Il rispetto della legge morale produce nell’uomo un duplice sentimento, ovvero uno stato di piacere e dispiacere contemporaneamente. Il dispiacere consiste nel fatto che l’uomo si rende conto della propria fragilità, della sua necessità fenomenica, cioè di esse un semplice meccanismo tra i meccanismi, essere la parte di un tutto, in questo senso l’uomo perde il suo amor proprio, viene mortificato il suo lato sensibile, perché non può abbandonarsi agli istinti. Il piacere, invece, consiste nel fatto che l’uomo è libero e può scegliere di elevarsi dalla bruta animalità e quindi agire disinteressatamente per il bene comune. In questa legge morale, affinché sia realizzabile, occorre ammettere tre postulati detti: postulati della ragion pratica, sono condizioni che si ammettono come vere in modo ipotetico:
1) Libertà   autonomia   autodeterminazione
2) Immortalità dell’anima
3) Esistenza di Dio.
Non è obbligatorio crederci. Le ultime due condizioni, Kant le aveva espulse nella “Critica della ragion pura”, ma le riprende in ambito pratico. Kant intende la libertà come autonomia: capacità di dare leggi naturali a se stessi, di autodeterminarsi, quindi di decidere razionalmente il proprio destino. La libertà è necessaria, perché, se io devo, in qualche modo è perché posso, non sono il balia di qualche essere trascendentale che mi guida. La bontà dell’azione sta nel fatto che posso scegliere anche quella opposta. La libertà è la ratio essendi  della ragione morale, cioè, agendo normalmente, l’uomo diventa libero, ma è anche vero che l’uomo agisce normalmente perché è libero; quindi è un rapporto biunivoco, di simbiosi. Kant dice anche che la legge morale è la ratio cognoscendi della libertà. L’immortalità dell’anima e l’esistenza di Dio servono per realizzare il fine che Kant chiama SOMMO BENE, perché questo contiene due elementi al suo interno che sono la virtù e la felicità. La virtù è intesa come merito di essere felici; noi siamo buoni e meritiamo la felicità, ma non è detto che lo sia veramente: non è completo perché ha bisogno anche della felicità. Questa è la soddisfazione dei propri bisogni, sempre in connessione con la legge morale.
Per realizzare la virtù c’è bisogno dell’immortalità dell’anima, e per la felicità dell’esistenza di Dio. La connessione tra virtù e immortalità è data dal fatto che, dovendo l’uomo diventare sempre migliore per tendere alla felicità, ha bisogno di pensarsi come essere infinitamente perfettibile; cioè che in un tempo e spazio non definiti si continui il processo di perfezionamento. Se così non fosse non servirebbe a niente agire bene perché non ne si avrebbe la motivazione. Questa è un’ipotesi che dà la forza di agire bene; l’altruismo può essere visto come una forma di egoismo mascherato, perché lo si fa anche per un bene personale. L’uomo è caratterizzato da un’insocievole socievolezza, in quanto, quando ha soddisfato il bene comune, si occupa del proprio. L’esistenza di Dio mi serve perché un Dio è garante della giusta distribuzione della felicità, quindi la moralità è una condizione necessaria ma non sufficiente (perché ha bisogno della religione). La morale conduce alla religione.
Il concetto di moralità diviene molto importante dal punto di vista politico: Per Kant è importante mettersi sia dal punto di vista dei legislatori che dei sudditi. Kant condivide il presupposto jus naturalistico per cui lo Stato è il frutto di un accordo stipulato tra i suoi membri. Lo stato di natura è immorale, perché gli uomini perseguono i propri bisogni personali, quindi avviene la creazione del patto. Per uscire dallo stato di natura occorre il diritto: limitazione della libertà individuale alla condizione che questa si accordi con la libertà degli altri: la legge morale e quella giuridica devono funzionare allo stesso modo, quindi Kant ipotizza una costituzione repubblicana di Stato basato sulla divisione dei poteri e sui tre principi fondamentali della ragione: libertà, uguaglianza davanti alla legge, indipendenza dell’individuo, che nello Stato diventa partecipazione al potere politico mediante meccanismi di rappresentanza.
Kant non è un democratico giacobino, anche se è d’accordo con gli ideali della rivoluzione, ma non ama nemmeno il dispotismo illuminato tipico del 700 (Maria Teresa d’Austria), poiché tutto dipende dalla bontà o meno del sovrano, ma può anche capitare un sovrano non buono. Se il sovrano non rispetta il diritto dell’individuo, il popolo può fare resistenza con la penna, ovvero, con l’opinione pubblica che faccia sentire il suo dissenso. Dov’è la moralità dello Stato? Il politico deve essere anche morale, ovvero la legge va fatta tenendo conto dell’interesse universale, e il politico deve rinunciare a interessi egoistici. Egli deve agire mirando alla pace, intesa come dovere universale. Kant nell’opera per la pace perpetua, parla della pace tra gli stati: se il politico non agisce mirando alla pace, l’unica pace ottenibile sarà quella eterna.