Debolezza psichica e identità
Romeo Lucioni
Il doloroso e sconvolgente fatto di cronaca delle tre adolescenti che hanno "quasi per gioco" soppresso una religiosa pone agli specialisti, ma anche a tutta la società, un quesito, a prima vista, senza risposta.
Un momento di follia ? un raptus ? questo non spiega la premeditazione e la perseveranza nella determinazione (il gesto è stato rimandato al giorno dopo perché al momento scelto passavano accidentalmente sul posto alcune persone).
Se prendiamo però in considerazione quanto osserviamo, quasi quotidianamente, nei nostri consultori psichiatrici, la problematica che sottende al fatto luttuoso acquista dimensioni più leggibili, anche se ugualmente disturbanti.
Il problema a cui mi riferisco è quello della "perdita dell'identità": molti giovani e adolescenti presentano un quadro psico-patologico riferibile a questo specifico meccanismo.
Senza entrare in dettagli troppo scientifici e difficili, possiamo dire che il meccanismo della autocoscienza e della autovalorizzazione sono processi primitivi che permettono la strutturazione dell' Io.
In un recente articolo, Antonio Damasio fa risalire la strutturazione di questa funzione ioica tra il 18esimo ed il 24esimo mese di vita ("…quando la corteccia frontale raggiunge la maturazione".).
Il problema della coscienza e dell'auto-coscienza riguarda la strutturazione degli "oggetti" (interni ed esterni) che rappresentano la possibilità di raggiungere il senso di realtà, ma, soprattutto, il rapporto con il proprio Sé e con la realtà.
L'analisi di quadri psicopatologici importanti (autismo, psicosi infantili e schizofrenia) ci ha permesso di comprendere come la mancata strutturazione della coscienza di sé si accompagni alla deformazione del rapporto con gli oggetti.
Questi vengono pauperizzati, svalorizzati, svuotati di significato attraverso un meccanismo mentale molto primitivo che si fonda su egocentrismo ed onnipotenza.
Attraverso questo funzionamento, il soggetto svuota di significato gli oggetti che, così, possono essere gettati via, eliminati, distrutti, proprio perché il loro significato profondo viene allucinatoriamente introiettato.
Per capirci meglio, possiamo prendere come esempio un "racconto" di consultorio:
"… se guardo una cartolina dell'Egitto posso poi gettarla, perché ormai l'Egitto è dentro di me: conosco tutto di quel Paese, anche nei più piccoli dettagli!"
Il fatto di poter eliminare gli oggetti ha un forte significato adattivo perché libera dall'angoscia che essi evocano, ma, nello stesso tempo, determinano un profondo distacco dalla realtà, una impossibilità ad adattarvisi ed inoltre uno svuotamento affettivo.
Il mondo degli affetti è quello del "valori", così gli oggetti svalorizzati vengono buttati via, neppure resta la possibilità di memorizzarli.
Questa "perdita" è molto più radicale e violenta della distruzione e della morte (nella quale persiste un "corpo", un "che" di concreto) si tratta di volatilizzare, far svanire, far sparire, annullare.
Oggi frequentemente ci si trova di fronte a giovani che proprio per le difficoltà relazionali imposte da una società difficile, imperscrutabile, anaffettiva e conflittiva, perdono o non riescono a strutturare una valida autocoscienza.
In questi casi, troviamo sempre una "perdita degli oggetti" che si ricollega ad un distacco dalla realtà e ad un rifugiarsi adattivo-difensivo in atteggiamenti megalomanico-onnipotenti o in una vera e propria dimensione ossessiva di dipendenza e di sottomissione.
Queste possibilità di risposta strutturano quadri psicopatologici che possiamo così riferire:
Tale simbiosi è totalizzante, cioè, al di fuori di essa nulla ha significato: il soggetto diventa escludente, per lui ha senso solo quanto riesce a "fare" insieme al partner; l'affettività si inaridisce, sostituita da quello che, dai francesi, è stato definito "folie a deux".
Tutti gli oggetti possono essere dimenticati e/o gettati via, così il soggetto trova il proprio senso di autostima in un "sé corpo", in un fare senza finalità, in un vuoto esistenziale.
Proprio questo quadro può essere riferito al caso delle ragazze che hanno ucciso la suora che rappresenta il "mito del potere" che viene rubato e trasferito al Sé(come succedeva nell' orda barbarica primitiva) attraverso la ritualizzazione del sacrificio: la suora-emissario di Dio viene immolata per acquisirne il potere, per "succhiarne" il valore.
Visto in questi termini, il fatto di sangue non è più un gesto compulsivo, ma un "rituale" necessario per vivere, un agire simbolico per riempire il vuoto di valore o il vuoto esistenziale che accompagna la perdita dell'identità, dell'autovalorizzazione, dell'autosoddisfazione insita nel riconoscersi come Sé, come persona, come Individuo.
La "debolezza psichica" implicita nella perdita dell'identità (vedere i commenti sulla qualità dell'identikid) è il fondamento e la giustificazione di comportamenti abnormi che, purtroppo, troviamo frequentemente nella società d'oggi, nei "sacrifici" giovanili perpetrati lungo le nostre strade, nella tossicodipendenza, nell'aumento del numero dei suicidi e dei tentati suicidi (espressi e/o mascherati).
Immolarsi e/o immolare è rendere eterni e quindi recuperare quel vuoto insopportabile, quella lacerazione dell' Io che non solo risulta inaccettabile, ma anche riempie di "illusione" lo svuotamento dell'immaginario.
Debilidad psiquica e identidad
Romeo Lucioni
El doloroso y alucinante acontesimiento de las tres adolecentes que han asesinado "casi por juego" una monja lleva a los especialistas y la sociedad toda a deber enfrentar una pregunta que parecerìa sin respuesta.
Un momento de locura? Un raptus? Esto no alcanza para esplicar la premeditaciòn y la perseverancia en la determinaciòn (el gesto homicida ha sido pospuesto al dia siguiente debido a que en el momento establecido pasaban por alli unas personas).
Si tomamos en consideraciòn lo que podemos observar casi cotidianamente en los consultorios psiquiatricos, el problema que està a la base del hecho luctuoso adquiere dimensiones màs legibles, aun que sean igualmente horrorosas.
El tema en discusiòn es el de la pérdida de la identidad: muchos jòvenes y adolescentes presentan un quadro psicopatològico referenciable a este especìfico mecanismo.
Aùn cuando no entremos en dettalles cientificos o complicados, podemos decir que el mecanismo de la auto-conciencia e de la auto-valorizaciòn son procesos primitivos que intervienen en la estructuraciòn del Yo.
En un aporte reciente, Antonio Damasio ubica la formaciòn de esta funciòn yoica entre el 18 y el 24 mes de vida ("… cuando la corteza frontal llega a su maduraciòn").
El problema de la conciencia y de la auto-conciencia se refiere a la organizaciòn de los objetos (internos y externos) que representan la posibilidad de conseguir el sentido de realidad, ademàs de la relaciòn con el Sì-mismo y con la realidad.
El analisis de quadros psicopatologicos importantes (autismo, psicosis infantiles y esquizofrenia) nos han permitido comprender de que modo la falta de estructuraciòn de la conciencia de sì-mismo lleva a una deformaciòn de la relaciòn con los objetos.
Estos se pauperizan y son vaciados de valor a través de un mecanismo mental muy primitivo que se funda en el egocentrismo y en la omnipotencia.
En este modo, el sujeto vacìa de significado a los objetos que pueden ser eliminados, destruidos, desde el momento en que su significado profundo es introyectado por medio de la alucinaciòn.
Para comprendernos mejor, podemos tomar como ejemplo una hisoria de consultorio: "… si miro una postal de Egipto puedo enseguida tirarla, dado que Egipto queda en mi como una realidad absoluta: conosco de ella hasta los màs pequeños detalles!"
El hecho de poder eliminar los objetos tiene un fuerte significado adaptativo porque libera de la angustia que estos provocan y, al mismo tiempo, determina un profundo alejamiento de la realidad, una imposibilidad de adaptaciòn a los hechos reales y un vaciamiento afectivo.
El mundo afectivo es lo de los "valores" asì que los objetos vienen desvalorizados y tirados, no queda de ellos ni la posibilidad de evocarlos.
Esta "pérdida" resulta mucho màs radical y violenta que la destrucciòn y la muerte (en la que queda un "cuerpo", algo concreto), se trata de volatilizar, desvanecer, hacer desaparecer, anular.
Hoy es comun encontrarse de frente a jovenes que por las dificuldades en las relaciones, impuestas por una sociedad difìcil, anafectiva y conflictiva, pierden o no pueden estructurar una autoconciencia valedera.
En estos casos, encontramos siempre una "pérdida de los objetos" que se conecta a una ruptura con la realidad y un refugiarse adaptativo-defensivo en actitudes megalomanicoas y omnipotentes o in una verdadera dimensiòn obsesiva de dependencia y de sumisiòn.
Estas posibilidades de respuesta determinan quadros psicopatologicos que anotamos como:
Todos los objetos puede ser olvidados o tirados, de manera que el subjeto encuentra el sentido de autoestima en un Sì-mismo-cuerpo, en un hacer sin finalidades, en un vacìo existencial.
Propio este cuadro puede ser referido al caso de las adolescentes que han asesinado la monja que representa el "mito del poder" que viene robado y transferido en el Sì-mismo de los homicidas (como sucede el la "orda barbàrica primitiva") a traves de la ritualizaciòn del sacrificio: la monja-Dios es immolada para adquirir el poder de Dios, para chuparle el valor.
Mirado en estos términos, el "hecho de sangre" no es màs un gesto compulsivo, sino un "ritual" necesario para poder seguir viviendo, un actuar simbòlico que llena el vacìo de valor o el vacìo existencial que acompaña la perdida de indentidad, de la autovalorizaciòn, de la autosatisfaciòn que se encuentra en el reconocerse como Sì-mismo, como persona y como individuo.
La "debilidad psìquica" implìcita en la pérdida de la identidad es el fundamento y la justificaciòn de comportaminetos equivocados que, lamentablemente, se observan muy frequentemente en la sociedad actual, en los "sacrificios" juveniles perpetrados a lo largo de las rutas, en las dependencias, en el aumento del los suicidios e de los tentativos de suicidio.
Immolarse y/o immolar es como sentirse heternos y rellenar ese vacìo insoportable, esa rajadura del Yo que no solamente resulta inaceptable sino que llena de "ilusiòn" el vaciamiento del imaginario.
Traducciòn: Nora Silberleib