FANTASCIENZA ON LINE

  peter patti

La Città dell'Alfabeto   (Web version)


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Mi svegliai con una fitta alla spalla sinistra. Era l’alba dopo un nuovo massacro e io giacevo sotto un marciapiede, immerso per metà nel rivolo della cloaca. Gli occhi pesti e doloranti, mi tirai su a sedere. Cadaveri dappertutto, eppure già i primi nugoli di operai si avviavano alle fabbriche. Niente può né deve arrestare i processi di produzione.

Avevo voglia di risprofondare nel sonno, ma le mie ossa erano gelate. Inoltre non potevo permettermi di languire: non c’è alcun perdono per chi si rassegna. Mi strofinai gli occhi. In qualche maniera avrei superato sano e salvo anche quel giorno. Mossi i primi passi e sentii il sangue riprendere a circolare. Avvertivo una curiosa sensazione di leggerezza; ero, sì, esilarato, quasi. Rieccomi... «Buongiorno a me stesso!» mi dissi. Probabilmente era mio destino continuare a sopravvivere.

Avanzai nella caligine (fumo? nebbia?) che sembrava svilupparsi direttamente dalla canalizzazione. Ancora, provai pietà per l’interminabile processione di desperados in fuga verso il mare. All’inizio le forze governative avevano tentato di arginare il triste esodo, ma il numero dei fuggitivi era cresciuto in modo tale che oramai nessuno poteva più far fronte al fenomeno. Sulla costa, si vociferava, non c’era la salvezza. Lì anzi sarebbe perfino peggio che da noi: pieno di individui male in arnese, molti dei quali sbarcati da altri continenti, da terre in cui la situazione era perfino più disastrosa. Eppoi sulla costa, si diceva, si ergeva l’Impastatrice, un enorme macchinario che sfornava il Rusky (nostro cibo principale). «E da dove credete», si diceva, «da dove credete che provenga la materia prima per quello schifo che ci si attacca ai denti e non vuole farsi inghiottire, eh?»

È il mio incubo personale, questo. Benvenuti e... buona sorte!

 
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