DINASTIA ANGIOINA DEL REGNO DI NAPOLI (1265/1441)

Il papa Clemente IV, il francese Gui Foulques, per sbarazzarsi deiCarloI_small.gif (6396 byte) discendenti di Federico II, diede in feudo il Regno di Sicilia a Carlo D'Angiò, fratello del re di Francia Luigi IX (il Santo).
Carlo D'Angiò venuto in Italia, con un forte esercito, sconfisse e uccise  prima Manfredi, figlio naturale di Federico II, a Benevento e successivamente fece decapitare suo nipote Corradino, dopo averlo sconfitto nella battaglia di Tagliacozzo.
Carlo, dopo essere stato incoronato, nella basilica Vaticana, il 6 gennaio 1266, sovrano "dell'una e dell'altra Sicilia", prese possesso del regno, stabilendo a Napoli la capitale.
Essendo l'Angioino il sovrano prescelto dal papa, Napoli, sempre fedele alla Chiesa, si disponeva ad accoglierlo con tutti gli onori.
Prima di entrare in città , si formò un corteo , aperto dal clero con la Croce, mentre quattro nobili reggevano le redini del cavallo dell'Angioino: seguivano la regina Beatrice e tutto il seguito.
I reali dopo essersi inginocchiati davanti alle reliquie dei santi patroni e ringraziare il Signore, presero dimora nel Castel Capuano.
Carlo D'Angiò, rimasto vedovo, si risposò con Margherita di Borgogna, figlia del conte di Nevers e di Tonnerre Eudes.
Dalla sua prima moglie Beatrice di Provenza, aveva avuto sette figli: Ludovico, nato a Cipro e morto dopo pochi giorni; il futuro Carlo II, che nel 1271 fu nominato dal padre suo luogotenente per la parte continentale del regno; Filippo, che fu uno dei suoi preferiti, ma morì giovanissimo a Trani nel 1277; Roberto, che non si sa molto;  Bianca, che sposò Roberto di Fiandra; Beatrice, che andò sposa a Filippo de Courtenay, figlio primogenito di  Baldovino II, imperatore di Costantinopoli ed Elisabetta, nata nel 1270, che fu data per moglie a Ladislao, figlio primogenito di re Stefano d'Ungheria.
Carlo pur dimostrando molta devozione al papa, era un uomo molto ambizioso e con i matrimoni dei  suoi figli cercò parentele che potessero servire ad accrescere i suoi domini e la sua potenza.
I primi quindici anni di regno angioino furono contrassegnati da una incessante   lotta contro i ghibellini italiani e da una politica dinastica rivolta verso l'Oriente.
Inviò truppe in Albania e assunse il titolo di re d'Albania, partecipò ad una disastrosa Crociata nel 1270, ma riuscì a trarne vantaggi e si fece convalidare il titolo di re di Gerusalemme da papa Giovanni XXI (il portoghese Pietro di Giuliano), che favorì la sua espansione in Oriente. 

Castel Nuovo o Maschio Angioino

Carlo I al suo arrivo a Napoli si stabilì in Castel Capuano, quando ebbe dato un certo assestamento al suo regno, egli desiderò una reggia più comoda e più degna del suo rango.   A quei tempi una reggia non poteva che essere un castello e il re decise di castelnuovo_small.gif (9160 byte)farlo costruire vicino al mare, non troppo distante dalla città, in modo da assicurare   buone possibilità di difesa nell'evenienza di uno sbarco o di permettere una fuga nel caso il pericolo fosse venuto dalla terra ferma.
La costruzione dello "chateau neuf", come era chiamato,  fu realizzata in 56 mesi e non s'interruppe neanche durante la guerra dei Vespri Siciliani.

 

 

Vita quotidiana

Nei castelli dei nobili continua la civiltà di corte, con feste per celebrare vestizioni di cavalieri, nozze o vittorie. Una festa dura parecchi giorni e vi si svolgono tornei, banchetti e sfilate. La notizia che in una certa corte si terrà una festa fa accorrere al castello saltimbanchi, attori, menestrelli e trovatori da tutta Italia, che vengono alloggiati e mantenuti dal padrone di casa per la durata dei festeggiamenti. Nelle corti più importanti il tono della festa viene dato dai poeti, imbevuti dei valori di cortesia appresi dalla letteratura provenzale. I pregi dell'uomo cortese sono la saggezza, l'equilibrio, la generosità il senso della misura, l'amore dei piaceri della vita, tutte le cose che trovano il modo di dispiegarsi nella fin'amor, il servizio che il cavaliere presta alla dama amata.
Si tratta di un'etica laica, che si congiunge armoniosamente con la morale insegnata dalla Chiesa e si diffonde anche negli strati superiori della borghesia cittadina, ormai equiparata socialmente ai nobili.

Al vertice della famiglia sta il pater familias, da cui dipendono anche le scelte matrimoniali dei membri. Si tratta di veri e propri contratti, spesso conclusi con l'aiuto di mediatori. Anche se il diritto canonico vieta di sposare persone al di sotto del quarto grado di parentela, i ceti superiori manifestano una certa propensione di contrarre matrimonio esclusivamente all'interno del proprio gruppo sociale.
Mentre nell'alto medioevo il marito dona alla moglie una parte dei suoi beni (un terzo o un quarto) prima delle nozze, nel Duecento queste donazioni lasciano il posto alla dote, che la sposa riceve dal padre e che le garantisce il sostentamento qualora il marito muoia.
Le case vengono ormai costruite in pietra. Le abitazioni dei mercanti sono abbellite con mobili, tappezzerie e stoffe pregiate e vi si diffonde l'illuminazione interna, fino a quel momento prerogativa delle chiese e delle dimore dei potenti.
Accanto a utensili in legno o terracotta compaiono recipienti in metallo.
La conquista dei mercati orientali porta sulle tavole europee più ricche, cibi con condimenti raffinati a base di spezie pregiate.
Il lusso smodato delle vesti viene condannato dalla Chiesa e dalle istituzioni civili. Risalgono a questo periodo le prime attestazioni di "feste popolari" durante le quali saltimbanchi e musici si esibiscono in pubblico.

Nel 1282 Carlo I si accordò con Venezia per far partire truppe terrestri verso l'impero greco.
Pochi giorni dopo però iniziarono a Palermo quei moti che furono chiamati "Vespri Siciliani" che costrinsero l'Angioino a dirottare il suo esercito verso la Sicilia, facendo crollare tutti i suoi piani di conquista.
Nel regno di Sicilia il governo oppressivo di Carlo D'Angiò provoca lo scontento della popolazione, anche per la forte pressione fiscale, che vede esentati i nobili i provenzali e gli ecclesiastici.
Inoltre i Siciliani non perdonano al re di aver trasferito la capitale da Palermo a Napoli.
Le opposizioni interne ed esterne contro Carlo D'Angiò sono all'origine della guerra dei Vespri Siciliani (1282-1302), che prende il nome dell'insurrezione scoppiata a Palermo all'ora del Vespro della Pasqua, forse per l'affronto fatto da alcuni soldati francesi a donne del luogo, ma la ribellione era nell'aria e ne approfittarono i seguaci di   Giovanni da Procida, un docente della scuola medica salernitana che era stato Gran Cancelliere del regno Svevo e medico personale di Federico II, sostenuto ed incoraggiato da Pietro III d'Aragona (marito di Costanza di Svevia figlia di Manfredi), che subito dopo l'ascesa al trono nel 1276 dimostrò l'intenzione di scacciare gli Angioini dalla Sicilia.
Uomo di talento e di grande coraggio Giovanni da Procida (Signore dell'isola di Procida era nato a Salerno nel 1210) impiegò circa sei anni per preparare diplomaticamente nel più grande segreto questo colpo di stato, o per lo meno volle attendere pazientemente che maturasse il momento giusto.
Pietro III d'Aragona con la scusa di voler preparare una crociata, nonostante le minacce del papa e di re Filippo di Francia, sbarcò a Trapani dove fu accolto a braccia aperte dalla popolazione, già preparata da tempo a questa evenienza.
Fu quindi riunito il parlamento che lo acclamò re di Sicilia.
Intanto, sia nelle terre del regno che in quelle del papato, continuavano le ribellioni, nonostante  la scomunica di tutti i nemici di Carlo I, da parte di Papa Martino IV.
Carlo d'Angiò, nel tentativo di uscire da questa precaria situazione, giunse ad una proposta, più politica che reale: i due sovrani si sarebbero sfidati a duello, affidando le proprie ragioni al giudizio divino.
Il duello doveva avvenire a Bordeaux in presenza del re d'Inghilterra ma il papa, come era ovvio, non approvò lo scontro, per cui tutti questi preparativi sembrarono una messa in scena magistralmente architettata nella speranza di stringere un trattato di pace con gli Aragona con la benedizione del papa, senza perdere molto prestigio.
A questo scopo, Carlo I, nominò Vicario del regno suo figlio primogenito Carlo, Principe di Salerno  che insieme al Legato Pontificio ( Cardinale Gerardo),  dovevano concordare la proposta.
Il tentativo non andò a buon fine e dopo il finto duello (gli antagonisti fecero in modo di non trovarsi nello stesso tempo sul terreno, così da poter stendere un processo verbale di mancanza della parte avversa), le ostilità  continuavano e l'Aragonese ora spadroneggiava in tutto il regno e minacciava da vicino anche Napoli, ma siccome cominciavano disordini anche a Palermo, Pietro III d'Aragona rientrò in Sicilia.
Riunì il parlamento e dichiarò erede dell'isola il suo secondogenito Giacomo, dando così al popolo siciliano l'assicurazione che doveva considerarsi indipendente dai domini spagnoli, che sarebbero andati al primogenito Alfonso.
Dopo aver così tranquillizzati  i siciliani se ne tornò in Catalogna, lasciando in Sicilia la moglie Costanza (la figlia di Manfredi poté così riprendersi indirettamente quello che già era suo) con alcuni fedeli ammiragli e funzionari ed assegnò  la Cancelleria a Giovanni da Procida (come abbiamo visto, anche lui fedele ai discendenti Svevi).
Le flotte Aragonesi ed Angioine continuarono a fronteggiarsi nelle acque del mediterraneo e in una battaglia nei pressi di Malta, l'Ammiraglio del re d'Aragona, Ruggero di Lauria distrusse quella Angioina e sulla spinta di questa vittoria riconquistò la Calabria ed occupò le isole di Capri e Ischia, lasciandovi dei presidi.
Questa vittoria fu un'altro duro colpo per il sovrano angioino e l'occupazione delle due isole del golfo destava molta preoccupazione.

Gli stemmi dei sette Sedili o Seggi di Napoli

Si deve a Carlo I nel 1268 la divisione della città in Seggi o Sedili, dove per la prima volta era rappresentato anche il Popolo.
I seggi erano sette, sei dei nobili: Capuana, Montagna, Nido, Porto, Portanova e Forcella e l'altro del Popolo. Essi
sedili5_small.gif (13697 byte)  avevano attribuzioni giuridiche e amministrative.
I Sedili erano una specie di parlamento dei nobili e del popolo, nei quali  vi si riunivano tutti quelli eletti del proprio rione, situati di solito presso le porte della città. Con gli Angioini, solo i nobili avevano anche il compito di salvaguardare sia le porte che le torri che fiancheggiavano i propri Sedili.
Inutile dire che il Seggio del popolo fu sempre avversato dai nobili e durante il dominio Aragonese fu eliminato con la distruzione materiale del seggio, per essere ricostruito da Carlo VIII, che invitò i nobili a governare la città in collaborazione con il popolo: per un brevissimo periodo, con l'ultimo re aragonese, il popolo ebbe gli stessi diritti della nobiltà.
I Sedili napoletani, dopo una lunga e gloriosa vita, con un editto del 1800 furono incamerati da  Ferdinando IV per vendicarsi della
rivoluzione del 1799: durarono circa sei secoli.

Il papa continuava a proteggere il sovrano Angioino e il 21 marzo 1283 dichiarò decaduto dai suoi domini il re Aragonese.
Re Carlo aveva l'appoggio di Filippo III di Francia. Re Filippo però, seguendo il consiglio dei vecchi consiglieri di Luigi IX, non mandava aiuti, mentre accettava i regni di Aragona e di Valenza, offertigli all'assemblea di Parigi per il suo secondogenito Carlo Valois.
Carlo e i suoi alleati, proclamarono una crociata contro Pietro III, il quale si trovò a dover predisporre contemporaneamente la difesa della Sicilia e del suo paese.
Infatti dalla Provenza erano giunte nuove forze, alle quali si erano aggregate quelle che il principe ereditario era riuscito a radunare nell'Italia meridionale e si aspettava una poderosa flotta proveniente dalla Francia, per sferrare un attacco decisivo alla Sicilia.
L'Aragonese, ben consigliato, decise di anticiparli e con Ruggero di Lauria si portò con la sua flotta davanti al golfo di Napoli, dove aveva la possibilità di appoggiarsi alle isole.
Il 5 giugno del 1284 Ruggero di Lauria cercò di sbarcare a Nisida e verso capo di Posillipo.
Il principe di Salerno, nonostante gli si fosse stato consigliato di non impegnare un combattimento vero e proprio finché non fossero giunte le navi Provenzali al comando del padre, non ebbe l'animo di rimanere inerte a guardare il nemico sbarcare nella capitale.
Forse non seppe dosare le forze e per di più volle imbarcarsi anch'egli su una delle navi, per dare più coraggio agli uomini che dovevano combattere.
Gli Aragonesi avevano fatto solo finta di sbarcare e appena videro che le forze Angioine entravano in azione, si ritirarono verso Castellammare per attirarle in mare aperto.
Carlo avrebbe potuto fermarsi, invece preso dalla foga, pensò che il nemico fuggisse e imprudentemente lo seguì.
Mentre la flotta napoletana non aveva un vero capo, quella Aragonese era comandata sempre dal prode Ruggero di Lauria, che in breve tempo ne ebbe ragione e fece prigioniero anche il principe ereditario, che fu condotto prima a Sorrento e poi a Messina.
Il giorno seguente la battaglia, il 6 luglio del 1284, re Carlo entrava nel golfo di Gaeta con la flotta Provenzale composta da trentaquattro poderose galere e quattro galeoni: entro due giorni quindi, avrebbe potuto raggiungere Napoli.
Alla nuova dolorosa prova, per la cattura del primogenito, Carlo reagì con la consueta forza d'animo.
Mostrò sdegno ed ira verso il figlio che aveva trasgredito i suoi ordini e che lo avrebbe preferito morto in battaglia anziché prigioniero.
Carlo avrebbe voluto subito  prendersi la sua vendetta conducendo personalmente l'esercito, mentre una flotta composta dalle navi superstiti e da galere che dovevano giungere da Pisa, avrebbero circondato l'isola.
Ciò non fu possibile perché nel napoletano, da Gaeta a Caserta, erano in rivolta ed in altre città come Sorrento era sorto un partito Aragonese chiamato anche siculo-catalano, che ostentava le sue simpatie per Ruggero di Lauria.
La rivolta minava alle basi la potenza dell'esercito e metteva Carlo in una condizione di continua incertezza.
Sperando che una dimostrazione di indulgenza e la promessa di riabilitazione ai ribelli potesse allentare la tensione, il re cercò di mostrarsi generoso e magnanimo ma i risultati non furono migliori.
Con tutto ciò cercò di sbarcare in Sicilia ma fu preceduto dal solito Ammiraglio Ruggero di Lauria, il quale approfittando che la flotta Angioina era stata dispersa da una furiosa tempesta, con le navi traghettò uomini in Calabria.
Carlo fu quindi costretto a ripiegare verso la Puglia, accasciato dal dolore e dalle preoccupazioni.
Il morale dei soldati era bassissimo e lo stesso pontefice si era disinteressato delle cose di Sicilia.
Carlo I ritenne quindi più prudente interrompere per il momento le operazioni guerresche e rinviarle alla primavera successiva.

Alcuni cenni di vita nel periodo Angioino

Religione
Al secondo concilio di Lione (1274) viene regolamentata l'elezione del papa, che dovrà avvenire nel conclave. Gli Ordini Mendicanti assumono una struttura centralizzata e divengono uno strumento formidabile nelle mani del papato, che se ne serve per penetrare profondamente nelle coscienze con la predicazione e la confessione. Sfocia nell'eresia il movimento degli apostolici, guidato da Gerardo Segarelli di Parma, che nel 1260 fonda una confraternita penitenziale e predica contro la Chiesa troppo ricca e dedita alla politica. Le autorità ecclesiastiche reagiscono bruciando come eretico il Segarelli nel 1300. Ciò nonostante il suo successore fra' Dolcino di Novara, recluta migliaia di seguaci, ma viene giustiziato insieme a 140 fratelli apostolici nel 1307.

Economia e commercio
Il sistema monetario viene modificato in diversi regni e città viene coniata una nuova moneta d'argento, ad alto contenuto di metallo prezioso, detta "grosso", largamente utilizzata dai mercanti su tutte le piazze. La crisi della moneta aurea per eccellenza, quella bizantina (bisante), impone ai sovrani e alle città europee di

tornare a coniare monete auree. Si diffondono le lettere di credito e le lettere di cambio, che permettono ai mercanti di viaggiare senza liquidi e di godere del credito dei colleghi anche in paesi lontani.

Arte e cultura
In Italia si diffonde il gotico in prevalenza nelle città di Firenze, Perugia e Siena. Gli Ordini dei Mendicanti costruiscono nelle principali città le loro imponenti chiese : S.Maria Novella e S.Croce a Firenze e riedificate le chiese cattedrali. Ad Assisi viene costruita la chiesa di S.Chiara (1265) ed è ancora attivo il cantiere della basilica di S.Francesco, alla cui lavorazione pittorica lavorano Cimabue e Giotto. A Napoli Carlo I d'Angiò finanziò una nuova è più imponente cattedrale, ve ne era già una del IV secolo, che fece poi realizzare  suo figlio Carlo II. La Cattedrale o Duomo costruita in stile gotico venne inaugurata nel 1315 dall'Arcivescovo di Napoli Umberto d'Aumont alla presenza di Roberto d'Angiò e la regina Sancia.
Nella letteratura spicca la Divina Commedia di Dante Alighieri e il mercante veneziano Marco Polo racconta" Il Milione".

Carlo I  l'11 novembre del 1284 riunì il parlamento a Foggia e poco dopo, il 6 gennaio del 1285, sentendosi prossimo alla morte, esausto e sfiduciato, fece testamento designando alla sua successione il nipote Carlo Martello fino a quando il figlio Carlo fosse rimasto prigioniero.
Al fianco del principe avrebbe dovuto esserci un Consiglio di Reggenza con a capo Roberto D'Artois, che era stato già nominato Vicario Generale per la Sicilia nel mese di agosto.
Durante la prigionia del principe Carlo le contee di Provenza e di Forcalquier, del Maine e di Angiò, erano affidate al re di Francia.
Il giorno seguente, il 7 gennaio 1285, Carlo I d'Angiò morì, lasciando il suo regno in una situazione gravissima.

Le sue spoglie, trasferite a Napoli, furono sepolte temporaneamente in un loculo della cattedrale, mentre secondo le disposizioni testamentarie: le sue viscere vennero interrate nella cattedrale di Foggia ed il cuore fu inviato a Parigi nella chiesa de' Jacobin e messo all'interno di una statua che gli era stata innalzata, sulla quale fu incisa questa iscrizione: "le coeur du grand Roi Charles qui concuit la Sicile".
Carlo II nel 1296 fece dare degna sepoltura alle spoglie del padre in una cappella della cattedrale, insieme al figlio Carlo Martello ed alla moglie Clemenza.

L'erede al trono Carlo II detto lo Zoppo, così chiamato perché un pò claudicante, era sempre prigioniero e si era anche temuto per la sua vita.
Il reggente Carlo Martello
, suo figlio, non aveva che dodici anni ed in tutto il regno regnava il caos più assoluto.
La Calabria e la Basilicata, oltre alla Sicilia, erano nelle mani degli Aragonesi, che mantenevano anche i loro presidi nelle isole del golfo di Napoli.
A Napoli la ribellione sedata nel sangue non aveva avuto il crisma di un "Vespro" ma aveva provocato l'odio del popolo per i Francesi.
La direzione dello stato ritornò allora nelle mani del papa che riuscì, come vedremo, a salvare il salvabile.
Martino IV, che riteneva suo dovere intervenire per difendere queste terre, dopo appena un mese dalla morte di Carlo I inviò delle truppe nel regno per cercare di riportare alla ragione quanti fomentavano tumulti, facendo contemporaneamente da cuscinetto fra gli Angioini e gli Aragonesi, sperando che prima o poi il principe ereditario potesse essere liberato e riprendere possesso del regno.
Il papa esercitò una super visione sul reggente e il Legato pretendendo che ogni atto portasse sempre la firma congiunta dei due personaggi.
In effetti il cardinale Gerardo e Carlo Martello governarono in un clima molto cordiale.
La morte di Martino IV, avvenuta il 29 marzo del 1285, fece temere un cambiamento di politica verso gli Angioini, ma il defunto aveva preparato il terreno per la successione ed il Conclave scelse come nuovo pontefice il cardinale Giacomo Savelli, anch'egli sostenitore degli Angioini, con il nome di Onorio IV (era nipote di Onorio III).

Lo stesso anno morì anche Pietro III d'Aragona e secondo la sua volontà la Sicilia toccò al figlio minore Giacomo, mentre al primogenito, Alfonso III, andarono l'Aragona la Catalogna e Valenza. Giacomo d'Aragona, incoronato a Palermo il 2 febbraio del 1286, fu subito osteggiato dal clero, che sobillava il popolo contro di lui.

Poiché gli Aragonesi non si decidevano a liberare il principe Carlo, Onorio IV  nel marzo 1286 bandì una crociata contro di loro e scomunicò Re Giacomo e la regina Costanza, ingiungendogli di lasciare la Sicilia in quanto la Chiesa li riteneva usurpatori e denunziò l'incoronazione di Giacomo d'Aragona, processando anche i vescovi di Cefalù e di Nicastro che lo avevano consacrato. 
Probabilmente questa severità aveva solo lo scopo di far liberare il futuro re di Napoli. Infatti qualcosa cominciò a muoversi: fra l'Aragonese e il re prigioniero intercorsero dei negoziati.
Giacomo d'Aragona chiedeva in cambio della libertà di Carlo, la Sicilia con le altre isole fra le quali Malta, l'Arcivescovado di Reggio ed il tributo di Tunisi e per stringere meglio questo trattato, la figlia maggiore di Carlo avrebbe sposato Giacomo ed il suo primogenito ne avrebbe sposato la sorella, Violante d'Aragona.
Onorio IV disapprovò in pieno questo accordo fra i due sovrani e fece continuare la crociata contro gli Aragonesi, ma questi, nonostante tutto, continuavano ad avere la meglio sugli Angioini. 

Con l'occasione alcune pattuglie si spinsero anche nel territorio pontificio e ne approfittarono per vendicare il tradimento di Frangipane, reo di aver consegnato Corradino di Svevia a Carlo I, espugnando il castello d'Astura uccidendone il castellano, che era figlio di colui che aveva tradito il principe svevo.

Dopo la morte di Onorio IV, avvenuta il 3 Aprile 1287, il momento sembrò favorevole per giungere ad un accordo, chiedendo al re d'Inghilterra Eduardo I° di offrirsi come mediatore fra le due parti.
Fu così deciso di concedere la libertà provvisoria a Carlo dietro un pagamento di 50 mila marchi d'argento, ma per assicurarsi il mantenimento dei patti, Giacomo d'Aragona chiese in ostaggio tre figli dell'Angioino, Carlo Martello, Ludovico e Roberto e 60 nobili provenzali.
Si intese in questo modo dare a Carlo la possibilità di portare a termine il progetto di pace fra re Giacomo e re Alfonso da un lato, ed il suo regno, Roma e la Francia dall'altra parte.
L'Angioino si impegnava sul suo onore, qualora non fosse riuscito a concludere questa pace, a riconsegnarsi nelle mani dell'Aragonese, pena la perdita della Provenza.
Il Sacro Collegio di Roma non approvò queste trattative ed anche la Francia non era favorevole ad alcune clausole, sicché i negoziati furono interrotti e ripresi dopo l'elezione di Niccolò IV, avvenuta il 15 febbraio 1288.
Il nuovo pontefice invitò subito il re d'Inghilterra a rendersi promotore della liberazione di Carlo d'Angiò e la clausola fu modificata scambiando gli ostaggi: Raimondo di Berengario per Carlo Martello.
Carlo si recò prima a Parigi, poi a Genova e Firenze e quindi presso il papa a Rieti, dove fu incoronato con il titolo di Carlo II, il  29 maggio del 1289.
Ritornò a Napoli nel mese di luglio, senza alcuna solennità, dopo un'assenza di ben cinque anni.
Il 5 settembre si riunì a Napoli il Parlamento Generale e fu sancito per il giorno 8 la consegna del cingolo militare e l'elezione a cavaliere del primogenito Carlo Martello, in seguito nominato Vicario del Regno.
Poiché Carlo II non riuscì ad ottenere la pace trattata e sperata, si presentò alla frontiera per consegnarsi simbolicamente al re d'Aragona e siccome nessuno lo arrestò, Carlo II dopo aver fatto mettere per iscritto che nessuno gli contestava l'arresto, tornò indietro e denunciò il trattato.

Ritornò a Parigi per ritrattare la pace e gli accordi con Alfonso III, questo sovrano morì, il 18 giugno 1291, e il suo trono passava a Giacomo, re di Sicilia, mentre la Sicilia sarebbe dovuta passare al fratello Federico.
Le cose non andarono così perché Giacomo lasciò a Federico solo la luogotenenza dell'isola e a Saragozza si fece incoronare anche re della Sicilia, che in questo modo risultava unita all'Aragona.

Frattanto morì anche Niccolò IV, il 4 aprile del 1292, e la sede papale rimase vacante.
La sua successione fu molto travagliata, perché fra i cardinali vi era chi propendeva per la causa angioina e altri che avrebbero voluto un papa che nel fare le sue scelte non fosse influenzato dagli interessi del regno di Napoli. Per il grande antagonismo esistente fra le famiglie patrizie dei Colonna e degli Orsini  si inserì un terzo incomodo, che non parteggiava ne per i d'Angiò' ne per gli Aragonesi ma unicamente per la Chiesa, questi era il cardinale Benedetto Gaetani.
Per oltre un anno, cambiando varie sedi, i cardinali non riuscirono a trovare un accordo, allora volle intervenire in conclave Carlo II per perorare la causa del Cardinale Matteo Rosso degli Orsini, protetto di Niccolò IV e suo buon amico, ma Gaetani, senza mezzi preamboli gli fece capire che l'elezione del papa non era cosa che riguardasse alcuno al di fuori del Concistoro.
Visti i scarsi risultati Carlo II nel tornare a Napoli, pensò di aggirare la situazione, si recò sul Morrone in Abruzzo dove viveva un eremita in fama di santità. Con astuzia il re gli fece scrivere una lettera ai cardinali in conclave perché non s'indugiasse oltre sulla scelta del Pastore della Cristianità. Questa lettera scritta dal dolce e ignaro vecchio,  fu per i cardinali del conclave come un lampo che squarcia le tenebre: Pietro del Morrone, oltre ad essere universalmente rispettato, era molto avanti negli anni, dunque perché non elevare proprio lui al soglio di Pietro, per superare il momento di immobilismo?
Questi, candido e innocente, nel suo rifugio montano, era l'ultimo ad immaginare che potesse accadergli una cosa del genere: tuttavia dopo lo sgomento e la sorpresa iniziali, accettò la volontà del Signore, ponendo come condizione di non essere incoronato nello sfarzo di Roma ma tra i suoi monti, nella basilica di Santa Maria di Collemaggio a l'Aquila.
Alla sua incoronazione, Pietro del Morrone, prese il nome di
Celestino V  e alla la prima benedizione non mancarono re Carlo II e suo figlio  Carlo Martello, che sollecitarono l'onore di poter far da scorta al nuovo eletto e di potergli dare ospitalità nella loro reggia a Napoli.
Il papa accettò e subito dopo l'incoronazione, il corteo che lo accompagnava s'incamminò verso Napoli, dove il Santo Padre giunse cavalcando una mula bianca tenuta per la cavezza dai due Angioini, l'uno a destra e l'altro a sinistra e lo seguiva la sua corte di cardinali.
In Castel Nuovo, la reggia Angioina, al pontefice fu assegnato un appartamento regale, ma egli, ricusando ogni onore ed ogni pompa, chiese che gli venisse destinata una umile cella.
Nel suo castello Carlo II poteva farsi ricevere dal pontefice quanto i cardinali, della massima parte Celestino non aveva in gran stima, egli creò anzi nuovi porporati per avere al fianco persone da potersi fidare, ma la sua vita diveniva giorno per giorno sempre più difficile. Tutti, sovrani e porporati, cercavano di ingraziarselo per i loro fini e riuscirono a fargli emanare editti dei quali, nella sua grande bontà, il vecchio non vedeva gli scopi reconditi.
Pur nella sua grande semplicità a poco a poco comprese che in realtà l'unico di cui potersi fidare era proprio il duro cardinale Gaetani.
Sembra che Celestino V a lui si confidasse e gli chiedesse come avrebbe potuto fare per cedere il suo oneroso compito e ritornare alla sua vita di preghiera.
Non esisteva una legge che permettesse al pontefice di dimettersi, ma data l'occasione se ne propose una che gli desse questa possibilità e Celestino V, l'approvò e si dimise.
Un conclave immediatamente  riunito in Castel Nuovo prescelse come suo successore proprio il cardinale Gaetani, che si era fatto valere per la sua personalità, che prese il nome di Bonifacio VIII. Subito dopo l'incoronazione, Bonifacio VIII,  ringraziando il re di Napoli per la sua ospitalità, gli comunicò la sua decisione di ritrasferire il soglio pontificio a Roma.
Il 12 giugno del 1295 Carlo II si recò presso il papa ad Anagni e lì fu conclusa la tanto sospirata pace con Giacomo d'Aragona, che il pontefice pubblicò il 27 giugno.
Giacomo consegnava la Sicilia alla Chiesa, avrebbe sposato Bianca d'Angiò, la figlia di re Carlo, e avrebbe rimesso in libertà i suoi fratelli.
Il papa si ritenne soddisfatto e concesse la sua amicizia a re Giacomo e alla regina madre Costanza e a tutti i Siciliani.
Le clausole di questo trattato furono rispettate e i figli del sovrano Angioino vennero messi in libertà, ma proprio quando sembrava che il pericolo maggiore fosse passato morì il figlio primogenito di Carlo II, Carlo Martello, per cui fu nominato Vicario generale del
regno il terzogenito Roberto d'Angiò che prese il titolo di duca di Calabria.

I denigratori di  Roberto d'Angiò hanno voluto vedere in lui l'avvelenatore di Carlo Martello e l'ispiratore della vestizione religiosa dell'altro fratello Ludovico, per assicurarsi la successione al trono.

Il papa ne riconobbe il diritto alla successione sul trono di Napoli e in ottemperanza al trattato celebrò poi a Roma il suo matrimonio con Violante d'Aragona, figlia del re Pietro e di Costanza di Svevia.
In Sicilia intanto nacque un dissidio fra Giacomo d'Aragona che ormai era imparentato ed alleato degli angioini e suo fratello Federico d'Aragona che non accettò la soluzione, per cui avendo dalla sua parte il Parlamento, lo riunì a Catania e si fece riconoscere e proclamare re.
Il 25 marzo del 1296, si fece incoronare a Palermo.
Un altro avvenimento di rilievo, dopo la rottura dei due fratelli,   fu la decisione di Ruggero di Lauria di rimanere con Giacomo d'Aragona, per cui avrebbe difeso anche gli interessi degli Angioini. Per questo  Carlo II volle nominarlo Grande Ammiraglio.
Questo valoroso condottiero  in uno scontro con la flotta di Federico presso Milazzo, mandò a picco quasi tutte le galere siciliane e poco mancò che non fosse preso prigioniero anche Federico.
Nel 1300 Ruggero di Lauria ebbe la meglio anche in un'altra epica battaglia navale a Ponza contro le galee genovesi e siciliane, catturando anche l'ammiraglio genovese Corrado Doria.
Re Carlo II per queste vittorie, il 22 febbraio del 1301,  concesse a Ruggero di Lauria la città di Castellammare.
Il pontefice desiderava che il problema siciliano si risolvesse e si diede incarico a Carlo di Valois ( soprannominato Carlo "senza Terra" in quanto pur essendo figlio, fratello e padre di sovrani non ebbe per sé nessun trono), fratello del re di Francia di riconquistare la Sicilia, con la promessa di poter ereditare l'impero d'Oriente.
Dopo le prime vittorie alle dipendenze di Roberto d'Angiò, Carlo II lo autorizzò a trattare la pace con Federico d'Aragona.
I preliminari furono esaminati a Castronuovo il 19 agosto del 1302.
Il 29 agosto a Caltabellotta, Roberto d'Angiò, quale Vicario del Regno e Federico d'Aragona firmarono il trattato, il quale prevedeva che alla morte di Federico la Sicilia passasse agli Angioini e che l'Aragonese sposasse Eleonora, sorella di Roberto e liberasse Filippo di Taranto insieme ad altri baroni (fatti prigionieri in una precedente battaglia).
Questa pace che sembrava decisa con tanta convinzione da ambo le parti, fu invece incrinata poco tempo dopo da un accordo di Federico con il fratello Giacomo per la successione in Sicilia e nella penisola iberica.
Nel 1303 furono celebrate le nozze fra Federico ed Eleonora d'Angiò, e l'anno dopo Roberto, che era rimasto vedovo di Violante, e sua sorella Maria, sposarono i figli di Giacomo II d'Aragona Sancio e Sancia.

Il 1303 fu anche l'anno del famoso insulto di Anagni, dove il papa Gregorio VIII, poco prima che pronunciasse la scomunica contro il re di Francia Filippo IV detto il bello, fu schiaffeggiato da Sciarra Colonna che assieme a Guglielmo di Nogaret era emissario dello stesso re.
Poiché, come abbiamo visto, sia la Chiesa che i sovrani molte volte si influenzavano a vicenda: La Chiesa nell'assegnazione e il riconoscimento dei Domini e i sovrani nelle nomine dei papi.
Il papa Gregorio VIII, che riteneva la Chiesa autonoma e superiore alle parti, dopo l'insulto fu anche processato perché non aveva parteggiato per la casata Angioina e i francesi in particolare. (Infatti il papa Clemente V, il francese Bertrand de Got, che trasferì la sede apostolica ad Avignone, si macchiò della continuazione di un indegno processo contro Gregorio VIII, assolvendo i responsabili dell'insulto di Anagni).
Avignone fu residenza dei papi dal 1305 al 1377 e appartenne allo Stato Pontificio fino al 1797: vi furono tenuti ben 21 concili, dal 1050 al 1745.

Nel 1304 quindi la famiglia Angioina aveva stretto saldi legami di parentela sia con gli Aragona di Trinacria, che con quelli di Spagna (la Sicilia sotto gli Aragonesi fu chiamata Trinacria per distinguerla dal regno di Napoli, che era Angioino).
Carlo II il 6 marzo del 1308 era in Provenza quando sentendosi malfermo di salute volle dettare il suo testamento.
Il 26 aprile si imbarcò per tornare a Napoli. Qui dopo una breve permanenza a Castel Nuovo, volle trasferirsi nella residenza di campagna, che si era fatta costruire nei pressi di Poggioreale, la sua "Casanova", forse sperando che quell'aria potesse giovare alla sua salute, ma vi morì all'alba del 5 maggio.
Nel testamento il re ribadiva la sua volontà che gli succedesse il figlio Roberto.
Le sue spoglie furono temporaneamente tumulate nella chiesa di San Domenico Maggiore per essere poi traslate ad Aix in P
rovenza.
Roberto venne incoronato re di Napoli e di Sicilia il 3 agosto 1310 da papa Clemente V e governò con prudenza,  giustizia e liberalità fino alla sua morte avvenuta il 20 gennaio 1343.
Sotto Roberto d'Angiò Napoli, divenuta la capitale di un regno di importanza europea, con una ricca ed elegante corte, fu maggiormente curata ed abbellita.
Il re fece proseguire la sistemazione di  Castel dell'Ovo e di Castel Nuovo e continuò l'opera di risanamento di tutta la città dandole un assetto molto più ordinato e simmetrico.
Con la morte di Roberto il Savio, ha inizio il regno tormentato di sua nipote Giovanna   d'Angiò incoronata in Santa Chiara il 28 agosto del 1344 .
Suo marito Andrea d'Ungheria, fratello del re d'Ungheria Luigi
non adattandosi a considerarsi   principe consorte premeva sul papa per ottenere la parità dei diritti con Giovanna, dopo vari tentativi, sembrava che il pontefice, anche sotto la minaccia del potente fratello Luigi d'Ungheria, stava per concedere quanto richiedevano. Fu allora che i parenti di Giovanna e la sua corte, considerando Andrea un grave pericolo per i loro interessi, decisero di ucciderlo attirandolo in un tranello.
Suo fratello Luigi il Grande, successo nel 1342 a Caroberto, fu considerato uno dei migliori sovrani che l'Ungheria abbia mai avuto. Rigidamente educato nel palazzo reale di Wisegrad al culto di Alessandro Magno e del suo avo Ladislao, egli fu universalmente stimato e rispettato come guerriero e come cavaliere: generoso e giusto, fra le sue doti ebbe quella dell'intelligenza politica, che gli permise di riconquistare le provincie serbe che suo padre aveva perduto nel 1339.
Quest'uomo così severo e rigido innanzitutto con se stesso, non avrebbe mai potuto perdonare le sregolatezze di sua cognata Giovanna, la cui eco non aveva tardato a raggiungerlo, ne tanto meno poteva accettare una liquidazione parziale degli assassini di suo fratello Andrea.
Nel frattempo la regina Giovanna, imprudentemente decise di
risposarsi con il principe Luigi di Taranto.
Nel novembre del 1347 re Luigi d'Ungheria, partì con il suo esercito alla volta dell'Italia, nonostante le esortazioni del papa Clemente VI, che fino all'ultimo aveva cercato di farlo desistere dal suo proposito di vendetta.
La regina Giovanna allo scopo di evitare alla capitale saccheggi e rapine ella desiderava che non si opponesse alcuna resistenza, anzi ordinò che fossero consegnate a Luigi le chiavi della città e lei cercò rifugio nei suoi domini francesi, lasciando in Castel Nuovo il piccolo Carlo Martello, che aveva poco più di due anni , nella speranza che la sua presenza potesse placare le ire dello zio.
Luigi dopo aver fatto arrestare e giustiziare tutti quelli che si erano opposti al suo passaggio,  i suoi rozzi ungheresi si macchiarono di nefandezze inaudite, con abusi ed angherie di ogni sorta: ruberie, incendi, saccheggi e stupri erano all'ordine del giorno.
Il popolo ben presto diede segni di insofferenza sfidando apertamente gli stranieri al combattimento, spronati dalle famiglie baronali. Luigi fu costretto a dare ordine che le sue truppe non uscissero dai loro quartieri.
Mentre gli uomini si combattevano e si arrovellavano per la conquista del potere, si abbatté sul loro capo un castigo divino che finì per risolvere l'ingarbugliata situazione: una grave epidemia che invase quasi tutta l'Europa. La peste, questo grande flagello rammentò all'umanità la sua pochezza e la sua impotenza.
Luigi d'Ungheria alle prime avvisaglie dell'epidemia e forse anche temendo l'odio del popolo e dei baroni ritornò in patria nominando suoi luogotenenti nel regno di Napoli i fratelli Conrad e Ullrich Wolff di Wolfurt, i due capitani che durante l'occupazione avevano spadroneggiato ed erano diventati tristemente noti per le loro efferatezze.
La regina Giovanna e suo marito ritornarono a Napoli il 17 agosto del 1348 e cominciarono ad organizzarsi per scacciare gli Ungheresi dai castelli, che non fu molto difficile far capitolare. Intanto anche Luigi di Taranto premeva per essere incoronato re.
Mentre i sovrani napoletani perdevano tempo  nell'inconcludente contesa di stabilire a quale dei due spettasse lo scettro, Luigi d'Ungheria nella primavera del 1350, organizzava una seconda spedizione in Italia.
Essendo morta la sua prima moglie egli progettava di sposare Maria d'Angiò, sorella di Giovanna, erede al trono, a sua volta vedova di Carlo di Durazzo, per assicurarsi così con tutte le forme ogni diritto al trono.
Nel frattempo a Napoli avveniva un fatto gravissimo: il ratto di Maria d'Angiò da parte del Gran Siniscalco di Provenza Ugo del Balzo, che fece violentare da suo figlio Roberto, allo scopo di costringerla a sposarlo, per evitare che lo facesse Luigi d'Ungheria, chiaramente per introdursi nella successione ereditaria del regno.
Il piano riuscì parzialmente perché mentre ritornavano in Francia, furono costretti a fare scalo a Gaeta, dove furono tutti catturati e Ugo del Balzo ucciso personalmente da Luigi di Taranto. La sventurata Maria d'Angiò fu fatta sbarcare a Gaeta e le fu trovata una onorevole sistemazione.
Per risollevare il prestigio dei reali napoletani si inscenò una festosa incoronazione. Questa cerimonia avvenne nel palazzo dei principi di Taranto e l'Arcivescovo Guglielmo de la Garde venne espressamente da Avignone per incoronare prima Luigi e poi Giovanna:
per la regina questa era la terza incoronazione, ma per Luigi di Taranto era il raggiungimento della sua massima ispirazione.

Nel 1353 ebbe luogo un avvenimento le cui conseguenze si ripercuoteranno nella storia di Napoli: il matrimonio di Luigi di Durazzo con Margherita Sanseverino, dal quale nascerà un figlio, Carlo, che divenuto adulto, deponendo proditoriamente la zia Giovanna, diverrà re di Napoli e sarà a sua volta il padre di re Ladislao e di Giovanna II.

Luigi e Giovanna dopo qualche tentativo non riuscito di riprendersi la Sicilia si convinsero sull'opportunità di far ritorno a Napoli, causa l'imperversare di mercenari e l'aperta ribellione di Luigi di Durazzo, che si rivelò un osso duro e soltanto nel 1360, fatto prigioniero e rinchiuso nel Castel Nuovo vi morì due anni dopo in circostanze non molto chiare, poco prima, il 26 maggio dello stesso anno morì anche Luigi di Taranto.

La sovrana, già vedova due volte, e regina da diciotto anni, si cominciò subito a cercare un'altro marito e se lo scelse nella persona di Giacomo di Mayorca, figlio di Giacomo II, (un pronipote della regina Sancia, che lo zio Pietro IV d'Aragona aveva tenuto prigioniero dopo essersi impadronito del regno del padre, nonostante fosse suo cognato).

Il papa diede il consenso e il nuovo sposo giunse a Napoli il 16 maggio del 1363. Anche questa volta però la scelta di Giovanna fu inopportuna e sfortunata e questo consorte essendo reduce da una lunga prigionia, ella credeva di trovare più malleabile e modesto, invece anche lui voleva impossessarsi del potere ed oltretutto non era più nelle piene facoltà mentali, per cui Giovanna lo fece segregare anche se con tutti gli agi e gli onori possibili. Infine Giacomo di Mayorca, tolse il disturbo spontaneamente decidendo di andare a combattere con Enrico Trastamare in Spagna.
Il pontefice si insospettì di questa partenza e mandò un altro legato, perché cercasse di mettere pace nella famiglia reale ponendo termine a quelle liti che la
futura santa, Brigida Gudmarsson (era figlia del principe svedese Briger), non era riuscita a comporre. I rapporti fra il pontefice e il regno di Napoli andavano man mano migliorando (era il tempo di Urbano V, spinto da Brigida di Svezia e soprattutto da Caterina da Siena).
Caterina di Siena ( Santa domenicana, Caterina Benincasa da Siena, che era figlia di un modesto tintore, che riuscì ad indurre papa Gregorio XI a riportare definitivamente nel 1377 la sede pontificia a Roma).
Poiché la questione siciliana era rimasta in sospeso, si desiderava concludere un matrimonio tra qualche parente della sovrana e Federico III d'Aragona, e la scelta cadde su Antonietta del Balzo, figlia di Margherita di Taranto, la sorella di Luigi che aveva sposato Francesco del Balzo. L'arcivescovo di Napoli negoziò un trattato definitivo e il 2 marzo del 1373 fu firmata una pace che stabiliva che il re di Trinacria conservava la Sicilia in concessione feudale degli Angioini e della Chiesa.
Nel febbraio del 1375 giunse la notizia che Giacomo di Mayorca era morto e la regina rimaneva vedova per la terza volta.
Il nuovo pontefice Gregorio XI ritenne quindi che non si dovesse indugiare a dare a Giovanna un quarto marito che potesse proteggerla e combattere per lei.
Il prescelto fu questa volta un prode soldato di buon lignaggio: Ottone di Brunswick, un principe tedesco cinquantenne, coetaneo della regina di Napoli. Il contratto nuziale prevedeva che il consorte avrebbe avuto il principato di Taranto, ma era escluso dalla dignità regale e dalle successioni al trono.
Gregorio XI nel 1377 riportò definitivamente la sede pontificia a Roma, ma il 27 marzo del 1378 morì, prima che riuscisse a preparare la sua successione. L'elezione del nuovo papa si prevedeva molto difficile, poiché alcuni cardinali voleva confermare la Santa sede a Roma mentre altri voleva restare ad Avignone.
Dopo grandi discussioni il 7 aprile del 1378 fu eletto l'arcivescovo di Bari Bartolomeo Prignano, che ascese al trono con il nome di Urbano VI.
Il 20 settembre però alcuni cardinali francesi riunitisi ad Anagni dichiararono nulla l'elezione di Urbano VI ed elessero a loro volta un altro pontefice nella persona del cardinale di Ginevra, che prese il nome di Clemente VII, Roberto di Ginevra fu antipapa dal 1342 al 1394.
Politicamente
Urbano VI  sosteneva Luigi d'Ungheria, nemico di Giovanna, mentre Clemente VII, l'antipapa, era stato riconosciuto dagli Angioini.
Dopo vari scontri di piazza per motivi religiosi il mese di aprile del 1380 il papa scomunicò Giovanna d'Angiò per eresia paragonandola a una novella "Atalia" per la sua atrocità
(regina di Giudea che per governare fece uccidere tutti i suoi discendenti) e novella Jezabele traboccante di empietà (moglie di un re d'Israele molto crudele che perseguitò i profeti).
Contemporaneamente,
Urbano VI offriva il regno di Napoli a Luigi d'Ungheria, che ormai stanco di guerreggiare, passò la proposta al nipote Carlo di Durazzo, già considerato erede legittimo alla corona di Napoli.
Giovanna però lo dichiarò decaduto da tutte le sue pretese e scelse quale erede al trono Luigi d'Angiò fratello del re di Francia Carlo V.
Carlo Durazzo per nulla impressionato dal pericolo di così potenti competitori, era tenuto a freno perché guerreggiava contro i Veneziani nel Trevigiano e dal fatto che sua moglie Margherita e i figlioletti Giovanna e Ladislao erano a Napoli.
Carlo giunse a Roma l'11 novembre 1380 e il papa gli offrì formalmente la corona di Sicilia. Intanto nel caos che si creò in quei giorni ne approfittò Margherita di Durazzo per fuggire con i suoi figli e rifugiarsi nel castello di Morcone un feudo dei Gaetani, conti di Fondi.

Con questa fuga Margherita diede per la prima volta prova di quella virile forza d'animo che le permetterà, alla morte del consorte, di tenere la reggenza del regno con salde mani fino alla maggiore età del figlio Ladislao.

Intanto a Roma il 2 giugno del 1381 Carlo di Durazzo con una solenne cerimonia viene incoronato da Urbano VI re di Sicilia e di Gerusalemme.
Dopo questa incoronazione in attesa del nuovo re, la città di Napoli si era trasformata in un campo di battaglia, dal quale non si riconosceva l'amico dal nemico.
Ottone combatteva da gran guerriero ma alla fine venne sconfitto e fatto prigioniero e Carlo assicurando Giovanna che non  avrebbe corso nessun pericolo entrò in Castel Nuovo e con un sotterfugio riuscì a farla trasferire nel Castel dell'Ovo dove venne imprigionata e successivamente trasferita nel castello di Nocera e quindi nel castello di Muro di Lucania, dove l'attendeva una ben più dura prigionia.
Quando poi si seppe che Luigi d'Angiò stava armando un esercito per venire a prendere possesso di quel regno che gli spettava quale figlio adottivo di Giovanna, sembra che Carlo chiedesse consiglio a Luigi d'Ungheria sul modo di comportarsi con la regina e questi gli consigliasse di eliminarla.
Il 27 luglio del 1382, mentre Luigi d'Angiò varcava le Alpi con un esercito di 60.000 uomini, Carlo III di Durazzo gli comunicò ufficialmente la
morte di Giovanna I di Napoli, ed affinché nessuno potesse dubitarne, il suo corpo fu portato a Napoli ed esposto in Santa Chiara.
Carlo III con alterne fortune  riuscì a mantenere il suo regno, anche grazie alla pestilenza che aveva decimato l'esercito di Luigi d'Angiò e alle successive diserzioni per mancanza di denaro.
Luigi d'Angiò morì a Bari il 20 settembre 1384 e lasciò in Provenza un figlio di appena sette anni, che fu proclamato re con il nome di Luigi II.
Nel luglio del 1385 Carlo III di Durazzo aveva avuto l'offerta dall'Ungheria di impossessarsi di quel trono, che alla morte di re Luigi era passato ad una sua figlia. Nonostante gli fosse stato sconsigliato lui volle partire e impose alla regina Maria di cedergli il regno.
Il 27 febbraio 1386 Carlo III di Durazzo moriva nel castello di Wisegrad in seguito ad un colpo di spada inferto dalla vedova di re Luigi e sua figlia, che lo avevano attirato in un tranello. I  suoi partigiani che erano a Buda vennero tutti trucidati e il regno fu ripreso dalla regina spodestata.
A Napoli la regina Margherita cercò di tenere nascosta la notizia il più a lungo possibile per potersi organizzare contro i suoi numerosi nemici, fra cui il papa da cui era stata scomunicata.
L'erede Ladislao aveva appena nove anni per cui la reggenza toccava ancora alla madre che si destreggiò con grande coraggio fra papi e antipapa e pretendenti Angioini, che avevano anche loro il proprio erede in Luigi II d'Angiò.
Nel 1389 fece concludere un matrimonio d'interesse fra il figlio dodicenne e l'ereditiera siciliana Costanza di Chiaromonte, figlia dell'ammiraglio Manfredi, vicario di Sicilia, uomo molto influente e ricchissimo.
Il 2 novembre del 1389 fu eletto pontefice il napoletano Pietro Tomacelli, che prese il nome di Bonifacio IX, appartenente ad una nobile famiglia amica dei Durazzo, il quale proclamò immediatamente
Ladislao di Durazzo re di Sicilia e di Napoli e tutti i cardinali approvarono il suo operato.
Dopo poco tempo tolse anche la scomunica a tutta la famiglia reale.
L'incoronazione di Ladislao avvenne in occasione del suo matrimonio con Costanza di Chiaromonte.
Intanto i d'Angiò di Luigi II che erano abbastanza numerosi a Napoli si organizzavano a loro volta e si preparavano allo scontro.
Nel luglio del 1393 il giovane re aveva raggiunto i sedici anni, la regina Margherita si ritirò e Ladislao rimase arbitro del suo destino.
Nel settembre del 1394 moriva Clemente VII, ma l'antipapa che lo sostituì, lo spagnolo Benedetto XIII (Pedro de Luna di nobile famiglia aragonese) parteggiava anche lui per Luigi II d'Angiò ma con minor impegno di Clemente VII.
Ladislao capì che per poter governare doveva farsi molti amici e cominciò a guadagnarsi simpatie popolari riconfermando antichi privilegi fiscali e seppe scegliersi validi e fidati funzionari in tutte le provincie.
Luigi II travolto dagli eventi fu costretto a firmare la capitolazione a Napoli il 10 luglio 1399 e dovete rientrare in patria.
Ladislao riportò all'obbedienza del pontefice tutti i territori che ancora issavano lo stendardo dell'antipapa Benedetto III.
Nell'autunno del 1404 morirono la regina e il papa Bonifacio IX, che tanto aveva aiutato il giovane Ladislao.
Cominciarono nuove avversità si ribellò Raimondo Orsini principe di Taranto e Luigi II con l'aiuto di Firenze riprovava a riprendersi il regno assoldando le compagnie di ventura di due prodi guerrieri: Braccio da Montone e Muzio Attendolo Sforza e nel settembre del 1410 occupò Roma.
Ladislao fu colto alla sprovvista e così fra un antipapa che incoronava Luigi II e un papa legittimo che sosteneva Ladislao vi furono frequenti inversioni di fronti anche da parte dei capitani di ventura che passavano allegramente da un campo all'altro.
Nel 1411 Ladislao sconfisse definitivamente a Roccasecca Luigi II e firmò la pace con l'antipapa Giovanni XXIII riconoscendolo, in cambio ottenne anche il suo riconoscimento per se e la sua famiglia del suo diritto sul trono di Napoli.
Ladislao, dopo aver combattuto in Italia centrale si ammalò gravemente, il 4 Agosto del 1411 ritornò a Napoli  dove morì in Castel Nuovo.
Ladislao non aveva avuto figli,
fu quindi acclamata regina per acclamazione del popolo la sorella Giovanna. La fiera consorte del re, Maria d'Enghien, che poteva opporsi alla successione, fu segregata in Castel dell'Ovo e poi confinata nella contea di Lecce dove morì nel 1446.
La regina Giovanna di Durazzo aveva 43 anni quando salì al trono e non aveva nessuna pratica di governo.
Vedova di Giovanni d'Austria da cui non aveva avuto figli, non si era risposata.
Per riorganizzare l'esercito che dopo la morte di Ladislao si era sbandato, si rivolse a un guerriero di mestiere:
Muzio Attendolo Sforza (nato a Cotignola in provincia di Ravenna, legò parte della sua vita al regno di Napoli, a cui rimase fedele fino alla morte).
Giovanna fu invitata a prendersi marito nella speranza di dare un erede al trono e la scelta cadde sul francese
Giacomo II di Borbone, conte della Marca, che avrebbe dovuto accontentarsi del titolo di vicario generale del regno e duca di Calabria.
Dopo alterne vicende in cui Giacomo tento di impossessarsi della corona,  fu praticamente isolato e tenuto quasi prigioniero in Castel Nuovo. Un nuovo e potente amante era entrato nel cuore di Giovanna II:
Giovanni Caracciolo, chiamato comunemente "Sergianni", sposo di Caterina Filangieri, figlia del conte di Avellino. Valoroso guerriero ai tempi di Ladislao.
Giacomo della Marca, stanco di essere considerato lo zimbello di corte decise di ritornare in Francia e qui indossò il saio francescano.
I
l papa Martino V, avendo appreso che la regina Giovanna tramava contro le volontà della chiesa la scomunicò e in valore del suo diritto sul regno di Napoli, decretò che esso passasse a Luigi III d'Angiò, figlio di Luigi II.
Nel 1420 anche Muzio Attendolo Sforza passò dalla parte degli Angioini, creando numerose defezioni fra i baroni nel regno.
In questo periodo, dalla parte della regina Giovanna, cominciò a mettersi in vista un altro nobile napoletano
Antonio Carafa, soprannominato Malizia per la sua abilità in diplomazia.
Egli si recò presso il re d'Aragona per chiedere un suo aiuto contro Luigi III, facendogli intravedere che se la risposta fosse stata positiva la regina di Napoli avrebbe potuto designarlo erede al trono.
Quindi mentre Luigi III d'Angiò  aiutato dai Genovesi  sbarca sul lido della Maddalena, il 6 settembre del 1420 arriva a Napoli dalla Sicilia
un luogotenente di Alfonso V, Ramon Perilos a capo di una imponente flotta. Gli furono affidati immediatamente Castel Nuovo e Castel dell'Ovo e il popolo sofferente per le continue lotte interne giurò fedeltà ed obbedienza alla regina e al suo figlio adottivo Alfonso d'Aragona, mentre Luigi III d'Angiò e Muzio Attendolo Sforza furono costretti a retrocedere ad Aversa.
Secondo le direttive di Alfonso d'Aragona il governo napoletano si accordò con
Braccio da Montone dandogli l'Aquila e Capua perché prendesse le difese di Napoli contro lo Sforza.
Braccio da Montone partito da Perugia giunse a due miglia da Napoli per attendere l'arrivo di Alfonso V. Nella primavera del 1421 decise di attaccare e dopo aver sbaragliato le truppe dello Sforza, il 7 giugno dello stesso anno entrò trionfalmente a Napoli. Per questa vittoria fu ricompensato con il possesso di Castellammare e di Scafati.
A Napoli Braccio da Montone scortò il giovane re spagnolo Alfonso d'Aragona, il quale dopo essere stato ricevuto con tutti gli onori dai deputati del popolo si recò a Castel Nuovo dove era atteso dalla regina.
Qui fu trascritto l'atto di adozione che gli assicurava la successione al trono.
La guerra fra angioini e aragonesi ebbe una tregua su proposta di Firenze e del papa, durante la quale vi fu un avvicinamento tra i due condottieri (Braccio da Montone e Muzio Attendolo Sforza), Braccio da Montone riuscì a convincere Muzio Attendolo Sforza a rimettersi agli ordini di Giovanna II, tanto più che la posizione degli Angioini era divenuta piuttosto precaria.
Lo Sforza fu nominato nuovamente Gran Conestabile, mentre Braccio da Montone ebbe il governo degli Abruzzi.
L'alleanza fra Giovanna II e Alfonso V d'Aragona nel 1422 andò in crisi a causa delle pretese di Sergianni Caracciolo che non voleva rinunziare a spadroneggiare. L'aragonese a sua volta deciso a non sopportare che gli si mettessero bastoni fra le ruote, convocò a Castel Nuovo il favorito della regina e lo fece dichiarare in arresto, subito dopo si recò a Castel Capuano per arrestare anche Giovanna, ma questa informata dell'intenzione del figlio adottivo riuscì a non farlo entrare nel castello: il popolo venuto a conoscenza di queste manovre, insorse contro Alfonso ed il suo seguito e fu costretto a rinchiudersi in Castel Nuovo.
Muzio Attendolo Sforza, riuscito ad entrare in Castel Capuano prese sotto la sua protezione la regina e la scortò ad Aversa. I Catalani impossessatisi anche di Castel Capuano rimasero padroni della città.
Sergianni riuscì ad ottenere la libertà in cambio di venti nobili spagnoli   prigionieri dello Sforza e indusse la regina a revocare l'adozione, che rendeva Alfonso V erede al trono, e la convinse a cercare un accordo con Luigi III d'Angiò.
Giovanna di Durazzo quindi il 14 settembre del 1423 adottò l'angioino e il nuovo erede prese stanza nel castello di Aversa.
Alfonso V, non si fece impressionare e riprese contatto con Braccio di Montone, invitandolo a venire in suo aiuto, mentre i suoi cavalieri si univano ai fanti del condottiero napoletano Jacopo Caldora.
Lo Sforza con il figlio Francesco invece cercarono di avvicinarsi a Napoli sfruttando il fatto che Alfonso V dovette ripartire per la Spagna perché i suoi possedimenti erano minacciati dal sovrano di Castiglia, suo cognato.
A Napoli rimase come  luogotenente di Alfonso V,  il fratello Pietro, con l'appoggio del Coldora.
Si preparavano grandi scontri, ancora una volta i due famosi condottieri (Braccio da Montone e Sforza), si ritrovarono in campo avverso.
Si era nel 1424 e il 4 gennaio morì Muzio Attendolo Sforza, annegato nell'attraversare un ruscello. Che venne subito sostituito da suo figlio Francesco.
Il 5 giugno 1424 morì anche Braccio da Montone, in seguito ad una ferita subita in battaglia in Abruzzo.
Il giovane Sforza riuscì a far rientrare la regina a Napoli e l'infante Pietro d'Aragona decise di tornarsene in Sicilia.
Dopo la partenza di Alfonso V, Sergianni riuscì a mettere le cose in modo da avere il governo completamente nelle sue mani, barcamenandosi fra l'uno e l'altro dei pretendenti. Si fece concedere il ducato di Venosa e la città di Capua e concluse vantaggiosi matrimoni per i suoi figli dando una sua figliola in moglie ad un figlio di Jacopo Caldora (diventato nel frattempo Capitano Generale dell'esercito napoletano), ed un'altra al fratello del principe di Taranto, che era stato uno dei fautori di Alfonso d'Aragona.
Nel 1431 a Martino V successe Eugenio IV, l'agostiniano Gabriele Condulmer di Venezia, nipote di Gregorio XII.
Il nuovo pontefice fece subito capire di non approvare i maneggi del favorito della regina.
L'ostilità di Eugenio IV verso Sergianni fece prendere coraggio ad un gruppo di cortigiani, ( la duchessa di Sessa, Covella Ruffo, Ottino Caracciolo, il giureconsulto Marino Boffa e i fratelli Mormile) che già da tempo cercavano un'occasione per potersi liberare di lui, poiché anche la stessa regina era stanca dei ricatti e delle angherie a cui la sottoponeva il suo amico.
Durante i festeggiamenti per il matrimonio del suo unico figlio maschio, Trojano, con una figlia del Caldora,  per rinforzare la sua posizione, i congiurati entrarono in azione.
La notte del 19 agosto del 1432, bussarono alla porta dell'appartamento di Sergianni in Castel Capuano, comunicandogli di accorrere perché la sovrana stava morendo. Appena fuori fu immediatamente assassinato a colpi di spada.
Questo assassinio, anche se non ebbe il benestare preventivo della regina, ebbe senz'altro la sua approvazione. I congiurati non furono puniti ed anzi furono confiscati agli eredi i feudi che la regina aveva donato a Sergianni e fu persino istruito un processo di lesa maestà alla sua memoria che terminò con la condanna a morte per tradimento. La vedova di Sergianni, Caterina Filangieri, ebbe un indennizzo per la confisca dei feudi.
Dopo la morte del Gran Siniscalco, la duchessa di Sessa divenne arbitra dei destini del regno, per la grande influenza che aveva sulla debole e inetta regina Giovanna. Ella convinse Giovanna a lasciare Luigi III d'Angiò in Calabria anzichè chiamarlo nella capitale.
Ma quando, dopo qualche tempo, la regina cambiò ancora la designazione dell'erede, revocando Luigi III a favore di Alfonso V d'Aragona, poiché questo sconvolgeva i suoi interessi, la spinse nuovamente a revocare l'Aragonese a favore di Luigi d'Angiò.
Nel mese di novembre del 1434  Luigi III d'Angiò era ancora in Calabria ed era in procinto di sposare Margherita di Savoia, quando inaspettatamente morì.
Nel febbraio del 1435 morì anche Giovanna di Durazzo, dopo aver mutato per l'ennesima volta il suo testamento, riconoscendo come erede il fratello di Luigi, Renato d'Angiò.
La morte della regina Giovanna lasciava il regno nella più completa anarchia, conteso fra il pretendente angioino e quello aragonese.
Renato d'Angiò, quando morì Giovanna, aveva soltanto 26 anni e si trovava nelle prigioni del duca di Borgogna, per un fallito tentativo di impossessarsi di quel ducato, avendo sposato  Isabella, la figlia del duca di Lorena.
In attesa di chiarire la situazione il regno venne governato provvisoriamente da un consiglio composto da 18 rappresentanti 10 nobili e otto del popolo, che durò molto poco per gli opposti interessi dei componenti il consiglio, per cui  nobili presero contatti con gli aragonesi e quelli del popolo con Isabella di Lorena, invitandola a prendere la reggenza in attesa della liberazione di Renato d'Angiò.
Isabella di Lorena giunse a Gaeta nell'ottobre del 1435 e di lì proseguì per Napoli, accolta trionfalmente il 25 ottobre 1435.
Prese residenza in Castel Capuano e ricevette il giuramento di fedeltà.
La reggenza di Isabella durò dall'ottobre 1435 al maggio 1438.
Il 4 ottobre del 1437 i nobili napoletani giurarono fedeltà a Renato d'Angiò, finalmente liberato dietro il pagamento di un pesante riscatto.
Il re sbarco a Napoli al ponte della Maddalena e si diresse a Castel Capuano, rimandando al 22 maggio del 1438, giorno dell'Ascensione, il suo ingresso trionfale nella capitale.
Il suo regno fu molto breve dal maggio 1438 al giugno 1442, ma il giovane sovrano riuscì a conquistarsi subito le simpatie dei suoi sudditi.
Intanto Alfonso d'Aragona si avvicinava a Napoli, dopo aver conquistata Caserta e riconquistata Scafati, guerreggiando in tutto il regno con gli Angioini con alterne fortune.
Renato d'Angiò, sempre oberato di debiti, non riusciva più a mantenere le truppe dei condottieri: Francesco Sforza andò a combattere in Lombardia e inutilmente Renato tentò di ricevere il suo aiuto dopo un ennesimo assedio da parte di Alfonso V, che intanto era riuscito ad accaparrarsi i servigi di Niccolò Piccinini, rivale dello Sforza.
La mattina del 2 giugno del 1442 le truppe aragonesi riuscirono ad entrare in città. Renato dopo aver tentato un'ultima difesa della città si trincerò in Castel Nuovo con pochi uomini che gli erano rimasti fedeli. Ottenne poi una tregua di 10 giorni, col patto che allo scadere avrebbe consegnato anche gli altri castelli.
I napoletani stremati dall'assedio e dalla carestia non opposero resistenza ed attesero passivamente i nuovi dominatori.
Il 4 giugno 1442 Alfonso V d'Aragona ricevette l'omaggio dei sudditi in cattedrale e poi prese possesso di Castel Nuovo, che Renato aveva affidato ad un genovese, con l'autorizzazione di cederlo al nemico.
Fine del regno Angioino di Napoli

        

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