INCHIESTA: QUANTO SPENDE L'EUROPA IN AIUTI ALLO SVILUPPO?
NAVA: Come vi assicurate che questo denaro non venga deviato e -soprattutto nei Paesi più poveri- finisca ad alimentare i rigagnoli dell corruzione?

RICHELLE: Innanzitutto non inviamo soldi in un'unica soluzione a un Paese in via di sviluppo. Ci accertiamo che quando identifichiamo dei progetti, venga lanciata una normale gara d'appalto, aperta alle imprese private. Scegliamo le migliori e le più economiche, pagandole in tranches. Quando una parte del lavoro è stata fatta, la paghiamo. Così esercitiamo il nostro controllo.

Ci spieghi meglio il nuovo approccio, che lega gli aiuti allo sviluppo al cambio climatico...

Non c'è una definizione univoca di cambio climatico. Né possiamo passare il nostro tempo a trovarne una perfetta. Ci sono molti aspetti connessi tra di loro: mancanza d'acqua o alluvioni, desertificazione o mancanza di fonti di energia. Dobbiamo affrontare tutti questi problemi. Ma stiamo già lavorando da tempo al riguardo. Abbiamo progetti diversi, in energie rinnovabili, energia eolica, solare, progetti per l'acqua, lotta alla deforestazione. Spendiamo circa 200 milioni di euro in questi settori, destinati a salire.

Parliamo della Palestina, in particolare di Gaza. Come intendete proseguire? Come aiutare la gente senza alimentare i finanziamenti ad Hamas?

Dobbiamo agire giorno per giorno. Le nostre politiche sono chiare: abbiamo un punto di vista chiarao, condiviso dal Quartetto. Questo per la parte politica, che dice: non si possono riaprire i rubinetti degli aiuti se non c'è un vero governo democratico. Dall'altra parte non vogliamo neppure abbandonare la popolazione. Abbiamo quindi cambiato la nostra modalità di lavoro: da una cooperazione diretta col Governo, a un sostegno più diretto della popolazione. Nei Territori Palestinesi da circa un anno abbiamo aiutato la gente, fornendo i salari ai lavoratori nei settori dell'educazione e della sanità. Questo per garantire la coninuità dei servizi essenziali. Abbiamo cambiato la nostra modalità di aiuto, per aiutare la popolazione.

La Cina pone un problema. Ultimamente il gigante asiatico investe molto in Africa, ma soprattutto per sfruttarne le risorse. Come impedire questo, in un'ottica di collaborazione?

La Cina, come qualsiasi altro Paese, ha il legittimo diritto di essere presente in Africa. Abbiamo però un approccio diverso. Molti Paesi europei hanno infatti ancora un senso di colpa e responsabilità post-coloniale. La Cina è più orientata verso le risorse: ha degli interessi e vuole collaborare con Paesi dove riscontra un interesse mutuo proprio sulla base delle risorse. Non possiamo opporci, ma possiamo però convincere i cinesi che -nel lungo periodo- occorrerà prendere misure per rendere sostenibile l'utilizzo di queste risorse. Di questo parliamo con Pechino, pur con un approccio diverso: sarebbe comunque un errore concludere che la Cina non può essere attiva in Africa. Sarebbe fuori dalla realtà.

                                                
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Dai palazzi di Bruxelles ai Ministeri dei Paesi membri dell'Unione Europea: la nostra indagine vaglia ora quanto i Governi del Vecchio Continente sborsano -di tasca propria- per gli aiuti allo sviluppo.

Svezia, Lussemburgo e Olanda: sono questi i tre Paesi dell'Unione Europea che investono di più -percentualmente- in aiuti allo sviluppo, secondo fonti concordanti della Commissione e dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, l'Ocse. Nel 2006, la Svezia ha investito in aiuti quasi quattro miliardi di dollari, l'1,03% del reddito nazionale lordo, con un balzo del 15% rispetto all'anno precedente. Seguono il Lussemburgo, con i suoi 291 milioni, e l'Olanda - oltre cinque miliardi: entrambi destinano agli aiuti allo sviluppo più dello 0,8% del Pil nazionale.
Proprio Svezia, Lussemburgo e Olanda, con Danimarca e Norvegia, rappresentano i soli cinque Paesi Ocse ad aver superato lo scorso anno l'obiettivo fissato nel 1970 dall'Onu, che stabilì nello 0,7% la quota del Pil nazionale da destinare all'assistenza dei Paesi più bisognosi.
In termini assoluti, il maggior contribuente europeo per "assegno staccato" è la Gran Bretagna, che con i suoi 12 miliardi 600 milioni di dollari annui versa alle nazioni in via di sviluppo lo 0,52% del proprio Pil. Segue la Francia, con quasi 10 miliardi e mezzo, e la Germania, poco più di dieci miliardi. Tutti i big europei sono al di sotto dei target dell'Onu.
L'Italia occupa gli ultimi posti in tutte le classifiche. Nel ranking europeo dell'Ocse è penultima per la percentuale degli aiuti sul Pil: un misero 0,20% nel 2006, meno di un terzo rispetto agli obiettivi internazionali. Ma a colpire è la drastica riduzione nella quota di aiuti erogata lo scorso anno, rispetto al 2005: ben meno 30%.
Nel 2006 l'Italia ha destinato agli aiuti allo sviluppo 3 miliardi 672 milioni di dollari, collocandosi al settimo posto in Europa. Quasi due miliardi meno dell'Olanda, il cui Pil non è certo paragonabile al nostro. A peggiorare le cose c'è la percentuale rappresentata dalla cancellazione del debito, che l'Italia -come molti altri Paesi- conteggia all'interno degli aiuti allo sviluppo: un miliardo 600mila dollari, oltre il 40% sul totale degli aiuti dichiarati. Se scorporassimo questa cifra, la riduzione degli aiuti italiani nel 2006 salirebbe al 41%, rispetto al 2005.
Autorevoli fonti della Commissione Europea sostengono infine che il nostro Paese sia l'unico rimasto -tra quelli industrializzati- a concedere prestiti a quelli in via di sviluppo, alimentando in tal modo il perverso meccanismo di debito e condono del debito.
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