Sappiamo che le donne sono più longeve
e meno vulnerabili alle malattie per ragioni genetiche, mentre gli uomini
sono solitamente più robusti e muscolosi. Non potrebbe darsi, però,
che tale stato di cose sia la conseguenza evolutiva di una originaria divisione
del lavoro basata sul sesso? I muscoli per svilupparsi, devono essere utilizzati.
Margaret Mead ha scoperto, per esempio, che in condizioni normali i maschi
di Bali si astenevano da qualsiasi lavoro pesante, così da essere
esili quanto le loro donne; ma che i balinesi assunti dagli imprenditori
europei in qualità di scaricatori portuali non tardavano a sviluppare
la massiccia muscolatura che siamo abituati ad associare al sesso maschile.
In base alla scoperta che tra i piccoli
delle scimmie i maschi si dimostrano più aggressivi delle femmine,
sono state intraprese alcune ricerche con esperimenti ormonici sui primati.
Gli sperimentatori, dopo aver trattato con testosterone le femmine pregne,
sono riusciti ad ottenere prole femminile più aggressiva e dedita
a giochi più irruenti e rudi rispetto alle piccole scimmie normali.
Tre anni dopo, il comportamento aggressivo
apparve scemato: una possibile interpretazione dell’esperimento è
che il livello ormonico prenatale condizioni abbastanza a lungo il comportamento
del piccolo prima che subentri l’apprendimento socio-ambientale, addirittura
che gli ormoni influiscano sull’intero arco vitale quand’anche non siano
più presenti nel corpo. Il fatto è che, mentre prima della
pubertà il livello ormonico maschile non differisce molto da quello
femminile, già intorno ai 4 o 5 anni i maschietti si comportano
in modo nettamente diverso dalle femminucce. Si è quindi costretti
a concludere che all’origine di tale diversità di comportamento
stia soprattutto l’apprendimento, ipotesi confortata dagli studi su quegli
esseri umani i quali alla nascita, a causa di caratteristiche genitali
ambigue o ermafroditiche, sono stati assegnati al sesso sbagliato. Questi
studi suggeriscono che l’assunzione del ruolo sessuale potrebbe essere
determinata dalle condizioni ambientali e che la persona si adatterebbe
all’etichetta sessuale “sbagliata” se già nella prima infanzia non
intervenisse un periodo critico di fissazione dell’identità sessuale.
In altri termini, non ci sarebbero difficoltà di sorta se, per errore,
si allevasse una bambina come se fosse un ragazzo, ma insorgerebbero gravissimi
problemi psicologici se ad una bambina si imponesse di “diventare” maschio
dopo aver raggiunto i tre anni d’età.
Nello studio della personalità maschile
e femminile lo psicologo non può far altro che riferire gli esseri
umani alle norme che lui stesso ha fissato. Pertanto lo psicologo è
indotto a concludere con la stupefacente scoperta che l’originalità
del pensiero, la creatività ed un elevato livello intellettuale
generale andrebbero associati agli uomini “più femminili” ed alle
donne “più maschili”, fenomeni che qualcuno giunge a spiegare in
termini di bisessualità, mentre la spiegazione più ovvia
è molto più semplice: fissando in partenza dei ruoli sessuali
e degli interessi riferiti al sesso, noi limitiamo le possibilità
umane, senza pensare che a taluno non va affatto a genio essere represso
in questo modo.
Cent’anni fa John Stuart Mill scriveva:
“Nego che si conosca o che si possa conoscere la natura dei due sessi fin
tanto che essi vengono considerati solo nel loro attuale rapporto reciproco.”
Quasi tutti i tratti femminili rivelati
dalla psicometria si possono agevolmente spiegare dal punto di vista sociologico,
per cui diremo che la donna è meno dominatrice perché così
le impone di essere la società, è più emotiva perché
i suoi pensieri e la sua educazione sono stati convogliati più verso
il cuore che verso la testa, più conservatrice perché il
focolare e le pareti domestiche non mutano sostanzialmente e non richiedono
(al contrario del mondo competitivo dell’impresa privata e degli affari
pubblici) la capacità di mutamento come condizione di sopravvivenza.
Sembra, dunque, che la psicometria, oltre
a non poter far altro che misurare l’attuale stato di cose nell’ambito
di una data società, non sfugga, nella misurazione, ai criteri valutativi
elaborati da quella società. Una forma di ricerca che tenta
di rimediare a tali limitazioni, scavalcando i confini geografici e cronologici
di una società determinata, per esaminare altre culture, è
quella offerta dall’antropologia. Margaret Mead, che si è
interessata specificamente a questo problema, non teme di esagerare: “Esistono
prove schiaccianti a favore della forza determinante del condizionamento
sociale” scrive in SESSO E CARATTERE IN TRE SOCIETÀ PRIMITIVE.
Ciò che proviamo a proposito dell’amore
tra uomo e donna, del matrimonio e della paternità, della famiglia
e di noi stessi in quanto padri, mogli e madri, è un insieme di
sentimenti fortemente condizionati dalla società di cui siamo il
prodotto, molto più di quanto non possiamo renderci conto. I tipi
femminili che la nostra società ha prodotto nel passato, i ruoli
che le donne hanno o non hanno sostenuto, scaturiscono appunto dalle imposizioni
e dalle attese maschili. Le donne sono state in larga misura confezionate
artificialmente dall’uomo, e ancor oggi, varie ricerche psicologiche rivelano
come le donne e le ragazze siano molto più degli uomini soggette
al dispotismo dell’approvazione sociale.
Fino ad oggi le donne hanno continuato a
vivere al bassissimo livello che la società aveva fissato per loro,
appunto secondo certe attese sociali molto diffuse. Persino oggi le bambine
si lasciano scoraggiare più facilmente dei maschietti da un eventuale
insuccesso, e nell’intraprendere un compito qualsiasi sono scarsamente
convinte di riuscirci. E per la donna adulta gli incentivi sociali, oltre
che la mancanza di mire sufficientemente elevate, agiscono in senso contrario.
La donna, alla quale è stata offerta un’immagine speculare fissa,
ha continuato a danzare seguendo quell’immagine, quasi in un trasporto
ipnotico. E poiché riteneva che la figura riflessa nello specchio
fosse lei stessa, in carne ed ossa, ne è diventata esattamente uguale.
Havelock Ellis, mezzo secolo fa scrisse: “Dobbiamo riconoscere che le nostre
attuali cognizioni sull’uomo e sulla donna non bastano a dirci che cosa
essi potrebbero o dovrebbero essere, ma soltanto ciò che sono in
realtà, in condizioni di civilizzazione. Col rivelarci come in condizioni
variabili gli uomini e le donne siano, entro certi limiti, indefinitamente
modificabili, una conoscenza esatta della realtà della vita maschile
e femminile ci vieta di dogmatizzare rigidamente circa le rispettive sfere
dell’uomo e della donna ..... Se questo non è esattamente il risultato
che ci proponevamo di ottenere, è pur sempre un ottimo risultato.”
UN MONDO MASCHILE
La prima cosa che colpisce a proposito dell’immagine
speculare che costringe noi donne a seguire alla perfezione le sue movenze,
è il fatto di essere state create dall’uomo, non dagli uomini e
dalle donne congiuntamente per fini comuni, non dalle donne per se stesse,
ma dagli uomini. Si potrebbe dire che proprio qui risieda la difficoltà
vera, nel fatto che si tratta di uno specchio deformato. La visione della
donna non è obiettiva, ma è la combinazione imbarazzante
di ciò che l’uomo desidera che la donna sia e di ciò che
teme che sia: è questa l’immagine speculare alla quale la donna
deve uniformarsi. Anche all’uomo si chiede di adeguarsi ad una certa immagine
la quale, però, essendogli stata offerta su misura dal padre, si
attaglia più facilmente ai suoi desideri.
Alla donna si insegna a desiderare non già
quel che per se stessa desiderava sua madre, bensì quel che suo
padre e tutti gli uomini trovano desiderabile in una donna. Non quella
che è, ma quella che dovrebbe essere. Verso se stesso l’uomo è
di gran lunga più compiacente: afferma che gli uomini devono essere
coraggiosi e altruisti, però il fatto di essere personalmente debole
ed egoista lo considera semplicemente come una spiacevole deviazione dal
metro di misura ideale che, unico e solo, deve applicarsi al genere umano.
Per contro, poiché il criterio della femminilità è
stabilito dagli uomini per gli uomini, nessuna deviazione può essere
tollerata: o la donna è donna in assoluto, oppure non è nulla
di nulla, da rifiutarsi in blocco. Ecco perché l’immagine che il
maschio si fa della donna presenta la curiosa tendenza a spaccarsi in due,
in bianco e nero senza sfumature intermedie, Vergine Maria e Donna Scarlatta,
angelo di misericordia e prostituta, compagna gentile e intollerabile suffragetta.
E’ ragionevole presumere che quando gli
uomini parlano di donne o le donne di uomini sia inevitabile una certa
carenza di obiettività. Eppure sulle donne sono stati pubblicati
a migliaia libri, studi, poesie, saggi psicologici e filosofici scritti
da uomini. La cosa si è ripetuta con tale insistita regolarità,
che alla fine si è giunti a dare per scontato che a parlare ed a
scrivere delle donne potessero essere soltanto gli uomini.
Noi donne nasciamo in un mondo in cui i
grandi scopritori, filosofi, artisti e scienziati sono stati quasi tutti
uomini. Persino il Dio perpetuato dalla tradizione, e che tuttora assilla
i primi giorni della fanciullezza, è maschio. L’intero nostro codice
morale è stato elaborato dagli uomini. Naturalmente le cose stanno
cambiando, ma il fardello della tradizione non può non continuare
a gravare, oltre che sulla nostra, su molte generazioni a venire. Se si
trattasse semplicemente di codici sociali, la trasformazione sarebbe già
abbastanza lenta, poiché le forme sociali del comportamento cambiano
in realtà molto più lentamente di quanto non ci piaccia immaginare,
perpetuandosi attraverso la discendenza familiare; ma siamo alle prese
con qualcosa di più grave. Infatti, mentre alle poche donne
veramente decise, per le quali la parte loro assegnata dal maschio è
sbagliata, insufficiente o inconcepibile, tocca combattere una battaglia
in condizioni ambientali avverse, in un gioco le cui regole sono
state tutte fissate dall’antagonista senza previa consultazione tra le
parti ed in cui tutte le mosse determinanti sono già state stabilite
ancor prima dell’inizio della contesa, per la stragrande maggioranza delle
donne il naturale corso degli eventi prevede la sottomissione supina o
condiscendente al ruolo che la tradizione ha voluto assegnar loro.
Virginia Woolf asseriva che uno dei motivi
per cui le donne hanno avuto tanta fortuna come autrici di romanzi è
che si trattava di una forma artistica relativamente recente, di cui non
erano state ancora fissate tutte le regole. E’ abbastanza ovvio che le
donne con un minimo di istruzione familiare potessero competere nel campo
della narrativa, mentre da ogni arte o scienza che richiedesse una preparazione
specialistica esse fossero automaticamente escluse.
Quando si considerino le norme esteriori
che si riferiscono alla posizione dell’uomo e della donna nella società,
al loro rapporto con il mondo esterno e dell’uno con l’altra, la parte
maschile della popolazione umana non può trovare una motivazione
sufficiente a consentirle un certo distacco per analizzare, sia pure per
un momento, le opinioni tradizionalmente accettate. L’uomo non ha mai trovato,
né potrebbe trovare nulla da guadagnare, e anzi tutto da perdere,
nel rimettere ogni vecchia idea in discussione: perderebbe infatti non
soltanto certi vantaggi sociali ed economici, ma qualcosa di ancor più
prezioso, quel senso di superiorità che esalta il suo Io nella vita
pubblica e privata. John Stuart Mill ha spiegato in modo convincente la
mancata trasformazione di certi concetti, affermando che quando viene il
momento della rivoluzione politica contro l’autocrazia, solo una minoranza
privilegiata ha interesse a resistere con la forza al cambiamento, mentre
nel modificare i rapporti tra uomini e donne qualsiasi uomo, ricco o povero,
ha solo da perdere.
La lotta per l’emancipazione della donna
è aspra e lunga, ma l’uomo si rende conto che ha già dovuto
cedere in alcuni campi e si difende come può; per esempio, una delle
argomentazioni preferite dagli oppositori del movimento ottocentesco per
i diritti femminili era che qualsiasi donna che dimostrasse interesse per
la questione doveva mancare di attrattive muliebri; in parole povere, faceva
tanto baccano solo perché non riusciva ad ottenere ciò che
veramente voleva dalla vita: un uomo. Nella sua autobiografia, Simone de
Beauvoir racconta che, all’apparire della sua opera IL SECONDO SESSO
tra gli insulti piovuti da ogni parte sui giornali e per bocca di privati
ritornava insistentemente l’insinuazione che quel che in fondo in lei “non
andava” era di non essere mai stata soddisfatta sessualmente.
Una delle idee più radicate che gli
uomini abbiano tramandato nei secoli al solo scopo di confortare il proprio
complesso di superiorità è quella secondo cui le donne sarebbero
intellettualmente inferiori. A questo proposito Antony Storr affermò:
“L’indubitabile superiorità del sesso maschile nelle imprese intellettuali
e creative è in relazione con la maggiore riserva di aggressività
di cui gli uomini dispongono .... Sono ben poche le donne che, trovata
l’occasione di coltivare le arti e le scienze abbiano prodotto opere originali
di qualità degna di nota; non ci sono mai state donne di genio tali
da stare alla pari con Michelangelo, Beethoven....”
Ma non considerano il fatto che quel che
le donne in genere fanno oggi ed hanno fatto in passato non è frutto
soltanto di ciò che è stato loro concesso di fare, nel senso
della mancanza di specifiche proibizioni nello studio e nel lavoro, ma
anche di ciò che ci si attendeva o si pretendeva da loro. I pedagogisti
sono sicuramente d’accordo che consentire ad un bambino l’apprendimento
significa arrivare solo a metà strada, visto che nella stragrande
maggioranza dei casi i bambini devono essere stimolati attivamente allo
studio.
Il ragazzino pigro può essere pungolato
nel senso dell’ambizione e dell’aggressività, ma ad una ragazza,
priva di ogni motivazione esterna, occorrono doti eccezionali per provare
quella sete naturale di conoscenza, quella passione del sapere che sole
possono condurre alle grandi affermazioni. Nel suo caso occorre che l’ambizione
e l’aggressività si generino totalmente all’interno e con una potenza
doppia, per infrangere due barriere: la proibizione sociale e le attese
sociali contrarie.
Nella società patriarcale, che per
noi risale agli albori della storia documentata, i maschi hanno sempre
condannato l’aggressività femminile, interpretandola o come insubordinazione
o come vana emulazione.
L’idea della sottomissione della donna è
intrinseca nel modo in cui si fa l’amore, l’uomo sopra e la donna
sotto, che è poi considerato in lodo normale da chiunque sia stato
allevato ed educato nella tradizione culturale occidentale. La preoccupazione
dell’uomo è sempre stata che, specialmente in camera da letto, la
sottomissione sia un atto totale, perché egli pretende un’obbedienza
cieca priva d’ogni sensualità. Secondo gli antichi ebrei, il signore
tentò 3 volte di trovare una compagna adatta ad Adamo, e persino
la terza volta, quando fabbricò l’Eva a tutti nota, non riuscì
ad evitare conseguenze disastrose. La prima moglie Lilith, era un essere
col quale nessun uomo avrebbe potuto reggere, una figura in cui si riunivano
i vizi peggiori delle streghe medioevali, di George Sand e di Mrs. Pankhurst.
Lilith un giorno si ribellò ad Adamo e lo abbandonò; atterrò
ai margini della civiltà e partorì la stirpe dei demoni che
doveva diffondere il male nel mondo.
Lilith è un’immagine ricorrente della
femminilità nelle società patriarcali.
Purtroppo, non si può parlare di
condizioni di esistenza superate e conchiuse, ma di una tradizione che
si perpetua sotto diverse spoglie. Non più di qualche mese fa, nel
1969, il dott. Edmund Leach ha spiegato in un convegno tenutosi a Keele
che è ormai tempo di smetterla con l’educazione femminile equiparata
a quella maschile, avrebbe il solo risultato di ottenere “pseudomaschi
di seconda categoria”, perché comincia a farsi sempre più
difficile il reperimento di qualcuno che sia disposto ad occuparsi delle
faccende domestiche. Si obietta che tutto ciò che si protrae così
a lungo nelle tradizioni deve per forza avere un fondamento di realtà
e che se tanto Freud quanto gli antichi ebrei formulavano il medesimo concetto
(invidia del pene), ci deve pur essere qualcosa di costantemente vero.
A certe obiezioni ha già risposto John Stuart Mill un centinaio
di anni fa: “LA GENTE NON CAPISCE LA GRANDE VITALITÀ, LA GRANDE
DUREVOLEZZA DELLE ISTITUZIONI CHE PORTANO IL DIRITTO DALLA PARTE DEL PIÙ
FORTE; NON CAPISCE FINO A CHE PUNTO CI SI ABBARBICA A CIO' CHE E’ DATO
DA LUNGO TEMPO; NON CAPISCE CHE LE INCLINAZIONI E LE INTENZIONI BUONE O
CATTIVE DI CHI HA NELLE MANI IL POTERE SI SONO ORMAI IDENTIFICATE CON LO
STESSO POTERE..."
IL DIO MASCHILE
Siamo abituati a pensare che Dio sia un maschio,
è vero, ma il mondo non è cominciato nel paradiso terrestre.
I miti anteriori della creazione attribuiscono invece alla figura femminile
l’importanza che nella Genesi è accordata all’uomo. Quando si parla
di matriarcato della preistoria, tutto si riduce a questo: la donna, particolarmente
in quanto “puerpera”, aveva grande rilievo sociale e la discendenza era
matrilineare perché questo era il modo naturale in cui la si poteva
concepire in origine. I più antichi paradisi terrestri erano amministrati
da donne: la dea ellenica Hera abitava il Giardino delle Esperidi, un paradiso
sumerico era governato da Siduri, la dea della saggezza. Sia Hera che Siduri
furono cacciate dal loro regno da un uomo. In queste vicende possiamo scorgere
il desiderio maschile di usurpare il potere detenuto da una figura femminile
preponderante, ma solo abbinando l’astuzia alla forza.
In origine, né poteva essere diversamente,
il mondo ebbe inizio da una donna, anche se abbondano nei miti primitivi
gli dei-serpenti. Secondo la mitologia greca, per esempio, la dea Eurimone
venne ingravidata dal vento che aveva assunto le spoglie del serpente,
dopo di che depose l’uovo del mondo. Probabilmente il serpente assommava
in se associazioni falliche, ma sempre per via indiretta, in quanto l’uomo
non è presente come figura reale del creato. Il serpente che sedusse
Eva era nei fatti un antichissimo dio che, forse, doveva l’essenza divina
al fatto di sembrare in natura un essere che, mutando pelle, poteva creare
e ricreare se stesso. E poi tutti sanno che i serpenti sono infidi e pericolosi.
Secondo un’antica credenza, le mestruazioni hanno inizio quando la donna
viene morsicata da una serpe.
Dal momento che, in fatto di robustezza
fisica, la donna è solitamente più debole dell’uomo, è
lecito presumere che l’importanza che le si attribuiva fosse dovuta al
suo ruolo di puerpera e che l’uomo considerasse importantissimo, sotto
questo aspetto, la sua funzione creatrice, poiché non si rendeva
conto della propria partecipazione al processo riproduttivo. Solo quando
ha capito che giacendosi con una donna la mette incinta e che è
lui il padre fisico del bambino che lei porta in grembo, l’uomo può
cominciare a vedersi come creatore, relegando la donna al rango di puro
e semplice “contenitore”, acquistando motivazione e sicurezza di predominio.
Una volta che l’uomo sappia del collegamento fisico tra se stesso ed il
bimbo che la compagna reca in grembo e che comprenda come il figlio, sempre
che non sia concesso ad un altro uomo di mettere incinta la donna, sia
decisamente suo, ossia la “continuazione” di se stesso, tutto diventa possibile.
Insorge il concetto della continuità individuale e l’uomo, a patto
che riesca a controllare la propria donna, diventa in un certo senso immortale.
Il potere ed il patrimonio possono essere tramandati ai figli (maschi)
potendosi così svincolare dall’interramento improduttivo con il
corpo del defunto. A questo punto l’uomo, giocando al ribasso sul ruolo
decisivo che la donna assume nella procreazione e considerandola come un
semplice vaso da fiori seminato opportunamente, scopre e sfrutta una sensazione
nuova di potere, di dominio incontrastato sull’ambiente. Potrà tramandare
il proprio nome e le ricchezze acquistate in vita, ai figli maschi, beffando
così, finalmente, la morte. Vale allora la pena di lavorar sodo,
di accaparrare ricchezze, invece di vacillare continuamente tra la paura
dell’ignoto ed il lasso godimento dei piaceri temporali; vale la pena di
ergersi a conquistatore aggressivo, avanzare pretese sulla terra e conservarla
a tutti i costi.