"IL DRAMMA DI ACHILLE: IL DOVERE DI VINCERE,
L'ARTE DI PERDERE NELLO SPORT E NELLA VITA"
Aldo Fumagalli
Il dovere di vincere oggi suona come un imperativo categorico, fortemente aggressivo, tipicamente occidentale, molto lineare. L'arte di perdere mi sembra invece appartenere ad un atteggiamento più relativista, se vogliamo compassionevole, meno ansioso e più distaccato, legato forse ad una tradizione più orientale dove l'uomo fonda la propria originalità nella sua capacità di accettarsi così come è, e non nella ricerca spasmodica di quello che dovrebbe essere.
Due opposti, apparentemente: l'uno basato sul come universalmente mantenerci nell'avventura della vita, l'altro sul come spasmodicamente attrezzarci per affrontarla.
Due atteggiamenti, sicuramente complementari. Ma oggi c'è probabilmente un'enfatizzazione del secondo.
Forse per colmare un vuoto? Un deficit nel processo di differenzazione?
Certo che la globalizzazione ed il consumismo hanno un terreno fertile su cui applicarsi.
Nella cultura predominante del secolo scorso, l'uomo portava ancora negli occhi e nella mente il modello mitico rappresentato da Ulisse, personaggio decisamente "umano" perché proiettato a valorizzare le caratteristiche dell'uomo "così com'è" che sfida il fato e che dentro di sé attinge i valori con cui combattere, per questo è eroico.
Oggi, sembra invece che il modello mitico sia diventato Achille, l'invincibile, l'immortale perché protetto da una dea: Minerva.
Il mito del conquistatore, dell'uomo che deve ricorrere all'arguzia e al coraggio per affermarsi e differenziarsi, è stato sostituito da un'immagine conflittiva, che ci pone in discussione con noi stessi perché ci sentiamo tutti dei vuoti e "sfortunati Enea", che nulla possono contro l'inafferabilità del potere divino. Non c'è partita quando con e nell'inafferabilità sfugge anche la nostra identità.
Dunque, bisogna riempire questo vuoto con le cose e le circostanze favorevoli: essere al posto giusto al momento giusto, avere amici che contano, non sbagliare nel puntare sui cavalli del traino, autostimolarsi se è il caso: sono tutte espressioni emblematiche "di quel bisogno della spintarella" che risolve a nostro favore qualsiasi diatriba.
Sebbene l'immagine dell'esperienza quotidiana ci rimandi immagini di forte conflittualità con se stessi fino alle estreme, drammatiche conseguenze, da educatore ho la fortuna di registrare, comunque, delle grosse possibilità di indirizzare i nostri ragazzi su un terreno più attento alla dimensione dell'essere.
Sebbene, cioè, sembri che Achille abbia vinto la partita, l'immagine di tanti giovani che puntualmente, ogni mattina, arrivano alla scuola per affrontare le difficoltà di una lunga preparazione culturale, scientifica ed umanistica ci rassicura.
Così come non è solo motivo di orgoglio, ma anche senso di speranza e di soddisfazione ricordare i tanti giovani che nelle ultime Olimpiadi hanno conquistato importanti medaglie e riconoscimenti che sono sicuramente frutto di fatiche, di impegno ed anche di certezze.
Molto è dunque riposto nella capacità degli educatori aiutare i nostri ragazzi a non lasciarsi conquistare dall'aggressività patologica di Achille.
Queste si fondano nelle nostre tradizioni, negli insegnamenti, nell'esempio di tante famiglie che sentiamo unite nella ricerca di un futuro non effimero né facile, ma che attraverso la volontà e la responsabilità, si delinea come espressione dell'eterno spirito dell'uomo a crescere e a sviluppare i fondamenti di una vera democrazia e di una sana comunità.