GUGLIELMO DI OCKHAM
Guglielmo di Ockham rappresenta l’ultima grande figura della scolastica e al tempo stesso idealmente la prima dell’età moderna: per lui è impossibile e privo di significato il problema fondamentale scolastico, cioè l’unione tra Ragione e Fede; con Ockham termina la scolastica, e così la filosofia può dedicarsi ad altri problemi come la Natura etc.
Nel 1324 fu citato davanti alla corte papale di Avignone per rispondere di alcune sue tesi sospette: 51 articoli della sua filosofia sono condannati due anni dopo; nel 1328 fugge da Avignone con altri francescani a causa della tesi eretica della povertà di Cristo e degli apostoli, da cui doveva derivare la povertà e la semplicità della Chiesa. Si rifugia presso Ludovico il Bavaro che era in rotta con il papa. Ockham difende l’imperatore contro la pretesa della supremazia politica del papato. Scrive l’opera “Dialogo tra maestro e discepolo” e “Sul potere degli imperatori e dei pontefici”.
Il perno della filosofia di Ockham è un radicale empirismo: tutto ciò che oltrepassa i limiti dell’esperienza non può essere conosciuto né dimostrato dall’uomo: ciò implica che la verità teologiche che stanno oltre l’esperienza sfuggano alla ricerca filosofica razionale, perciò l’interesse filosofico ritornerà alla Natura.
Ockham riprende da Duns Scoto la distinzione tra conoscenza intuitiva e astrattiva. La conoscenza prima ci fa conoscere direttamente la cosa nella sua evidenza e dà all’intelletto la possibilità di giudicare la realtà o meno dell’oggetto. La conoscenza si divide in intuitiva perfetta (che coglie la sensazione nella sua immediatezza) e intuitiva imperfetta (legata al ricordo della cosa). Il secondo tipo di conoscenza (astrattiva) deriva dalla conoscenza intutiva ed è conoscenza dell’universale. La conoscenza astrattiva prescinde dalla conoscenza reale dell’oggetto. Il radicale empirismo conduce Ockham a dimostrare l’indimostrabilità della teologia e la radicale eterogeneità tra scienza e fede, allora la predicazione religiosa e i miracoli possono produrre la fede, ma non la conoscenza evidente e razionale della Verità.
Le Verità di Fede:
1) Non sono evidenti come principi di una dimostrazione
2) Non sono dimostrabili come le conclusioni di una dimostrazione
3) Non sono neppure probabili, perché possono apparire false a chi segue la ragione naturale.
Ne deriva che la filosofia non è una scienza. Le prove dell’esistenza di Dio non hanno alcuna validità dimostrativa perché l’esistenza di qualcosa viene rivelata solo dall’esperienza: la proposizione Dio esiste, per Ockham non è evidente.
Ockham rifiuta sia la prova ontologica sia quella cosmologica; non è detto che tutto ciò che si muove sia mosso da altro: per esempio gli angeli, l’anima e le cose che cadono non sono mosse da altro. Queste prove hanno uno scopo persuasivo, non dimostrativo, servono come postulati della religione; Ockham arriva a dire che non si può dimostrare l’unicità di Dio.
Ockham critica la metafisica tradizionale in nome dell’empirismo e lo fa in base al cosiddetto “Principio di economia” o “Rasoio di Ockham”, perché richiamano l’idea del taglio che Ockham ha effettuato nei confronti degli elementi della metafisica tradizionale che considera inutili. Secondo questo principio è inutile e dannoso moltiplicare gli enti attraverso concetti come gli universali o le idee, tesi critica nei confronti dell’idea platonica ma concordante con quella aristotelica di cui Ockham riprende il ragionamento semplificandolo nel porre pochi universali ma fondamentali.
Tra le nozioni metafisiche eliminate ci sono:
1) Il concetto di sostanza: (per Aristotele = forma + materia). Ockham sostiene che di un oggetto possiamo al massimo conoscere le sue qualità, apprese dall’aspetto sensibile: non conosceremo mai la vera essenza, perché la sostanza è una cosa comune a quella reale e quella pensata. Es. Se vedo un frutto, e lo tocco, lo assaggio e ne tasto tutte le qualità mi formo l’unica cosa che conta: cioè il concetto di quel frutto; la sostanza è una complicazione, perché una volta conosciute tutte queste cose non mi serve altro.
2) Il concetto di causa: Dalla conoscenza di un effetto non si può risalire alla conoscenza della causa e viceversa: ci sono troppe conseguenze possibili per una causa e troppe cause possibili per un effetto; causa ed effetto sono due cose eterogenee, distinte, separate, ma l’uomo tende ad associarle.
3) Il concetto di anima: è la forma incorruttibile ed immateriale del corpo, ma se noi conosciamo solo ciò che è oggetto di esperienza, come potremmo dire qualcosa riguardo all’anima? La critica della metafisica avviene anche tramite il volontarismo teologico, cioè che Dio abbia creato l’Universo a suo piacimento, senza seguire alcuna regola logica precisa come il principio di causa - effetto.
Il mondo è frutto di una volontà sovra - razionale e misteriosa di Dio, quindi avrebbe potuto essere diverso da com’è. Il filosofo deve limitarsi a prendere atto del mondo senza volerne spiegare le ragioni metafisiche: deve limitarsi a descrivere le cose come le vede in Natura: il filosofo diventa essenzialmente uno scienziato.