A Bellaria, l'Italia delle

100 città

Fausto Bertinotti

Liberazione 17 aprile 1998

Siamo cresciuti in questi anni, anche nelle istituzioni. Sono oltre 3700 i consiglieri, oltre 50 i sindaci del Prc. Siamo diventati una presenza reale, una soggettività politica definita. Abbiamo saputo fare l'opposizione quando è stato necessario o quando ci hanno costretti. Abbiamo guadagnato posizioni di governo in tanti comuni, province, regioni. Siamo impegnati ad esercitare questa responsabilità, che gli elettori ci hanno attribuito e che con la nostra iniziativa politica abbiamo saputo conquistare, con grande impegno. Accanto a compagne e compagni di grande esperienza e prestigio che hanno messo a disposizione della comunità e del partito queste loro risorse, sono cresciute nuove esperienze. Centinaia di amministratori hanno fatto in questi anni la loro prima esperienza formandosi e superando mille difficoltà nella pratica diretta.

Sarebbe del tutto incredibile che non si manifestassero in questa costruzione limiti, errori, difetti nel lavoro politico, del partito in primo luogo, e, infatti, ce ne sono. Bisognerà impegnarci affinché essi siano corretti con la crescita della formazione, con una più efficace circolazione delle informazioni, con un più sistematico confronto delle esperienze, con una più larga partecipazione all'elaborazione degli obiettivi, con un più organico rapporto tra il partito e la sua presenza nelle istituzioni. Ma, intanto, una presenza significativa si è costituita e può essere impegnata nella costruzione di quel movimento per l'alternativa di cui avvertiamo ogni giorno di più l'esigenza.

Il paese, accanto al successo dell'azione del governo nella partecipazione dell'Italia alla costruzione della moneta unica, vive una crisi sociale profonda che solo la superficialità e la malafede di certa cattiva politica non vede. Il disagio sociale è alimentato dalla disoccupazione, cioè dal non lavoro; ma anche da come si sta riorganizzando il lavoro.

Il Sud è il luogo dove più si addensano queste contraddizioni. Le grandi periferie urbane sono i luoghi dove più acutamente esse si manifestano. Ma tutto il paese ne è contagiato.

Perciò insistiamo con così grande determinazione perché si avvii finalmente un nuovo corso riformatore nell'azione del governo. Perciò non siamo soddisfatti, perciò continuiamo ad essere molto critici e severi sull'azione del governo. Se l'indirizzo generale del Dpef assumerà come punto centrale dell'azione del governo la lotta alla disoccupazione ne sottolineeremo tutta l'importanza anche perché sarà il frutto di una nostra battaglia. Ma la strumentazione con cui perseguire quell'obiettivo non convince ancora, e su alcune scelte di fondo dal piano per il lavoro, ai contratti d'area, all'agenzia per il sud, dalla scuola alle politiche dei trasporti il nostro dissenso è proprio di impostazione.

Dunque il problema principale resta per noi quello della costruzione di un movimento per l'alternativa. L'azione nelle regioni, nei comuni e nelle provincie è parte rilevante di questa costruzione. Anche per questo bisognerà evitare qualsiasi riduzione dei trasferimenti agli enti locali affinché non provenga da li una pressione per un'inaccettabile taglio alla spesa sociale.

L'idea del federalismo liberale è, invece, il contrario di un'idea del cambiamento e di giustizia sociale. Essa vorrebbe spezzare l'universalità dello stato sociale, rompere l'unitarietà della tutela contrattuale nazionale, per comporre un mosaico in cui il peggio del nord-est dia la mano ad un mezzogiorno ridotto a pattumiera. Ma l'Italia delle cento città, delle radici profonde nel paese, di una nuova stagione di programmazione e di governo riformatore sul territorio, di un salto di qualità nelle politiche regionali può essere una rete di resistenza intelligente e di produzione di politiche sociali, culturali, civili, strutturali alternative al neo-liberismo. Ne hanno la vocazione; la nostra iniziativa le può trasformare in realtà organizzata. Il compito è difficile, le resistenze sono grandi.

Una cultura liberista ha fatto strada, ha guadagnato consensi anche tra i progressisti; la svalorizzazione del patrimonio pubblico, la logica delle privatizzazioni vengono perseguite con impegno degno di miglior causa, a volte con fanatismo; la programmazione contrattata è diventata il grimaldello con cui scardinare argini di difesa del territorio e del patrimonio naturale, artistico e culturale. In alcune situazioni, per queste ragioni si aprono divisioni e conflitti tra noi e il centrosinistra, a cui non si può rispondere semplicemente cercando di ridurre i danni. È necessaria una forte qualificazione della nostra proposta programmatica per il governo locale e regionale, su cui attivare energie, intelligenze, esperienze e soggettività. L'esclusione e la frantumazione sociale sono gli avversari più pericolosi che attentano alla ripresa di un discorso riformatore.

Ripensare il lavoro e la qualità della vita nei paesi e nelle città, indicare la via del cambiamento nella organizzazione dei servizi sociali e del territorio, rivalutare il pubblico, riguadagnare la possibilità concreta di generare valori d'uso, investire di una domanda qualificata e di una capacità d'intervento l'intero processo formativo, fare del lavoro il fulcro di una battaglia per mettere al centro dei programmi il sud e le periferie sono i tanti terreni di una nuova frontiera del nostro protagonismo nei comuni, nelle provincie e nelle regioni.

Lo dovranno essere nella prossima campagna elettorale in ogni località dove sarà importante raccogliere I consensi al Prc, quanto combattere per portare al governo lo schieramento progressista: una campagna elettorale assai impegnativa in cui voteranno 9 milioni e mezzo di cittadine e cittadini. E lo dovranno essere più in generale nel lavoro per portare avanti la costruzione di un nuovo partito comunista di massa.