Si riporta di seguito una recensione
degli Atti del convegno svoltosi in Vaticano fra il 29 e 31 ottobre 1988,
e pubblicati solo nel Giugno 2004 La recensione e' a cura dello Studioso
di Storia Adriano Petta ed e' stata pubblicata sull'inserto "ALIAS" del "Manifesto"
l' 11/09/2004. Si Ringrazia l'Autore ed il "Manifesto" per l'autorizzazione
alla diffusione sulla rete delle reti del documento. L'articolo viene riproposto per diffondere conoscenza e verità, e come omaggio personale a tutti coloro che credono che l'Inqusizione sia stata una "Storia Nera" Ringrazio Adriano Petta per la collaborazione e la disponibilita' |
|
Le radici dell’orrore
(articolo apparso sull’inserto ALIAS del «Manifesto»
UN METODO E UNA IDEOLOGIA CHE
CONTINUANO A SEMINARE DOLORE E MORTE L’impero del male di Adriano Petta*
Martedì
15 giugno scorso nella Sala Stampa della Santa Sede i cardinali Georges
Cottier e Roger Etchegaray, assieme al bibliotecario ed archivista di S.
Romana Chiesa Jean-Louis Tauran, hanno presentato gli atti del simposio
internazionale sull’Inquisizione che si tenne in Vaticano dal 29 al 31 ottobre
del 1998. Questi atti sono stati presentati e illustrati anche dal curatore
dell’opera professor Agostino Borromeo, sotto la forma di un volume imponente
di ben 788 pagine dal titolo L’Inquisizione – Atti del
Simposio Internazionale edito nella collana “Studi e
Testi” dalla Biblioteca Apostolica Vaticana nel 2003. IL Simposio
era stato voluto da papa Wojtyla perché, in occasione del Giubileo
del 2000, intendeva chiedere perdono «per le forme di antitestimonianza
e di scandalo» praticate nell’arco della storia dai figli della Chiesa
(cosa che fece il 12 marzo 2000 nella «Giornata del perdono»).
Ma prima di chiedere perdono, era necessario avere una conoscenza esatta
dei fatti. La Commissione teologico-storica del comitato giubilare aveva
quindi invitato una cinquantina di professori specializzati nel campo, storici che abbiano dismesso i panni del giudice e si siano proposti
solo di comprendere il passato (i testi in corsivo sono stati estratti
dagli atti del simposio. Ndr.). Mercoledì 16 giugno scorso quasi tutti i
giornali hanno riportato la notizia della presentazione del volume, accompagnata
da tabelline e commenti che riassumevano più o meno acriticamente
le parole del professor Borromeo e dei cardinali che avevano presentato il
libro: il numero degli eretici mandati al rogo dalla Santa Inquisizione non
giungeva nemmeno a 100: erano stati solamente 99, e veniva così ristabilita
la verità storica che finalmente sfatava la leggenda nera sull’Inquisizione,
creata ad arte dalla propaganda anticattolica, come sottolineava esultante
il principe dei giornali cattolici L’Avvenire: «tanto
appassionante quanto ricco di scoperte si rivela l’imponente volume nel negare
la «leggenda nera». Il card. Georges Cottier (Pro-teologo della
Casa Pontificia) ha ribadito, infatti, che «una domanda di perdono
che la Chiesa deve fare a riguardo dei propri errori del passato, non può
riguardare che fatti veri e obiettivamente riconosciuti. Non si chiede perdono
per alcune immagini diffuse all’opinione pubblica, che hanno più
del mito che della realtà». Ma una domanda nasceva spontanea: come mai erano
trascorsi oltre sei anni per la pubblicazione degli atti del simposio? E
come mai il comitato organizzatore si è premurato di assicurare che
le cause stavano solo in motivi di salute di alcuni studiosi…? Occorreva
leggere questo librone. I 60 euro sono stati
ben spesi perché il risultato è stato effettivamente ricco
di scoperte… ma non nel senso sbandierato dall’Avvenire o
lasciato immaginare da gran parte della stampa (e dai numerosissimi siti
cattolici di mezzo mondo) nei giorni successivi alla presentazione. Innanzitutto la struttura di questo imponente volume.
Dei 50 partecipanti al simposio, solo 30 hanno lasciato testi scritti, in
italiano, inglese, spagnolo e francese (e note in portoghese e latino).
Ognuno dei partecipanti aveva ricevuto un tema da trattare (origini, strutture
territoriali, procedure, inquisizione romana e le scienze, l’inquisizione
e le streghe etc.): molti testi sono ossequiosi nei confronti della Chiesa
cattolica, testi blandi, ambigui… ma ci sono anche testi durissimi, con molte
scoperte o fatti poco noti. Papa Wojtyla e il comitato organizzatore del Simposio
sapevano fin dall’inizio ch’era praticamente impossibile mettere nero su
bianco una cifra esatta del numero delle vittime. L’Inquisizione cercò
di far sparire quanti più archivi poté dei processi e delle
sentenze. Non solo. Occorre tener presente che nel corso dei 600 anni di
funzionamento di questo apparato repressivo, responsabile dei più
grandi crimini collettivi della storia dell’umanità, spesso accadeva
che il popolo terrorizzato ed esasperato assaltava i tribunali dell’Inquisizione
distruggendo gli archivi che contenevano non solo la lista dei condannati,
ma anche quella dei sospettati. Napoleone, poi, quando conquistò l’Italia,
portò con sé tutti gli archivi dell’Inquisizione che purtroppo
non furono ben conservati e solo una piccola parte è ancora intatti
a Parigi. Nella capitale francese i pezzi erano 7900 circa,
di cui 4148 volumi di processi e 472 di sentenze fino al 1771; nella seconda
metà dell’800 in concomitanza con situazioni politiche “pericolose”
(Garibaldi, porta Pia) i funzionari della Congregazione
del Santo Uffizio operarono distruzioni nella documentazione processuale
degli anni 1772-1810 che non era stata portata a Parigi e in quella prodotta
in seguito. Dopo l’abolizione dell’Inquisizione in Spagna, il popolo
bruciò quasi tutti gli archivi con i dati dei processi e delle condanne. Il governo illuminista del viceré Domenico Caracciolo
fece bruciare tutti gli archivi di Palermo per mettere una pietra sopra quella
storia di orrori e per tutelare le migliaia di persone segnalate, esattamente
come accadde in tutte le terre portoghesi, come ad esempio il viceré
del Portogallo conte di Sarzedas, a Goa, la capitale delle Indie. Per avere un’idea delle proporzioni di quella macchina
infernale, occorre ricordare che solo all’Inquisizione di Palermo lavoravano
25.000 persone! In un altro capitolo del librone risulta che le sentenze
capitali eseguite a Roma dal 1500 al 1730 furono «solo» 128. Ma
questi dati sono stati ottenuti da 11 dei 39 registri originari, quindi con
una semplice proporzione è lecito pensare che le esecuzioni furono
come minimo 453. Ma questi sono dettagli, le vittime innocenti dell’Inquisizione
furono almeno cinquecentomila, senza contare i 100-150 mila presunti catari,
uomini, donne e bambini, scannati vivi in poche ore a Béziers il
22 luglio 1209. Questa faccenda dei numeri è comunque fuorviante:
l’orrore vero consisteva nel fatto che tutti, nessuno escluso, poteva essere
sospettato, imprigionato, perdere tutte le proprietà ed essere arso
vivo in quanto l’Inquisizione non giudicava dei crimini, ma le idee. Bastava
un gesto, una parola, un litigio con un parente o un vicino di casa, il
volersi liberare di qualcuno scomodo per essere denunziati o per denunziare. Alcuni quotidiani hanno pubblicato la stessa tabellina
che, nel librone, fa parte dell’articolo di Gustav Henningsen scritto in
spagnolo. Alcuni nell’alto della tabellina hanno scritto correttamente «Caccia
alle streghe», mentre sotto «le vittime dell’Inquisizione nel
Seicento». S’immagini ora un qualunque lettore: prima riga, in Irlanda
l’Inquisizione ha bruciato vivi solo due eretici; seconda riga, in Portogallo
solo 7… ma allora è proprio vero che questa leggenda nera dell’Inquisizione
è stata tutta un’invenzione! Da notare la finezza: la tabellina inizia
con Irlanda e Portogallo, di cui non si conoscono i dati, mentre poteva
cominciare con quelli della Polonia (10.000 creature accusate di stregoneria,
bruciate vive, su una popolazione di 3.400.000… solo nel Seicento!). Senti
come cambia la musica di morte? Altri quotidiani hanno compiuto veri e propri
«capolavori» d’involontario depistaggio pubblicando la stessa
tabellina ma intitolandola «Le esecuzioni in Europa» (esecuzioni
generiche, quindi totali, mentre la tabellina in questione si riferiva solo
ai condannati di stregoneria e solo al Seicento!). Occorre ricordare che
la Riforma di Lutero in pratica aveva rigettato tutto del cattolicesimo,
tranne la caccia alle streghe. Comunque tutta la stampa (sia cartacea che
sul web) ha riassunto i dati forniti direttamente dal curatore dell’opera
Agostino Borromeo, secondo i quali le condanne al rogo comminate dai tribunali
ecclesiastici sono state – in Italia, Spagna e Portogallo – 99.
È lecito pensare che i quotidiani
abbiano fatto esattamente quello che il papa e il comitato organizzatore
del Simposio si erano prefissi sei anni fa: hanno abboccato all’amo pubblicando
dati che nulla hanno a che vedere con le proporzioni apocalittiche di quello
ch’è accaduto in mezzo mondo per quasi 600 anni. E non è nemmeno
vero che in questi atti ci sia una volontà sfacciata di negare la
«leggenda nera»: è l’insieme della vicenda ch’è
subdolo, ma tanto la gente non leggerà mai l’imponente volume, mentre
quello che scrivono i giornali sì. Non è tuttavia da escludere quell’effetto
boomerang tanto temuto dai vescovi e cardinali più prudenti, che
per sei anni si sono opposti alla pubblicazione degli atti del Simposio:
sapevano che rimestando nello sterco del demonio poteva sprigionarsi qualche
zaffata. E infatti in questo librone si possono cogliere parecchie «noterelle»,
come la storia dell’Inquisizione spagnola e portoghese in centro-sud America
e nelle Indie. Il pretesto che innescava le denunzie e i processi erano
nella grande maggioranza dei casi le proprietà. Per appropriarsi
dei beni della gente, la Chiesa, il Comune, la Città e lo Stato hanno
accusato di eresia via via catari, valdesi, apostati, convertiti, apostolici,
ebrei, ebrei neri, ebrei bianchi, musulmani, protestanti, marrani, nestoriani,
induisti, blasfemi, sodomiti, streghe, illuse, illudenti, bigami, superstiziosi,
anabattisti, criptogiudei, criptomusulmani, pagani, illuminati, scismatici,
peccatori di magia, sortilegi, divinazione, abuso di sacramenti, disprezzo
delle Chiavi, studiosi, medici, alchimisti, atei, oppositori politici, filosofi,
matematici, scienziati… e li mandavano al rogo, perché l’eretico non può possedere beni, che invece sono della
Chiesa la quale non lo spoglia ma si riprende ciò che è suo…
anche in presenza di figli cattolici; per questo l’Inquisizione
fu una macchina che macinò un’enorme massa di capitali finanziari
e l’immanitas tormentorum spingeva gli accusati innocenti ad
autoaccusarsi per sfuggire alla sofferenza: il risultato era che non vi
si difendeva la pietas religiosa, ma se ne faceva pretesto per impadronirsi
dei beni altrui. Vale la pena riportare una sola frase del Manuale degli inquisitori di Nicolau Eymerich (il «vangelo»
dell’Inquisizione per secoli): «Bisogna ricordare che lo scopo principale
del processo e della condanna a morte non è salvare l’anima del reo,
ma… terrorizzare il popolo». In genere la ripartizione dei beni depredati era
1/3 agli inquisitori, 1/3 alla Chiesa e un terzo al comune, alla città
o allo stato. A Viterbo e a Roma, sedi papali, 1/3 al comune e 2/3 agli
inquisitori. Oltre allo scopo primario (minimizzare la quantità
dei bruciati vivi) il Simposio aveva altri due intenti. Quello di parlare
di numerose inquisizioni, di fenomeni differenziati, diversi d’epoca in
epoca e di stato in stato e di far risaltare che la più umana fu
– guarda caso – quella romana; e quello di addossare agli stati (soprattutto
quello spagnolo e portoghese) la responsabilità di aver esagerato
con la tortura e i roghi. L’ossequioso Adriano Garuti scrive, infatti, che
la stessa carcerazione in S. Ufficio è forse stata
soffusa da un alone eccessivamente tetro… non mancavano però normative
o prassi che ne attenuavano il rigore: non si carceravano facilmente le donne,
specie se nobili… e la capacità del soggetto
ad essere sottoposto alla tortura era vagliata e confermata da un medico…
L’inquisitore si faceva assicurare da un medico se l’eretico era forte e
se si poteva divertire a sazietà. Significative sono alcune pagine
di Henningsen quando racconta che quasi la metà dei 200
processi di stregoneria li portarono a compimento due inquisitori tedeschi:
Jacob Sprenger (1436-1495) e Heinrich Institoris (1432-1492). La loro fanatica
persecuzione delle streghe nel sud della Germania si scontrò con
l’opposizione delle autorità civili ed ecclesiastiche. Allora i due
inquisitori si lamentarono col papa Innocenzo VIII che il 5 dicembre 1484
emanò la bolla “Summis desiderantes affectibus” con cui dette ai
due l’appoggio di cui avevano bisogno, elencando dettagliatamente quello
che combinavano le streghe: «uccidono il bambino nel ventre della madre,
così come i feti delle mandrie e dei greggi, tolgono la fertilità
ai campi, mandano a male l’uva delle vigne e la frutta degli alberi; stregano
gli uomini, donne, animali da tiro, mandrie, greggi ed altri animali domestici;
fanno soffrire, soffocare e morire le vigne, piantagioni di frutta, prati,
pascoli, biada, grano e altri cereali; inoltre perseguitano e torturano uomini
e donne attraverso spaventose e terribili sofferenze e dolorose malattie
interne ed esterne; e impediscono a quegli uomini di procreare, e alle donne
di concepire…». All’inizio del sec. XVI gli inquisitori di Germania,
Francia e Italia intrapresero una violenta campagna di persecuzione verso
la setta delle streghe con la completa approvazione del
Vaticano grazie alle circolari papali emesse da Alessandro VI, Giulio II,
Leone X e Adriano IV. Nel 1501 papa Alessandro VI scrive all’inquisitore
della Lombardia Angelo da Verona raccomandandogli di procedere
più duramente contro le tante streghe della zona che rovinano le
persone, gli animali ed i raccolti. Il senato di Venezia protestò
verso l’Inquisizione che aveva bruciato vive 70 streghe in Valcamonica e
di sospettare che altre 5.000 facessero parte della setta satanica… ma papa
Leone X nel 1521 scrisse una bolla violenta nella quale autorizzava gli
inquisitori a scomunicare le autorità civili che dovessero
opporsi ai roghi delle streghe condannate dal Santo Ufficio. In
soli 10 anni vennero bruciate vive 3.000 «streghe». Nella stampa populista si continua ad incontrare
una cifra di nove milioni di vite sacrificate durante la persecuzione delle
streghe di quell’epoca. Oggi si stima che il numero di processi di stregoneria
in quell’epoca è di 100.000 in totale e circa una metà, 50.000
persone, finirono al rogo. Delle 1300 vittime in Portogallo, Spagna e Italia,
meno di cento roghi possono essere attribuiti all’Inquisizione dei suddetti
paesi. Il resto si deve ai tribunali civili e vescovili degli stessi paesi. Come se quei tribunali civili e vescovili non fossero
emanazione diretta del potere della Chiesa che tutto permeava in quei secoli
bui. Con questa operazione del Simposio, papa e cardinali hanno provato a
mischiare le carte, a introdurre distinguo, a confondere, a scaricare responsabilità
che sono state e resteranno sempre di coloro che crearono e mantennero vivo
quel sistema di sterminio: la Chiesa cattolica, i suoi vertici. Nel 1600 l’inquisitore don Alonso de Salazar Frías girò in
lungo e in largo per tutto il Paese Basco spagnolo portando un Editto di
Grazia alla setta delle streghe. 2000 persone si presentarono davanti all’Inquisizione
chiedendo che fosse loro concessa l’amnistia promessa alle streghe. Le suddette
2000 streghe denunziarono altre 5000. Quel clima apocalittico era stato
alimentato dalle bolle papali. Soprattutto la bolla di Innocenzo
VIII, più di nessun altro, legalizzò la persecuzione delle
streghe. Scrive Adriano Prosperi: A partire dal 1559 e per
volontà di Paolo IV, in maniera sistematica e capillare, tutti i cristiani
che si recarono a fare la confessione dei loro peccati furono interrogati
su eventuali loro reati o semplici conoscenze di reati di eresia o lettura
di libri proibiti; e se qualcosa emergeva, vennero rinviati al tribunale
dell’inquisizione. Se la violenza della tortura e del patibolo spezzava i
corpi, la violenza morale esercitata attraverso la subordinazione della confessione
all’inquisizione spezzò le coscienze: e lo fece su tutta la popolazione
in età di confessione. Due anni prima lo stesso Paolo IV aveva investito tutta la travolgente irruenza del suo carattere nella trasformazione
di un tribunale (della Santissima Inquisizione) spesso interlocutorio
e prudente, incline a interrogarsi su se stesso, frenato e intralciato da
altri centri di potere, in un’arma affilata di repressione e annientamento
conferendogli (il 29 aprile 1557) per mezzo della minuta «Pro
votantibus» licenza e facoltà di emettere voti
e sentenze che comportassero tortura, mutilazioni e spargimento di sangue,
fino alla morte inclusa, senza per questo incorrere in censura o in irregolarità.
Il 28 ottobre dispensò tutti i cardinali e inquisitori
del Santo Ufficio dall’irregolarità in cui incorrevano
infliggendo tortura reiterata. Lo stesso papa, il 5 novembre dell’anno
prima, aveva reso solenne e consacrato il rogo che sarebbe avvenuto la domenica
successiva concedendo l’indulgenza plenaria a tutti i fedeli che avrebbero
assistito allo spettacolo. L’uso della tortura nell’Inquisizione fu introdotto
da papa Innocenzo IV il 15 maggio 1252, con la bolla Ad extirpanda,
mentre Innocenzo III, con la bolla del 25 marzo 1199 Vergentis
in senium, aveva modificato il reato d’eresia da religioso a crimine
contro lo stato, coinvolgendo così accanto alla Chiesa tutti gli stati. Le rare volte che ci fu un tentativo di evangelizzazione
senza violenza, venne puntualmente stroncato dal papato. Charles Amiel nel
suo intervento L’inquisizione di Goa (capitale delle Indie
portoghesi) racconta l’esperienza missionaria di due famosi gesuiti italiani,
Matteo Ricci in Cina e Roberto De Nobili a Goa, nel 1605. De
Nobili si stabilisce a Madurai nel paese tamil ove esercita il suo apostolato
per 40 anni, adottando lo stile di vita degli eremiti brahmanici. Pratica
l’ascesi e la maniera di vita di questi eremiti, opta per i loro costumi,
si orna la fronte di ceneri simboliche, porta il cordone rituale e apprende
il sanscrito, il tamil e il telegu. Entrambi furono prigionieri dell’accomodatio, il metodo di evangelizzazione che cercò di adattare la
pratica cristiana agli usi e costumi degli autoctoni. Una missione gesuita
francese creata da Luigi XIV prolunga e rivivifica nel Carnate nella prima
metà del sec. XVIII l’operato di Roberto De Nobili. Ma la bolla Omnium
sollicitudinum di Benedetto XIV nel 1774 scaccia definitivamente
i rischiosi accomodamenti che avevano alimentato la querelle dei riti… e
si tornò al metodo tradizionale della tabula rasa: l’induismo era
percepito come un’accozzaglia di superstizioni e di culti demoniaci che
non meritavano nemmeno il nome di religione. Ventisette anni prima che a Goa sbarcasse Roberto
De Nobili, il 25 novembre 1578 l’inquisitore del tribunale di Goa, Bartolomé
de Fonseca, scrive: «Mi
hanno consegnato un tribunale pacifico, senza processi, prigioni con pochi
prigionieri (una sola nuova cristiana, che si rifiutava di confessarsi,
che non cedette in nulla e morì in quello stato); nel paese segretamente
infiltrata questa gentaccia di nuovi cristiani, tranquilli e a riposo. Io
ho reso il tribunale piegato sotto il peso dei processi, le prigioni sono
riempite al massimo di prigionieri: ce ne sono stati di più in questo
solo anno che nei tredici anni in cui lavoravano congiuntamente un arcivescovo
e due inquisitori. Il paese è pieno di fuoco e di cenere dei cadaveri
degli eretici e degli apostati, ed io vengo considerato più come
uno sposo di sangue che come uno sposo di pace, odiato da tutti quelli che
tengono nascosti i loro interessi con questa gentaccia, e sono numerosi.»
In effetti, aggiunge il relatore dell’articolo Charles Amiel,
i roghi dal 1578 al 1579 sono i più micidiali del XVI secolo per
gli ebrei: 43 alla volta. Soprattutto per gli ebrei non c’era scampo: si
convertivano dappertutto ma, con la conversione, conservavano almeno le
proprietà. Ed erano queste a cui davano la caccia papi e re. E allora
bastava solo mettere in marcia la macchina infernale delle delazioni, arresti,
incarcerazioni, processi, torture, moniti, giudizi, roghi… Ma c’era qualcosa di peggio dei roghi, i forni,
l’orrore apocalittico dell’inquisizione: los «quemaderos» di
Siviglia. Erano così tanti gli eretici condannati al rogo, che furono
costretti a inventarsi qualcosa di speciale che consumasse meno legna dei
tradizionali autodafé: costruirono uno accanto all’altro quattro enormi
forni circolari sopra una piattaforma di pietra ognuno dei quali poteva contenere
fino a quaranta «dannati». Accendevano un po’ di legna sotto
la piattaforma, buttavano dentro le povere creature e le cocevano a fuoco
lento: occorrevano dalle 20 alle 30 ore per crepare. Funzionarono ininterrottamente
per oltre tre secoli. 300 anni. Vennero chiusi da Napoleone Bonaparte nel
1808. Questo è riuscito a fare la Santa Inquisizione, sublime spettacolo di perfezione sociale (come scrive Adriano
Prosperi citando un numero di La Civiltà Cattolica
del 1853). L’operazione di minimizzare l’operato dell’Inquisizione
ha toccato, naturalmente, anche il conflitto fede-ragione, fede-scienza:
tra 1559 e 1707 il numero delle opere scientifiche proibite
dall’Inquisizione di Spagna per questa regione superò la somma di
quelle proibite per ogni altra e lo stesso è quasi certamente vero
per l’Indice romano, per il quale uno studio quantitativo non esiste ancora.
Vale la pena ricordare che il cardinale Bellarmino – il carnefice di Giordano
Bruno e Galileo Galilei – non venne fatto santo all’epoca dei fatti, nel
’600, bensì pochi anni fa, nel 1930: ovverosia, nel 1930 la Santa
Sede avallò tutto l’operato di Urbano VIII e dello spietato inquisitore
Bellarmino! L’Inquisizione depredava anime, coscienze, proprietà.
Giustificava i genocidi. Il 90% degli indios del centro-sud America venne
sterminato con il permesso e la giustificazione degli inquisitori. I conquistadores
spagnoli e portoghesi depredavano le terre in nome del Bene, di Cristo.
Protestanti e Anglicani del nord Europa impararono il metodo e anch’essi
presero a colonizzare, depredare, sterminare popolazioni autoctone come
gli indiani del nord America e gli aborigeni dell’Australia. Oggi, come allora, gli Stati Uniti continuano a
depredare in nome del bene, in nome di Dio, torturando i prigionieri per
il solo piacere di torturare, dopo aver ammazzato le loro famiglie, bombardato
le loro città, depredato le loro terre, le loro proprietà,
i loro prodotti. Questo è il metodo e l’insegnamento che
l’Inquisizione ha lasciato in eredità al mondo cristiano, a questo
feroce e spietato Primo Mondo che detiene il potere economico, politico e
militare. L’embrione del capitalismo era lì, nel fine e nel metodo
dell’Inquisizione: appropriarsi di tutto, terre, proprietà, boschi,
mari, col pretesto di diffondere la civiltà, usando qualsiasi metodo,
spietati e indifferenti verso qualsiasi altra cultura, altra religione, provocando
insanabili disastri umani e ambientali. Lo stato della Germania, senza perdere tempo a
indire simposi sul numero esatto degli ebrei massacrati nei campi di concentramento,
ha eretto al centro di Berlino un importante museo sulla
storia e gli orrori del nazismo, come monito al mondo intero e alle future
generazioni tedesche. La Santa Sede mistifica e minimizza il ruolo devastante
dell’Inquisizione, invece di stigmatizzare la portata culturale e politica
di quell’infernale sistema. Studioso di Storia delle religioni
|