Tra l'aquila e il leone

Gruppo di Ricerca Storica Milleseicentosei

CINTELLO Sul Lemene Villam de Tileo

INDICE Presentazione Introduzione Le fonti I toponimi

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LE STRADE ROMANE NEL TERRITORIO DI TEGLIO E CINTELLO

di Vincenzo Gobbo

 

 

Introduzione

Uno degli aspetti più dibattuti nell’ambito degli studi di topografia archeologica, in relazione alla più antica presenza romana nell’agro meridionale di Iulia Concordia, riguarda i collegamenti stradali tra quest’importante centro, veneto prima e colonia latina poi, con le aree geografiche ad esso finitime.

Al pari della vicina Aquileia, Concordia era situata in un’area d’agevole passaggio verso le regioni dell’Europa centro-settentrionale ed orientale; dal perimetro irregolarmente trapezoidale delle antiche mura urbane uscivano infatti tre importanti assi stradali, che portavano ognuno in una diversa direzione. I traffici stradali provenienti dall’Italia centrale e dalla parte occidentale della pianura Padana giungevano a Concordia seguendo l’organico e funzionale percorso delle vie romane Aemilia, Postumia ed Annia (1), che entravano in città con un unico tratto stradale attraverso un ponte a tre arcate (2) prospiciente la porta urbica occidentale. Il traffico così convogliato poteva quindi aver diretto accesso all’abitato (3) per proseguire ulteriormente, attraversato in senso longitudinale l’intero centro cittadino con il decumanus maximus e superata la porta occidentale, verso Aquileia e i valichi alpini orientali.

Quest’ultima porta dava inoltre accesso all’importante area del porto fluviale: era questo il termine di un’altra vitale arteria di scambi a lungo raggio, non di terra bensì d’acqua. Grazie al naturale corso meandriforme del fiume Reatinum, Concordia era direttamente collegata con il mare e quindi beneficiava delle rotte di traffico marittimo che mettevano in comunicazione l’alto Adriatico con l’intero bacino mediterraneo.

A completare il crocevia stradale, dal settore settentrionale dell’antica città aveva capo la strada che portava verso nord; quest’ultima attraversava anticamente la parte più occidentale dell’odierno territorio comunale di Teglio Veneto, interessato nella sua parte orientale dal tracciato di un’altra strada romana quasi parallela alla prima ed avente la medesima direzione: il nord, i valichi alpini delle Alpi Carniche e le regioni transalpine del Norico.

Proprio questi due assi stradali sono l’argomento del presente studio, con il quale si desidera chiarire non solo il percorso topografico nella loro parte più meridionale ma, soprattutto, confutare le numerose interpretazioni recentemente proposte da alcuni studiosi.

 

La strada romana da Concordia al Norico

Il percorso stradale che usciva direttamente dalla colonia romana di Iulia Concordia per proseguire verso nord non ci è noto dalle fonti antiche e non possiamo quindi associare ad esso nessun nome scientificamente certo.

Nonostante questo limite storiografico, la sua denominazione è stata per lunghi anni argomento di numerosi studi che hanno indicato infine il momento della sua realizzazione nel primo periodo augusteo, ed attestato il nome di via "Iulia Augusta" o più semplicemente via "Augusta" (4).

In questa prima fase di studi, dove l’interesse per l’aspetto puramente onomastico è stato sicuramente preminente rispetto al dato archeologico, le uniche certezze comuni a tutti gli studiosi erano il punto di partenza della strada, ovvero la città di Iulia Concordia, il suo passaggio per Pieve di Rosa e la meta finale, il Norico.

Dove la strada avesse veramente sede nessuno lo ha mai precisamente indicato e ciò risulta assai strano se paragonato alle puntuali relazioni eseguite da una apposita commissione nominata alla fine del secolo scorso dalla Regia Deputazione Veneta sopra gli Studi di Storia Patria per l’individuazione del tracciato della via Annia da Mestre al Tagliamento (5).

Malgrado poi i sofisticati mezzi che la moderna tecnologia ha messo a disposizione di chi si occupa di topografia antica, quali ad esempio la fotografia aerea o satellitare, anche gli studi più recenti hanno evidenziato la totale mancanza di una precisa ubicazione di quest’importantissimo asse stradale nel nostro territorio: in un compendio sulla viabilità romana nella Venetia e Histria curato dal prof. Bosio, il quadro generale d’indagine sulle strade romane presenti nella parte orientale dell’attuale provincia di Venezia risulta anzi assai discutibile in qualche sua parte.

A conferma di ciò basti ricordare quello che egli dichiara per la via in esame, testo che riportiamo nella sua interezza a titolo esplicativo:

"... l’itinerario che doveva seguire la via nel suo primo tratto non è stato ancora bene accertato, mancando al riguardo un qualche specifico dato archeologico o toponomastico in grado di assicurare o di richiamare in qualche modo la sua presenza sul terreno…" (6).

In realtà le tracce lasciate dall’importante percorso stradale sono in alcuni tratti ancora molto evidenti ed anche ben documentate da alcune pubblicazioni curate dalla competente Soprintendenza Archeologica con il supporto del Gruppo Archeologico del Veneto Orientale.

Per meglio comprendere il suo sviluppo topografico verso nord si è pensato quindi di affiancare, nelle pagine che seguono, alle fonti bibliografiche edite le indagini di superficie condotte dallo scrivente.

La parte meridionale del tracciato stradale

Punto di partenza dell’analisi topografica è stato proprio il luogo dove Dario Bertolini, ad inizio secolo, aveva indicato la presenza della porta urbica settentrionale, da dove quindi l’antica strada doveva per forza avere capo.

Le prime testimonianze del suo passaggio sono infatti emerse proprio in questa zona, nella località Cisiol di Concordia Sagittaria, ed in particolare dove la strada che da Portogruaro conduce a Concordia si stacca dal parallelo corso del fiume Lemene per entrare nell’abitato con una decisa curva a destra. Qui sono venuti alla luce numerosi elementi che lasciano supporre la presenza di un ponte che doveva superare il corso del fiume, dato questo evidenziato con precisione da ricerche compiute con l’impiego di una équipe specializzata di sommozzatori della Soprintendenza fin dai primi anni ’80. Durante un’accurata esplorazione del fondo, in corrispondenza del centro dell’alveo, essi rinvennero delle concentrazioni quadrangolari di pali lignei (in particolare roveri) profondamente infissi nel letto fluviale, probabilmente a sostegno delle fondazioni testali del ponte. Purtroppo la scarsa visibilità rese impossibile un successivo rilevamento delle evidenze archeologiche ma da quanto emerso risulta molto probabile che la tecnica costruttiva descritta sia identica a quella rilevata da chi scrive, in migliori situazioni d’indagine, nello scavo dei ponti romani di Musile di Piave e di Marteggia (7). Un’ulteriore testimonianza della presenza di un manufatto lapideo ci viene dal declivio dell’argine, dove emergono ancor oggi dei grossi blocchi di trachite e calcare opportunamente squadrati, del tutto simili per forma ai conci su cui s’impostavano le arcate dei due ponti citati.

Dopo aver superato il fiume, la strada si dirigeva verso nord per giungere, dopo quasi un chilometro, alla periferia di Portogruaro in località Busatte. Nel 1981, durante alcuni lavori di manutenzione della strada che porta a Concordia Sagittaria costeggiando per un lungo tratto il fiume Lemene, emersero in questa località i resti di un sepolcreto ad incinerazione risalente al I - II sec. d.C., parzialmente indagato in quanto situato in gran parte sotto il manto stradale. Si rinvennero in particolare un basamento quadrangolare con incavo per contenere una stele sepolcrale ed alcune lastre in pietra del recinto funerario (8). Tale località dista solo poche centinaia di metri dal punto d’attraversamento del fiume e quindi l’area di necropoli venuta alla luce testimonia la presenza di un ulteriore sepolcreto esterno alla cinta muraria che, al pari della nota area cimiteriale di levante e della necropoli scoperta nei pressi del ponte romano ad occidente della città, si prolungava per un lungo tratto parallelamente alla sede stradale antica.

Da questo punto la strada doveva proseguire ulteriormente in direzione nord ma il recente sviluppo urbano della periferia portogruarese ha cancellato completamente le tracce del suo percorso; essa ritorna alla luce solo all’estrema periferia nord della città, all’altezza dell’incrocio tra via Villastorta e via Aldo Moro, nei terreni poco ad est della Piscina Comunale. Non ritengo sia del tutto casuale il fatto che il presunto tracciato della strada romana, dalla località Busatte all’incrocio citato, coincida quasi perfettamente con l’attuale via Villastorta (presente con lo stesso sviluppo nella cartografia degli inizi del 1800 e quindi sicuramente molto antica), anche perché proprio da questa zona proviene il cippo con la menzione del Pagus Calatianus, rinvenuto dal sig. Antonio Boschin durante la costruzione del muro perimetrale del vicino cimitero e da lui donato al Museo Nazionale Concordiese di Portogruaro (9). Proprio in corrispondenza dell’incrocio citato, in località Trebaldi, il piano stradale riaffiora alla luce e le recenti arature profonde hanno inoltre portato alla superficie anche i resti di una probabile costruzione in muratura di piccole dimensioni, forse attribuibili ad un sacello adiacente all’antica strada.

A partire da questo punto le tracce della via ritornano ad essere chiaramente visibili nel terreno e proseguono verso nord, con lievi cambiamenti di direzione, correndo alla sommità dello spalto di un antico paleoalveo fluviale.

Dopo che le tracce della strada si perdono per poche decine di metri, a causa della presenza delle Case Ronchi (10) in località Fossalato di Portogruaro, esse ritornano chiaramente leggibili nei campi che conservano il toponimo Crede. In questi terreni, grazie allo scavo recente di un profondo fossato di scolo, si è potuta eseguire un’attenta analisi strutturale della strada: larga poco meno di sei metri, essa presentava in sezione un profilo leggermente arcuato marcato da un compatto manto stradale in ciottoli fluviali (talvolta su due corsi) frammisti a ghiaia, poggiante su di uno strato basale a matrice argillosa e delimitato ai lati dalle deboli tracce dei due fossati per lo scolo delle acque, caratteristiche tecniche queste già riscontrate nelle altre viae glareatae scoperte nel territorio, e più in generale, nella pianura Padana.

Seguendo ulteriormente l’asse viario nel suo corso quasi rettilineo in direzione nord si giunge ben presto nei terreni compresi entro la Statale 463, la linea ferroviaria Portogruaro - Casarsa e l’Autostrada A4; qui, le ricerche del Gruppo Archeologico del Veneto Orientale avevano portato alla scoperta di due insediamenti d’epoca romana (11), apparentemente isolati dai contesti archeologici circostanti e che solo ora si è compreso gravitavano sull’importante tracciato antico.

Dopo aver attraversato la Statale 463 , le tracce della glarea strata s’inoltrano nei campi in direzione della periferia orientale dell’abitato di Portovecchio dove, fin dal secolo scorso, era nota la presenza di una strada sepolta.

La prima testimonianza, invero molto fantasiosa, viene riportata nel volume "Monumenti storici di Concordia, serie dei Vescovi concordiesi ed Annali della città di Portogruaro", (12) edito dallo Zambaldi nel 1840; qui troviamo infatti la descrizione di un particolare ritrovamento archeologico riferibile al tracciato stradale romano: nei terreni allora di proprietà della famiglia Torcoli, posti ad oriente della frazione, venne scoperta una "muraglia" composta da frammenti di pietra d’Istria e ciottoli fortemente cementati tra loro. Questo manufatto era largo tre piedi, alto circa sei, ed era orientato verso nord, in direzione della località Cintello. A detta dell’autore, esso si trovava originariamente nella mezzeria della via "Germanica" e svolgeva sia l’importante funzione di "spartitraffico" tra i due sensi di marcia, sia di passaggio sopraelevato per i pedoni. Tale ricostruzione appare oggi priva di fondamento ed il muro scoperto è da associare, probabilmente, ad uno degli insediamenti d’epoca augustea scoperti ad est del centro abitato (13).

Circa quarant’anni dopo, nel 1884, Dario Bertolini comunicava al mondo scientifico la scoperta in località Visinal di Portovecchio di una strada situata a poco più di cm 50 sotto il piano di campagna.

Nel corso della sua indagine lo studioso aveva potuto verificarne anche le dimensioni: essa misurava in larghezza m 1.75 ed aveva un percorso rettilineo orientato da sud a nord di circa 70 m. Prima e dopo il luogo di rinvenimento, le tracce della strada si perdevano nei terreni coltivati. Egli verificò inoltre che il piano stradale era costituito da ciottoli piuttosto grandi, quanto il palmo di una mano, legati insieme da calce e disposti in due strati. Al di sopra di questo primo sottofondo si poteva vedere anche un ulteriore strato di cocci e ruderi cementati tra loro (14).

Nella descrizione dell’autore, la strada rinvenuta dallo studioso portogruarese risulta possedere le stesse caratteristiche costruttive della via in esame ma ciò che rende perplessi è la limitata larghezza della sua sede. Se si dovesse trattare di un refuso, m 10.75 al posto di m 1.75, le dimensioni della strada scoperta alla fine del secolo scorso si avvicinerebbero molto di più a quelle della via fin qui seguita. Non escludendo a priori che la strada scoperta dal Bertolini possa essere stata parzialmente manomessa in antico, o non completamente indagata per tutta la sua larghezza, rimane il fatto che la lunghezza del tratto messo in luce testimonia a favore di una strada non certo secondaria.

L’ultimo punto topografico nel quale il tracciato viario è sicuramente individuabile con continuità è situato poco ad est di Portovecchio, a cavallo dell’incrocio tra la Strada Statale 463 e la via che conduce alla frazione. Da qui la striscia di ghiaia si perde gradualmente nei terreni interessati da episodi di depositi alluvionali causati dal vicino corso del fiume Lemene per poi scomparire, poco dopo, sotto la sede stradale moderna.

L’attraversamento del territorio di Cintello

I profondi mutamenti ambientali causati dalla realizzazione della viabilità stradale moderna, della linea ferroviaria ed infine dalla continua urbanizzazione dei terreni adiacenti all’importante via di comunicazione hanno a lungo celato il relitto sepolto della strada romana proprio dove essa interessa il territorio del nostro Comune.

Genericamente gli studiosi concordavano sul fatto che la via doveva passare per l’abitato di Cintello, associando talvolta al toponimo indicante la frazione un’origine latina: ad quintum lapidem, situato cioè a cinque miglia romane da Concordia. Da qui il percorso toccava sicuramente l’abitato di Cordovado, d’origine molto antica vista la presenza all’interno della chiesa castellana di un’iscrizione latina, per poi proseguire verso Rosa, dove la strada doveva attraversare il fiume Tiliaventum, l’odierno Tagliamento, per poi dirigersi ulteriormente verso nord (15). Qui fu scoperto un miliare in cattivo stato di conservazione e di difficile lettura, che reca una dedica agli imperatori Valerio, Massimiano Erculeo e Flavio Costanzo e si può far risalire al periodo compreso tra il marzo del 293 ed il maggio del 305 d. C.. Toponimi, iscrizioni e pietre miliari hanno quindi segnato un tracciato ideale che, per comodo e senza alcun fondamento scientifico, doveva per forza essere quello originale.

In realtà, come si può ben vedere dalla spiegazione del toponimo "Cintello" nelle pagine che hanno preceduto questo studio, il nome della frazione non deve per nulla la sua origine alla quinta pietra miliare e possiamo inoltre aggiungere con sicurezza che l’iscrizione murata nell’edificio sacro di Cordovado non fu rinvenuta in loco bensì trasportata anticamente in quel luogo dalla vicina Concordia.

Stabilito tutto ciò si sarà però concluso ben poco se non si dovesse far seguire alla precedente critica una nuova proposta sul tracciato seguito dalla strada romana, un nuovo corso attestato da precise testimonianze linguistiche e da presenze archeologiche affidabili.

Per quanto riguarda il primo campo d’indagine, un prezioso aiuto alla ricerca di superficie legata alla topografia antica ci viene dall’analisi di alcuni particolari toponimi che conservano nella propria radice linguistica la testimonianza di una presenza archeologica così importante come quella in esame: è il caso del toponimo Levada, associato molto spesso a importanti assi stradali antichi che correvano su terrapieni o comunque su tracciati che, per ovvi motivi di carattere tecnico, dovevano essere sopraelevati rispetto al terreno circostante. Da qui l’origine del toponimo, presente con particolare evidenza a Concordia Sagittaria, la località Levada, dove testimonia il passaggio della via consolare Annia (II secolo a. C.) che collegava Atria, l’odierna Adria, con Aquileia.

Una rilevante scoperta seguita alle recenti ricerche per la stesura del presente volume ha portato all’individuazione anche per Cintello di un’uguale testimonianza linguistica, rinvenuta con diverse varianti toponimiche in alcuni documenti d’archivio: una levata compare in un documento del 1538, levada in uno del 1540, un campo della levada nel 1628, ancora una levada in un documento risalente al 1642, una levada et levaduzzi nel 1699, levada in un atto del 1762 ed infine i toponimi levada, levada alta e levona attestati nel Sommarione del Catasto Napoleonico e di fondamentale importanza perché precisamente individuabili nella cartografia catastale del 1811. Nella mappa napoleonica tali terreni risultano tutti attigui e posti in corrispondenza dell’attuale incrocio tra la Strada Provinciale che conduce da Portogruaro ad Udine e via Viola, alla periferia orientale del centro abitato di Cintello.

Prima di correlare con sicurezza tale toponimo ad un manufatto antico si sono vagliate tutte le possibili associazioni logiche: era possibile, infatti, che si trattasse di terreni naturalmente rilevati rispetto ai circostanti, fatto questo che poteva dare corpo a toponimi, ad esempio una braida levada, con desinenza finale al femminile simile al nostro; da una verifica autoptica non si sono però riscontrate grandi variazioni altimetriche tra i terreni citati e quelli vicini. Proprio durante queste indagini di superficie, eseguite a conclusione di una stagione invernale eccezionalmente attardata e piovosa, è riemersa però una debole traccia del tracciato stradale in terreni posti in continuità con quelli toponomasticamente indicanti il tracciato stradale.

Risulta quindi probabile che la glarea strata doveva anticamente passare nel territorio di Cintello in prossimità della locale stazione ferroviaria, zona dalla quale provengono anche alcuni corsi di mattoni dal profilo arcuato appartenuti ad un pozzo d'epoca romana e conservati nel Museo Nazionale Concordiese di Portogruaro (16), per lambire poi il sito della chiesetta dedicata a Sant’Antonio.

Nei pressi dell’edificio sacro, nei terreni poco ad nord-est, durante dei lavori di sterro venne alla luce uno strato molto compatto di materiale lapideo non meglio identificato (17); poteva essere questa una parte del piano stradale dell’antica strada?

In mancanza di ulteriori dati sono stati analizzati tutti i terreni vicini e, cinquanta metri a nord della chiesetta, lungo la Statale 463, sono venuti alla luce alcuni frammenti di materiale edilizio sicuramente d’epoca romana frammisti a ghiaino di minuta pezzatura.

Fin qui il tracciato doveva quindi seguire il parallelo corso del fiume per poi staccarsi nettamente verso nord-est e giungere, dopo poche centinaia di metri, nei terreni agricoli sopra descritti.

In prossimità di quest’ultimo punto si sono potute inoltre individuare alcune testimonianze della presenza di un’area frequentata intorno al I secolo d. C., quasi completamente distrutta dall’edificazione di un capannone ad uso industriale. Questo sito, fino ad ora sconosciuto, ha restituito alcune parti di tegole dai bordi rialzati d’epoca romana e piccoli frammenti di coppe in Terra Sigillata; un più corretto senso civico ci avrebbe permesso di analizzare tale importante scoperta prima della sua totale distruzione ma dobbiamo comunque prendere atto della sua esistenza, che non può essere distinta dal vicino passaggio della strada romana.

Da questo punto in poi le tracce divengono sempre più deboli, fino ad arrivare al confine che separa il comune dalla vicina Cordovado.

Il toponimo che contraddistingue questo paese merita sicuramente un’ultima osservazione: nella sua composizione fonetica esso racchiude due importanti elementi, una corte ed un guado ma, tralasciando la prima componente toponimica, rimane da spiegare la presenza nel luogo di un guado, termine che ci viene dal latino vadum.

Con tale lemma si indica una parte di un corso d’acqua che, essendo meno profonda, meglio si presta ad essere attraversata; però esso implica concettualmente anche la presenza di un percorso, sia esso una strada principale o campestre, che doveva arrivare in quel preciso punto per l’attraversamento dell’ostacolo naturale. Ma qual’è il fiume che scorreva per la zona e quale poteva essere il percorso stradale che in quel luogo lo guadava?

Nella descrizione della X regio augustea tramandataci da Plinio, la situazione idrografica del nostro territorio è alquanto diversa dall’attuale; nel passo si ricorda infatti "…flumen Liquentia ex montibus Opiterginis et portus eodem nomine, colonia Concordia, flumina et portus Reatinum, Tiliaventum Maius Minusque, …" (18).

Da quanto tramandatoci risulta quindi chiara l’assenza dei tre corsi d’acqua che oggi caratterizzano l’estrema parte orientale della provincia di Venezia: non si ricordano infatti né il fiume Reghena, né il Lemene tantomeno la ridotta roggia Lugugnana, che si getta in mare con una foce molto grande se paragonata al modesto flusso delle acque.

Per i primi due, sicuramente presenti in epoca classica visto che conservano in prossimità delle rive importanti testimonianze risalenti a quell’orizzonte culturale, s’ipotizza una loro unione poco a nord della colonia romana ed un successivo unico corso, ricordato da Plinio con il nome di flumen Reatinum, fino all’omonimo porto; dall’analisi paleoambientale sembra addirittura che il Lemene sia in realtà un ramo del Tiliaventum Maius, staccatosi dal corso principale ad ovest dell’abitato di Cordovado.

Di quest’ultimo fiume, diviso a sua volta più a monte (Gleris ?) nei due corsi distinti Maius et Minus (vale a dire maggiore e minore), è ormai accertato il passaggio del primo per Gleris, Ramuscello, Cordovado, Teglio, Gorgo, Fossalta di Portogruaro, Vado, Lugugnana fino alle foci di Porto Falconera e Canal dei Lovi (19).

Ritornando alla strada in esame, risulta quindi chiaro come essa doveva sicuramente intercettare il corso di questo ramo in un qualche punto situato a nord-est dell’abitato di Cintello, nei pressi quindi del centro antico di Cordovado.

Nel Medioevo, in corrispondenza di questo punto strategico sorse il nucleo primitivo di una struttura castellana, ancor oggi visibile sebbene radicalmente trasformata; si può quindi ipotizzare che tale opera fortificata sia sorta a difesa del passaggio obbligato dell’antico relitto stradale d’epoca romana, ripreso e parzialmente ricalcato in età tarda come importante via di comunicazione medioevale (la "via della mercanzia"), su un corso d’acqua che stava gradualmente perdendo le caratteristiche fisiche di un grande fiume per assumere quelle più modeste dell’attuale roggia Lugugnana.

 

La strada romana detta "delle Pars"

La parte orientale del territorio comunale, situata a cavallo del confine tra la provincia di Pordenone a nord e l'estremo lembo del Veneto orientale ad est, è stata per molti anni oggetto d’accurate ricerche di superficie, sintetizzate alla fine degli anni '80 in una serie di articoli curati dal Gruppo Archeologico del Veneto Orientale in associazione con il dott. Buora dei Civici Musei di Udine (20).

Il territorio, che viene comunemente indicato con il toponimo Pars, risulta particolarmente interessante dal punto di vista della topografia antica in quanto dalla fonte pliniana precedentemente citata si ricava che esso doveva essere "un'isola" racchiusa entro i due rami terminali del fiume Tiliaventum.

Questa vasta area, così ben delimitata dagli elementi naturali, era anticamente attraversata in senso longitudinale da un percorso stradale di notevole importanza, che si sviluppava in direzione sud-nord correndo quasi parallelamente ai due corsi fluviali.

La scoperta di questo tracciato si deve originariamente al nostro concittadino signor Paolo Sguerzi, il quale segnalò per primo la presenza dell’importante evidenza archeologica agli inizi degli anni ’80 e ne curò di lì a poco la sua pubblicazione nella "Mappa Archeolo-gica" (21). Il dott. Buora rivide in seguito le considerazioni in quella sede esposte, arrivando alla conclusione che il tracciato scoperto doveva essere la strada che univa Iulia Concordia con il Norico, di cui gli autori nel passato avevano tanto discusso (22). Tale ipotesi è stata giustamente smentita dal Bosio (23), il quale non ha però compreso la situazione idrografica del territorio se propone per questa via due passaggi del Tiliaventum (il suo percorso segue invece intenzionalmente i due fiumi per guadare un unico ramo) e per la strada da Concordia al Norico un solo attraversamento, quando invece si è dimostrato nelle pagine che precedono come essa doveva per forza superare prima il Tiliaventum Maius, a Cordovado, e poi il Minus.

È anzi probabile che i due percorsi stradali, correndo entrambi per un lungo tratto nel territorio compreso tra i due rami del Tiliaventum, giungessero con percorsi distinti fino al guado di Rosa, per passare il fiume nel medesimo punto e proseguire poi con un’unica sede stradale verso Quadrivium, l’attuale Codroipo.

La parte meridionale del tracciato stradale

La situazione idrografica, più volte citata in questo studio, ha sicuramente svolto un importante ruolo condizionante nella scelta dei territori su cui tessere la rete viaria antica e la strada delle Pars (toponimo al femminile e non, come più volte riportato nella cartografia ufficiale e negli studi editi, al maschile) ha capo proprio in un’area fortemente influenzata dal corso del Tiliaventum Maius.

Come abbiamo già ricordato in apertura di questo studio, Iulia Concordia era direttamente collegata con un percorso stradale alla città di Aquileia ed il preciso sviluppo di quest’asse viario era già noto al mondo scientifico fin dalla fine del secolo scorso (24). Esso, dopo pochi chilometri nel suo prolungarsi verso oriente, doveva giungere infine sulle sponde del ramo maggiore del Tiliaventum, in una località dove il fiume poteva essere facilmente attraversato con un guado.

L’area interessata dal passaggio obbligato porta ancor oggi il nome di Vado, frazione del Comune di Fossalta di Portogruaro; subito dopo aver attraversato il fiume dalla principale si staccava la strada delle Pars, che saliva verso nord con andamento quasi rettilineo. Attraversata la linea ferroviaria Trieste - Venezia nei pressi di un casello isolato, essa raggiungeva ben presto i terreni denominati Paludussi e Tomba, in Comune di Fossalta di Portogruaro; indicativo per la ricerca archeologica è il toponimo Tomba, che contraddistingue ora dei terreni ad uso agricolo presso i quali sono stati scoperti numerosi siti abitativi d’epoca romana (I-III secolo d.C.) ed alcune coeve aree di necropoli. Ciò che risulta dalla ricerca compiuta nell’area è che tutti gli insediamenti scoperti sembrano gravitare non sul vicino asse stradale bensì sulle rive del Tiliaventum maius, indizio questo che fa pensare si sia anticamente privilegiata la via d’acqua piuttosto che quella di terra. Questa situazione, ampiamente attestata anche per la restante parte del corso fluviale fino alla foce, termina proprio con gli insediamenti fossaltesi, forse a causa della cessata navigabilità del corso d’acqua.

Di qui in avanti è infatti la strada a calamitare attorno a se le aree abitative e le zone di necropoli; superato l’abitato di Alvisopoli e la sede autostradale, la glarea strata varca il confine comunale di Teglio in località Portelle.

Grazie alla lettura delle sponde di alcune scoline, da poco scavate proprio in questa località, si sono potute verificare e comprendere le diverse fasi succedutesi nella costruzione dell’antica strada: dalla lettura delle sezioni visibili nei fossati di scolo, che la tagliano perpendicolarmente, essa risulta larga mediamente 6 metri (ma la sua larghezza in alcuni punti arriva fino a 9 metri, ovvero a 30 piedi romani) e conserva ai lati due fossati larghi circa metri 1,20, che corrispondono a 4 piedi romani. Sappiamo che questi ultimi venivano scavati non solo per il deflusso dell'acqua ma anche per ricavare materiale per il sottofondo della sede stradale, che appare infatti fortemente arcuata.

Tale profilo risulta ancora più evidente in sezione, visto che nella larga infossatura tra i due solchi paralleli, scavati nel corso della prima operazione connessa col tracciamento della strada, si riconosce ancora l'andamento e lo spessore dei diversi strati di riempimento: il primo strato di preparazione, la ruderatio, era formato da ghiaia e frammenti di laterizio; ad esso era sovrapposto poi uno strato compatto di ciottoli fluviali, conclusi in alto dal pavimentum, ovvero una gettata di minuto ghiaino, da cui il nome di viae glaera stratae. I numerosi blocchi di trachite e calcare visibili ancora sul posto, e in parte gettati dagli agricoltori nel corso delle operazioni di spietramento nei capofossi vicini, fungevano originariamente da crepidines, ovvero pietre poste parallelamente al bordo della sede stradale con funzione di contenimento della breccia.

 

L’attraversamento del territorio di Teglio

Pur interessando il territorio comunale solo per un breve tratto, il passaggio della strada romana per le Pars riveste una particolare importanza archeologica: qui sono infatti venute alla luce numerose testimonianze d’epoca classica che ci permettono di comprendere meglio l’antropizzazione antica di quest’area, delimitata dagli elementi naturali (i due rami del Tiliaventum) e nettamente separata quindi dai principali sistemi centuriati friulani ad est e di Iulia Concordia ad ovest.

La centuriazione di un territorio prevedeva infatti il tracciamento di due assi principali perpendicolari tra loro, i cardi ed i decumani massimi, che fungevano da base per una successiva divisione in lotti sempre più piccoli di forma quadrata; si veniva così a creare una "griglia" perfettamente funzionale allo sfruttamento agricolo, con dei campi dalle dimensioni tali da essere arati o lavorati nell’arco di una giornata, strade campestri e fossi di scolo orientati non in modo casuale ma tenendo conto delle naturali pendenze del suolo per favorire il deflusso delle acque.

Era possibile che anche l’area delle Pars fosse stata in epoca romana interessata da una simile opera di "riassetto fondiario"?

Favoriti dal fatto che l’intero territorio, ad esclusione di alcuni insediamenti agricoli, si presenta oggi estraneo a fenomeni di urbanizzazione e modificazione ambientale, si è potuto analizzare in modo estensivo l’intera area per una decina di chilometri quadrati, arrivando a delle conclusioni molto interessanti. Ad esempio, si è compreso che la strada romana, procedendo lungo un percorso assai meno regolare di quanto fino ad ora si era creduto (e pubblicato), sale verso il paese di Morsano seguendo perfettamente la morfologia del luogo: dove i fondi assumono chiaramente le caratteristiche di aree depresse, con terreni dal colore scuro che testimoniano la presenza di acqua in superficie, la strada non prosegue diritta ma piega e continua il suo percorso alla sommità dello spalto asciutto.

Dalla località Portelle essa si dirige quindi verso le Bandis, dove piega verso est per scansare un’area altimetricamente più bassa; da qui, in corrispondenza di due capannoni ad uso agricolo, si dirige verso la località Paludo, toponimo dal chiaro significato ambientale, correndo sempre in terreni non interessati dalla presenza umida.

Attraversata la Strada Provinciale Portogruaro - Udine, il tracciato prosegue poi in teerrito-rio friulano verso la periferia occidentale di Morsano al Tagliamento. Da qui il percorso è ancora da definire, anche se possiamo ipotizzare che, nei quattro chilometri che separano l’ultimo affioramento certo con il sito dove anticamente doveva trovarsi il guado di Rosa, esso pieghi di pochi gradi verso ovest seguendo il percorso attuale di alcune strade campestri.

Durante la verifica topografica di questo suo sviluppo verso nord, si è scoperto che dalla strada principale si staccavano numerose stradine più piccole, che si sono potute seguire anche per diversi chilometri; inserite nella cartografia attuale, tali percorsi secondari hanno creato un quadro generale che si avvicina di molto a quanto si riscontra comunemente nelle aree centuriate.

Anche se le ricerche sono lontane dall’essere completamente esaustive, alla luce di quanto scoperto possiamo comunque ipotizzare che in epoca romana l’area delle Pars era caratterizzata da una "centuriazione" propria, indipendente per forma ed orientamento da quelle vicine; l’asse principale di questa suddivisione agraria era probabilmente costituito proprio dalla strada che, con il suo sviluppo da sud a nord, fungeva da cardo massimo. L’altro asse principale, il decumano massimo, potrebbe essere stata una strada, ancora ben visibile sul terreno, che si stacca perpendicolarmente dalla prima nei pressi dei citati capannoni agricoli per dirigersi, con direzione rettilinea, verso la frazione di Malafesta, nel Comune di San Michele al Tagliamento.

Questo "decumano" non prosegue poi specularmente verso occidente perché, così facendo, avrebbe dovuto attraversare la zona delle Bandis, che abbiamo già evidenziato essere priva delle caratteristiche morfologiche idonee all’insediamento umano e allo sfruttamento agricolo.

Presso quest’incrocio si trovano anche i terreni che hanno visto, molto tempo fa, autore di una particolare scoperta archeologica un nostro concittadino: scavando un fossato egli s’imbatté in un’urna cineraria in pietra calcarea, contenente i resti combusti del defunto e gli oggetti di corredo che lo avevano accompagnato durante la sua vita terrena. Non sappiamo cosa ne sia stato dell’urna e del suo contenuto, puntualmente consegnati dall’ignaro agricoltore ai padroni del terreno, ma rimane il ricordo della scoperta nel soprannome che accompagnò da allora i membri di quella famiglia, popolarmente conosciuti come quelli "dela pignata".

Un’altra importante area di necropoli prossima alla strada è testimoniata dal casuale rinvenimento di un monumento funerario mutilo risalente al I secolo d.C., di cui rimane un busto femminile racchiuso entro una nicchia e parte dello specchio epigrafico. Grazie alla lettura dell’iscrizione superstite possiamo attribuire tale monumento ad un Marcus Varienus Dotus della tribu Sabatina, che lo fece fare per se, per il figlio Gaio Iucundo e per la moglie Erbonia intorno alla prima metà del I secolo d. C. (25).

Quest’area destinata a necropoli doveva dipendere da una grande "villa rustica" situata poco distante dal tracciato viario, individuata da tempo dalle ricerche di superficie e meglio identificata nella sua composizione strutturale grazie alle numerose fotografie aeree scattate a bassa quota durante una stagione invernale notevolmente attardata. Dalle immagini si ricava che la villa era circondata da un muro perimetrale che chiudeva un vasto cortile quadrato; il lato est del giro di mura, parallelo alla strada, era completamente occupato dall’abitazione padronale mentre sui restanti tre si aprivano alcuni piccoli vani probabilmente adibiti ai lavori agricoli o residenza dei lavoranti.

Una "villa rustica" del tutto simile a quella descritta era situata, due chilometri più a sud, nei terreni di proprietà dell’Azienda Agricola Reis-Bianchi, anch’essa non direttamente adiacente alla strada ma distante dalla sua sede 150 metri circa; la distanza che separa i siti archeologici dal tracciato viario sembra in quest’area essere una costante anche per gli insediamenti di minori dimensioni, genericamente indicati con il nome di "fattorie", scoperti in numero di 12 e distribuiti, apparentemente senza un criterio logico, in tutto il territorio indagato.

Se valutato numericamente, l’insieme degli insediamenti scoperti in uno spazio così limitato, com’è quello delle Pars, fornisce un dato che supera di gran lunga la percentuale degli insediamenti censiti nelle altre aree analizzate nel portogruarese e si può paragonare solo a quello della località Lugugnana di Portogruaro.

Viae publicae, viae vicinales, viae agrariae e rusticae, insieme a necropoli, "fattorie" e villae rusticae compongono in questo territorio un quadro generale unico e d’estremo interesse archeologico, che già una volta ha rischiato di essere distrutto dal progresso e dalla stupidità dell’uomo; affinché ciò non debba più accadere, è auspicabile che lo sviluppo dell’area verde "dei Prati", nata dall’encomiabile volontà di un’associazione di cittadini del luogo, possa in un recente futuro inglobare e salvaguardare anche un tratto della strada romana, a perenne ricordo delle nostre origini e della nostra storia, gelosamente custodita dalle zolle argillose delle Pars: meminisse iuvabit! (26)

 


NOTE AL TESTO

1. Per una più ampia visione delle strade citate si veda: L. BOSIO, Le strade romane della Venetia e dell’Histria, Padova, 1991, pp. 31-40, 43-57, 69-81.

2. L. BERTACCHI, Il ponte romano di Concordia, in "Aquileia Nostra", anno LVIII, 1987, coll.189-220.

3. Non appare credibile l’esistenza di una "bretella" stradale che passava 500 metri a nord della cinta muraria, come proposto da E. GHISLANZONI, Concordia. Ritrovamenti sul terreno, in "Notizie degli Scavi di Antichità", Roma, 1931, p. 142.

4. P. STICOTTI, Le vie romane della regione Giulia, in Atti del XIII Congresso Geografico Italiano, II, Udine 1938, p 308; L. QUARINA, Le vie romane del Friuli, in "Bollettino dell’Istituto storico e di cultura dell’Arma del Genio", fasc. 16, 1942, ristampa Udine, 1970, p. 18; P. SOMEDA DE MARCO, G. Domenico Bertoli e la sua terra natale, Pordenone, 1948, pp. 6-18; A. GRILLI, Le strade augustee nel Friuli, in "Centro Studi e Documentazioni sull’Italia Romana", VII, pp. 315 e ss.; L. BOSIO, Le strade romane…, cit., pp. 185-191.

5. Si veda il puntuale resoconto del percorso in: Dal Livenza al Tagliamento, in "Archivio Veneto", n.s. XXVI, 1883, pp. 231-237.

6. L. BOSIO, Le strade romane…, cit., p. 186.

7. Venezia - Musile di Piave: ponte romano lungo l’Annia, in "Quaderni d’Archeologia del Veneto", VI, 1990, pp.165-188; per il ponte di Marteggia, ancora inedito, si vedano i dati di scavo compilati dallo scrivente e custoditi presso l’Archivio del Museo Naz. Concordiese di Portogruaro.

8. Mappa Archeologica. Gli insediamenti d’epoca romana nell’agro concordiese, Portogruaro, 1985, p. 76, scheda n. 20.

9. Mappa Archeologica, cit., p. 74.

10. La sede stradale attraversa tale località nel cortile di una casa e pertanto la sua traccia è andata completamente perduta.

11. Mappa Archeologica, cit., p. 61, sito n. 12 e n. 13.

12. A. ZAMBALDI, Monumenti storici di Concordia, serie dei Vescovi concordiesi ed Annali della città di Portogruaro, ristampa anastatica a cura della Società di Storia, Portogruaro, 1981, p, 54.

13. Vedi nota n. 11.

14. D. BERTOLINI, Portogruaro, in "Notizie degli Scavi di Antichità", Roma, 1904, p. 293 e ss..

15. Vedi nota n. 4.

16. Mappa Archeologica, cit., p. 58.

17. Devo la notizia all’amico Eugenio Marin, che mi ha accompagnato nelle ricerche di superficie e fornito numerose testimonianze storiche su Cintello.

18. PLINIO, Naturalis Historia, III, 126.

19. G. ROSADA, I fiumi e i porti nella Venetia orientale., in "Aquileia Nostra", anno L, 1979, coll. 226- 228.

20. Un compendio di queste ricerche si trova in M. BUORA, Gr.A.V.O., Il territorio di Morsano al Tagliamento in epoca romana, in Morsan al Tiliment, Udine, 1988, pp. 37-48.

21. Mappa Archeologica, cit., pp. 48-50.

22. M. BUORA, Individuato un tratto della via da Concordia al Norico?, in "Aquileia Nostra", anno LVIII, 1987, coll.277-282.

23. L. BOSIO, Le strade romane…, cit., p. 190, nota n. 1.

24. Vedi nota n. 5.

25. M. BUORA, Vecchie e nuove scoperte di età romana e altomedievale nel Sanvitese, in "Antichità Alto adriatiche", 16, 1980, pp. 45-68.

26. Virgilio, Eneide, I, 203.