in occasione della Giornata del dialogo ebraico-cristiano
del 17 gennaio 1999
1.0. Introduzione
La cultura ebraica , fin dalle origini, non ha tanto tenuto conto della dimensione dello spazio - come in genere invece hanno fatto le altre culture antiche - ma soprattutto della dimensione del tempo e della sua santificazione. E il tempo viene santificato quando noi riconosciamo l'Eterno come il creatore di tutte le cose. Come è noto, il tempo è diviso in periodi che non sono tutti uguali. Esso è diviso in cicli in cui ricorre il numero sette. Il testo biblico dice :" Lavorerai la terra per sei giorni, il settimo devi astenerti dal lavorare la terra". Come Dio ha creato il mondo in sei giorni e il settimo si è riposato, così deve fare anche l'uomo ed astenersi da ogni opera di trasformazione delle cose (i maestri della kabbalah parlano addirittura di 6000 anni in cui l'uomo produce, mentre il settimo millennio deve essere dedicato al riposo e sarà quindi tutto sul piano spirituale). Non basta . ogni sette volte sette anni il tempo, diciamo così, completa il suo percorso e dunque il cinquantesimo anno è un anno speciale, l'anno dello jovel, del giubileo. Il testo biblico più specifico che parla di questo si trova nel Levitico, al capitolo 25:"Quando entrerete nel paese che io vi do, la terra dovrà avere il suo sabato consacrato al Signore. Per sei anni seminerai il tuo campo e poterai la tua vigna e ne raccoglierai i frutti; ma il settimo anno sarà come sabato, un riposo assoluto per la terra, un sabato in onore del Signore; non seminerai il tuo campo e non poterai la tua vigna. Non mieterai quello che nascerà spontaneamente dal seme caduto nella tua mietitura precedente e non vendemmierai l'uva della vigna che non avrai potata; sarà un anno di completo riposo per la terra. Ciò che la terra produrrà durante il suo riposo servirà di nutrimento a te, al tuo schiavo, alla tua schiava, al tuo bracciante e al forestiero che è presso di te; anche al tuo bestiame e agli animali che sono nel tuo paese servirà di nutrimento quanto essa produrrà. Conterai sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni ; queste sette settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni. Al decimo giorno del settimo mese farai squillare la tromba dell'acclamazione; nel giorno della espiazione farete squillare la tromba per tutto il paese. Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia. Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non farete né semina, né mietitura di quanto i campi produrranno da sé, né farete vendemmia delle vigne non potate. Poiché è il giubileo; esso vi sarà sacro; potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi. In quest'anno del giubileo ciascuno tornerà in possesso del suo "(cfr. 25,2-13). Si badi : nel testo non c'è nulla di superfluo; se esso ribadisce più volte certi numeri e certe parole è perché attribuisce a loro particolare importanza e dunque meritano la nostra attenzione. L'istituzione del settimo anno e del cinquantesimo anno si propone essenzialmente due scopi : il primo è quello di ricordare la creazione : Dio esiste in quanto creatore e sovrano di tutto l'universo; il secondo è quello di tutelare l'uguaglianza sociale con l'anno sabbatico e con l'anno giubilare. Nel sistema sociale proposto dall'insegnamento biblico non vi sono distinzioni fra le classi sociali . Inoltre la terra, intesa in senso biblico come il mezzo di produzione fondamentale, appartiene solo a Dio. Il testo dice esattamente :"La terra appartiene a me" (Levitico, 25, 23). La terra è di Dio che la distribuisce secondo le singole tribù, le singole famiglie, i singoli individui, i quali non sono appunti padroni della terra ma "affittuari" della terra : la terra è solo di Dio, dunque non appartiene a qualcuno in particolare ma è di tutti in parti eguali per soddisfare i propri bisogni materiali. Scopo del lavoro non è l'accumulazione delle ricchezze ma il soddisfacimento delle necessità dell'uomo e della sua famiglia: nessuno può diventare troppo ricco né troppo povero. Anzi vengono istituiti dei veri e propri "ammortizzatori sociali", come oggi diremmo, per evitare che il povero resti per sempre povero ed il ricco possa diventare sempre più ricco. Ecco l'importanza del settimo anno sabbatico e dell'anno giubilare, durante i quali viene ristabilito l'equilibrio perduto o dimenticato nei periodi precedenti. Insomma, l'uomo ha l'obbligo di lavorare tutto il terreno di sua proprietà ma non può godere del tutto: una parte del prodotto dei campi è diritto dei più poveri; e il discorso vale pure per le decime e per gli stessi sacrifici.
1.1. L'anno sabbatico
Vediamo ora meglio quello che si può fare e quello che non si può fare nell'anno sabbatico. Nel settimo anno, io, proprietario del terreno, non possono lavorare il mio terreno. Devo consentirne il riposo : non solo non devo lavorarlo ma devo fare in modo che la terra riposi. Ho ad esempio il divieto di raccogliere ciò che è rimasto nei campi o sugli alberi e tutto ciò che nasce spontaneamente. Quando nasce qualcosa nel corso del settimo anno, esso non appartiene al proprietario ma è proprietà di chiunque, compresi gli animali, ed il proprietario di quel terreno non deve fare assolutamente nulla per impedire quella fruizione.
I frutti del settimo anno, quelli che nascono spontaneamente, hanno la connotazione della sacralità. Che cosa vuol dire? Beh, in primo luogo nel senso di un grande rispetto per la natura. Questi frutti che non sono prodotti dall'uomo ma provengono dai campi, derivano in forma diretta dalla volontà di Dio. Questi prodotti vanno considerati distinti dagli altri, su un piano morale superiore : chiunque li mangi deve avere un atteggiamento particolare nei confronti di questi prodotti agricoli. Essi, a proposito, "non devono essere mangiati diversamente da quella che è la loro natura". Il che significa che quei frutti che di solito sono mangiati crudi devono appunto essere mangiati crudi, non devono cioè essere modificati : ad esempio non possiamo ridurre questi frutti in succhi di frutta perché non deve intervenire nessuna attività artificiale da parte dell'uomo. Non possiamo d'altra parte neppure buttarli via, nel pattume, ma li dobbiamo riporre con grande rispetto e dobbiamo lasciarli sul terreno in modo che si distruggano poi da soli. Di questi frutti non dobbiamo neppure fare alcuna forma di commercio né li possiamo portare fuori dalla terra di Israele ma devono rimanere lì dove sono nati.
Durante l'anno sabbatico vi è anche il divieto di richiedere la restituzione dei debiti contratti precedentemente. Se una persona in disagio economico chiede un prestito, se non fosse stato ancora pagato quando c'è l'anno sabbatico, comunque quel debito è considerato inesistente. Ogni sette anni insomma i debiti non esistono più ! Si tenga conto del tipo di società a cui si riferisce il testo biblico : è una società agricola e pastorale, nella quale c'è un forte senso della dignità personale. Se qualcuno chiedeva un prestito, era perché ne aveva veramente bisogno. Se dunque qualcuno veniva da me a chiedermi un prestito, io ero tenuto a farglielo. Non solo : io non debbo astenermi dal farglielo! Nella Bibbia è ricordato esplicitamente : se dispongo della somma, io non solo non posso astenermi dal concedergli il prestito ma devo anche evitare di fare ragionamenti del tipo :"Si sta avvicinando il settimo anno; se gli impresto i soldi adesso, non li rivedrò più". Devo aggiungere, per completezza, che, mentre la questione dei debiti vale in qualunque situazione, l'astensione del lavoro dei campi durante l'anno sabbatico vale solo nella terra di Israele.
I nostri maestri si erano però accorti che questa legislazione era troppo avanzata rispetto al modo comune di pensare della gente. Qual era quella persona così avanzata spiritualmente che concedeva un prestito tranquillamente pur sapendo che si era già nel quarto o nel quinto anno e che quindi di lì a poco sarebbe arrivato lo jovel ? Che cosa hanno allora escogitato i nostri maestri ? Essi hanno inventato un escamotage - si noti che essi si sentivano , per così dire, autorizzati a fare delle modifiche alla normativa quando essa non rispondeva alle esigenze concrete delle persone - che consiste nella richiesta del prestito non più ad un privato ma al tribunale : il rapporto era così non tra due privati ma tra due individui ed un ente pubblico e dunque non valeva più la regola del settimo anno, sempre restando comunque il principio severissimo che non si può chiedere alcun interesse su questo tipo di prestito.
1.2 L'anno giubilare
Passiamo ora al giubileo, allo jovel. Sembra che non vi sia nessun parallelo nelle civiltà antiche per una istituzione del genere : è propria solo dell'ebraismo. Jovel è il nome dato al cinquantesimo anno, quello che subentra dopo sette cicli di sette anni. Vi sembra facile da contare ? Niente affatto, perché non è chiaro se è un anno a sé stante o se è l'anno successivo al ciclo di sei anni più uno. Inoltre la proclamazione del giubileo avviene il decimo giorno del primo mese dell'anno, che in ebraico è Tishrì, che però etimologicamente indica il settimo mese. Come mai tutte queste stranezze e complicazioni ? Perché la proclamazione dello jovel non deve essere qualcosa di automatico ma dipende dall'uomo il farlo : il testo biblico lascia una certa autonomia di gestire la proclamazione del giubileo perché, se per qualche motivo di carattere eccezionale, non poteva essere proclamato, lo si poteva fare in qualche altro momento (si pensi a guerre, carestie, terremoti e simili).
Che cosa significa jovel ? In ebraico la parola indica l'ariete, il montone, perché l'anno di giubileo veniva proclamato suonando lo "shofar", che è appunto lo strumento musicale ricavato dal corno dell'animale. Lo shofar viene tutt'oggi suonato in tutte le circostanze importanti (quasi come le campane nelle campagne), soprattutto a Rosh ha Shanà (Il capodanno ebraico) e a Yom Kippur (il giorno dell'espiazione, dieci giorni dopo il capodanno). Quando noi suoniamo lo shofar, in un certo senso "ricattiamo" Dio perché ci riferiamo al sacrificio di Isacco da parte di Abramo. E' come se dicessimo a Dio :"Vedi, Signore, forse noi non meritiamo il tuo perdono, però tieni conto che abbiamo degli illustri antenati. Abramo era disposto a sacrificare suo figlio per obbedire al tuo volere, abbi pietà di noi e perdonaci ". C'è però un'altra tradizione che dice che il nome jovel deriva da una antica radice semitica che indica l'essere allegri, gioiosi, da cui il nostro latino ed italiano "giubilare" . Ce n'è anche una terza che, riferendosi ai primi capitoli della Genesi, parla di un certo Juval (da cui jovel), che sarebbe stato l'inventore dei primi strumenti musicali.
A parte le questioni etimologiche, che cosa si deve fare - o non fare - in questo cinquantesimo anno ? Se applichiamo alla terra lo stesso trattamento del settimo anno, vorrà forse dire che non dobbiamo lavorarla per ben due anni? E come si farà per mangiare? A questo problema risponde Dio stesso : "Io disporrò in vostro favore un raccolto abbondante per il sesto anno ed esso vi darà frutti per tre anni"(cfr. Levitico , 25, 21).
Nel cinquantesimo anno ognuno tornerà in possesso della propria terra e ritornerà a casa sua, vengono cioè considerate nulle tutte le compravendite dei terreni. Si ricordi che all'entrata degli ebrei nella terra di Israele, il territorio era stato diviso tra le varie tribù, a loro volta ogni tribù aveva provveduto a distribuire la terra tra i vari capi famiglia. Ove avveniva che una famiglia avesse venduto il suo terreno per motivi di necessità, quando arrivava lo jovel, la vendita era considerata nulla e si ricominciava tutti da capo, sempre per il solito motivo di evitare di diventare o troppo ricchi (rischiando di sperperare tutto) o troppo poveri (e far sì che la propria miseria ricada sulla propria famiglia), ed anche per non dimenticare che la terra non appartiene a noi ma a Dio : noi l'abbiamo avuta in affitto dall'Eterno, dunque possiamo solo averla in affitto o darla in affitto.
Tali norme avevano le loro eccezioni : ad es. riguardavano solo i terreni produttivi e non i beni di lusso. Quali, ad esempio ? La casa di città. Nel mondo antico, chi andava in città era, in pratica, un perdigiorno, perché la vita degli antichi si svolgeva nei campi, a contatto con la natura. Dunque se qualcuno possedeva un tale bene di lusso e lo vendeva, trascorso un anno la sua vendita era definitiva e non può più rientrarne in possesso, secondo quanto dice comunemente la norma giubilare. Un'altra eccezione riguardava le abitazioni dei Leviti. Com'è noto, i Leviti vivevano di decime, non lavoravano la terra, e si occupavano di questioni diremmo spirituali : erano avvocati, insegnanti, giudici ecc. Nel loro caso, non si applicava la regola dei sette e dei cinquanta anni.
La regola dello jovel veniva applicata anche a quella categoria di persone definibile col termine "prestatori di lavoro". Non vi erano schiavi nel mondo antico ebraico. Tutte le persone lavoravano per conto proprio. Ognuna aveva il suo campo e ricavava da esso il necessario per vivere. Chi faceva del lavoro per conto di un altro o era una persona che era in grosse difficoltà economiche e quindi si era ridotta a dover dipendere da un altro oppure era una persona che non aveva un grande senso della propria dignità. Ebbene, la norma giubilare vuole salvaguardare proprio quelle persone . chi lavora per un altro lo può fare solo per sei anni : il settimo anno deve smettere; il mio padrone deve pagarmi e darmi anche una "liquidazione" (vedete come è adeguata questa legislazione!). Ove capiti che il "servo" non intenda usufruire dell'anno di liberazione, deve fare una pubblica dichiarazione di fronte al tribunale, il quale prende atto della sua decisione e gli buca un orecchio! Era un segno di disprezzo che segnava per sempre lo sventurato : tu potevi conseguire la libertà e vi hai rinunciato per una tua "comodità"! Allora, quello stesso orecchio che ha udito sul monte Sinai :"Voi siete miei servi"(e cioè solo di Dio e di nessun altro), quell'orecchio che ha invece voluto diventare servo di qualcun altro, è giusto che ricordi per sempre la sua volontà di non essere libero e dunque venga bucato ! Comunque sia, anche coloro che non intendono diventare liberi, lo sono per forza, volenti o nolenti, anche coloro che hanno avuto l'orecchio bucato. Insomma, ogni cinquant'anni, tutti a casa, non esistono né servi né padroni !
I profeti di un tempo (soprattutto Ezechiele) sottolineavano che l'inosservanza dello jovel era un termometro per comprendere le disgrazie che capitavano! Se non si metteva in pratica quello che l'Eterno ha stabilito, sarebbero capitati molti guai al popolo ebraico. Ma quando si è cominciato a mettere in pratica l'istituzione dello jovel ? I nostri maestri dicono 14 anni dopo l'entrata del popolo ebraico nella terra di Israele. Perché dopo quattordici anni ? perché sette anni furono impiegati per la conquista del paese e altri sette anni occorseroper la divisione del territorio tra le varie famiglie, e non fu una cosa semplice. Comunque, da quel momento in poi il popolo ebraico ha cominciato a conteggiare lo jovel e
Ne furono contati e applicati storicamente ben 17 ! Si cesso di praticarli al tempo del primo esilio babilonese, quando fu distrutto il primo santuario, nel 586 avanti l'era volgare. Dopo il ritorno dall'esilio, Ezra voleva ripristinare l'usanza ma sembra che non sia riuscito a farcela per una questione di schietto carattere giuridico : quelle norme andavano applicate allorché il popolo ebraico si trovava tutto o in massima parte nella terra di Israele; ma dopo l'esilio una gran parte del popolo ebraico era rimasta a babilonia, dunque non era più possibile farlo. Da allora in poi l'usanza viene ricordata ma c'è una grande incertezza a riguardo.
1.3 La teshuvà
Ed ora, visto che il titolo della conferenza è "Giubileo e Teshuvà", vorrei dire ancora due parole appunto sulla teshuvà. Che cosa vuol dire "teshuvà"? La parola significa propriamente "ritorno". L'Eterno ha fatto un grande regalo all'uomo : quello di poter intraprendere liberamente la strada che preferisce ma, soprattutto, la possibilità di essere in grado di uscire dalla strada del male, dopo averla scelta, dunque di ritornare sulla strada del bene. Quando si deve fare teshuvà? I nostri maestri sono espliciti : devi fare teshuvà "un giorno prima di morire". E visto che nessuno di noi sa quando morirà, dobbiamo fare teshuvà in pratica tutti i giorni, dobbiamo quindi essere sempre pronti.
Nell'ebraismo il rapporto tra uomo e Dio è visto come una sorta di patto. Tale patto consiste nel darsi da fare insieme - uomini e Dio - per "aggiustare il mondo". In pratica, ognuno di noi deve considerarsi come una specie di "socio" di Dio al fine di aggiustare le cose che non vanno, contribuire insomma a rendere più giusto il mondo; in altre parole, noi abbiamo il compito di essere "soci del Santo - benedetto sia - nell'opera della creazione". Ora, la teshuvà è il rinnovamento di questo patto (e questo viene ricordato nell'ebraismo in forma solenne nel giorno di Kippur, nel giorno del pentimento). E come posso io rinnovare questo patto con l'Eterno? Semplicemente osservando gli insegnamenti che Dio ci ha dato. Si noti, a questo proposito, che i profeti sottolineavano il peccato del popolo : il popolo intero era visto come peccatore e tutti dovevano fare penitenza. Nella letteratura posteriore, rabbinica, si preferisce mettere in evidenza il peccato del singolo. Perché ? Perché si era visto che molti trovavano l'alibi :"E' la società che è marcia, siamo tutti peccatori", dunque era molto comodo scaricare la responsabilità personale sugli altri e dare meno importanza a quello che io stesso ho fatto. I rabbini invece dicevano : non guardare tanto la collettività, guarda te stesso !
I maestri della Kabbalah, la mistica ebraica, dicevano - riguardo la teshuvà - che essa ha un'importanza cosmica, nel senso che il nostro pentimento permette il ripristino delle "gocce di luce" che si sono disperse nell'universo a causa dei nostri peccati. Nell'universo c'è infatti una luce - che non è la luce degli astri - che è la luce divina che è stata messa in contenitori sparsi nell'universo. A causa però della potenza della luce e della debolezza dei contenitori - che siamo noi ! - la luce è esplosa ed è avvenuta la rottura dei vasi! Compito dell'uomo è appunto quello di aggiustare quei contenitori, riparare quei vasi rotti, al fine di percepire nuovamente quella luce primordiale.
Come si fa a fare teshuvà? Ogni giorno, in ogni momento, ognuno di noi deve farsi questa domanda:"Come mi sono comportato?". Quindi, se ho fatto una cosa sbagliata devo rendermi conto, in primo luogo, dello sbaglio commesso. Non è certo facile, visto che ognuno di noi tende a giustificarsi. In secondo luogo, ci deve essere il pentimento. Se non c'è il pentimento, non si può procedere nella teshuvà. In ultimo, bisogna tentare tutte le strada per riparare il danno che abbiamo fatto. Non è per nulla facile, soprattutto nel caso di offese e simili. (Dall'altra parte - aggiungono i maestri - c'è l'obbligo di concedere il perdono a chi ce lo viene a chiedere sinceramente). Ottenuto il perdono delle persone che ho offeso, devo chiedere perdono a Dio. E Dio non può fare a meno di perdonarci, se si è veramente pentiti. Ma non è finita : noi non possiamo avere la certezza di avere "riparato" del tutto le cose fino a quando non ci troviamo in una situazione simile e, di fronte alla tentazione, questa volta non ricadiamo più nello stesso peccato!
1.4 Oggi
Il grosso problema che si pone a noi ebrei è : come facciamo ad applicare oggi quelle normative? Erano infatti delle norme molto avanzate per la società di quei tempi, però oggi, in una società non più agricola ma post-industriale? Una prima risposta, abbastanza immediata, è che le norme bibliche devono essere prese in maniera globale. Una seconda risposta potrebbe essere la seguente : quelle normative non sono più applicate se non a livello di nostalgia. Si ricordi che quelle norme valgono quando tutto il popolo ebraico sia nella terra di Israele e quando lo jovel venga proclamato ufficialmente come legge dello Stato. Questi due elementi, com'è facilmente intuibile, attualmente non ci sono perché il popolo ebraico è disperso in più nazioni e solo una parte è residente in Israele; inoltre lo Stato israeliano attuale è uno stato democratico nel senso moderno, e quindi nessuno si sogna - almeno finora - di proporre le leggi della Torà come fossero leggi dello Stato, tranne in un particolarissimo settore, che è quello della normativa riguardante i matrimoni ed i divorzi. In altri termini, in Israele non c'è il matrimonio civile : lo Stato ha deciso di disinteressarsi di questo problema ed ha demandato quelle problematiche alle diverse comunità religiose, per cui gli ebrei, se si sposano o se divorziano, lo fanno secondo la legislazione religiosa. Ma appunto, è un caso a sé . D'altra parte, c'è anche un altro grosso problema : vogliamo essere uno Stato come tutti gli altri ?Ma allora non si capisce bene perché ci dovrebbe essere uno Stato di Israele accanto agli altri : che senso ha uno Stato in più o in meno? Mentre, se non vogliamo essere uno Stato come gli altri, la sfida rimane. La sfida, per gli ebrei di oggi, è quella di accettare quelle norme e di applicarle nella pratica contemporanea, salvaguardando i principi. Un po' come è avvenuto per la lingua ebraica attuale : l'ebraico è diventata di nuovo una lingua viva grazie alla volontà degli ebrei di renderla tale, salvaguardando la grammatica di base ma adattando la lingua ai tempi attuali.
Con questo concludo, augurando a tutti noi di poter trovare la strada per percorrere l'impervio sentiero della teshuvà.
Conferenza del 17 Gennaio 1999
(Non rivisto dall'autore)
A.E.C. TORINO |