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NATALE A VOROSHILOVGRAD
25 dicembre.
Natale a Voroshilovgrad. Sembra
un Natale senza Gesù Bambino. È ancora troppo vicino il ricordo
di quei giorni in cui forse anch'io ho ucciso, in cui l'egoismo e l'istinto
di salvezza hanno prevalso su ogni altro sentimento e ancora non c'è
posto per il cuore. Ma verso sera un cappellano militare viene a farci
gli auguri e distribuisce a tutti una cartolina postale perché scriviamo
ai parenti; domani passerà a ritirarle, prima di partire con un
treno ospedale e ci promette di imbucarle appena arrivato in Italia,
Al solo prenderla in mano quella
cartolina riallaccia la mia vita a quella dei miei cari, riapre le cateratte
dei ricordi, della nostalgia: vorrei riempirla di tutte le sensazioni che
mi assalgono, del desiderio di essere in questo giorno vicino a loro, del
mio amore per loro. Mi sento così solo e così lontano!
Ma non voglio turbarli e scrivo
soltanto che sto bene, che non corro alcun pericolo e che stiano tranquilli.
La sera, mentre aspetto il sonno, mi rendo conto che in fondo sono ancora
vivo e che questo è stato per me un gran bel Natale.
Sapendo in quale caos siamo
stati tutti coinvolti, nella cartolina ho scritto fra l'altro: "Se
vi dicessero che sono disperso non fateci caso: io sto bene". Il mio
ritorno a casa mio padre mi raccontò che avevano trascorso Natale
e Capodanno nell'angoscia perché, verso il 20 dicembre, in un bollettino
di guerra avevano trasmesso che: "Il colonnello Paolo Maggio, comandante
dell'89° Fanteria, radunati gli ultimi resti del suo reggimento, si
lanciava contro il nemico trovandovi monte eroica".
Quel: "radunati gli ultimi
resti" li fece disperare perché era logico pensare che tutto
il reggimento era rimasto distrutto. Fortunatamente è arrivata,
ai primi di gennaio, la mia cartolina di Natale. Così quando a metà
febbraio, come avevo previsto, era arrivata la lettera dal Ministero della
guerra che ero da considerare disperso dalla data del 17 dicembre 1942
mio padre, al brigadiere dei carabinieri, suo antico, che doveva comunicargli
la notizia e non sapeva come dargliela, aveva mostrato la mia cartolina.
"Il brigadiere - mi raccontò
poi mio padre - quasi svenne e così lo tirai su con un grappino".
26 dicembre.
Santo Stefano. Il termometro
segna 46 gradi sotto zero e tira un vento così forte che non si
riesce a camminare sulle strade ridotte a una lastra di ghiaccio. Con le
nostre scarpe, a 72 chiodi tondi regolamentari, scivoliamo facilmente,
il vento spinge e letteralmente ci trasporta mandandoci a capitombolare
qualche metro più in la. Alla distribuzione del rancio, se si porta
subito alla bocca una cucchiaiata di minestrone, si resta col cucchiaio
attaccato alla lingua; se, invece, si aspetta di arrivare in camerata,
nella gavetta si è formata una sottile crosta di ghiaccio.
Nei giorni successivi arrivano
altri "sbandati", ritrovo alcuni compagni della mia squadra,
il Borsa e il caporale Buratto con i quali farò poi tutto il viaggio
di ritorno fino a Gomel.
Sono giorni di riorganizzazione
piuttosto disorganizzata. Si ha l'impressione che gli Alti Comandi, desiderosi
di riabilitarsi agli occhi dei tedeschi, siano pervasi da una voglia matta
di efficienza e strategia. "Radio Scarpa" dice che i generali
vogliono fare di Voroshilovgrad un caposaldo imprendibile. Con quali armi
non si sa, ma forse quei generali non hanno mai visto un T34.
A noi nessuno ordina mai nulla
ma, quando usciamo, vediamo spesso reparti, anche consistenti, di soldati
in marcia: sembra di essere tornati ai tempi delle esercitazioni in piazza
d'armi... "uno, due, uno, due, plotone... alt!".
Credo che, anche nella sostanza,
i generali non abbiano molto di più da mettere nel piatto per andare
a fermare i T34.
Il nostro tenente, come ai solito,
prende i nomi dei nuovi arrivati, ci fa la solita visitina al mattino e
alla sera e se ne va. Un giorno però ci conta, siamo circa un centinaio
nella nostra, per così dire, caserma e ci dice che siamo inquadrati
nella 2a
compagnia di formazione dell'89° Ftr, destinata a difendere un villaggio
posto a sud - est della città, ma poi, per qualche tempo, non ne
sappiamo più nulla.
Dopo l'Epifania ci fanno partire.
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