18 aprile '48 Urne "miracolose" |
Liberazione 18 aprile 1998
18 aprile '48 Urne "miracolose"
Francesco Germinario
È agevole verificare nelle elezioni politiche del 18 aprile 1948 la proiezione nazionale di una guerra fredda fra Usa e Urss, anticipata col discorso di Churchill a Fulton, nel Missouri, il 5 marzo l946, - quando l'ex-premier inglese denuncia la calata in Europa di una "cortina di ferro" da Stettino a Trieste - e avviata l'anno successivo, quando Truman (12 marzo) annuncia la "dottrina" per cui i paesi europei minacciati dal comunismo possono contare sull'aiuto economico degli Usa.
Almeno per rimanere all'Italia, però, numerose erano state le scadenze che avevano prodotto la maturazione politica del 18 aprile. Ad aprire le ostilità due anni prima era stato Pio XII quando, in un appello elettorale alla vigilia del referendum fra monarchie e repubblica, aveva sentenziato che la vera scelta cui erano chiamati gli italiani era tra il materialismo ateo e la cristianità. Nella settimana di Natale del medesimo anno, Pio XII si ripete, sostenendo che la nazione si trova davanti alla scelta se stare con Crosti o con Cristo. Il mese prima, in un discorso a Palermo, De Gasperi aveva presentato la Dc come un sicuro baluardo contro la civiltà occidentale in caso di minacce del comunismo. Nei primi quindici giorni del 1947 si verificano altri due fatti politici importanti. Il primo è che De Gasperi, nel suo viaggio in Usa (3-7 gennaio), si accredita definitivamente come un leader politico affidabile per gli americani, ottenendo grosse aperture di credito sia economiche che politiche. Il secondo (9-13 gennaio) consiste nella scissione socialista: Saragat, che già alcuni mesi prima, in un'intervista ad un quotidiano romano, aveva attaccato la politica del partito perché troppo subalterna al Pci, dà vita al Partito socialista dei Lavoratori. Alcune settimane successive si ha l'ultimo governo di unità nazionale, con a capo De Gasperi e nella veste di Ministro degli Interni Mario Scelba. Si tratta, però di un governo di transizione, subito sostituito, nel maggio, da un altro governo De Gasperi, nel quale non sono rappresentate le sinistre.
Proprio mentre il governo ottiene la fiducia parlamentare, nella prima settimana di giugno, sulla rivista dei gesuiti, Civiltà cattolica compare un articolo di padre Lombardi in cui si proclama la chiamata a raccolta della mobilitazione dei cattolici contro il comunismo. È l'anticipo della scelta ecclesiastica della lotta frontale contro le sinistre. Già nel marzo, a Milano, era stata anticipata la politica delle "Madonne pellegrine", una specie di berlusconismo avant la lettre, nel senso che si faceva appello alla credenza religiosa ostentandola in modo molto teatrale. Le "Madonne" si diffonderanno a macchia d'olio nei mesi successivi. Nel settembre, prima a Roma, poi a Bologna si erano svolti importanti raduni di cattolici. Ma non è solo la Chiesa a muoversi. Terminato il "vento del nord", si tratta di rimuovere ciò che questo ha seminato a livello istituzionale. Così, alla fine di novembre il prefetto di Milano, Troilo, un antifascista insediato dal Cln, è sostituito da uno più ligio e, soprattutto, di carriera. Per impedire la sostituzione, gruppi di ex-partigiani, diretti da Giancarlo Pajetta, occupano la Prefettura, anche se Togliatti prende le distanze dall'iniziativa (famosa la sua fredda risposta a Pajetta che, per telefono, gli aveva annunciato l'avvenuta occupazione della prefettura).
Nell'ottobre, intanto, il Pci aveva aderito al Cominform. Questo per lo Stato legale e la battaglia delle idee. Quanto allo Stato illegale, nel giugno la banda mafiosa di Salvatore Giuliano aveva provveduto a seminare il terrore, prendendo d'assalto diverse sezioni comuniste palermitane.
La Costituente termina i lavori il 31 gennaio del 1948. Siccome appare evidente che essa ha partorito una Costituzione molto avanzata politicamente e socialmente, la Corte di Cassazione - un organo non sottoposto ad epurazione ed espressione degli ambienti più conservatori se non reazionari della Magistratura - stabilisce che nel dettato costituzionale è necessario distinguere le norme precettizie da quelle programmatiche.
Intanto si sviluppa la campagna elettorale. Nel mese di febbraio, mentre dall'Anpi escono i partigiani cattolici e i socialdemocratici di Saragat nel congresso di Napoli accentuano il loro anticomunismo, in tutta Italia si diffondono migliaia di Comitati civici che appoggiano la campagna elettorale della Dc. Sul fronte internazionale, mentre a Praga si consuma un colpo di Stato che vede la partecipazione di milizie operaie comuniste, Marshall dichiara che sospenderà gli aiuti economici all'Italia in caso di vittoria delle sinistre. Ambedue gli avvenimenti sono ulteriore benzina sul fuoco in una campagna elettorale già molto accesa. Venti giorni prima della data delle elezioni (28 marzo), a coronamento delle sue precedenti dichiarazioni, Pio XII utilizza l'omelia pasquale per dichiarare che è suonata l'ora della coscienza cristiana. Il 18 aprile la Dc conquista il 48,5% dei voti. Il mese successivo (23 maggio) De Gasperi vara il primo governo centrista.
Una imponente "guerra ideologica" che mobilitò Vaticano e Stati Uniti.
Marco Romani intervista allo storico Enzo Santarelli
«Il 18 aprile è stato principalmente cattolico e sanfedista, con radici che affondavano nelle vecchie posizioni del reazionarismo italiano risalente alle rivolte dei contadini contro le idee rivoluzionane della Francia giacobina». Lo storico Enzo Santarelli parlando della fatidica consultazione politica del 1948 che di fatto consegnò il potere per oltre 40 anni nelle mani della Democrazia cristiana, si rifiuta di considerare quell'evento dal solo punto di vista elettorale tentando invece di valutare tutti gli aspetti, interni e internazionali, che determinarono quel risultato. «In quel 48 per cento dei voti che andarono alla Dc si concentrava il nazionalismo di tipo cattolico postfascista e neofascista insieme: Gedda e i suoi Comitati civici fortemente voluti da Pio XII e le Madonne che battevano gli occhi in tutte le cattedrali italiane».
In che modo riuscì il partito di De Gasperi a guadagnare un risultato così eccezionale, peraltro inatteso, almeno nelle proporzioni, dagli stessi democristiani?
Innanzitutto va detto che la guerra fredda su scala nazionale e internazionale era in una fase già molto avanzata e la Dc era nelle condizioni di raccogliere i frutti di una politica che guardava a destra. I consensi arrivarono in gran parte dal Mezzogiorno, dalle destre liberali e dai ceti agrari del Sud che sposando entrambi l'anticomunismo riversarono i loro voti sullo scudo crociato. Credo però che il 18 aprile non possa essere ridotto ad un avvenimento puramente elettorale.
Cosa intendi dire?
Se è vero che tutta una fase della politica italiana si chiude il 7 giugno del '53 con la riscossa delle sinistre e dello stesso Partito socialista - il maggior sconfitto nel '48 come lo stesso Nenni, che aveva voluto fortemente il Fronte popolare, subito riconobbe - è anche vero che l'Italia era il centro di un crocevia strategico internazionale in cui Stati Uniti e Vaticano si abbracciavano.
Da una parte la grande potenza economica e bellica, dall'altra la potenza religiosa della Chiesa che, come dimostrano le memorie di Luigi Gedda pubblicate proprio in questi giorni, utilizzò tutti gli strumenti a sua disposizione, scomunica compresa, per sconfiggere il Fronte popolare. Come agirono nell'Italia di quegli anni queste due "super potenze"?
Gli Usa vedevano che dopo la sconfitta di Mussolini, proprio al centro del Mediterraneo, si andava profilando una ripresa straordinaria della Chiesa cattolica che andava volgendo il suo sguardo politico sempre più a destra proprio per la situazione internazionale e per la debolezza della borghesia italiana che, non avendo una forza liberale solida, alla Einaudi o alla Croce, si riversa sullo scudo crociato.
All'interno dello scacchiere internazionale l'Italia che pedina rappresentava per gli Stati Uniti?
Una porta importante per l'Europa e dalla quale si sono inoltrati risalendo la penisola. Gli Usa sono un impero marittimo e il Mediterraneo rappresentava per loro, quanto e più che per Mussolini, un luogo davvero strategico. E poi gli Stati Uniti erano molto sensibili all'alleanza con una grande potenza spirituale tradizionale basata sul monoteismo e tutto sommato conservatrice.
La propaganda democristiana, con l'orso sovietico che si impadronisce di piazza Venezia, raggiunse un livello di pervasività inusuale. Quei manifesti sono davvero importanti perché la loro grafica è quella dell'antibolscevismo di sempre. Anche nella propaganda della Repubblica Sociale l'orso come allegoria dell'Urss è figura assai ricorrente.
Quanto il pericolo dell'invasione sovietica era reale e quanto pura propaganda?
Credo si tratti solo di balle. È su questo che resta ancora debole l'interpretazione di quella sconfitta elettorale. Il 18 aprile è stato un grosso scontro in cui le sinistre non avevano molte possibilità di vittoria a causa di una certa ingenuità politica dei leader e dell'immaturità politica delle masse.
Nenni e Togliatti due leader ingenui?
Il Fronte democratico e popolare non è da respingere. Uomini della sinistra comunista e socialista meridionale pensavano che nel Mezzogiorno quell'alleanza fosse opportuna. Ma questo è un solo punto. Morandi, in campo socialista, o Sereni, pensavano al Fronte popolare come strumento basato su grandi alleanze di tipo sociale - consigli di gestione, riforma fondiaria per la conquista della terra - non un cartello come immaginava Nenni, e in parte anche Togliatti, sulla base dell'esperienza Francese degli anni Trenta. È giusta l'autocritica che al Fronte può venire da sinistra e non solamente quella che prende in considerazione il solo piano elettorale e i suoi risultati.
Torniamo al clima di quell'elezione e alla propaganda.
È molto importante richiamare uno scritto che l'antropologo Ernesto De Martino scrisse sull'Avanti! nel '48 intitolato Guerra ideologica. De Martino parla della straordinaria mobilitazione dei mass media durante la campagna elettorale e afferma testualmente che «tutti i più delicati organi di controllo della pubblica opinione - il pulpito, il confessionale e la stampa - sono stati mobilitati nell'intento di generare l'opinione diffusa e popolare che la civiltà dello spirito era in pericolo e che dal tenebroso Oriente avanzava la barbarie della materia». Ma De Martino va oltre e attraverso i manifesti propagandistici individua uno stereotipo: la figura del "trinariciuto" comunista nasce dagli incunaboli del 18 aprile. Il trinariciuto è per la propaganda l'uomo bestialmente ottuso dalla fronte bassa e dalla capigliatura incolta, è un corpo estraneo malignamente conficcato nelle viscere della società civile. L'anticomunismo che si sviluppa allora, e che Nenni chiamò "viscerale", diviene quasi di tipo biologico. È un caso che oggi un Berlusconi, che mai ha avuto nulla a che fare con il liberalismo autentico, si richiami al De Gasperi reazionario e inviti il suo partito a ricordare il 18 aprile di 50 anni fa? È il solito padrone reazionaria legato ai suoi interessi e sempre in conflitto con la parte più avanzata del paese. Questo 18 aprile è allora assai importante anche perché è costato molto caro, non tanto alle sinistre, quanto alla Democrazia cristiana.
Sostieni quindi che la Dc, pur con il pieno di voti, è la grande sconfitta di quello scontro?
Si perché cedette alle posizioni degli agrari reazionari. Agostino Giovannoli, lo storico che tanto ha scritto sulle culture della Dc, il "partito italiano", nega che la via del 18 aprile reazionario per lo scudo crociato fosse obbligata. Personaggi come Luigi Gedda, che rappresentava la destra dell'Azione cattolica, e i Comitati civici, la parte salazarista del Vaticano, si scontrarono poi con lo stesso De Gasperi.
Ma perché De Gasperi accettò questo patto? Perché optò per la reazione più retriva per vincere quelle elezioni?
Il leader della Dc aveva una formazione asburgico-legittimista ed era lontanissimo da idee socialiste o comuniste. Era un conservatore liberale esposto a tutti i venti di destra, più che un cattolico progressista alla Dossetti. De Gasperi però si è sempre opposto a trasformare in guerra civile il conflitto ideale e ideologico che aveva alimentato in Italia, non andando mai al di là del dettato costituzionale. In quegli stessi anni in Francia si fecero leggi contro i comunisti, da noi questo non avvenne anche grazie ad una forte opposizione popolare. Per quanto riguarda il quinquennio '48-'53, furono anni vinti dal Partito comunista che portò avanti le bandiere del laicismo, della difesa della scuola pubblica, della libertà della cultura. La sconfitta elettorale è stata la premessa di un radicamento popolare profondo.
Tu come hai vissuto quegli anni?
Ero un giovane uscito dalla guerra di Liberazione e il 18 aprile era per me una scadenza politica importante. Sentivo una forte attrazione per il Partito comunista pur venendo da posizioni crociane. Ebbene, questo rampollo della borghesia passa al Pci dopo la sconfitta del 18 aprile. Uomini come Luigi Russo, del Partito d'azione, non arrivarono al Pci, ma dialogavano con Togliatti perché videro nel suo partito un'avanguardia popolare erede delle tradizioni risorgimentali: i corpi estranei alla società italiana non erano i trinariciuti, ma i Luigi Gedda. Dal '48 al '53 ci fu un profondo esame di coscienza e una alleanza tra proletari, intellettuali d'avanguardia e le forze migliori del Partito d'azione. Un punto centrale del passaggio dal '48 al '53 è proprio il partito socialista che risorge riacquistando posizioni autonome, ma non autonomistiche. Le cose cambieranno con i fatti di Ungheria del '56. In quel quinquennio, nella prassi, i lavoratori nelle industrie, i contadini, gli insegnanti nelle scuole pubbliche recuperarono i più profondi valori della democrazia rappresentativa. Purtroppo però non si arrivò a forme di patriottismo istituzionale repubblicano.
Il 18 aprile quindi come snodo politico fondamentale?
Certamente. E in questo Berlusconi ha ragione, ma è egli stesso un po' trinariciuto nella sua ispirazione. Noi dobbiamo essere più illuminati e su posizioni antitetiche. Nessuna conciliazione quindi con le posizioni infiltrate da idee sanfediste e fasciste.
Pochi mesi dopo le elezioni, nel luglio '48, un giovane colpisce con un colpo di pistola Palmiro Togliatti. Come si inquadra l'attentato al segretario del Pci in quell'anno politicamente così intenso?
L'attentato nasce dai semi gettati dall'anticomunismo oltranzista del 18 aprile. Le responsabilità sono generiche, non ci sono mandanti precisi pur essendoci quelli spirituali. Questa volta sì che ci sono i cattivi maestri! Molti uomini politici avevano invocato la violenza e questo giovane sradicato, seguace di idee neofasciste, dalla Sicilia arrivò a Roma con una pistola malfunzionante e sparò sulla testa di Togliatti sulla porta del Parlamento. Scelba cercò di accreditare la rivolta popolare seguita al 14 luglio come prima manifestazione di un "piano K" preordinato, invece era la conseguenza di uno scontro ideologico di massa e di uno scontro politico-sociale di classe fortissimo che divideva il paese. Mai come allora ci siamo trovati davanti al pericolo fortissimo della frattura, con il comunista nella veste del nemico interno.
Molto si è discusso sulla possibilità di rivoluzione a ridosso del luglio '48 "bloccata" dallo stesso Togliatti. Storicamente ve ne erano le condizioni?
Se ci fosse stato un accenno di rivoluzione certamente sarebbe andata a finire male. L'Italia era nel cuore di forze come Stati Uniti e Vaticano. Una rivoluzione è pensabile se si ha una strategia verso queste due grandi potenze e se si ha una strategia che tolga loro le forze di base sociale. Bisogna anche vedere chi erano i rivoluzionari in quegli anni, a partire dal '43, '44, '45, fino alla Volante rossa: forze marginali rispetto al movimento operaio e, per cerò versi, perfino anarcoidi. I piccoli gruppi, in una rivoluzione, hanno una loro rilevanza se esiste una forza egemone trainante, un'alleanza di classi sociali. Il problema, ieri come oggi e oggi come ieri, è che i comunisti spostino l'accento sui problemi di lunga durata, perché solo sulla lunga durata le classi lavoratrici possono vincere sulla borghesia. Il problema non era quindi la contrapposizione legalità o rivoluzione, ma il guadagnare nella ginnastica di pace, nella ginnastica democratica, il respiro e le idee necessarie per un confronto con la controparte.
Fino a quando l'onda lunga del '48 ha condizionato l'Italia?
Per Berlusconi è ancora vivo. Il pericolo del 18 aprile c'è sempre: non posso dimenticare le dichiarazioni della Presidente Pivetti alla Camera dei deputati in cui si esaltavano le posizioni vandeane. Non credo esista più Vandea nel Sud d'Italia, ma gruppi di neofascisti sentono ancora richiami alla reazione cattolica. Credo che il quadro sia molto complesso, ma l'appello alla conciliazione delle parti non è una specie di ultra-qualunquismo? Il vero pericolo oggi è culturale, ed è rappresentato dal revisionismo storico. L'importante è non abbassare la guardia
Luigi Gedda e i Comitati civici: quella vittoria era nostra e la Dc l'ha sprecata.
Fulvio Fania
Un tripudio di maiuscole, una sequela di titoli reverenziali, un coro di santità solo formali, dove al posto di "beato" potrebbe starci anche "commendatore''. Cinquant'anni trascorsi non hanno increspato di un solo dubbio le memorie di Luigi Gedda, meno che mai sui comunisti che mangiano i bambini.
La sua ricostruzione del 18 aprile 1948 (Mondadori, 249 pagine, lire 32mila) si affida agli appunti personali delle udienze concessegli da due pontefici: Pio XI, l'artefice dei Patti Lateranensi con il fascismo, e Pio XII, il protagonista del dopoguerra. La forma sintetica e il procedere incalzante del libro dipendono certamente da questo proposito - in sé prezioso - di pubblicare fonti inedite, ma servono anche a sottolineare che Gedda, e non altri, era in quegli anni il vero uomo del Papa. E va fiero di quella assidua frequentazione delle stanze vaticane almeno quanto di essere stato - come indubbiamente fu - un mirabolante organizzatore, della Gioventù di Azione cattolica, degli Uomini cattolici e infine dei Comitati civici. Ovviamente non lo scrive, ma si intuisce un pensiero recondito dietro la narrazione, che ci sia stato qualcosa di provvidenziale anche nella sua vita, in quel suo farsi "angelo organizzatore" della campagna anticomunista. E di fronte alle odierne ceneri della Dc la fierezza non può che aumentare. Anzi queste sue memorie sono una sorta di vendetta postuma verso quel partito per il quale organizzò anche le Madonne pellegrine ma sempre guardandolo con sospetto di "sinistrismo". Annota Gedda che, mentre i suoi comitati civici incitavano a votare in difesa della Chiesa, la Dc si attardava troppo su proclami in difesa della democrazia.
Le pagine di Gedda confermano tutto, non rimeditano su nulla ma - bisogna riconoscerlo - pur esaltandole, confermano tristi verità storiche.
Gedda non ha niente da ridire su Pio XI che, per non dispiacere troppo a Mussolini, costringe don Sturzo a dimettersi da segretario del Partito popolare. Tutti i destini del mondo in pieno fascismo, sembrano racchiusi nella possibilità o meno di sviluppare l'Azione cattolica, tutta l'opposizione del Vaticano al regime consiste in un'unica levata di scudi contro il monopolio fascista della gioventù. Per il resto, l'obiettivo del Concordato fa premio su tutto e Pio XI parla del duce come uomo della Provvidenza. Gedda stesso pensa di mettere a frutto la lealtà dei cattolici nelle guerre in Africa - e lo fa presente al Pontefice - per scrollarsi di dosso le diffidenze delle camice nere. D'altra parte - scrive oggi il crociato dei Comitati civici - il pericolo era il comunismo e «le forze militari italiane avevano validamente aiutato il generale Franco contro i rivoluzionari». Così pensandola, non c'è da stupirsi se, per difendere papa Pacelli dalle accuse di non aver protetto gli ebrei, Gedda non trovi di meglio che la conversione al cattolicesimo del rabbino capo, Israele Zoller, divenuto prima Zolli e poi anche Eugenio.
E chi abbia mai pensato ai papato di Pio XII come ad un magistero universale, nel libro di Gedda può trovare invece un Pontefice assillato dalla campagna elettorale italiana, preoccupato perfino dei dettagli organizzativi e dalla presenza in aula dei deputati, affascinato dall'Uomo qualunque di Giannini più che dallo stesso De Gasperi. Alla Dc provvedeva monsignor Montini, futuro Paolo VI, mentre per il Papa - fa intendere Gedda - era soprattutto importante alleare il mondo cattolico alle destre pur di sbarrare la strada al Fronte popolare. L'ammissione è totale: i finanziamenti americani e perfino irlandesi ai Comitati civici, l'uso politico della religione, le benedizioni pontificie al popolo elettore, gli otto punti per le elezioni dell'amatissimo cardinale di Genova, Giuseppe Siri, precursore della scomunica ai comunisti.
A vincere quel 18 aprile non fu la Dc ma il Vaticano, quello - beninteso - preconciliare. Ne è convinto Gedda che dunque, con questo libro, si è voluto togliere anche qualche "sassolino".