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Lo scopo della presente pagina è quello di arrivare in conclusione alla distinzione tra il concetto di attante e quello di attore affondando le radici nelle affermazioni proppiane sulla morfologia delle fiabe di magia proposte nella pagina precedente.

Come al solito il punto di partenza della semiotica è quello della linguistica. Cosa hanno in comune lingua e racconto? La risposta, che ormai dovrebbe essere scontata, sta tutta nelle relazioni tra le loro componenti.

Si deve allora capire come sia strutturato un enunciato linguistico. Di modelli sintattici della lingua ne esistono a bizzeffe, si va dalla tradizionale "analisi logica" a quelli più avanzati che hanno trovato riscontro nello studio dell'intelligenza artificiale: se la caratteristica degli esseri umani è quella di poter parlare, è naturale che il fronte più ampio sugli studi delle emulazioni del cervello umano sia quello riguardante la capacità di comprendere e produrre enunciati linguistici corretti. L'implementazione di una lingua su un microprocessore presuppone la costruzione di un modello rigoroso (matematico) per definire in maniera puntuale la sua struttura. Ma cosa significa esattamente essere in grado di parlare? Quali problemi comporta?

Innanzi tutto è necessario poter manipolare una certa quantità di parole, cioè disporre di un lessico. E fin qui, niente di nuovo. Va da sé che è comunque necessario anche strutturare questo lessico con delle relazioni (sinonimi, contrari...). Secondo problema: porre questo lessico nell'esatto ordine. E qui sta la sintassi. Dire che il gatto mangia il topo o che il topo mangia il gatto è ben diverso, anche se le parole usate sono le stesse. Infine vi sono problemi legati alla semantica vera e propria, che prescindono dal lessico e dalla sintassi. Frasi come il mio computer guida la macchina, il tavolo parla tedesco, mio fratello è figlio unico sono corrette dal punto di vista sintagmatico e lessicale, ma non hanno alcun senso (se non in particolari contesti).

Nei suoi studi semiotici Greimas si avvale di un modello linguistico fornito da un certo Tesnière, il quale rende conto simultaneamente sia della semantica che della sintassi. E' da intendersi come una sorta di analisi logica alternativa, nel senso che è più funzionale e che non tiene conto, ad esempio, della forma attiva o passiva di una frase, ma bada esclusivamente alla sua struttura.

Il cuore di ogni enunciato linguistico è il verbo, senza il quale non esistono le proposizioni. Ogni verbo prevede, in più, la presenza di uno, nessuno, o più attanti. In concreto: il verbo piovere, essendo impersonale, prevede la presenza di zero attanti. Il verbo camminare, intransitivo, prevede la presenza di un attante soggetto. Produrre, invece, presuppone un produttore e un prodotto, un soggetto ed un oggetto, qualcuno che produce qualcosa, quindi due attanti. Infine, il verbo dare, implica che un soggetto possa dare qualcosa a qualcuno, quindi sono tirati in ballo tre attanti (colui che dà, colui che riceve, e l'oggetto dato/ricevuto). Come si vede ,ogni enunciato è scomposto innanzi tutto in base al verbo e ad una serie di attanti che gli girano intorno. L'attante sta a un livello più profondo del senso, infatti può poi venire alla luce, può manifestarsi, in svariati modi: se si dice ad esempio,  noi diamo un calcio alla TV, significa che grammaticalmente noi è plurale, ma logicamente il soggetto è sempre uno ed uno solo. Altri esempi potrebbero essere i soggetti sottintesi, che, come è facile intuire, non vengono esplicitati nell'enunciato (fino ad un certo punto... la desinenza del verbo come la scegliamo?) in ogni caso sono comunque presenti a livello profondo del senso. Esattamente la stessa cosa che diceva  Propp quando distingueva le sfere d'azione dai personaggi! Il termine attante è quindi da considerarsi come sinonimo a quello di sfera d'azione, parallelamente gli attori corrispondono ai personaggi.

Torniamo alla questione principale: dare una definizione semiotica di racconto. In una narrazione, accadono sempre delle cose, vi è una successione di eventi. Questi prendono il nome di enunciati narrativi e hanno la stessa struttura degli enunciati linguistici: il loro cuore è composto da un'azione, e prevedono la presenza di attanti narrativi. Riducendo gli innumerevoli tipi di enunciati narrativi, quelli più importanti sono di due tipi:

ENUNCIATI DI PRODUZIONE: prevedono la presenza di due attanti, il Soggetto e l'oggetto. Produzione nel senso di influenza su un oggetto del mondo.

ENUNCIATI DI SCAMBIO: prevedono tre attanti chiamati Destinante, Oggetto e Destinatario. Destinante è colui che effettua lo scambio, l'oggetto è la cosa scambiata, il destinatario è colui che riceve.

Questi due tipi di enunciato li troviamo in qualsiasi racconto e in qualsiasi sostanza dell'espressione e possono essere combinati in infiniti sintagmi, ma non sono sufficienti affinché vi sia un racconto. In qualsiasi narrazione, infatti, deve sempre avvenire una trasformazione (sulla quale si dirà in seguito) intesa come una differenza di senso.

Queste conclusioni, come sempre, finiscono per sconfinare in altri ambiti di riflessione: il racconto non è altro che un riflesso del modo proprio degli esseri umani sul modo in cui essi danno senso al mondo. Si pensi al comportamento dei bambini. Molto spesso influiscono sugli oggetti in maniera del tutto naturale attraverso enunciati di produzione: un soggetto "produce" (influisce, interviene su) un oggetto, che alla fine verrà trasformato. Quindi distruggono le cose o le cambiano a modo loro (ad esempio con le costruzioni o il meccano). Oppure prendono qualcosa e le vanno a portare a qualcun altro senza alcun motivo apparente.


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