Agire per il cambiamento Marco Rizzo (segreteria nazionale Prc) |
Liberazione 3 aprile 1998
Sono di queste ultime settimane alcune vigorose spinte per un "cambio di cavallo" - come si dice - nella maggioranza di governo. Prima per bocca dell'on. Cossiga, poi attraverso un'intervista dell'on. Dini, si fa strada nel dibattito politico l'idea di una sostituzione del Prc con un grumo non ancora precisato di forze centriste, al fine di garantire aritmeticamente una nuova maggioranza di governo.
Che obiettivo hanno queste spinte? C'è senza dubbio un obiettivo strategico, e cioè davvero un cambio di maggioranza. Ma c'è poi un obiettivo minimo, vale a dire un abbassamento della guardia da parte di Rifondazione, un accordo al ribasso, un pasticcio, insomma. Sia chiaro, una volta per tutte, per chi non ha capito, o per chi non vuoi capire, che i comunisti non ci staranno. Non è tempo - se mai lo è stato - di accordi in politichese, di affermazioni generali, di scatole vuote. Non è tempo, perché qui e ora c'è un'emergenza, l'emergenza lavoro, che solo le tre scimmiette (quelle che non vedono, non sentono, non parlano) possono non cogliere. Se il ministro Dini ha qualcosa a che vedere con le scimmiette, affari suoi. Per nostro conto, regoleremo i nostri rapporti col governo in base a quello che fa. E quello che fa, oggi, ha un nome ostico e burocratico, ma non per questo meno importante: si chiama Dpef.
E il Dpef è quella famosa scatola che noi vogliamo riempire innanzitutto di provvedimenti che garantiscano e favoriscano lo sviluppo del lavoro nel nostro Paese, e in particolare nel Mezzogiorno. Né - sia altrettanto chiaro - può funzionare con noi il ricatto delle elezioni anticipate, i cui "boatos", provenienti da Cascina D'Alema, da tempo rumoreggiano nel Palazzo. Non siamo disponibili a barattare il lavoro per chi non ce l'ha, con accordi purchessia per evitare le elezioni. Cosa vogliamo dunque? È semplice: lavoriamo per un accordo chiaro e di alto profilo, sapendo da un lato che non è possibile né un patto di legislatura né l'ingresso del Prc al governo, e dall'altro che possiamo conquistare un programma a termine di obiettivi concreti che riguardano in primo luogo la lotta alla disoccupazione. Dunque abbiamo una linea che esclude la forca del governo comunque e dell'opposizione comunque.
Teniamo alta la bandiera dell'unità e dell'autonomia, sapendo che nel primo caso sarebbe proprio l'autonomia dei comunisti in pericolo, mentre nel secondo ci condanneremmo al minoritarismo, accentuando le spinte di separazione del sociale dal politico. Qual è quindi la bussola che ci dà la rotta? I risultati concreti che riusciamo a conquistare sul campo. Da questo punto di vista la recente controversia, poi smorzata, fra governo e Confindustria, la dice lunga: a conferma della non neutralità della politica e della non oggettività dell'economia, è sorta una contraddizione forte tra Prodi e i rappresentanti dei grandi industriali italiani. Quando nel nostro terzo congresso nazionale parlammo del governo Prodi come una sorta di terreno di lotta sul quale preventivare vittorie e sconfitte, ma in ogni caso incidere, avevamo visto giusto.
Insomma, i fatti dimostrano che l'autonomia di un partito politico comunista si invera nei risultati politici e nella conquista di credibilità popolare. Non è dunque un'astratta questione di principio, decisa "a prescindere"; se così fosse, saremmo destinati a scomparire tanto più rapidamente quanto più alto sarebbe il grido nel deserto con cui la declamiamo. Ma è invece una conquista quotidiana, la forma del nostro fare politica, la premessa per la grande sfida dell'egemonia che da tempo abbiamo lanciato nel nostro Paese. Ed ecco perché dobbiamo garantire l'unità del partito: con un partito diviso, arroccato nelle beghe e nei litigi interni, in cui tutti bacchettano tutti, non avremmo l'energia, la capacità di attacco necessario per vincere la sfida che noi stessi abbiamo lanciato, e che non riguarda il partito come tale.
Commetteremmo un'errore di autoreferenzialità. Ma riguarda invece la vita e il lavoro di tutti coloro che rappresentiamo e che vorremmo rappresentare con sempre maggiore estensione ed efficacia. Questa è la saggezza di cui noi comunisti dobbiamo essere portatori: la capacità di governare un partito vivo, ricco di culture, di sensibilità e di storie politiche comuniste spesso diverse; la capacità di promuovere egemonia dal più piccolo comune all'intero Paese, così siamo davvero quella forza politica comunista, anticapitalista, antagonista, per cui tanto abbiamo lavorato in questi anni.