Di tutto un po'
Il dio maschile
di Eva Figes (1969)
Siamo abituati a pensare che Dio sia un maschio, è vero, ma il mondo non è cominciato nel paradiso terrestre. I miti anteriori della creazione attribuiscono invece alla figura femminile l’importanza che nella Genesi è accordata all’uomo. Quando si parla di matriarcato della preistoria, tutto si riduce a questo: la donna, particolarmente in quanto “puerpera”, aveva grande rilievo sociale e la discendenza era matrilineare perché questo era il modo naturale in cui la si poteva concepire in origine. I più antichi paradisi terrestri erano amministrati da donne: la dea ellenica Hera abitava il Giardino delle Esperidi, un paradiso sumerico era governato da Siduri, la dea della saggezza. Sia Hera che Siduri furono cacciate dal loro regno da un uomo. In queste vicende possiamo scorgere il desiderio maschile di usurpare il potere detenuto da una figura femminile preponderante, ma solo abbinando l’astuzia alla forza.
In origine, né poteva essere diversamente, il mondo ebbe inizio da una donna, anche se abbondano nei miti primitivi gli dei-serpenti. Secondo la mitologia greca, per esempio, la dea Eurimone venne ingravidata dal vento che aveva assunto le spoglie del serpente, dopo di che depose l’uovo del mondo. Probabilmente il serpente assommava in se associazioni falliche, ma sempre per via indiretta, in quanto l’uomo non è presente come figura reale del creato. Il serpente che sedusse Eva era nei fatti un antichissimo dio che, forse, doveva l’essenza divina al fatto di sembrare in natura un essere che, mutando pelle, poteva creare e ricreare se stesso. E poi tutti sanno che i serpenti sono infidi e pericolosi. Secondo un’antica credenza, le mestruazioni hanno inizio quando la donna viene morsicata da una serpe.
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Dal momento che, in fatto di robustezza fisica, la donna è solitamente più debole dell’uomo, è lecito presumere che l’importanza che le si attribuiva fosse dovuta al suo ruolo di puerpera e che l’uomo considerasse importantissimo, sotto questo aspetto, la sua funzione creatrice, poiché non si rendeva conto della propria partecipazione al processo riproduttivo. Solo quando ha capito che giacendosi con una donna la mette incinta e che è lui il padre fisico del bambino che lei porta in grembo, l’uomo può cominciare a vedersi come creatore, relegando la donna al rango di puro e semplice “contenitore”, acquistando motivazione e sicurezza di predominio. Una volta che l’uomo sappia del collegamento fisico tra se stesso ed il bimbo che la compagna reca in grembo e che comprenda come il figlio, sempre che non sia concesso ad un altro uomo di mettere incinta la donna, sia decisamente suo, ossia la “continuazione” di se stesso, tutto diventa possibile. Insorge il concetto della continuità individuale e l’uomo, a patto che riesca a controllare la propria donna, diventa in un certo senso immortale. Il potere ed il patrimonio possono essere tramandati ai figli (maschi) potendosi così svincolare dall’interramento improduttivo con il corpo del defunto. A questo punto l’uomo, giocando al ribasso sul ruolo decisivo che la donna assume nella procreazione e considerandola come un semplice vaso da fiori seminato opportunamente, scopre e sfrutta una sensazione nuova di potere, di dominio incontrastato sull’ambiente. Potrà tramandare il proprio nome e le ricchezze acquistate in vita, ai figli maschi, beffando così, finalmente, la morte. Vale allora la pena di lavorar sodo, di accaparrare ricchezze, invece di vacillare continuamente tra la paura dell’ignoto ed il lasso godimento dei piaceri temporali; vale la pena di ergersi a conquistatore aggressivo, avanzare pretese sulla terra e conservarla a tutti i costi.
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