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la Repubblica, 3 aprile 2002, Firenze: Sedicenne adottato si impicca "Deriso per la mia pelle scura"
ha lasciato una lettera d'accusa : "Solo a casa stavo bene, fuori era l'inferno"

"A scuola non mi hanno mai accettato, per strada mi prendevano in giro per il colore della pelle". Lettera di addio alla famiglia di un ragazzino indiano di nascita, 16 anni, in Italia da 9. "Nove anni di infelicità, a causa del mio essere diverso" ha scritto nella lunga lettera alla famiglia di Firenze che lo aveva adottato da quasi due lustri. Si è impiccato nella mansarda della sua casa, il solo posto dove stava bene e si sentiva protetto. "Qui ho vissuto gli unici momenti di gioia, solo la mia famiglia mi ha dato calore, fuori l'inferno" ha voluto far sapere.

Tre pagine, preparate da giorni, un attestato d'amore al padre, alla madre e alla sorellina, anche lei indiana, anche lei adottata. Ma quella lunga lettera è soprattutto un atto d'accusa nei confronti di un mondo esterno dal quale Marco - il nome è necessariamente di fantasia - si sentiva rifiutato, respinto, deriso. Tutto per colpa di quella pelle e di una cultura diversa che era dentro di lui nonostante i tanti anni trascorsi in Italia. Nella lunga lettera ai genitori Marco si è lamentato anche di due note prese a scuola e della durezza di un certo professore, ma ha puntato l'indice soprattutto contro quel clima ostile che respirava intorno, a scuola e per strada, a causa di un razzismo strisciante. Una denuncia ferma, inequivocabile. Così l'hanno letta anche la polizia e il sostituto procuratore Gabriele Mazzotta, che hanno ricevuto dai genitori quel grido di dolore messo su carta. "Mi sono sempre sentito guardato come un diverso, in Italia non mi sono mai ambientato nonostante l'amore dei miei genitori. Non prendetevela con loro, loro sono stati meravigliosi" è il messaggio di Marco.

Minuto, magro, buono, sensibile e silenzioso, prima classe di un istituto delle medie superiori, un ragazzino come tanti, uno dal quale mai ti saresti aspettato un gesto così. "Ha lasciato un insegnamento per gli altri, una lezione per tutti" è riuscito a dire suo padre prima di essere sopraffatto dal dolore. "In questo mondo ci vorrebbe più accettazione delle diversità, più ascolto di disagi che non sempre sono percepiti". E' successo tutto così all'improvviso che neppure loro, a casa, si sono resi conto come possa essere accaduto. Famiglia della media borghesia, definita "deliziosa" dai vicini, già segnata da una disgrazia che anni fa le portò via un altro figlio, aveva adottato prima Marco e poi la sorellina più piccola. Da un paio di anni si erano trasferiti ai piedi di uno dei colli fiorentini più belli, sopra l'ospedale di Careggi, in un casolare ristrutturato. Una casa enorme, isolata in mezzo ad un verde gelido, una selva di anfratti, dove nascondersi a riflettere, pensare, scarabocchiare.

Marco ha scelto la mansarda, prima per rimuginare i suoi tormenti, poi per scrivere la lettera di addio a babbo e a mamma, infine, ieri pomeriggio intorno alle 18, per suicidarsi. Lo ha fatto come da sempre lo si fa in queste campagne: impiccandosi ai travi della soffitta, in mansarda. Lo ha trovato la mamma. Ai piedi, su un tavolo, le sue confessioni di anima disperata, contenute in quella lettera e nel diario, tra gli appunti di storia dell'arte e di disegno. Anche ai poliziotti, arrivati sul posto, sono venuti i lucciconi a leggere quelle frasi - trapelate solo in parte e in modo incompleto - che denunciano disagio a scuola e occhiatacce della gente. Atteggiamenti che Marco ha vissuto come di disprezzo per la sua diversità.