traduzioni: dal simpsoniano al munchese precedente
forma - materia - sostanza successivo

Ecco qui presenti alcune applicazioni pratiche del modello hjelmsleviano che divide i piani dell'espressione e del contenuto nelle categorie di forma e sostanza (più le rispettive materie). Quanto segue può considerarsi come la soluzione di un esercizio svolto che presenti il problema di individuare gli elementi in comune (sia del piano dell'espressione che del piano del contenuto) di due testi.

traduzione: da van gogh ai simpsonLa figura a sinistra presenta due "quadri": come definire il primo dei due? Più precisamente, che relazioni intrattengono reciprocamente? Come esplicitare puntualmente cosa li differenzia? Li si potrebbe catalogare come l'uno la copia dell'altro. L'originale è uno dei tanti autoritratti di Van Gogh, l'altro è una sorta di corrispondente simpsoniano. Ma giochiamo per un attimo con la fantasia: si potrebbe azzardare che sia opera diretta di Homer, il quale, un giorno (immaginiamo), scopre in se stesso insospettabili doti di artista, e, riesumata dalla soffitta tela, cavalletto, pennelli (di Marge, forse?), si dà da fare davanti ad uno specchio attratto dalle opere dell'incompreso genio olandese, cercando (e riuscendo nell'intento), di imitarne lo stile, esplicitando quindi il suo stato d'animo angosciato in un autoritratto. No, non si sta prendendo in giro il lettore. Si sta cercando di far emergere il concetto che ogni lingua è un meccanismo che produce se stessa, viaggia cioè in maniera del tutto autonoma dal mondo, ed è uno strumento davvero potente!

Ragionando strutturalmente, alla hjelmslev, si può affermare che i due quadri sono l'uno la traduzione dell'altro. Una traduzione implica due linguaggi: sorgente e  destinazione, partenza e arrivo. Allo stesso tempo, un linguaggio è definito dalla semiotica come la messa in presupposizione reciproca tra una forma dell'espressione e una forma del contenuto. In questo caso, il contenuto è rimasto invariato, ciò che è diverso sono le forme dell'espressione. Per afferrare la forza della tesi proposta bisogna selezionare il giusto livello di pertinenza e ragionare fondamentalmente per analogia, operando un parallelismo tra "codice linguistico" e "codice visivo" (iconico). 

Senza dubbio i due segni (quadri) sono delle immagini, per percepirle, cioé, ci avvaliamo del senso visivo. Ciò significa che hanno in comune la stessa materia dell'espressione, elemento al di fuori della lingua ma che viene da questa conosciuto e fatto proprio. Esattamente nella misura in cui con la nostra bocca, polmoni e  corde vocali possiamo riprodurre i suoni di tutte le lingue del mondo e con le nostre orecchie possiamo ascoltarli (materia dell'espressione), i nostri occhi possono vedere tutte le immagini del mondo. Questa materia viene però in qualche modo conosciuta dalla lingua, tant'è che noi parliamo in un certo modo che per noi ha senso. Lingue diverse, com'è intuitivo, conoscono questa materia in maniera diversa: ogni lingua ha quindi i suoi suoni.  Analogamente Van Gogh vede il mondo in maniera completamente diversa da Matt Groening (il creatore dei Simpson), e queste percezioni del mondo vengono prepotentemente alla luce nelle loro opere. In che modo? Con quali criteri?  I tratti, gli elementi formali, possono essere ricostruiti soltanto in astratto attraverso una comparazione (trovando paradigmi), e sono astratti proprio nel senso che non stanno fisicamente da nessuna parte. Quali potrebbero essere i tratti pertinenti di un quadro di Van Gogh, quali sono gli elementi ci fanno riconoscere con un semplice colpo d'occhio le sue opere? I primi due che vengono in mente sono la pennellata e i colori. Qualcuno obietterà che si sta dicendo un'ovvietà. I parametri citati, agli occhi di un critico o uno storico dell'arte risulteranno senz'altro traduzione: da munch ai simpson riduttivi, ma non è questa la sede per emettere giudizi estetici e improvvisarsi Vittorio Sgarbi. Usando la stessa pennellata e lo stesso modo di accostare i colori qualcuno si è preso la briga di disegnare Homer Simpson che,  a sua volta, costituisce un segno di un ulteriore linguaggio che si avvale pur sempre del senso della vista, ma di una diversa sostanza dell'espressione (cartone animato). Passando la figura Homer dal suo linguaggio proprio, con i suoi tratti pertinenti dell'espressione, dal simpsoniano al vangogghese si ottiene proprio quel risultato lì: l'HomerVanGogh, l'Homer trasformato da Vincent, l'Homer stile Van Gogh. Il contenuto è rimasto invariato per lo meno a livello denotativo.. (è innegabile che il testo intero connoti una certa ilarità e presuppone la conoscenza del vangogghese), l'angoscia nello sguardo è sempre la stessa. In realtà le cose sono un po' più complesse perché è cruciale la conoscenza dei tratti significativi (pertinenti) che, ovviamente sono molti di più di quelli citati.

traduzione: da michalangelo ai simpsonEcco un ulteriore esempio: stavolta però non si tratta di una traduzione dal simpsoniano, bensì verso il simpsoniano. L'immagine è la famosissima "genesi" della cappella Sistina di Roma (è possibile cliccarvi per visualizzare un ingrandimento su una nuova finestra per meglio cogliere tutti i particolari). Come si vede, stavolta, le caratteristiche del piano dell'espressione rimangono quelle simpsoniane, per cui Bart si presenta proprio come siamo abituati a vederlo. Il resto delle "persone" presenti appare comunque alla maniera del cartone animato, innanzi tutto nel colore, poi nelle forme: tipici gli occhi sporgenti, peculiare il modo di raffigurare le labbra. Il discorso a questo punto può essere tranquillamente allargato: i riferimenti a persone reali nel cartone dei Simpson sono molto frequenti. Qualcuno avrà visto senz'altro puntate con gruppi musicali (aerosmith, smashing pumpkins), o vari VIP made in USA (don king, tyson, dustin hoffman). Dal punto di vista semiotico, quindi, queste non sono altro che traduzioni dal mondo reale al simpsoniano (e in un episodio è apparso persino l'Homer in tre dimensioni fotomontato su immagini cinematografiche classiche). Riflettendoci: quello che noi percepiamo è già una traduzione del reale. Esiste il mondo, e nel momento stesso in cui questo entra in relazione con i nostri sensi, diventa un sistema, una forma dell'espressione. Organizzeremmo ciò che vediamo secondo il sistema sensoriale proprio degli esseri umani anche se non ci fosse nessun oggetto da vedere nella realtà. E' un po' quello che si afferma nel film Matrix... cos'è "reale"? Una serie di stimoli e connessioni elettriche a livello neuronale nel nostro cervello. Tutto ciò può sembrare molto più azzardato di quanto in realtà non sia.. in fondo, è come dire che l'italiano, il francese, l'inglese, siano tante traduzioni del mondo. Possibile forse riuscire a confutarlo?


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