Variabili per un Audiovisivo Andino

Il Mondo Andino attraverso gli occhi dei propri abitanti

 

 

 

1. Considerazioni preliminari

2. Antropologia Cinematografica o Cinematografia antropologica?

Come iniziare una ricerca

3 . Perchè un cinema con un punto di vista proprio?

4. Il Perú tra fotografia e Cinema

- La Regione Andina e i quechua

-Prime Immagini del Perú

-Breve Storia del Cinema Peruviano

5. L'esperienza con la fotografia- TAFOS

6. Dalla fotografia al Film

7. Una ipotesi di cinematografia andina. La questione del punto di vista

-.Elementi di condizionamento geografico che contribuiscono alla particolare percezione visiva e psicologica.

-Elementi Cosmogonici e visione dello spazio e del tempo

-La questione linguistica e narrativa

-Il problema dell'attore

 

8. Bibliografia

 

 

 

 

 

 

1. Considerazioni preliminari

 

Nel ambito dell'Antropologia visiva vi sono stati molti ma non esaurienti gli intenti per scoprire le potenzialità che il cinema  ha come mezzo, come tecnologia, come linguaggio e come arte. Questo tipo di cinema viene comunemente associato a l'esperienza dei pionieri come Flaherty mosso da una grande passione per la ricerca si spinge fino al confine del mondo eschimese o Jean Rouch che approffitando la leggerezza fisica dei nuovi strumenti filmici si avventura sotto l'insegna della documentazione filmica

Altre esperienze più interessanti si possono trovare nelle ricerche di Worth e Adair nel Navajo Filmmakers Proyect (1970), impresa tenace di registrazione tra gli abitanti delle comunità indigene nordamericane a mano dei propri indigeni.

 

Sempre in ambito americano, se ci spostiamo al Sud America per fare superficialmente un percorso nella filmografia di taglio indigenista, troveremo nomi come Jorge Sanjines , autore di Yawar Mallku ( Sangue di Condor, 1969) uno dei più ricordati per aver toccato il tema dello stile, il linguaggio e la messa in scena a partire di uno studiato e provocativo coinvolgimento della popolazione quechua boliviana nei suoi film.

 

 

 

2.- Antropologia Cinematografica o Cinematrografia antropologica?

Come iniziare una ricerca

Con l'inizio del XX secolo si apre una nuova prospettiva nel campo della conoscenza di altri popoli . Un oriente ogni volta più vicino, un'Africa sempre più presente nei racconti di viaggianti e mercanti europei che attraverso gli anni di colonizzazione francese e inglese praticarono per caso la primissima antropologia. Per documentare questi incontri ogni volta più frequenti, alcuni di questi commercianti, affaristi ed esploratori geografici e militari si rivolsero alla fotografia e posteriormente al cinema.

Con l'arrivo di studiosi inglesi , francesi e americani (ricordiamo nomi come Malinowski, Adams e Lévi-Strauss) a terre lontane, si iniziano a registrare documenti che si servono delle immagini per studiare queste popolazioni . Nasce in questo modo la documentazione antropologica che dopo poco si sarebbe chiamata cinema antropologico.

Invece, l'antropologia documentaria e cinematografica, frutto dei più recenti sviluppi in questa disciplina si occupano di aspetti del cinema che hanno a che vedere con l'uomo, le sue forme di comunicare, il suo comportamento con il nuovo mezzo in popolazioni non occidentali, i possibili sviluppi in aree linguistiche e di simbolizzazione ecc.

Da una parte gli antropologi usando immagini registrano la  quotidianità dei popoli con un linguaggio vicino al cinema-verité. Da un'altra il documentarismo si avvicina a popoli lontani con una visione molto giornalistica, informativa e descrittiva. Finalmente ci sono altri pochi tentativi diversi d'esperimentazione e di ricerca fotografica e cinematografica in ambito non occidentale che esplorano il campo del linguaggio in termini linguistici, semiotici e artistici.

Diverse e recenti esperienze del cinema etnografico e della fotografia di ricerca etnoantropologica hanno mostrato la possibilità di parlare d'una "visione propria" o di "punti di vista" associati a contesti culturali isolati o particolari (Muller, 1986).  Molte sono le ragioni per far supporre a chiunque inizi uno studio tra i popoli non occidentali, che esista una forma diversa di guardare il mondo e di rappresentare questo simbolicamente. (Malinowski 1922, Edward T. Hall 1955)  Tra gli eschimesi esistono almeno 14  nomi per il colore bianco a seconda del ghiaccio e la sua consistenza (Smith, 1910); tra gli andini il verde può trovare una decina di nomi a seconda del momento della giornata, altitudine o stagione dell'anno (Pulgar Vidal 1947) In Perú e Bolivia gli artigiani conoscono rossi e blu poco paragonabili. I tessuti dipinti con mille strisce di colori e le loro combinazioni e accostamenti sono infiniti, dimostrando una percezione codificata e una volontà di simbolizzazione molto acuta e carica di particolari elementi significanti.

Questa ricerca può iniziare da una terza via, quella del cinema come arte, espressione e linguaggio proprio.

 

 

3. Perché un cinema con un punto di vista proprio?

Sotto la premessa che ogni popolo abbia una ricchezza culturale che tutelare, rappresentata dalle sue diverse manifestazioni (lingua, folklore, gastronomia ecc) potremmo affermare che ogni mezzo d'espressione più o meno convenzionale che serva loro  per comunicare può essere un mezzo vitale per tramandare questi beni culturali, tra cui i sistemi linguistici elevati di significazione come l'arte. I popoli di tradizione orale che hanno subito cambi drammatici nei suoi sistemi di simbolizzazione dovuto al arrivo della scrittura in periodo coloniale hanno inchiodato nel sistema scritto la sua storia. Il cinema, essendo una forma di scrittura ma a sua volta anche un sistema aperto e diverso di simbolizzazione potrebbe essere un mezzo o strumento adatto  a nuove forme di autorepresentazione grazie alle sue possibilità espressive. Per molti popoli con l'espandersi dell'industria dell'immagine e tutte le sue standardizzazioni inizia un nuovo processo di re-scrittura della propria storia e del presente. Come in passato, tutto ciò che si scrive in immagini esiste, ma con il modo e misura di chi lo scrive.

 E se potessero loro stessi usare il cinema,  come sarebbe questa storia, come il soggetto e la messa in scena,  che genere predominerebbe, come sarebbero gli attori e quali tecniche utilizzerebbero, la scenografia, l'illuminazione, come le inquadrature , quali le ottiche per le riprese, quali i tempi e ritmi, come il montaggio? E ancora, quali nuovi sviluppi in materia stilistica e antropologica ci sarebbero?

 

 

 

4. Il Perú tra fotografia e Cinema

Come criticare un film in nuovo stile senza averlo mai girato?. Ma potremmo abbozzare delle ipotesi. Siamo ancora lontani  di vedere questo film in cui si parla solo in lingua quechua, in cui non si vede mai un orologio, una macchina ne nessun altro elemento che ricordi la città. Chi è vissuto sulle Ande in montagna scopre con imbarazzo quella sensazione dei documentari falliti dei giornalisti venuti dalla città: immagini con gli sguardi bassi e sfuggenti degli indigeni che non fanno altro che evitare di essere ripresi, parlando a bassa voce quando vengono interpellati in spagnolo, cambiando completamente la sua natura allegra e spontanea di contadini.

 

La Regione Andina e i  Quechua

La Regione Andina è tutta la fascia montagnosa che attraversa la regione centrale della America del Sud, comprendendo i territori del sud della Colombia e Venezuela, gli interi territori del Ecuador, Perù e Bolivia e il nord dell'Argentina e il Cile. Una geografia anomala per quella parte tropicale del mondo, in cui dovrebbe sempre predominare il sole. Un muro con picchi alti quasi 7000 metri cambiano assolutamente tutti i fattori climatici . La parte centrale andina in cui si circoscrive la  nostra ricerca è quella quechua del Perú e Bolivia.

 "Quechua" è una parola che vuol dire tre cose diverse: è il piano ecologico sul quale i popoli che conformarono l'Impero Inca si stabilirono per vivere , tra i duemila e i tremila metri di quota; è anche la popolazione o etnia cha abita queste terre di grande ricchezza agricola , e in fine, è la lingua di questi popoli che lo Stato Inca scelse come ufficiale.(F.Kauffmann 1972)

Il "popolo dell'acqua e del sole" nato alla vicinanza di un lago sacro (Titicaca nel altopiano Peru-Bolivia, secondo la leggenda Inca) che porta a valle la energia vitale, il sangue della terra, i quechuas, sono figli di una regione particolare del sudamerica, venuti migliaia di anni fa a popolare queste terre meridionali dalla polinesia attraverso le isole che una volta connettevano il ponte antartico. Dopo crescere come confederazioni indipendenti si organizzano diverse volte in stati ma mai in un Impero così ricco e imponente come quello degli Incas che nel secolo XIII raccolse 15mila anni di storia e vasti territori pari a una terza parte del sudamerica in un solo Stato . Conquistato dagli spagnoli con capoluogo a Lima e principali città sul mare del Pacifico, in un lungo processo di metticciato il Peru diviene una delle nazioni più ricche di storia e cultura popolare.

La cosmovisione andina vorrebbe il mondo alla rovescia. "Lo spazio-tempo visto come un cerchio diviso in due superfici che fanno contatto in uno strato sottile chiamato KAY PACHA o "terra del adesso", concetto che ricorda l'attimo che sfugge, il momento fotografico, il tempo della vita e degli uomini. L'uomo cammina verso il futuro per voltato , con la schiena davanti e il volto che guarda quello che l'attimo ci ha lasciato, le tracce della vita".(Randall, 1960)

 

 

Prime Immagini del Perú

Le prime immagini scattate sulle montagne del Perú risalgono ai primi anni della fotografia. Nel 1842, appena a due anni dell'invenzione del Daguerrotipo, l'avventuriero daguerrotipista italiano Massimiliano Danti arriva al Perú per aprire uno studio sulla via Mantas al servizio  dei cittadini bianchi di Lima. Poco dopo arrivarono alcuni altri  daguerrotipisti stranieri, tra cui l'americano Benjamin F. Pease, que si radicò in Peru nel 1852.  L'anno dopo, il francese Jacinto Pedeville introduse in  Perú il sistema del collodio ùmito. Nel 1856, il francese Emilio Garreaud apri lo studio fotografico vicino a quello di Pease. Verso gli anni sessanta si trovavano in funzione al meno una decina di fotografi a Lima, in maggioranza stranieri per sodisfare la borghesia limeña , figlia della creolizzazione spagnola. Nello stesso periodo, il francese Maunoury arriva alla cosmopolita e prestigiosa Lima attratto dall'industria del concime, e si stabilì lavorando con i primi negativi con supporti in cristallo abbelliti con un bagno d'oro, prodotto corrente in alcune collezioni familiari della oligarchia peruviana. Dovette chiamare i suoi parenti, i fratelli Courret che abbandonando Bourdeaux in 1964 stabilirono a Lima lo studio più grande e sofisticato del Perú . La sua attenta passione per i fenomeni sociali lascerà il più numeroso e completo archivio di personaggi noti e popolari, frutto di incroci etnici. A conseguenza della liberazione degli schiavi africani e indigeni molti settori della società che tenevano proibito il matrimonio misto inizieranno a fondersi creando un continuo metticiaggio che passo sotto gli occhi di Courret. Indios, negri , creoli, mettici, chinos, zambos, mandingas, cholos, mulatos saranno ritratti da lui a Lima insieme a situazioni di cronaca e immagini esotiche .

In questo avventuroso percorso, s'intende che lo stile che insegue la fotografia ritrattistica è un calco perfetto di quello europeo. Così si inizia a costruire l'archetipo visivo peruviano accorde con le posteriori innovazioni tecniche. Gli studi si moltiplicheranno sempre alla capitale per ritrarre le famiglie aristocratiche e i personaggi del mondo politico e militare.

Nei primi anni del XIX secolo mentre Lima afferma il suo potere aristocratico e centralista come capoluogo,  si fermentava nella città di Cuzco la Corrente Indigenista. Secondo lo storico  peruviano José Tamayo l'Indigenismo nacque a causa delle rivolte di studenti e indios alzati in armi a Cuzco dovuto al eccesso di tasse e lavori forzati. Per dare base legale alla protesta fu creato il Patronato della Razza Indigena. Il concetto di indigenismo sarà usato per la prima volta dal pittore andino José Sabogal in riguardo ai suoi dipinti con tema di questa regione. E' soltanto in questo periodo,  che dopo quattrocento anni la città di Cuzco si riprende il posto di ombelico della cultura andina.(Cuzco per l'appunto vuol dire in quechua ombelico)

Miguel Chani, un ritrattista e fotografo insieme al inglese Thomas Penn saranno a Cuzco durante gli incidenze del Indigenismo. Juan Manuel Figueroa Aznar , fotografo , attore e pittore visse quel periodo malgrado il suo coinvolgimento nelle faccende sociali  come una questione pittoresca e folcloristica producendo cartoline con le sue immagini. Posteriormente Vidal González e  Sebastián Rodríguez  anticiperanno come fotografi di questo periodo la strada  a un personaggio molto importante a chi senza dubbio influenzeranno.

 

 

Martin Chambi in un Autorittrato

 

Si tratta di una rara eccezione in questo percorso. Il suo nome passerà alla storia come quello del primo fotografo quechua a interpretare il mondo andino con una visione personale e particolare: Martin Chambi , un contadino di Cuzco , figlio di una famiglia di agricoltori, che si interessa alla fotografia. Grazie alla contrattazione del padre in una miniera aurifera diventa l'asistente del fotografo della ditta inglese e posteriormente avrà un apparecchio fotografico . Nato nel 1891 è il primo fotografo indigeno dell'America Latina come disse la fotografa argentina Sara Facio, "il primo a guardare la sua gente con occhi non colonizzati". Figlio di una famiglia inca, Chambi possiede una visione indigenista genuina. Il suo sguardo non é contaminato di commiserazione ma di un sentimento nobile che va al di là della compassione miserabilista propria di chi guarda da lontano, dal di fuori della realtà quechua. Chambi porterà con sè  il suo asino e la sua macchina fotografica sino alle cime più alte di Cuzco per scattare le piú belle e rare foto all'epoca. Sarà il precursore della foto antropologica andina. Chiamato il "Nadar di Cuzco", i ritratti di Chambi guardano la struttura senza artifici degnificanti ne verticalità. E' notevole una visione del mondo come se fosse tutto un paesaggio unico e orizzontale, anche le persone più rispettabili. Fu lui a fotografare per primo il Macchupicchu dopo la scoperta nel 1921.

 

 

Contrasti elevati , luci ed ombre staccate per evidenziare lo stacco delle classi sociali, gli indios dei figli degli europei, la città della ruralità , cultura e natura in continuo contraste e oposizione. Luce naturale sempre sia in  studio che in esterni a dorso d'asino nelle sue uscite per fotografare la vita quotidiana contadina, le sue feste , i suoi costumi . L'opera fotografica di Martin  Chambi purtroppo si chiude nel 1950 dovuto a un tragico terremoto che devastò il Cuzco nel 1950 lasciando 35,000 vittime . Irvin Penn , riconosciuto fotografo inglese mentre lavorava per la rivista Voge durante un viaggio in Perú nel 1947 non resisterà alla tentazione di visitare il Cuzco e conoscerà lo studio di Chambi chiedendo in affitto questo spazio per alcuni giorni nei quali ritrae gli indigeni. Penn scriverà su questa faccenda sorpreso per aver dovuto pagare ai modelli  per prima volta in vita sua a fin di fotografargli : in fila decine di contadini incuriositi e timidissimi che visitarono lo studio di Chambi a Cuzco durante il soggiorno di Penn.Grazie a questi  Chambi inizierà ad essere  conosciuto internazionalmente.

 

 

   
    Foto: Irving Penn nello studio

di Martin Chambi,Cuzco 1947

   

 

Alcuni anni dopo l'antropologo e fotografo americano Edward Ranney interessó la Erthwath Expedition che dopo rilevare gli archivi durante due mesi guardarono 15 mila lastre di vetro. Concluse in una grande opera di restauro all'Università di Berckley e una mostra al Museo d'Arte Moderna di New York.

 

Alcune mostre recenti

-1992, Gallerie le Stelline, Milán, Italia.

-Feb.1993,Centre National de la Photographie, París, Francia./

-Abr.1993,Musée d'Ethnologie, Ginebra, Suiza.

-1997 'Memorie del Peru (1863-1959)', Instituto Italo-Latinoamericano, Roma, Italia.

 

 

Pubblicazioni

 

-1984 '-"Peut-on parler d'une photographie de fiction en Amérique Latine, le cas Martín Chambi" Ponencia en el Colloque International pour la photographie de la fiction en photographie, 11-23 setiembre, Istituto Universitario di Architettura Benedetto Croce, Venecia, Italia, 2pp.

-Febbraio 1993, Arte, Italia "Il Perù d'inizio secolo di Chambi conquista un posto nella storia dell'America latina"

 

Comunità di contadini sulle montagne di Cuzco

 

 

Breve Storia del Cine Peruviano

 

Il cinema nato come esperienza tecnica si è evoluto, diventando la più ibrida e complessa delle arti. Ma se pensiamo quanto di quel incantesimo della visione ha sacrificato per divenire un prodotto industriale, disegnato per essere capace di piacere a tutti, quanti elementi non visivi, estranei al più sofisticato e potenziale "costrutto fantastico della visione" ne fanno oggi parte di disturbo, rumore di fondo in una produzione. D'altronde, un film costa e quindi normalmente è prodotto per sfruttare le sue potenzialità commerciali. Ma il cinema degli inizi era molto più semplice e pieno di ricche esperienze e avventure che non avevano niente a che vedere con questi elementi.

In questa parte del mondo il cinema potrebbe ancora essere a questi livelli, ancora sconosciuto o da reinventare. La televisione, unico mezzo che usa  l'immagine può essere l'unica forma di linguaggio visivo che si potrebbe contare dentro le esperienze di quelli che hanno raggiunto la città qualche volta nella vita .

Il primo cinematografo arriva nel 1897. Con brevi proiezioni del muto degli inizi della storia cinematografica, il Perú sarà in ritardo rispetto ad altri paesi latinoamericani.Le prime produzioni, che risalgono al 1920 sono i primissimi passi di una cinematografia incipiente e promettente. I primi lavori filmici sono passaggi della vita quotidiana. Tra i primi lungometraggi è da ricordare quello di Luis Pardo (1927). Come conseguenza della crisi del 1929 l'economia nazionale si vide affetta e il pubblico già scarso si ridusse ancora drammaticamente. Queste circostanze sommate alla precarietà delle risorsa tecnologiche affettarono un cinema incipiente ma promettente. La Amauta Films fece nel Teatro" Colon"  la prima di "El Capitan Calaverón" di Edward Griffith. Il pubblico di Lima  ebbe occasione di godere la tecnologia del sonoro dagli anni 30. Il primo film peruviano sonorizzato fu "Resaca" di Alberto Santana (1934). Poi "Cosas de la Vida" e "Buscando Olvido" nel 1936. Non ostante il sonoro, questi film erano di poco adelanto qualitativo nei confronti del muto. La produzione di lungometraggi peruviani ebbe vero inizio del 1937 con tre produttori stranieri tra cui uno spagnolo che fondano la Casa Amauta Films che girò quattordici films e più di un centinaio di documentari fino al 1940, anno in cui diviene casa di distribuzione esclusivamente. I film, commedie o drammi sentimentali, riproduceva il teatro di costume, cercava di ritrarre il gergo popolare i suoi personaggi. Non ostante il grande cambio della condizione sociale a Lima, inizia il tramonto della classe aristocratica di cognomi spagnoli e francesi, e emerge una classe operaia cambiando molto i tenori sociali . L’Amauta continuò a riprodurre ancora quella idealizzata società aristocratica e il suo contrario popolare producendo un ritardo tematico . Presto altre case di produzione quali la Colonial Films, la Cosmos e la Condor Pacific aprirono le porte per chiuderle dopo pochi anni di fallimentare imprese. Causa  fu la seconda guerra mondiale, la conseguente mancanza di materia prima di fabbricazione europea e l'espansione della industria messicana . Questo vino a creare un vuoto di quasi dieci anni nella produzione nazionale, essendo di grande accettazione i film messicani. Nel 1944 una legge prevede la produzione ed esibizione di un notiziario cinematografico nazionale che diventa obbligatorio in tutto il paese per dieci anni consecutivi.

Il cinema cubano sarà all'epoca capace di alimentare le sale cinematografiche latinoamericane per vari decenni, insieme alle produzioni messicane. Le sale sono situate sopratutto a Lima , dove un piccolo pubblico borghese e aristocratico inizia a vedere questo tipo di spettacolo. Durante e dopo la seconda guerra mondiale, alcuni autori iniziano a produrre nuovi film che concorrono con i divi messicani amatissimi all'epoca come Libertad Lamarque, Jorge Negrete, Maria Felix.

Negli anni 50 inizia la stagione più fruttifera della storia del cine peruviano, grazie in parte alla Scuola di Cuzco. I fratelli Manuel e Victor Chambi, figli del fotografo già noto;  Luis Figueroa, Rodolfo Zamalloa, Luis Nieto ed  Elogio Nishiyama  produccono documentari di taglio culturale e indigenista,  promovendo il Cine Club di Cuzco, una cellula di critica e pressa di coscienza sulla importanza di un linguaggio proprio. Rimane l'esempio più grato e l'intento che ebbe più lunga durata e influenza nella cinematografia peruviana indigenista. Per la prima volta la vita contadina fu vista sullo schermo cinematografico. Il lavoro più completo appartiene a Manuel Chambi che arrivò dove nessun regista aveva mai messo piede  sulle lontane montagne delle Ande Centrali.

 

Tra i film più noti della Scuola di Cuzco:

-Santuranticuy (Víctor y Manuel Chambi, 1956)

-*Carnaval de Canas (Víctor y Manuel Chambi, 1956)

-*Lucero de nieve (Víctor y Manuel Chambi, Eulogio Nishiyama, 1956)

-Corrida de toros y cóndores (Manuel Chambi y Eulogio Nishiyama, 1956) -

La fiesta de Santo Tomás (Manuel Chambi y Eulogio Nishiyama,1956)

Chumbivilcas (Manuel Chambi y Eulogio Nishiyama, 1957)

Noche y alba (Víctor y Manuel Chambi, 1959)

Los invencibles de Kanas (Víctor y Manuel Chambi, 1959)

La fiesta de las nieves (Víctor y Manuel Chambi, 1960)

Raza de cóndores (César Villanueva, 1962)

Feria de Huancayo (César Villanueva, 1963)

Estampas cuzqueñas (Eulogio Nishiyama)

*Carnaval de Canas e  Lucero de Nieve furono considerati nel 1960 i migliori documentari etnografici durante la Rassegna Cinematografica di Santa Margherita di Genova, Italia.

 Con l'arrivo della TV nel 1958 molti personaggi della commedia in tv facevano il film al cinema arrivando a grandi esiti di vendita con poca qualità. Nel 1971, Panamericana Televisión , diviene uno dei canali più influenti e inizia a scommettere nella produzione cinematografica col film " Natacha", della Telenovela di loro produzione dello stesso nome, grande successo come quello successivo : "Simplemente María".

Nel 1972 come cosa molto anomala per i tempi in sudamerica la giunta militare di taglio stalinista   del Generale Juan Velasco Alvarado,  crea la legge di fomento all'Industria Cinematografica. Si ritiene che prima di ogni proiezione si doveva per obbligo mostrare un corto o film peruviano. Molti giovani amatori potevano esperimentare e realizzare così i sogni dentro il cassetto. Purtroppo una mancata qualità di stile e di tecnica domina questo periodo.

Ancora la precaria situazione economica influisce nella produzione durante gli anni ' 80 provocando  una via di uscita facile ma non meno seguita dal pubblico peruviano. Storie costruite sulla base del humor popolare , commedia realista facile o dramma con contenuto sociale. Solo Luis Llosa dirige "Misión en losAndes"(1988)  e "Calles Peligrosas"(1990) scommettendo più per la fiction lontana del ripetuto e infruttuoso realismo.

Così il cinema peruviano e andino arriva ai giorni nostri in una permanente crisi. Un film è una incredibile fatica che potrebbe rovinare a tutti quelli coinvolti nella produzione o permettergli di continuare a fare film. La precaria condizione dell'industria cinematografica sommata alla crisi economica dei paesi in via di sviluppo, la chiusura delle sale da parte dei distributori,  un pubblico sempre meno interessato al cinema come mezzo di intrattenimento e di cultura,  la presente tematica ripetitiva del basso mondo proletario chiamato "realismo" fomentano la mancanza di creatività e la indifferenza dei mercati alternativi di esportazione. Il cinema peruviano non è nelle condizioni di concorrere con i mostri americani.

Così la parola "cinema" in latinoamerica sta a significare una dura impresa piena di amarezze. Non essendovi un pubblico massiccio dovuto alla instabilità economica e ad altre forme più diffuse e tradizionali di intrattenimento, il cinema è una specie protetta. E' anche elemento di sfogo sociale e repressione nei tempi di duri conflitti sociali ; pero è stato sempre lo specchio della estetica del potere americano ed europeo e del suo linguaggio.Poche volte il cinema andino è stato capace di mostrare autenticità. Partendo del fatto che tutto ció che è autentico viene disprezzato dai canoni predominanti, un cinema coraggioso come quello indigenista della Scuola di Cuzco è stato dimenticato. Pochissime le proposte di un vero studio approfondito e responsabile degli elementi che potrebbero costituire la sua rinascita. 

La popolazione latinoamericana è consumatrice passiva di produzioni straniere, piuttosto che spettatore attivo in grado di dialogare con un cinema generato all'interno della propria radice culturale. Il cinema occidentale non ha mai indagato a fondo nella complessa realtà dei paesi del terzo mondo , limitandosi a utilizarne paesaggi e abitanti e a coglierne gli aspetti folcloristici ed esotici.

 

 

 

5. L'esperienza con la fotografia

 

Il cinema è  fotografia in movimento. Come linguaggio il cinema pur usando l'immagine come mezzo d'espressione supera con la sua cinetica gli effetti realistici della fotografia . Quindi è alla fotografia (come elemento primario ed elementare) che ci rivolgiamo per il seguente esempio. 

Nel 1979, Thomas Müller, fotografo giornalista della rivista Die Spiegel prende la decisione di trasferirsi sulle Ande del sud del  Perú con la sua famiglia . Abitando in mezzo a una comunità di contadini quechua  della località di Quispicanchis, in Cuzco, inizia a usare la fotografia  come mezzo di capacitazione e promozione sociale. Non ostante si trattasse di foto belle e tecnicamente sodisfacenti avevano  un serio problema di linguaggio . Si trattava di un occhio assolutamente diverso cercando di rappresentare la loro visione, dato che queste foto dovevano essere materiale che i contadini guardassero per essere rappresentati all'interno di un contesto di programmi di sviluppo.  Un'altro occhio dunque, a dire di Muller, un mondo cercando di vedere un'altro , malgrado l'esperienza del giornalista e gli anni che questi andasse gia abitando quelle terre.

 Un giorno un gruppo di dirigenti contadini chiese a Muller di andare alla loro comunità a fare delle riprese.  Lui, come al solito molto impegnato,  dovete rischiare prestando la macchina fotografica con molto ecceticismo . Dando loro alcuni rullini in dotazione e consigli più di come non rovinare la macchina che accorgimenti  tecnici , iniziava l'avventura. Dopo qualche ora i rullini erano di ritorno; ecco il mondo contadino peruviano in tutta la sua magnitudine, con quasi tutte le foto bruciate. Grazie alla acuta curiosità di Muller che seppe osservare e riproporre questa esperienza come una soluzione al grosso problema di linguaggio che si era venuto a creare nel suo lavoro, propose agli stessi contadini di aprire una bottega di fotografia molto organizzata. Questo è il momento in cui nasce per casualità TAFOS (Talleres de Fotografia Social).

Dopo risolvere le apparecchiature migliori, i formati più versatili, Muller inizia un programma iniziale di ricerca nella zona di Ocongate, Cuzco e un'altra a El Agustino alle periferie di  Lima in una delle fabelas più popolate di immigranti indigeni quechua.

 

 

 

 

Mariano Chillihuani - Taller Ocongate. Mi piedra y yo. Cusco, 1987

 

Il fotografo quechua e volatile, non ha paura del rischio e puo aspettare ore prima dello scatto pur di avere la sua foto. La visione del uomo andino e lenta,  pausata e in formato molto orizzontale. La verticalità rappresenta la presenza del sacro , le montagne , ma in fotografia per loro queste sono dovunque, come nel paesaggio andino. Le visioni non sono ingenue ma cariche di contenuti da decifrare in chiave andina: una poetica della vita in funzione della loro idea di circolarità della vita .Una visione del mondo in funzione del ciclo delle piogge e del elemento Aqua, di chi loro dipendono e sono figli. Circolarità che muove lo spazio e il tempo come dei fluidi, con una concezione progredita di società basata nell'uguaglianza, nel lavoro comunitario e nelle feste. La festa ricrea la vita, è l'impulso vitale che la fa circolare. La notte di festa si muore per poi riprendersi dopo aver ringraziato l'abbondanza. Quella quechua non essendo una società industrializzata ne basata nel principio economico di produttività , conosce un tempo contadino che passa lento e la sua percezione della vita è calma, quindi con una capacità impressionante di contemplazione. Così sono anche le loro foto, piene di attimi di forza e tenerezza, di accumulata sapienza.

Vivere in quella geografia può cambiare chiunque in poche settimane. La fatica che si fa a respirare sugli altopiani a 3500 metri di quota fa venire il mal di testa di solo pensarlo. Più del 60 % della popolazione peruviana è ancora lì dove gli incas preferirono fare dimora in un clima benigno seco e fatto per celare gli Apus o le montagne che diedero origine loro.Vivere cosi alto dunque è per loro stessi un orgoglio. Chi abita a valle e sempre chi non c'ella fatta, un debole di carattere o un bianco.

L'idea di TAFOS prosegue come una esperienza di articolazione di un mezzo e un linguaggio semplici che permettano loro di esprimersi con immagini proprie, al di là del artigianato, della narrazione orale. I nuovi mezzi in Perú sono carichi di segregazione, e la scrittura occidentale ha inchiodato a sua volontà la storia di questo popolo come un processo senza continuità, come strumento di opresione. Forse però, il Perú è ancora un posto in cui domina la lingua, la narrazione, la musica e la visione,  ragioni per credere in una autentica nuova cinematografia.

TAFOS cerca di svincolarsi subito della scelta dei neofotografi, i quali vengono scelti direttamente dalle comunità stesse. I fotografi non lavorano per TAFOS, hanno una funzione dentro la loro comunità come il panettiere o il segretario al Comune e devono dimostrarlo  esponendo il suo lavoro secondo il loro criterio. La scelta del materiale avviene anche con i loro criteri, essendo importante sopratutto il desiderio di connettere piccole realtà di comunicazione con altre botteghe lontane anche centinaia di chilometri, cio'è, un linguaggio del tutto nuovo e potente che faccia interconnettere diverse realtà quechua .

 

 

Fotografo Andino

 

 

Sebastián Turpo - Taller Ayaviri.

Boda a caballo. Viscachani, Puno, 1989

 

Forse l'unico precedente concreto di TAFOS sia il movimento di fotografi operai formato in Germania nel 1920, del quale Muller aveva conoscenza. Dopo la seconda Guerra Mondiale fiorirono associazioni di lavoratori fotografi che impulsarono esposizioni conferenze internazionali , e anche una agenzia di distribuzione. Centrato nella pubblicazione delle riviste Der Arbeiter-Fotograf  e Arbeiter Ilustrierte Zeitung . (Jay Ruby, Sharing the Power: A Multivocal Documentary, Perspektief, n0 41 ,maggio 1991)

TAFOS dopo la pubblicazione di articoli ne Newsweek,  vincerà diversi premi internazionali come al "Festival  Ensayo Fotográfico Casa de las Américas", de L'Avana, Cuba; il "Mother Jones", negli Stati Uniti, e nel 1993 il premio PDO dell' UNESCO per il suo lavoro in Comunicazione Rurale. Le immagini sono state mostrate nel 1991 a Londra nel Photographers Gallery , in collettive come "Turning the map : lmages from the Americas", presentata in Camerawork nel 1992;  "Canto a la realidad" a Madrid nel 1993; "Muestra de Fotografía Latinoamericana" de Fotoseptiembre a Messico, Centro de la Imagen, nel 1996.

Vedere anche Juan Luis Dammert, "TAFOS. Mirando el Perú", TaxiFoto, Anno 2, n 04 (1996): pp16.

 

 

 

6. Dalla fotografia al Cinema

 

La fotografia finisce dove inizia il movimento. L'esempio seguente è in buona parte la versione cinematografica di TAFOS ma con la applicazione dell'immagine in movimento. Per arrivare al cinema abbiamo allora nuovi elementi che vanno ad arricchire la nostra percezione dell'ondo rappresentato: suono, montaggio, tempo, spazio e personaggi. Ma anche racconto, soggetto, movimento, scenografia.

Gli antecedenti della partecipazione dei nativi o indigeni negli studi del visivo risalgono agli inizi del secolo scorso. Per Chalfen (1989), la conessione tra il filmato antropologico e l’immaginario indigeno o "indigenous media" e le arti come la pittura è complementare ma distante.

Robert Flaherty chiese alcuni nativi Inuit eschimesi di aiutarlo nel processo di montaggio di "Nanook of the North" (1922) . In 1977 David MacDugall viene aiutato dai nativi per montare "Good bye old man" . Ancora nel 1981 saranno i propri nativi Turkana a consigliare lo stesso autore i topici per un film particolare chiamato " A whife among wives" o a Sara Elder nel 1974 per "People of Tununak".

Jean Rouch ha discusso con una audience nativa che aveva girato dei films come  "Moi un Noir" (1957)  e "Jaguar" (1965) .

Timoty Asch chiese invece ai balinesi nel 1985 in una interessante variazione di girare durante una sua performance in "A Balinese Trance Scéance". Pero nessuno di questi esempi arriva a coinvolgere le popolazioni native nel processo di comunicazione.

 

  L'esempio latinoamericano arriva dalle viscere della Bolivia degli anni caldi delle dittature militari. Nel 1969 Jorge Sanjines prendendo spunto di un fatto di cronaca riguardo a un programma di sterilizzazione portato avanti da un'équipe di medici americani sulle donne indigene attuato a loro insaputa narra con indegnazione e disgusto la ricostruzione immaginaria degli eventi. Durante tutto il film Sanjines discute con i nativi sulla messa in scena, le inquadrature, sui personaggi e sul insistente realismo con quali immagini impressionanti verrà ricostruita la faccenda dai propri contadini. La struttura a flash-back del film consente a Sanjines di narrare la storia in chiave politica, senza perdere attenzione ai sistemi linguistici narrativi contadini. Il film fu messo al bando ritenuto pericoloso non ostante la fama della quale godesi l'autore  fondatore dell'Istituto Nazionale di Cinematografia Boliviana. Sanjines e i suoi collaboratori allora si spinsero nei più remoti villaggi indigeni dove allestirono speciali proiezioni dei film. Un narratore raccontava la storia secondo la antica tradizione. Il pubblico veniva incoraggiato a porre delle domande e a discutere sul linguaggio, sulla narrazione, la messa in scena e gli attori. Sanjines sarà un elemento chiave nel cinema rivoluzionario latinoamericano grazie al suo metodo che coinvolgeva le popolazioni indigene nel processo di preparazione, finanziamento, produzione, realizzazione e presentazione dell'opera.

 

Come tutti i film di Sanjines, "Sangue di Condor" non concede nulla ai gusti e alla sensibilità di stampo europeo. E stato realizzato per e con gli indio quechua boliviani e adotta un punto di vista strettamente indigena, dimostrando una profonda comprensione delle cerimonie e dei riti boliviani.

 

     

 

 

 

7. Un'ipotesi di cinematografia andina :

La questione del punto di vista

 

Se volessimo ipotizzare un possibile gruppo di elementi che determinerebbero la visione andina e la sua interpretazione in un linguaggio cinematografico, questo avrebbe i seguenti elementi e variabili.

 

Elementi di condizionamento geografico che contribuiscono

alla particolare percezione visiva e psicologica

 

-Orizzontalità intesa sempre come una variabile e non come una costante.

-Visione stereoscopica, periferica.(un possibile uso di ottiche corte e movimenti di macchina quasi assenti)

-Grazie alla pressione e gravità, la rarefazione dell'aria e la mancanza di ossigeno i ritmi biologici cercano l'efficacia nei movimenti e lo sviluppo di tecnologia per il minimo sforzo con la massima produttività e risparmio di energia, consentendo un movimento del corpo assolutamente diverso di quello sviluppato a valle.

-posizione del sole che in questa latitudine fa sempre ombre nette grazie a la purezza atmosferica e ai venti consentendo contrasti sempre elevati , cieli purissimi e limpidi e visioni notturne che evocano facilmente l'immensità.

-l'effetto dell'altura fa crescere nelle persone un senso di energia e superiorità perché le montagne sono solo cumuli di sapienza come rappresentazione degli origini e gli anziani.

- La percezione di una natura ricca e variopinta permette una concezione variabile del mondo che circonda il contadino quechua, facendolo erede di un patrimonio linguistico capace di rappresentare una quantità impressionante di termini per definire i colori e momenti della giornata.

 

Elementi Cosmogonici e visione dello spazio e del tempo

 

- Effetto della circolarità dell'acqua e tutti gli elementi della natura. L'uomo non possiede la terra ma ne appartiene.

- Il concetto di "kay" ovvero l' "adesso": semplice attimo nel corso del tempo in cui abitiamo. Lì si fonda la concezione della esistenza dell'uomo, minima parte integrata e integrante di un universo cosmico. Questa concezione influisce e determina concetti come lontano/vicino, presto/tardi, tutto/parti, continuità/interruzione, inizio/fine, continuità/circolarità , che sono riscontrabili nelle narrazioni e sono concetti chiave per un possibile montaggio cinematografico proprio e originale.

-Il sopra e il sotto non si contrappongono ma si complementano. Il mondo è composto dal Hanan Pacha e Urin Pacha . Ambi intersecano il Kay.

-Capacità di acuta e detenuta osservazione del mondo e un noto amore per la visione della natura e i fenomeni climaticci quali le piogge, le grandinate, l'arcobaleno, i fiumi, l'alba e il tramonto; sempre momenti di evocazione spirituale perchè non si trata solo di fenomeni climatologici ma di esseri superiori. In questa logica indigena, la visione prende una dimensione diversa.

-monocronismo y policronismo (il pensare o fare diverse cose alla volta)

-Prosemica dominata di spazi comuni non ostante la presenza di una sfera di privaci molto larga, facendo le relazioni personali molto vicine pero senza vero contatto. I contadini quechua non si abbracciano volentieri e non gridano ne baciano mai.

 

La questione linguistica e narrativa

- La Quechua è una lingua glutinante. Prima dei preti gesuiti spagnoli, che la raccolsero e fecero i primi dizionari nei primi anni del 1600, questa lingua non veniva scritta. Inchiodata nel sistema scritto perse per sempre la sua caratteristica esclusivamente orale. La sua sonorità fu riversata a l'alfabeto latino. Il cinema, essendo a sua volta una forma di scrittura e una forma aperta di simbolizzazioni potrebbe essere un mezzo adatto per far riprendere come linguaggio le possibilità espressive di molti popoli come quello quechua.

- La capacità del quechua di essere duttile ed elastico, capace di fondere altre lingue e rinnovarsi,dimostrano di essere un sistema aperto. Il quechua ancora viene usato dal 40 % dei peruviani e più del 60% degli ecuadoregni e boliviani.

Sarebbe un cinema narrativo o un cinema che guarda e scrive con immagini? Le esperienze del “Cinema Pur” avanguardie del muto degli anni 20 e 30 dimostrano che è possibile fare del cinema che non abbia necessariamente qualcosa da raccontare. Il concetto di Fotogenia e la visione impressionista si potrebbe potrebbe avvicinare alla forma di visione andina.

-Queste popolazioni conservano nel linguaggio orale quello che non hanno trasmesso per scritto, e quindi la narrazione o narratività è un elemento totale. Non c'è parte de la vita senza un rimando orale narrativo

- Nella narratività andina, si sono trovate tracce significative di strutture poco conosciute come il racconto improvvisato comunitario e giri linguistici molto propri. (Jose Maria Arguedas, 1944)

 

Il problema dell'attore

La teatralità andina rimane ancora sconosciuta e da ricercare profondamente. Non ostante gli sforzi per istituire un insegnamento di stile moderno e accademico occidentalizzato del teatro nelle città, in montagna prevale con grande ricchezza ancora la presenza di un teatro frammentario e onnipresente. Infatti, è un fenomeno in costante cambiamento e con una vena tradizionalista molto profonda. La sua vera dimensione espressiva rimane nella gestualità quotidiana. L'attore andino lo si trova dovunque, tra i musicisti, i danzatori di mille colori e facce,  tra gli sciamani nelle feste di comunità contadine, dietro le maschere di diavoli o arlecchini andini, improvvisati toreros che si travestono nella "corrida buffa" prendendo in giro la sanguinosa tauromaquia spagnola, tra i bambini indios, venditori comici di caramelle delle strade delle città a valle.

L'attore Andino è spontaneo e improvvisato, dilatato e agile ma visto isolatamente fuori dal suo contesto diventerebbe silenzioso e malinconico . Tra le istituzioni di danza esiste qualche forma di mestiere dell'insegnamento e per ogni danza un sistema di codici che si tramanda di generazione in generazione. Questi codici potrebbero essere una chiave per capire come si comporterebbe un attore Andino in un film.

Nelle esperienze di Woth e Adair (1972) i Navajo furono chiesti di elaborare prodotti audiovisivi . Inizialmente il problema dell'attore era molto complesso teoricamente ma quando si iniziarono ad usare registi nativi le condizioni cambiarono rapidamente.

In "La Vida es una sola" un film peruviano del anno 1992 girato per intero in un villaggio sulle Ande centrali, si presenta un tentativo di dare ruoli secondari agli abitanti quechua del posto. Non riuscite alcune scene dimostrano che la presenza di un regista non quechua e addiritura attori professionisti discendenti di quechua venuti dalle città creavano un'atmosfera di tensione durante le riprese. Battute cariche di finzione al punto di smascherare la recitazione stessa, facevano notare che i contadini erano al di fuori della regia, mentre mettendo in contrasto veri e finti contadini, si riconosce immediatamente la farsa.

 

 

Bibliografia

 

-Dalle Ande al Himalaya , Piero Ghiglione  (1936)

-Il cinema del Contatto, Jean Rouch (1988)

-Sull tracce dell'uomo/ Fotografia ed etnografia di viaggio , Giancarlo Zuin

-Peru- Atto Primo, Federico Kauffmann (1989)

-Cosmologia y musica en los andes,Max Peter Baumann (1996)

-Dal Cuzco alla Patagonia , Martín Chambi/ Bruce Chatwin

-Martín Chambi Fotógrafo. Lima, Institut Français d'Études Andines - Banco de Lima, 1991. 164pp.

-'Martín Chambi', publicación del Museum voor Volkenkunde Rotterdam, No. 1/1992, p. 3.

-TAFOS, Discovering Their Own Realities Through the lnquisitive Eye of a Camera. Panoscope NewYork, (sett.1991, pp12-13.)

-"La vida indígena y popular en Perú según sus propios protagonistas." La Epoca (Santiago, 25 demarzo de 1995).

-Dammert, Juan Luis. "TAFOS mirando el Perú." TaxiFoto n"4 (19961:14-16)

-Katel, Peter. "The Eyes of Silence." Newsweek (junio de 19901:16).

-!Viva el Perú, Carajo!: The Photography and Culture of TAFOS. London The Photographer's Gallery, 1991.

 

 

 

 

Filmografia

 

Nanook of the north , Robert Flaherty, Usa 1922

Jaguar, Jean Rouch, János Dömölky  1967 

Mio un noir Jean Rouch 1958

Sangue di Condor .Jorje Sanjines, Bolivia, 1969

Scuola di Cuzco (vedere sopra)

Navajo Filmmakers (New Mexico, USA 1970, Worth & Adair )

La Vida es una sola, Marianne Eyde  Perù 1992