo aiuto dopo un ennesimo assedio da
parte di Alfonso V, che intanto era riuscito ad accaparrarsi i servigi di
Niccolò Piccinini, rivale dello Sforza.
La mattina del 2 giugno del 1442 le truppe aragonesi riuscirono ad entrare in
città. Renato dopo aver tentato un'ultima difesa della città si trincerò in
Castel Nuovo con pochi uomini che gli erano rimasti fedeli. Ottenne poi una
tregua di 10 giorni, col patto che allo scadere avrebbe consegnato anche gli
altri castelli.
I napoletani stremati dall'assedio e dalla carestia non opposero resistenza ed
attesero passivamente i nuovi dominatori.
Il 4 giugno 1442 Alfonso V d'Aragona ricevette l'omaggio dei sudditi in
cattedrale e poi prese possesso di Castel Nuovo, che Renato aveva affidato ad
un genovese, con l'autorizzazione di cederlo al nemico.
Fine del regno Angioino di Napoli