I MIRACOLI SULL'ERBA
di Sandro Ricaldone
Città dannunziana del silenzio, proletaria nel romanzo di Athos Bigongiali, Pisa riveste nella peripezia dell'esilio moroviciano una valenza marcatamente fantastica. Non troppo discosta da quell'asse Roma-Firenze attorno al quale - con Palazzeschi e Moravia, con Bontempelli e Landolfi - Contini ordinava nell'immediato dopoguerra la sua "Italie Magique", tra il polo fiumano del ricordo, evocato in testi anche recentissimi, e quello genovese segnato da una quotidianità caotica se non greve, il soggiorno pisano (protratto dal '52 al '58) sembra legato, per Morovich, alla dimensione dell'immaginario.
A fronte di tracce biografiche quanto mai scarne (il lavoro di commesso in un negozio di souvenirs accanto al Duomo, mutato in seguito con altri impieghi in Versilia; la residenza dapprima in via Carducci, poi in via Santa Maria, presso la Signora Leonori), talune anche riflesse nell'opera narrativa, come l'amicizia con lo scrittore Rutilio Cateni e con il dottor Italo Sartori, effigiato sotto il nome di Barbanera nel racconto "Amici toscani", si segnala infatti - sul versante letterario, accanto alle collaborazioni al "Caffé" di Vicari ed al "Mondo" di Pannunzio - la composizione del maggiore fra i suoi racconti fantastici, "Il baratro", apparso presso Rebellato nel '64.
Non è per negli sfondi dirupati e selvaggi che contornano le malefatte di Dalo Mei, il cui nocciolo di malvagità infesta uomini ed animali prima di sparire nel baratro dove il diabolico protagonista era solito gettare le sue vittime (e dove anch'egli finisce) che si possono rintracciare rimandi alla dimora pisana dello scrittore.
Il legame con la città che, com'egli stesso dichiara, "contò molto nella mia fantasia", si coglie forse più nitidamente in certi piccoli schizzi dove il profilo turrito d'un borgo medievale figura sormontato da due nuvolette svisate in fantasmi, quasi che le nubi pisane evocate, undoubtely various and splendid, da Pound avessero preso vita, trasformandosi in benevole presenze leggere, veglianti dall'alto le umane vicende. E, soprattutto, in due "racconti a righe corte".
Inedito - a quanto risulta - il primo, che qui presentiamo in facsimile, con spettri intenti a danzare, la notte, sui prati o (inesperti del volo) trascinati dall'Arno ad affollarsi sotto i ponti, forse per godere la fluviale melodia cantata dal Vate. Pubblicato invece nell'omonimo volume il secondo, "Le parole in Arno", ove il motivo manzoniano dell'affinamento linguistico è soverchiato dalla straordinaria invenzione burlesca del "giovane pisano di bella intelligenza" (il poeta Attilio Favati) immaginato, o sorpreso, mentre "scopriva indarno / gli ippopotami in Arno", con l'appendice di "molta fauna polare" veduta d'inverno dall'autore nell'atto di scendere il fiume "in mezzo a ghiacci e schiume".
Ma più in là, forse, dell'inopinata comparsa di trichechi e foche, d'orsi e pinguini, su rive certamente più auliche di quelle ove Calandrino cercava l'elitropia, si spingono i disegni raccolti in questa mostra. In bilico tra la glittica medievale e le trovate pubblicitarie di certi biscotti perugini, l'incrocio fra tratti umani e bestiali, la comparsa oltraggiosa d'ibridi il cui volto s'innesta su natiche esorbitanti quando non su parti ancor meno riferibili, i ramoscelli coronati da boccioli diavoleschi, le silhouettes stecchite di taluni personaggi e quelle serpentine di altri, veicolano nell'immagine - rinunziando alla mediazione verbale - spunti d'inusitata freschezza, mostrando per giunta come la diagnosi continiana secondo cui "le storielle di Morovich ... sono tele sobrie, secche, prive di colore, di sfumature, di commenti", non intenda il cromatismo vivace sotteso al racconto.
Qui, certo, non s'avverte il tono d'ispirazione paludata che affiora nelle trovate surrealiste o nei tableaux saviniani. Non vi si tratta di minotauri o d'altre mostruosità mitologiche. Il terreno che Morovich batte par dislocato, piuttosto, fra le regioni dell'onirico e del beffardo, con quel che d'inquietante ha il primo e di smagante il secondo; in un recesso, ancora tutto pisano, dove "i miracoli son lì / sull'erba, nella luce / verde dei riflettori / che allontana / il cielo stellato".
E. Morovich
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