Enrico Morovich: disegni






I MIRACOLI SULL'ERBA

di Sandro Ricaldone

 

Città dannunziana del silenzio, proletaria nel romanzo di Athos Bigongiali, Pisa riveste nella peripezia dell'esilio moroviciano una valenza marcatamente fantastica. Non troppo discosta da quell'asse Roma-Firenze attorno al quale - con Palazzeschi e Moravia, con Bontempelli e Landolfi - Contini ordinava nell'immediato dopoguerra la sua "Italie Magique", tra il polo fiumano del ricordo, evocato in testi anche recentissimi, e quello genovese segnato da una quotidianità caotica se non greve, il soggiorno pisano (protratto dal '52 al '58) sembra legato, per Morovich, alla dimensione dell'immaginario.

A fronte di tracce biografiche quanto mai scarne (il lavoro di commesso in un negozio di souvenirs accanto al Duomo, mutato in seguito con altri impieghi in Versilia; la residenza dapprima in via Carducci, poi in via Santa Maria, presso la Signora Leonori), talune anche riflesse nell'opera narrativa, come l'amicizia con lo scrittore Rutilio Cateni e con il dottor Italo Sartori, effigiato sotto il nome di Barbanera nel racconto "Amici toscani", si segnala infatti - sul versante letterario, accanto alle collaborazioni al "Caffé" di Vicari ed al "Mondo" di Pannunzio - la composizione del maggiore fra i suoi racconti fantastici, "Il baratro", apparso presso Rebellato nel '64.

Non è per negli sfondi dirupati e selvaggi che contornano le malefatte di Dalo Mei, il cui nocciolo di malvagità infesta uomini ed animali prima di sparire nel baratro dove il diabolico protagonista era solito gettare le sue vittime (e dove anch'egli finisce) che si possono rintracciare rimandi alla dimora pisana dello scrittore.

Il legame con la città che, com'egli stesso dichiara, "contò molto nella mia fantasia", si coglie forse più nitidamente in certi piccoli schizzi dove il profilo turrito d'un borgo medievale figura sormontato da due nuvolette svisate in fantasmi, quasi che le nubi pisane evocate, undoubtely various and splendid, da Pound avessero preso vita, trasformandosi in benevole presenze leggere, veglianti dall'alto le umane vicende. E, soprattutto, in due "racconti a righe corte".

Inedito - a quanto risulta - il primo, che qui presentiamo in facsimile, con spettri intenti a danzare, la notte, sui prati o (inesperti del volo) trascinati dall'Arno ad affollarsi sotto i ponti, forse per godere la fluviale melodia cantata dal Vate. Pubblicato invece nell'omonimo volume il secondo, "Le parole in Arno", ove il motivo manzoniano dell'affinamento linguistico è soverchiato dalla straordinaria invenzione burlesca del "giovane pisano di bella intelligenza" (il poeta Attilio Favati) immaginato, o sorpreso, mentre "scopriva indarno / gli ippopotami in Arno", con l'appendice di "molta fauna polare" veduta d'inverno dall'autore nell'atto di scendere il fiume "in mezzo a ghiacci e schiume".

Ma più in là, forse, dell'inopinata comparsa di trichechi e foche, d'orsi e pinguini, su rive certamente più auliche di quelle ove Calandrino cercava l'elitropia, si spingono i disegni raccolti in questa mostra. In bilico tra la glittica medievale e le trovate pubblicitarie di certi biscotti perugini, l'incrocio fra tratti umani e bestiali, la comparsa oltraggiosa d'ibridi il cui volto s'innesta su natiche esorbitanti quando non su parti ancor meno riferibili, i ramoscelli coronati da boccioli diavoleschi, le silhouettes stecchite di taluni personaggi e quelle serpentine di altri, veicolano nell'immagine - rinunziando alla mediazione verbale - spunti d'inusitata freschezza, mostrando per giunta come la diagnosi continiana secondo cui "le storielle di Morovich ... sono tele sobrie, secche, prive di colore, di sfumature, di commenti", non intenda il cromatismo vivace sotteso al racconto.

Qui, certo, non s'avverte il tono d'ispirazione paludata che affiora nelle trovate surrealiste o nei tableaux saviniani. Non vi si tratta di minotauri o d'altre mostruosità mitologiche. Il terreno che Morovich batte par dislocato, piuttosto, fra le regioni dell'onirico e del beffardo, con quel che d'inquietante ha il primo e di smagante il secondo; in un recesso, ancora tutto pisano, dove "i miracoli son lì / sull'erba, nella luce / verde dei riflettori / che allontana / il cielo stellato".


(giugno 1993)




La notte
il cielo di Pisa
è pieno di fantasmi
presenti, passati
di secoli addietro.


Ho sognato uno spettro
danzante sul prato
di piazza del Duomo.


Disse lo spettro
ero un uomo
anni addietro.
Anche tu sarai presto
uno spettro ben visto
sul prato del Duomo.
Da anni gli spettri
ti leggon nel cuore
come fosse di vetro.

Un fantasma sui tetti di Pisa
insegue una bella comare
che sparisce e compare.
Stanco di volare
il fantasma urla di rabbia
ma viene uno spettro guardiano
che lo prende per mano
e lo porta lontano
in un cielo pieno di vento
prossimo all'uragano.


Uno spettro verde
girava sui tetti di Pisa
Spariva nel buio e ricompariva
sembrava un fulmine buono
infelice, incapace
di tramutarsi in tuono.


Un corteo di spettri
che non sanno ancora volare
scivola tra le mura dell'Arno
trascinato dall'acqua.
A Pisa l'Arno è contorto
nelle curve gli spettri
traboccano, sotto i ponti
c'è sempre un intasamento.


Uno spettro di secoli addietro
andava per Pisa scomposto
indietro lasciando le braccia
le gambe lo seguivan volando.
Non fare così gli disse
un guardiano: spaventi gli spettri
recenti che ancora non sono
sapienti.


E. Morovich





HOME PAGE
SUI DISEGNI DI MOROVICH
ALTRI TESTI
IMMAGINI
BIBLIOGRAFIA






This page hosted by GeoCities Get your own Free Home Page