Donne che scrivono

Le donne della rete

Caterina Mortillaro dopo il liceo classico si è laureata in lettere classiche con una tesi su Seneca. Ha fatto un po' di ricerca scientifica nell'ambito della letteratura latina, poi ha cominciato a lavorare. Dopo varie esperienze - alcune stupende, nella moda, come addetta ufficio stampa - si è ritrovata in una biblioteca, circondata da laboratori chimici e alambicchi che poco hanno a che vedere con le antiche streghe. Collabora da 2 anni con una casa editrice come editor, traduttrice e redattrice. Scrive fin da piccola apportando il suo piccolo contributo ai libri per bambini di sua zia, scrittrice per l'infanzia. Ultimamente ha ricevuto alcuni premi per racconti di fantascienza, ma ora si sta rivolgendo al romanzo storico... di ambito latino ovviamente!!

 

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L'ultimo abbraccio

  “Abbracciami!”.
La sua voce era quasi un soffio, appena percettibile pur nel silenzio profondo della grande casa deserta. Lei si chinò un poco a carezzargli i capelli canuti con tutta la dolcezza di cui era capace. Ma questo non placò la febbre negli occhi del vecchio. Egli, anzi, tese ogni muscolo e con un'espressione di sofferenza infinita le rivolse un altro sguardo supplichevole.
“Abbracciami, ti prego!”.
Con movimenti cauti la donna si distese al suo fianco e lo circondò con le braccia lasciando che le sue curve sode aderissero a quel corpo logorato dal tempo. Lui parve calmarsi, ma durò solo un istante.
“Ti prego! Non vedi che muoio? Ti supplico! Finché ho fiato... finché ho vita...”.
Gli mancava il respiro. Era esausto, esausto di quella lotta durata una vita intera. I suoi occhi, gli stessi occhi azzurri e limpidi di quarant'anni prima, si fissarono in quelli neri di lei.
Veronica conosceva bene quello sguardo: era lo sguardo di un uomo che sta per morire e implora la grazia. Erano gli occhi di un uomo innamorato che rinuncerebbe al paradiso pur di non lasciare il suo amore.
Una fitta trafisse il cuore gelato della donna; la sua anima - quel che restava della sua anima - si contorse per il rimorso di fronte a una tale dedizione.
Perché non era fuggito finché poteva? Quarant'anni di sofferenza erano troppi per qualsiasi essere umano! Perché non aveva rinunciato a quell'assurda fissazione e non aveva cercato di costruirsi un'esistenza normale?
Avrebbe potuto avere dei figli, una casa. Veronica sarebbe rimasta in disparte, un'ombra silenziosa e notturna che si curava di lui e della sua stirpe. Ora, invece, erano entrambi in un vicolo cieco...
Il vecchio ansimò di nuovo. Voleva parlare ma non aveva più voce. La donna gli carezzò dolcemente le labbra raggrinzite nel tentativo di dargli un po' di pace.
Fu un errore, perché d'improvviso si riversarono su di lei impetuosi i ricordi dell'inizio, di quando lei, ingenua e appassionata, gli aveva insegnato a baciare. Da allora non aveva potuto più staccarsi da lui, benché lottasse come una furia per la propria libertà. E più lottava, più era prigioniera.
Come una scintilla aveva portato calore nel cuore di un uomo solo e pareva che questo la legasse a lui più dell'amore stesso, come sono legati il salvatore e il salvato, il creatore e la creatura.
Quanto aveva tentato di scappare, di riprendersi la propria vita! Andrea era sempre lì, a riaccoglierla al suo ritorno, a stringerla in una morsa di tenerezza.
Un giorno, davanti a un calice di vino rosso e a succulenta selvaggina, Veronica non aveva più potuto tacere. Con gli occhi accesi dall'alcol e le labbra umide gli aveva detto la verità: “Io non sono la donna per te! Io voglio tutto! Mi capisci? Voglio assaggiare ogni cosa, voglio assaporare tutto ciò che una vita può offrire: viaggi, cibi, avventure, emozioni. Io non sono la donna per te!”.
Andrea non aveva fatto una piega. Solo i suoi occhi si erano fatti più grigi: “Lo so. Tu sei come il fuoco: devi ardere. E' per questo che ti amo”.
“Ma non capisci che presto volerò via? Se non volerò via mi spegnerò. E allora non avrai più nulla da amare...”.
“Forse. Intanto non so immaginare un'altra al mio fianco. Mi hai riportato alla vita e te ne sono debitore”.
Riportato alla vita... Com'è crudele il destino. Ora che Andrea stava per morire tra le sue braccia, Veronica capiva in modo più chiaro che mai di avergli dato la morte.
Già allora, standogli al fianco senza mai concedersi del tutto, facendolo scendere fino agli abissi più profondi della sua passione, legandolo a sua volta con lacci di sensualità, di tenerezza e di astuzia tutti femminili.
Finché un giorno, come previsto, era fuggita, lasciandolo orfano di sé, in una pozza di dolore.
In quel momento la sua natura inquieta e vogliosa di vita era l'unica cosa che contava. Doveva conoscere, sperimentare, provare ogni cosa. E per farlo doveva cancellare quell'affetto per un uomo troppo tranquillo, troppo "sicuro".
La festa di Babsie era il luogo ideale per cominciare la sua nuova vita: una villa del settecento immersa nell'atmosfera uggiosa del Lago di Como, invitati di classe, discorsi sull'arte e sulla letteratura.
Babsie non si era fermata come lei a un lavoro impiegatizio qualsiasi, Babsie aveva un posto di rilievo in una galleria d'arte ed era molto apprezzata dal proprietario, il padrone di casa della villa.
Fasciata nel suo abito di velluto color sangue Veronica si aggirava ammirata tra le meravigliose sale colme di opere d'arte. Col calice tra le dita e gli sguardi affascinati degli uomini era facile sentirsi un'altra donna, dimenticare Andrea. Marcus non ebbe difficoltà a ad allacciare una conversazione. La sua voce era bassa e carezzevole, i suoi occhi neri come una notte senz'alba, i capelli d'un nero venato di blu, il viso straordinariamente pallido. Il suo modo di vestire aveva un gusto squisitamente antiquato, la sua conversazione era colta e intrigante.
Veronica lasciò che quella voce, quegli occhi, quelle mani lunghe e curate la trascinassero in un mondo di sogni e di piaceri.
Non obiettò quando Marcus - era lui il padrone di casa, il proprietario della galleria - la condusse su per le scale. Era solo la conclusione naturale di una serata piacevolmente intrigante, in cui non stonava un pizzico di pericolo.
L'alcova di Marcus era perfetta, pericolosa, niente a che vedere con le lenzuola candide del letto di Andrea. Marcus non aveva bisogno di lezioni su come fare l'amore. Anzi era piuttosto abile nel condurre una donna sull'orlo dello sfinimento. Eppure, per un breve istante, Veronica sentì che non era quello il suo posto, che non facevano per lei le candele e i broccati. Troppo tardi, purtroppo! Già, infatti, Marcus aveva affondato i denti aguzzi nel suo seno per renderla sua con quell'ultimo Abbraccio.
Marcus si era rivelato un buon sire. Aveva trascorso parecchi giorni accanto alla sua creatura, nutrendola col sangue di cui aveva bisogno.
In quei giorni Veronica aveva visto mutare il suo corpo con sorprendente velocità, tra atroci sofferenze.
Superata quella drammatica iniziazione, aveva piano piano ripreso il controllo di sé. Solo a quel punto aveva compreso la spaventosa enormità di ciò che era accaduto e aveva creduto d'impazzire.
Era fuggita da Marcus per paura e per orrore, aveva vagato per notti intere, cercando rifugio dal sole in angoli bui, spesso ricovero dei reietti della società.
Poi, in una sera come quella, si era ritrovata sotto le finestre della grande casa di Andrea.
Andrea doveva aver sentito la sua presenza, perché si era affacciato e aveva scrutato l'ombra. Veronica avrebbe potuto sfuggirgli facilmente, ma non l'aveva fatto. Anzi aveva accettato il suo invito a entrare.
Vedendola pallida e tremante, lui l'aveva abbracciata. Ma Veronica, con un gemito di dolore e di paura, si era divincolata.
“Allontanati da me! Io non sono quella che conoscevi, io sono un mostro!”.
Anche questa volta lui non si era scomposto, le aveva preso la mano e l'aveva fatta sedere.
“Non c'è nulla in te che possa porre fine al mio amore. Anche se avessi commesso i più atroci delitti, io non ti abbandonerei mai”.
In preda a un tremito profondo lei gli aveva narrato ogni cosa, ogni squallido particolare, ogni orrore. Lui, per tutta risposta, l'aveva stretta di nuovo: “Ora sei a casa: non avere paura!”.

Andrea gemette di nuovo. Cercava di dirle qualcosa. Era chiaro che ormai era giunta la fine per lui. Veronica gli accosto l'orecchio alla bocca.
“Amore... Io non... Amore! Abbracciami, te ne suppli.....”.
La voce si spense piano come una candela ormai consumata. Era morto. Ora era tutto finito. Le sue sofferenze erano finite!
Con un estremo gesto di dolcezza Veronica gli carezzò nuovamente i capelli. Sì, era proprio morto!
“I miei complimenti! Non avevo dubbi su di te, mia piccola creatura”.
Lei si voltò di scatto e vide nell'angolo l'ombra scura di Marcus.
“All'inizio, lo confesso”, continuò lui con aria tranquilla “ho temuto che fossi vittima di uno stupido amore mortale. Ma poi ho visto come eri crudele, come ti divertivi a farlo soffrire. Ogni giorno diventavi più deliziosamente mostruosa!”.
“Tu... Tu mi hai spiata per tutto questo tempo?”.
“Non è facile liberarsi del proprio sire. Ho troppi secoli di vita sulle spalle per farmi abbindolare da una neonata come te! Anche se devo ammettere che stai imparando sorprendentemente in fretta!”.
Veronica non rispose. Non voleva dargli la soddisfazione di rispondergli.
“Finora sei la mia migliore opera d'arte! Quarant'anni, quaranta lunghi anni durante i quali hai saputo distruggere la vita di quel povero uomo giorno dopo giorno, con precisione microscopica”.
“Che vuoi da me, Marcus? Perché sei venuto?”.
“Voglio celebrare il tuo trionfo, mia piccola strega. Sai quando mi hai davvero convinta della tua crudeltà sopraffina? Bé, te lo dirò io, quando scivolavi nel suo letto senile e lo tormentavi col tuo corpo eternamente giovane. Povero stupido! Come si agitava per essere alla tua altezza. E come t'implorava di abbracciarlo, di fare di lui un vampiro eterno come te!”.
La risata di Marcus risuonò orrendamente lugubre nella stanza.
“E che dire delle tue sortite? Sparivi per giorni interi in cerca di sangue. I primi tempi facevi la delicata, ti nutrivi solo da animali da pascolo. Poi, quando hai capito il valore del sangue umano, ti sei fatta audace e spietata. Entravi nei locali notturni con l'aria seduttiva di un'esperta cortigiana. Ho visto una simile bravura solo nelle amanti dei re delle corti settecentesche: maliarde, affascinanti, avvolgenti. Quei poveretti ti cadevano ai piedi come tanti imbecilli. Tu li portavi nel tuo letto e godevi dei loro ardori, finché i tuoi denti aguzzi non penetravano nella loro carne. Altro che i miseri amplessi con quel mortale infiacchito dal tempo!”.
Veronica emise un ringhio, mentre il suo viso si deformava fino a diventare una maschera ferina: “Basta! Hai superato la misura!”.
“Fai la voce grossa, piccola vampirella? Credi che abbia paura di te? Vorresti distruggere il tuo sire, colui che ti ha aperto le porte dell'eternità?”.
“Della dannazione vorrai dire!”.
“C'è differenza? Avresti preferito vivere un'esistenza mortale? No, non tu. Tu volevi tutto!”.
“Non era questo che intendevo!”.
“Sì, invece. Io scelgo con cura le mie prede. Tu volevi una vita speciale, volevi elevarti sopra la massa in cerca di piaceri più grandi e profondi. Per questo lo hai lasciato quella sera e sei venuta da me”.
“Io non sapevo chi eri...”.
“Non a livello cosciente, ma avvertivi il pericolo e ti piaceva! Credi che non me ne sia accorto? Per questo non hai abbracciato quel misero essere: non volevi avere uno stupido tra i piedi per l'eternità.. Non era degno di essere un vampiro, non era degno di essere uno di noi!”.
Veronica esitò. Andrea stava lì, muto, con gli occhi di bimbo ancora sbarrati. Un timido raggio di sole, araldo dell'alba, filtrato dalle pesanti tende di broccato nero, li faceva brillare come l'acqua di una limpida fontana.
La donna si avvicinò pensosa al cadavere, gli chiuse gli occhi con dolcezza, poi si voltò verso Marcus.
“Forse hai ragione”, disse. “Volevo te! Volevo provare il piacere di essere una dea”.
“Ebbene, ora lo sei! Una dea del male, nata per godere dell'eternità. E io, mia adorata, sarò il tuo maestro”.
Lei gli lanciò uno strano sorriso, avanzando verso di lui.
“Vuoi dire che faresti di me la tua compagna?”.
“Chi meglio di te?”.
Veronica gli era ormai vicina. Il suo volto, tornato alle fattezze umane, esprimeva un desiderio violento e sensuale.
“M'insegnerai davvero l'arte della malvagità?”.
“Sì, creatura, ti renderò ancora più perfetta!”.
La donna a quel punto gli gettò le braccia al collo facendogli passare la lingua dietro l'orecchio, mentre le gambe snelle gli circondavano il corpo.
“Allora, in cambio della tua generosità, mio sire, ti meriti un regalo!” mormorò lei.
“Accetterei qualsiasi regalo da te. Ho atteso fin troppo di poterti riavere”.
“E quale miglior regalo, mio sire, della verità? Non vuoi sapere perché non ho reso immortale quel poveraccio? Non vuoi conoscere i miei pensieri?”.
Dicendo ciò l'aveva spinto sul divano e ora gli stava sopra, a cavalcioni. Tirandosi su lo guardò dall'alto con un sorriso beffardo.
“Io, mio odiato sire, non l'ho abbracciato per un motivo molto semplice: lo amavo troppo per condannarlo alla dannazione eterna!”.
Marcus cercò di divincolarsi conscio dell'inganno. Veronica, infatti, teneva un minuscolo telecomando nella mano destra. Senza alcuna esitazione premette il pulsante e s'udì nella stanza un frusciò di stoffa. Contemporaneamente la luce del mattino inondò ogni cosa col suo oro.
“Tu, invece”, continuò la donna torcendosi per il dolore procuratole dal sole “meriti di bruciare nelle fiamme dell'inferno!”.

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