IL VAGABONDO

Frugava tra la spazzatura, infreddolito ed affamato, aveva anche paura: i temporali non gli erano mai piaciuti. Finalmente trovò qualcosa, non molto, ma era sempre meglio di niente.
Un tuono improvviso lo fece sussultare, pensò che doveva trovare un riparo o si sarebbe ammalato; si avviò di corsa lungo la strada vuota, tenendosi vicino ai muri, per bagnarsi il meno possibile.
Alla fine, stanco, si accucciò dentro un portone e lì poté finalmente dormire un po'.

Il risveglio, come tanti altri nella sua vita, non fu piacevole: l'uomo gridava e gli mollò anche un calcio e così fu costretto ad uscire di nuovo sotto la pioggia.
Era stanco, tanto stanco, e quel dolore, quel maledetto dolore! erano giorni che non lo abbandonava; strinse i denti e continuò a camminare, senza meta, senza speranza.
Finalmente smise di piovere, ma lui neanche se ne accorse: aveva freddo, aveva fame; pensò che sarebbe stato meglio fermarsi, chiudere gli occhi ed aspettare, non sapeva neanche lui cosa, ma...
"Pss, Pss".
Si guardò intorno a cercare chi faceva quel verso: era una ragazza, minuta e con il viso sporco; le si avvicinò cautamente, ormai non si fidava più di nessuno, aveva preso troppi calci; lei allungò una mano e gliela appoggiò sulla testa: "Ciao, cane, sei tutto bagnato, povero piccolino!". La sua voce era dolce e lui si lasciò sollevare, appoggiò il muso al viso della ragazza e pensò che ora poteva riposarsi un po'. Sentiva le mani di lei che cercavano di asciugarlo con uno straccio, ma non aprì gli occhi, si lasciò cullare, felice di quelle attenzioni, e pensò che lei lo capiva, perché da come era vestita, doveva essere anche lei una vagabonda. Ora si sarebbero fatti compagnia, avrebbero cercato insieme un riparo e qualcosa da mangiare, e mai più, mai più sarebbero stati soli.

Con questi pensieri, felice, il piccolo cane si addormentò, tra quelle braccia calde e dolci.
Ora non aveva più ricordi, rimpianti, solo speranze.