AUTISMO – SCUOLA - FAMIGLIA
VERSO UN APPROCCIO INTEGRATO
Maria Alicia Sampayo
In questo momento il dibattito sul futuro della scuola si fa vivace ed intenso investendola in tutte le sue aree e dimensioni: dalla riforma dei cicli scolastici, con la conseguente modifica degli ordini di studio, alle scelte dei livelli formativi e dei programmi, passando per l’autonomia organizzativa e gestionale che darà una nuova dimensione alla scuola obbligatoria, pubblica e gratuita, fino alle nuove modalità di rapporto con il privato sociale.
In mezzo a tutti questi cambiamenti e mutamenti importanti due parole rimangono intatte, attuali, esclusive, come bisogno e caratteristica peculiare della scuola italiana: l’inserimento e l’integrazione degli alunni disabili. Questa giornata di riflessione si occupa in particolare dell’inserimento dei minori autistici, ma vorrei precisare che al di là della specificità del deficit, incentrerò la mia relazione nell’attenzione alla persona disabile all’interno della struttura scolastica.
Agli uffici erogatori di risorse umane (Ufficio Studio e Programmazione, Comuni, volontariato, ecc.) arriva la richiesta pressante da parte delle scuole con presenza di bambini autistici, che segnalano le difficoltà che riscontrano ad opere di fronte ad un bambino che non comunica, che è refrattario alle norme e agli schemi di comportamento usuali, che non risponde alle richieste didattiche, che non si rapporta con i compagni; in questa situazione si rende necessario più che mai coprire la permanenza dell’alunno con un rapporto individuale; spesso la scuola, di fronte all’ impossibilità di gestire da sola la situazione, chiede alla famiglia di tenere il proprio figlio a casa per le ore scoperte dal rapporto uno a uno.
Con il passare degli anni, la situazione del ragazzo disabile diventa più complessa e problematica. Arrivato alla terza media, la famiglia deve scegliere per il suo futuro. Quando il rapporto scuola – famiglia - enti è chiaro e in armonia, le parti decidono pensando al miglior futuro del soggetto; i problemi e le più svariate e curiose situazioni si presentano quando non c’è armonia ne’ progettualità tra le diverse agenzie educative.
Per rendere più dinamica la mia relazione vorrei presentare una situazione reale che si è svolta e si svolge tutt’oggi nel nostro territorio, ovvero la situazione di un allievo autistico che frequenta la terza media. La scuola decide per la sua promozione, la struttura sanitaria pensa che il miglior destino per l’utente sia una situazione specialistica e la famiglia si batte per il proseguimento nello stesso ordine scolastico (terza media) in vista di frequentare dopo la scuola superiore. Per poter fare questo i genitori non presentano il proprio figlio agli esami finali, unico salvacondotto che lo rispedirà nuovamente in classe terza, ma dove?, nella terza media di che scuola?. Il genitore quindi si trova a dover affrontare una serie di problemi che vanno al di là delle sue competenze.
E’ necessario dire che non si tratta di un capriccio da parte della famiglia o di una scelta azzardata, bensì di una lunga decisione maturata dopo qualche cambiamento in positivo osservato nel ragazzo in seguito all’introduzione della macchina come facilitatrice della comunicazione.
Vorrei precisare, però, che nel nostro esempio è stato possibile realizzare un piano congiunto tra scuola, famiglia e comune, perché quest’ultimo Ente ha messo a disposizione un’assistente ad personam che per un determinato numero di ore settimanali accompagnava il soggetto anche in diversi posti della città al fine di favorire l’autonomia . La regolarità degli interventi permise al soggetto, per esempio, di individuare la giusta fermata del pullman e scendere, di raggiungere un posto preciso, di fare piccoli acquisti e/o consumazioni, di recarsi in Biblioteca, di acquistare il giornalino in autonomia. Queste azioni hanno anche spinto l’assistente e la famiglia a mettersi previamente d’accordo con i commercianti e altri operatori cittadini al fine di poter agevolare il progetto.
Il ritorno a scuola occupava il ragazzo in diverse azioni che investivano tutte le discipline: dal tracciato del percorso sulla piantina, al lavoro sull’ambiente, alle diverse operazioni matematiche, alla documentazione dei momenti e delle azioni svolte, ecc.
Però, l’aspetto più importante secondo me è la possibilità data alla cittadinanza di confrontarsi con la diversità e anche lo sforzo degli operatori per farla accettare e per far capire alla città che ci sono anche loro, di solito, gli esclusi ed emarginati perché diversi.
Attualmente, l’utente ha trovato una scuola che ha già avuto esperienza rispetto al metodo e agli strumenti di lavoro condivisi dalla famiglia. Per un anno, il nostro esempio ha risolto il problema, ma a questo punto incomincerà la scelta della scuola superiore dove si dovrà contrattare sui mezzi, sull’approccio metodologico e sulla scelta dei contenuti.
Dal programma al progetto
Tutto questo sta ad indicare il bisogno di passare dal programma al progetto, o dalla programmazione alla progettualità. Di solito quando parliamo di programmazione viene coinvolta una parte, e cioè la scuola che individua gli obiettivi da sviluppare, che cerca i mezzi e le risorse necessarie per portare avanti ciò che è stato pensato e studiato. Il progetto invece indica che oltre al programma educativo-didattico è necessario lo spazio per mettersi d’accordo, per mettere a fuoco i diversi interventi, ovvero le azioni che ogni operatore scolastico, comunale, specialistico, volontario, familiare e quant’altro attuerà in vista al progetto.
La conoscenza integrale o, meglio ancora, l’approccio globale della persona è un processo che si realizza in gruppo o in équipe ("per pensare bisogna essere in tanti " Piaget), ognuno si alimenta di ipotesi, di teorie, di conflitti con l’altro e avanza co-costruendo i saperi che, integrati a quelli dell’altro, riescono ad avere un approccio più globale e ricco.
Allora il progetto richiama l’integrazione delle competenze degli adulti che hanno a che fare con il soggetto in difficoltà, ognuno nell’ambito dei propri saperi e limiti. L’integrazione richiama a sua volta il bisogno del lavoro di rete, il delineare strategie coordinate e continuative al fine di non sovrapporre gli interventi.
Allora quali sono i bisogni della scuola della progettualità il cui lavoro non è certo in solitudine ma integrato?
La scuola ha bisogno di una Pedagogia della diversità, intendendo con questo un’assunzione consapevole di impegno nei confronti del minore disabile, che vada al di là dell’assistenza e dell’accoglienza, che sia rispettosa della situazione del soggetto ricercando le capacità residue e non solo focalizzando l’attenzione sui limiti. Per Pedagogia della diversità intendo anche una didattica capace di individuare delle strategie che presuppongano, da parte dei protagonisti del processo educativo, la capacità di portare l’azione nell’incertezza, e pertanto mettere in atto delle strategie che richiedano ascolto, flessibilità, curiosità.
La scuola ha bisogno di una Pedagogia dell’integrazione perché attraverso il progetto è possibile percorrere un cammino dinamico, complesso, integrato, sensibile ai ritmi comunicativi e attento alla relazione. La parola " progetto " ci rimanda alla gestione del rapporto e al bisogno di un lavoro integrato tra tutti gli adulti che ruotano intorno al soggetto in difficoltà (terapeuti, educatori, assistenti, insegnanti, genitori). La collaborazione sul progetto e sulla modalità di mettere in atto le diverse proposte e i percorsi può concretizzarsi solo se si verifica un incontro-confronto sul modo di concepire il bambino, la patologia, in questo caso l’autismo, e sul modo di rapportarsi a quel bambino determinato. Per poter meglio comprendere il senso della conflittualità che può delinearsi nell’assistere il soggetto in difficoltà, mi sembra utile proporre, a questo punto, alcune riflessioni. L’osservazione, la descrizione e l’intervento su un soggetto sono profondamente determinati dal punto prospettico di chi guarda. L’organizzazione delle nostre idee sullo sviluppo e sulla cura da offrire all’individuo sono, in altre parole una tacita esplicitazione della nostra visione del mondo e della patologia.
Se della stessa persona si danno diverse descrizioni questo non significa necessariamente che ce ne sia una giusta e altre sbagliate; significa piuttosto che la persona è stata osservata da ottiche differenti. E’ utile sottolineare che questa riflessione non vuole escludere gli errori, le limitazioni o i riduzionismi che si sono verificati intorno all’autismo. Fondamentale risulta l’impegno per l’integrazione di questi saperi, che nel loro insieme possono dare una risposta più adeguata riguardo la globalità della persona.
Perché risulta così difficile condividere con gli altri adulti un progetto sull’individuo autistico?. Quali sono gli aspetti che minacciano la relazione tra insegnanti, terapeuti e genitori?.
Ogni adulto che sceglie di occuparsi di un soggetto in difficoltà è spinto da molteplici motivazioni che riguardano l’accudimento, la cura e l’educazione ossia la protezione e lo sviluppo della persona. I costrutti teorici, i programmi, i metodi sono le diverse strategie che consentono di rendere operativo il bisogno di continuare a prendersi cura dell’altro.
Uno stesso comportamento può essere interpretato come furbizia o capriccio, da un’altro come sofferenza o come conseguenza secondaria della patologia, e queste posizioni possono difficilmente conciliarsi sul piano operativo. Con questo voglio indicare che i costrutti teorici sono molteplici e che le certezze vanno ricercate nella complessità del lavoro integrato e integrale.
La collaborazione deve aiutarci a verificare l’adeguatezza di un’ipotesi di lavoro, ma non deve diventare un mezzo per dare o ottenere consenso. Un’eccessiva empatia o un rigido atteggiamento di critica nei confronti degli altri ci permetterà di progredire nel nostro cammino che sempre deve dare spazio al dubbio e alla ricerca.
Un approccio globale, dunque, necessità di un atteggiamento di disponibilità e di un impegno teorico tali da permettere all’adulto-insegnante un incontro con l’alunno-problema. Una metodologia di approccio al bambino piuttosto che al suo deficit richiede agli adulti un impegno maggiore e una maggior predisposizione all’osservazione e all’ascolto.
Dalle diverse teorie nascono, allora, diversi interventi didattici:un intervento didattico può focalizzare la sua attenzione sulla relazione e sullo sviluppo dell’intelligenza interpersonale (il soggetto con gli altri), mentre un altro preferisce la macchina da scrivere o il computer come medium efficace per stimolare e facilitare la comunicazione, dando più peso all’intelligenza intrapersonale (il soggetto con se stesso). Un ulteriore approccio considera che nella diversità dei linguaggi si può cogliere meglio la traccia o il segnale che un soggetto autistico ci può dare, specialmente attraverso l’espressività artistica. Altri percorsi infine, strutturano fortemente gli interventi dando poco margine all’improvvisazione, premiando il successo ed evitando l’errore.
A scuola arrivano tutti questi saperi: a volte si accettano, si adattano e si applicano consapevolmente; altre volte invece ci si sofferma poco nel riflettere e si preferisce l’azione, altre ancora non si considerano.
Il ruolo principale della scuola di fronte alle disabilità è l’integrazione del bambino/ragazzo, nel micro e nel macro gruppo attraverso una funzione educativa che si svolge nel processo didattico: "a scuola si fa didattica " dice il ministro Berlinguer.
La scuola deve tradurre le indicazioni e i saperi che le arrivano dai diversi ambiti anche da quelli specialistici in percorsi operativi, ovvero deve dare una veste didattica a ciò che è possibile proporre al suo interno ma con una speciale attenzione:
PARTIRE DALL’ALUNNO.
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