INCHIESTA: LE POLITICHE DI IMMIGRAZIONE NELL'UE
TERZA PUNTATA

Terza puntata del viaggio di Sergio Nava nelle politiche di immigrazione in Europa. Oggi vi portiamo il caso della Germania. Quali le mosse operate in questi anni dalla Grosse Koalition tra cristiano-democratici e socialdemocratici? Lo abbiamo chiesto a Mechtild Baumann, direttrice dell'Istituto per gli Studi sulle Migrazioni e la Sicurezza di Berlino.

BAUMANN: "Le modifiche più importanti nelle politiche sull'immigrazione erano state introdotte già con la coalizione verde-socialdemocratica: la cancelliera Angela Merkel ha spostato un po' il focus, ponendo l'accento da un lato sui temi legati alla sicurezza, dall'altro su quelli legati all'integrazione".

Quali le misure più significative intodotte negli ultimi anni?

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Nel settore dell'immigrazione illegale la battaglia è finita. Con l'ingresso degli ultimi Paesi nello spazio di Schengen la Germania non ha più alcun confine esterno all'Europa. Il problema dell'immigrazione illegale si è quindi risolto da solo. Basta guardare ai numeri: in Germania nell'intero anno 2007 si sono presentati ai confini solamente cinquemila clandestini. Per questo Berlino si concentra ora sulla cooperazione con gli altri Paesi europei, per esempio attraverso l'agenzia comunitaria Frontex. Il focus politico si è quindi spostato sull'aspetto dell'integrazione: la Germania non si è mai vista come terra di immigrazione, solo da qualche anno è sopraggiunta una vera consapevolezza pubblica. Negli ultimi due o tre anni sono state quindi prese misure importanti: sono stati organizzati un vertice sull'integrazione, una conferenza interreligiosa sull'Islam, e sono state anche introdotte misure più concrete, quali la formazione dei figli degli immigrati, in passato molto svantaggiati all'interno del sistema educativo tedesco. Un problema a cui si cerca di porre rimedio ora".

Funzionano queste misure?

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Non lo si può ancora dire, sono troppo nuove, risalgono al 2006. Il Governo stesso ha deciso un mese fa di avviare un monitoraggio sui processi di integrazione".

QUARTA PUNTATA

Quarta puntata del nostro viaggio sulle politiche migratore nei singoli Stati europei. Oggi ci spostiamo ancora più a nord. Il servizio.

Esiste un modello nordico nell'approccio all'immigrazione? O esistono più modelli? L'Olanda, dopo gli omicidi di Pim Fortuyn, Theo Van Gogh e il caso della deputata somala espulsa dal Paese, Ayaan Hirsi Ali, ha subito forti mutamenti. La sua immagine di Paese modello dell'integrazione si è progressivamente trasformata, virando verso la xenofobia.  Kees Groenendijk è presidente del Centro per il Diritto sull'Immigrazione di Njimegen...

GROENENDIJK: "
Dopo il 2001 parte dell'establishment politico ha cominciato ad esprimere atteggiamenti anti-islamici e contro gli immigrati, rafforzando il senso di paura nell'opinione pubblica. Ciò ha portato all'adozione di una serie di misure, ufficialmente introdotte per migliorare l'integrazione degli immigrati, ma in realtà mirate a ridurre i flussi migratori".

NAVA: Quali le più importanti?

"Tre sono le principali. Primo: nel 2003 è stato reso molto più difficile ottenere la nazionalità olandese. La seconda: l'introduzione del test di immigrazione all'estero, che ha ridotto le richieste dalla Turchia e dal Marocco (una misura definita da Human Rights Watch "una violazione dei diritti umani"). La terza: un nuovo decreto sull'integrazione, che ha reso obbligatorio l'apprendimento dell'olandese per i nuovi arrivati, ma che ha bloccato i finanziamenti per questi stessi corsi di lingua. Il che ha portato al taglio di tre quarti dei partecipanti. Tutte queste misure, ufficialmente nate per favorire l'integrazione, si sono rivelate controproducenti".

Se l'Olanda non ride, anche la Svezia ha i suoi problemi: la generosa politica di accoglienza verso i rifugiati ha fatto sì che gli extracomunitari costituiscano ormai il 12% della popolazione. A Malmoe un quarto degli abitanti sono musulmani. Da qualche tempo il dibattito è aperto: il modello svedese è ancora sostenibile?
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