Mezzogiorno e maggioranza: parla il presidente di Rifondazione Armando Cossutta

Accordo e non rottura

Carlo Benedetti

Liberazione 1 aprile 1998

PALERMO Un "giro" per le strade di questa capitale. Una "lettura" approfondita di quanto avviene, di quanto si dice o si fa. E tutto nella tragica "normalità" di una emergenza che è ormai norma. Con i soldati dell'operazione "Vespri siciliani" che ti guardano negli occhi cercando risposte alla loro condizione. Con i giornali del posto che non sanno più cosa sbattere in prima, perché ogni cosa, qui, diviene un mostro. E si tocca così con mano questa pesante realtà fatta di tante "tessere" di un mosaico che si compone e scompone. Roma è proprio lontana e il dramma sociale qui a Palermo non è il frutto di elucubrazioni sociologiche. La speranza, qui, non è una categoria del futuro. E le vicende del palazzo romano devono trovare - a Palermo appunto - risposte valide, concrete, credibili. E Cossutta, che arriva in questa città per parlare di giustizia, si trova a dover rispondere a tante e tante domande. Ci sono giornalisti e telecamere, intellettuali ed esponenti politici, dirigenti del Prc e rappresentanti di quel vasto mondo dell'associazionismo. Nasce un confronto carico di interrogativi, ma anche di risposte. E si parte dalle condizioni del Mezzogiorno per arrivare alle questioni immediate, quelle relative - ad esempio - al documento governativo di programmazione economica e finanziaria.

La richiesta che sale più forte che mai è, anche qui, quella che si riferisce allo sbocco, al che fare...

Il dramma sociale che ho colto in questi giorni - prima a Napoli ed ora qui a Palermo - richiede soluzioni urgenti. La situazione può divenire esplosiva. Occorrono interventi energici in queste zone contro la delinquenza organizzata e contemporaneamente - anzi: in primo luogo - contro la disoccupazione, attraverso investimenti massicci e concretamente mirati a realizzare opere utili e attività produttive che consentano l'assunzione di migliaia di posti di lavoro.

Intendi riferirti alla questione imminente del "pacchetto" del documento governativo?

Certo, quando parliamo di interventi energici abbiamo ben presenti problemi ed obiettivi. Di questo, quindi, deve tenere conto il prossimo, imminente, documento governativo di programmazione economica. Non si può continuare con una politica di contenimento e sostanzialmente di sacrifici che in verità hanno colpito principalmente i ceti popolari e medio bassi. Siamo entrati nell'Euro ma non abbiamo neppure intaccato né scalfito la disoccupazione. E dunque si tratta di cambiare registro, aprendo finalmente una nuova fase di sviluppo e di lavoro. È su questo che si varrà la vitalità e l'affidabilità stessa del governo e della sua attuale maggioranza.

Nell'intero Mezzogiorno e in tantissime altre zone del paese le richieste sono univoche. Il tema è sempre quello del lavoro e dell'occupazione. Quali indicazioni possono essere date? Quali gli impegni da far assumere?

I lavori necessari e possibili sono molti: nel campo delle opere pubbliche (fognature, acquedotti, depuratori, difesa ambientale, restauri, sistema viario periferico, trasporti, edilizia popolare...) e moltissimi gli impegni realizzabili nella stessa imprenditoria industriale, commerciale, turistica, agricola. Insomma un grande piano, un grande piano di sviluppo e di risanamento ben finalizzato nei mezzi finanziari e legislativi e ben cadenzato nei tempi. E per tutto questo è indispensabile un intervento pubblico forte, non esclusivo ovviamente, ma stimolatore e sostenitore di iniziative private, un intervento pubblico che può essere il volano di una generale ripresa.

Torniamo al documento governativo di programmazione economica e finanziaria. Quale sarà l'atteggiamento del Prc?

Il nostro atteggiamento su tale documento governativo sarà determinato dai suoi contenuti: non siamo disponibili ad arrangiamenti pasticciati. Chiediamo scelte precise e realizzabili in tempi ragionevolmente brevi, in alcuni casi urgentissimi. Non siamo noi che mettiamo in forse il permanere di questa maggioranza e di questo governo; sono i fatti, le opzioni, le prospettive conseguenti a determinare gli atteggiamenti politici nostri e di altri.

Ma sappiamo che c'è chi punta ad operazioni di ingegneria parlamentare. E anche in questo caso si pone il che fare...

È chiaro che se si punta comunque ad avere una maggioranza aritmetica quale che sia, per esempio con i voti dei cossighiani o di altri esponenti del centrodestra, ciò significa che non si pensa ad una politica riformatrice, di sviluppo per il lavoro, ma ad un adagiarsi su antiche o anche recenti soluzioni di fatto moderate e conservatrici. E che cosa c'entrano tali soluzioni con un'ispirazione che dovrebbe essere di centrosinistra? Che corrisponda al voto degli italiani per una politica di rinnovamento?

Sembrerà una battuta giornalistica, ma si parla di un tira-e-molla. Per giungere al vero tiro della corda...

Non siamo noi che tiriamo la corda per spezzarla, come dice Dini. Ma potrebbe essere in quel caso il governo a tirarla oltre il sopportabile. Anzi, vedo manovre preoccupanti, proprio per cercare di giungere non solo e non tanto ad un cambiamento di maggioranza, ma ad uno scontro dal quale far derivare una crisi di governo e un susseguente scioglimento delle Camere con elezioni anticipate, prima che inizi il "semestre bianco" nel corso del quale - da novembre in poi - scioglimento ed elezioni non sono più possibili. Perché è la Costituzione che lo proibisce. D'Alema, probabilmente, vuole, con elezioni anticipate, esercitare una forzatura contro la nascita di un corposo "centro" politico, che egli considera come un pericolo grave per la sua strategia bipolarista. Ed egli stesso comprende che i risultati della Bicamerale sono inadeguati e generalmente considerati insoddisfacenti, per cui non esclude di presentarsi al corpo elettorale dicendo: io i lavori della Bicamerale li ho conclusi, è il Parlamento che non sa tradurli in legge costituzionale; datemi una maggioranza per realizzarli compiutamente. Ed anche Prodi sta forse accarezzando la possibilità di presentarsi al corpo elettorale esaltando l'ingresso dell'Italia nell'Euro e chiedendo voti per una sua più forte leadership, personale e dell'Ulivo, nella nuova fase "europea".

C'è bisogno in questo momento - si dice - di una grande capacità di analisi. E per noi di Rifondazione questo sta anche a significare coerenza... E da queste considerazioni scaturisce anche la domanda sul chi cerca la crisi.

Certo: occorre avere continuamente una lucida capacità di analisi e, noi stessi, una coerenza di comportamenti: non siamo noi che vogliamo e che cerchiamo la crisi, noi operiamo per trovare e non solo per predicare un accordo programmatico serio. Né patto di legislatura, dunque, per il quale non esistono le condizioni; né tantomeno ingresso al governo. Bensì un accordo reale che orienti e regoli l'attività del governo da qui in avanti.

Hai ripetuto più volte, anche in altre occasioni, che le nostre proposte sono valide e realizzabili, sono giuste; ma che non basta avere ragione. Che è necessario raccogliere consensi ed intese per farla valere, crescere, avanzare sia nella società e nel Paese e sia nelle istituzioni democratiche.

È proprio così. Senza forzature, senza impuntature. Con la fermezza e la saggezza che devono sempre contraddistinguere la politica e l'azione di Rifondazione comunista, secondo la norma aurea che ci ha sin qui guidato e che è quella di saper continuamente coniugare la difesa strenua della nostra identità antagonista e alternativa con la tenacia realistica, per avere un orientamento costruttivo e per ottenere incisività realizzatrice dalla nostra attività. Siamo un partito politico, non una forza testimoniale; al quale partito guardano con speranza e con fiducia settori sempre più vasti delle masse popolari, proprio per la radicalità dei nostri obiettivi e contemporaneamente per la sicura affidabilità del nostro procedere.