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La normativa

LR 8/10/2002 n.26 | DGR 6/10/2003 n. 14431 | Reg. reg.7/10/2003 n. 22 | Direttiva 2000/9/CE

L 24/12/2003 n 363 | Giurisprudenza

 
 

Cassazione, 13 gennaio 1993 - n.356
"La particolare responsabilità del vettore prevista dall'art. 1681 si applica anche al trasporto per seggiovia e si protrae fin quando non vengono meno gli effetti sul viaggiatore del moto impressogli dal mezzo al momento della discesa da esso"

Il contratto di sciovia può essere qualificato come contratto innominato e solo in certi limiti è avvicinabile al trasporto di persone. Non di meno, trattandosi di contratto, in caso di illecito, verrà in essere una responsabilità contrattuale (T. Bolzano, 11-08-1980 - Lohmeier Kagerer - Az. cura soggiorno Colle Isarco - Resp. civ., 1981, 93 - Arch. circolaz., 1981, 358 - c.c., 1681 - Foro it., Rep. 1981, voce Trasporto (contratto di), n. 17).

Il contratto di sciovia, caratterizzato dalla necessità che l'utente sia in possesso di una adeguata preparazione sportiva e presti un'attiva ed attenta collaborazione al fine di realizzare un trasporto senza incidenti, non riveste gli estremi di un normale contratto di trasporto di persone disciplinato dall'art. 1681 c.c. (A. Roma, 02-12-1981 - Soc. Itif - Forti - Riv. dir. sport., 1982, 69 - c.c., 1681 - Foro it., Rep. 1982, voce Funicolare, n. 2).

Il contratto stipulato con il gestore di un impianto di risalita riguarda il servizio di trasporto a monte e non si estende alla successiva discesa effettuata dallo sciatore (T. Torino, 23-04-1987 - Prisco - Soc. impianti seggiovia Sportinia - Arch. civ., 1988, 700 - Riv. dir. sport., 1988, 263 - Foro it., Rep. 1988, voce Responsabilità civile, n. 90).

Il trasporto di sciatori a mezzo di seggiovia rientra nella fattispecie del contratto di trasporto a titolo oneroso; (T. Bolzano, 22-05-1987 - Gotthard Wolzenburg - Schwalstaler Gletscherbahnen - Resp. civ., 1988, 487, n. CHIAVEGATTI - c.c., 1681 - c.c., 2049 - Foro it., Rep. 1988, voce Trasporto (contratto di), n. 12). Si è anche affermato che l'azione diretta accordata al danneggiato nei confronti dell'assicuratore concerne soltanto i danni derivati da sinistri verificatisi su strada adibita ad uso pubblico, (T. Palermo, 01-12-1983 - Soc. Costagliola marmi - Le assicuraz. Nazionali - Riv. giur. circolaz. e trasp., 1984, 706 - l. 24-12-1969 990/1969 - Foro it., Rep. 1985, voce Assicurazione (contratto), n. 173).

Per gli incidenti occorsi lungo piste di discesa, il gestore dell'impianto di risalita non può essere ritenuto responsabile perché‚ il contratto riguarda il servizio di trasporto a monte (A. Trento, 28-02-1979 - Dietmar - Soc. Piz de Sella - Resp. civ., 1980, 706 - Foro it.1981, voce Trasporto marittimo, n. 31).

Il contratto di sciovia non può essere qualificato come contratto di trasporto di persone in quanto manca del carattere essenziale della prestazione di quest'ultimo, vale a dire l'affidamento (T. Bolzano, 11-08-1980 - Lohmeier Kagerer - Az. cura soggiorno Colle Isarco - Resp. civ., 1981, 93 - Arch. circolaz., 1981, 358 - c.c., 1681 - Foro it., Rep. 1981, voce Trasporto (contratto di), n. 17).

Il contratto di sciovia non riveste gli estremi di un normale contratto di trasporto di persone (A. Roma, 02-12-1981 - Soc. Itif - Forti - Riv. dir. sport., 1982, 69 - c.c., 1681 - Foro it., Rep. 1982, voce Funicolare, n. 2).

Il trasporto di sciatori a mezzo di seggiovia rientra nella fattispecie del contratto di trasporto a titolo oneroso; è inoltre ravvisabile una responsabilità extracontrattuale ex art. 2049 c.c. dei dipendenti addetti agli impianti (T. Bolzano, 22-05-1987 - Gotthard Wolzenburg - Schwalstaler Gletscherbahnen - Resp. civ., 1988, 487, n. CHIAVEGATTI - c.c., 1681 - c.c., 2049 - Foro it., Rep. 1988, voce Trasporto (contratto di), n. 12).

 
Sentenza n. 332 dep. il 26/04/1995 - Pretore di Pordenone

Il caso sottoposto all’odierno vaglio giudiziale, in verità di lettura assai più semplice di quanto Ia “mole” del fascicolo per il dibattimento e la lunga istruttoria potrebbero lasciare intendere, presenta analogie con quello esaminato dal pretore di Aosta, che, con sentenza n° 64 del 26 febbraio 1990, ha ritenuto che “nel caso di lesioni subite da sciatore che, scendendo lungo una pista da sci, a seguito di caduta, era andato ad urtare contro un pilone di sostegno di impianto di risalita, in mancanza di più specifiche norme, trova applicazione la valutazione generalmente dettata dall’art. 43 c.p. in relazione, ai reati colposi”, aggiungendo ed affermando i seguenti principi, che questo giudice ritiene di condividere, così anticipandosi le conclusioni dell’iter logico seguito:

* A) “A carico del responsabile di una pista da sci, stante la particolarità del settore e le peculiarità tecniche, è orientativamente ipotizzabile la colpa per imperizia, configurabile nell’osservanza del dovere giuridico di osservare le regole di condotta che tendono a scongiurare eventi dannosi prevedibili secondo la miglior scienza ed esperienza del momento storico e dello specifico settore”.

* B) “In capo al responsabile sussiste il dovere di preparare e mantenere una pista, predisponendo adeguati sistemi di sicurezza secondo il grado di difficoltà commisurata all’abilità degli utenti cui è consigliata. Il grado di difficoltà della pista va individuato secondo la regola cromatica consigliata dal “decalogo dello sciatore” (F.I.S. Beyrouth 1967) normalmente utilizzata nelle stazioni sport invernali”.

* C) “Nessuna cautela è necessaria in relazione ai pericoli evidenti che lo sciatore, con la sua capacità, è in grado di fronteggiare (omissis)”.

Senza avere nessuna pretesa di offrire una visione esaustiva e definitiva dei problemi giuridici, talvolta di non facile soluzione, connessi alla disciplina sportiva dello sci alpino (che d’ora in avanti, per semplicità, verrà definito “sci” puramente e semplicemente), c’è una questione che va immediatamente chiarita e dalla quale non si può assolutamente prescindere nell’affrontare i problemi che ci occupano, e ciò in dissenso con quanto il P. M. e la parte civile hanno ritenuto, intendendo forse trasferire, in subiecta materia, una logica giuridica più appropriata alla valutazione della responsabilità del datore di lavoro per gli infortuni occorsi ai propri dipendenti.

Lo sci è una disciplina sportiva, la cui pratica, in quanto tale, deve essere non solo tollerata ma anzi incoraggiata ed il più possibile favorita dal legislatore e dall’interprete in forza del dettato dell’art. 2 dalla Costituzione, ben poco rilevando che, ai fini del suo esercizio, della sua propaganda in specie tra i giovani e nelle scuole, siano sorte organizzazioni in forma d’impresa che, “sfruttando” il fenomeno, sempre più diffuso nella nostra società -si può certamente definire al giorno d’oggi lo sci uno “sport di massa” quanto meno in certe regioni d’Italia- lucrino guadagni sovente non indifferenti (si pensi a tutto l’indotto dello sci, agonistico o meno, e in particolare, a mo’ di esempio, alle sponsorizzazioni, ai servizi di tutti i tipi esistenti nelle località sciistiche ecc..).

Lo sci è peraltro uno sport tecnico che, come altri (si pensi ad esempio alla “vela”, alla “pesca subacquea”, al “paracadutismo”, all’“alpinismo”e l’elenco potrebbe proseguire), ha una sua peculiarità, vale a dire viene praticato in un ambiente naturale qual è, nella specie, la montagna e, quindi, in ben specifiche condizioni che sono ovviamente note a chi vi si accosta.

Insomma, chi va a sciare lo fa -e vuol farlo, attenzione- “in montagna” e, quindi, a diretto ed immediato contatto con la natura, all’aria aperta, in mezzo ai boschi, tra le rocce, godendo magari accostandosi ad un dirupo di panorami sublimi ed impareggiabili, preclusi a chi (come lo stesso giudicante, purtroppo) quello sport non pratica.

Da tutto ciò non si può prescindere in alcun modo, sarebbe la fine di questo sport.

Chi va a sciare, poi, desidera anche una certa “ebbrezza”, vale a dire quella “eccitazione” che deriva dallo scendere, anche ad una certa velocità, lungo le piste innevate in quel contesto naturale che si è inteso delineare, e quindi, di conseguenza, anche un certo margine di “rischio”.

Anche questa è una componente essenziale di questa attività sportiva e, come bene ha detto il Pretore di Aosta nella già citata sentenza, “… contribuisce a conferirle il suo fascino peculiare e a scatenare nello sciatore quella girandola di emozioni che appaga la sua passione”.

In altri termini, se lo sci non avesse insito proprio un certo rischio, non fosse un po’ “pericoloso” , così come del resto accade in tutte le discipline che si praticano a contatto con la natura (ma non solo in queste, si pensi all’automobilismo), molti verosimilmente -questa è l’opinione del giudicante- non lo praticherebbero neppure: l’uomo sciatore, come in genere l’uomo che pratica lo sport, vuole misurarsi con se stesso e con gli altri, migliorarsi, vincere talvolta la natura e i pericoli che in questa sono insiti.

Se lo sci fosse praticato in ambienti asettici, su piste lisce come tavoli da bigliardo, ancora una volta l’essenza di questo sport verrebbe del tutto snaturata: lo chiameremo forse con un altro nome ma sci non sarebbe più.

 

 

Sentenza n° 79 del 28/01/1997 della Corte d’Appello di Trieste

IN DIRITTO

Osserva questa Corte che, pur trattandosi di un incidente sciistico, e cioè inerente ad un avvenimento squisitamente dinamico, dato il pacifico svolgersi dei fatti, tutto il problema fondamentale della vicenda processuale si dipana lungo la strada, non ancora ben percorsa, della normativa vigente in materia.

Pacifico essendo l’accaduto, si deve esaminare se dello stesso possano essere tenuti responsabili i tre imputati, ovvero uno solo di essi.

L’addebito loro contestato è quello di una “culpa in omettendo” consistente nel fatto di non aver provveduto a munire dei debiti ripari i bordi della pista “Salomon”.

E’ del tutto certo che lo sventurato P. cadde all’interno della pista e non già al di fuori di questa e che abbia poi proseguito il proprio movimento verso il basso, deviando in direzione del bordo del tracciato anche, ma non solo, per effetto dalla ricordata pendenza laterale presente sul posto con una inclinazione pari a circa il 10%.

Anche su ciò “nulla quaestio”.

Una caduta dagli sci è un avvenimento del tutto normale anche fra i campioni e, quindi, non meraviglia che accada al “turista della domenica”.

Non deve perciò sembrare strano che il P., che campione certamente non era, abbia finito, anche lui, col perdere l’equilibrio, rovinando al suolo.

Si tratta, ora, di esaminare di che cosa gli imputati possano essere giudicati colpevoli.

Non certamente della caduta, per i motivi sopra visti.

Non di una particolare difficoltà o pericolosità della pista, contraddistinta da un cartello rosso, e quindi indicata a sciatori di una certa abilità, come risulterebbe essere stato il P.

Va premesso, per chi ne abbia una sia pur minima esperienza, che tutte, o quasi, le piste da sci, sono per lunghi tratti, fiancheggiate da formazioni boschive.

Ciò, indubbiamente costituisce un pericolo, come lo è quello di circolare in automobile o altro ma tale forma di pericolo, più o meno, fa, per così dire, parte del gioco.

Al proposito va ricordato che la normativa, carente, oggi come allora in tutto il mondo, non prevedeva obbligo alcuno di predisporre dei ripari sui bordi, come non li prevede la L. Reg. 26/91, non ancora operativa il giorno del sinistro.

Quanto ai massi che causarono la morte del P., va rilevato che gli stessi non si trovavano già al limite della pista o fuori di esso, ma all’interno del bosco, sia pure di poco.

In conclusione, si può dire che, nel caso, non vi fu violazione di norma contrattuale, avendo la P. s.p.a. adempiuto al proprio obbligo, trasportando gli sciatori verso la cima, mettendo quindi a loro disposizione un tracciato preparato per la bisogna, come era quello della pista “Salomon” quel giorno.

Secondo questo Collegio, non può neppure dirsi che violata fu una norma extra contrattuale come quella generale del “neminem ledere”.

La P. s.p.a., infatti, come accertato, metteva a disposizione degli sciatori delle piste perfettamente battute, senza pericoli all’interno del tracciato e, in alcuni punti, fiancheggiate da formazioni arboricole come tutte le piste del mondo.

Una responsabilità extra contrattuale si sarebbe potuta determinare se un qualche imprevisto ostacolo o trabocchetto vi fosse stato all’interno del tracciato in modo tale da sorprendere inaspettatamente gli sciatori, potendo, in ultima analisi, essere causa di infortuni.

Non è, invece, accoglibile la tesi dell’appellante procuratore circondariale di Pordenone laddove afferma che, nella pratica dello sci, deve essere richiesta una assoluta sicurezza.

Tale tesi non può essere condivisa prevedendo lo sci, come qualsiasi altro sport, più o meno, l’accettazione di una maggiore o minore parte di rischio.

Ne è poi vero quanto dallo stesso appellante affermato che, cioè, la piccola pendenza laterale aveva portato il P., a seguito della caduta, “inesorabilmente” verso il bosco.

La pendenza laterale, infatti, era sicuramente inferiore a quella dell’asse mediano della pista e, come detto, si presentava nella misura assai ridotta del 10%, tale quindi da essere agevolmente controllata da uno sciatore uso a percorrere piste “rosse” il quale, da terra, può facilmente mettere gli sci paralleli verso valle, fermandosi in breve spazio.

Evidentemente il P. volle aumentare la quota di rischio andando intenzionalmente quanto inutilmente e imprudentemente a rasentare il bordo della pista talché, cadendo, si vide in pratica immediatamente proiettato nel bosco.

Questa è l’unica tesi accettabile sulla dinamica dell’incidente.

Se lo sciatore non ebbe tempo di porre in essere alcuna manovra che lo tenesse in pista altro, non si può affermare se non che lo stesso si trovava a rasentare il limite della pista.

A tale punto, terminando la sua corsa che, come accertato testimonialmente era piuttosto veloce, quindi, imprudente data l’ora mattutina che rendeva la neve dura e veloce e la totale mancanza di conoscenza del percorso da parte del P., costui non poteva che finire proiettato fuori dei margini e, quindi, nella zona boschiva nella quale correva il grave rischio di un impatto del capo contro un masso o, con uguale nefasta efficacia, contro un tronco.

Appare evidente che, una volta che il titolare della concessione di pista ha predisposto l’impianto di risalita e il terreno in discesa nel rispetto dei canoni che la tecnica sciistica impone, allo stesso non potrà farsi carico della colpa posta in essere dallo sciatore.

Tutte le piste del mondo sono, per la massima parte del loro sviluppo, limitate da alberi e spesso proprio abbattendo degli alberi le piste vengono ricavate.

Ciò non significa affatto che per renderle sicure al 100%, dato, poi, meramente teorico, si debbano abbattere tutti gli alberi delle foreste.

Tre sono quindi le possibilità e cioè violentare totalmente la natura abbattendo tutti gli alberi, il che è assurdo, contenere tale abbattimento tracciando delle piste limitate da zone boschive, oppure vietare del tutto la pratica dello sci.

Una sola è la soluzione logica e non occorre un grande sforzo di fantasia per capire quale sia delle tre.

Per dimostrare la pericolosità della “Salomon” sono stati prodotti in giudizio duecento certificati medici relativi da altrettanti infortuni subiti da sciatori.

Ciò non ha il minimo valore probatorio.

In sostanza è come se, volendosi dimostrare la colpa di un taxista di New York in un incidente, si producessero duecento verbali di eccesso di velocità.

Ciò lascerebbe e lascia il tempo che trova.

Da nessuna delle indagine svolte, ivi comprese quelle di natura tecnica, si è riusciti a trarre un solo elemento che dimostrasse l’affermato nesso di causalità fra condotta assertivamente colposa dei tre odierni imputati e l’evento di morte.

Nessuna indagine, del resto, è stata in grado di affermare l’idoneità della pista “Salomon” alla pratica dello sci, o meglio un limite evidente vi era e vi è: quello della idoneità del singolo sciatore ad affrontarne le difficoltà che la fanno diventare una pista “rossa”.

Gli impianti della “P. s.p.a.” erano stati visitati e ritenuti idonei alla pratica dello sci.

Alla domanda se la morte del P. costituisse un evento prevedibile, la risposta da dare è una sola: entro ragionevoli limiti lo era come quella di un ciclista o di un pugile.

Ciò, però, non basta a vietare la pratica di alcuno di tali sport.

Il P. G. affermava, ancora, nei suoi motivi che è necessario porre dei ripari nei punti più pericolosi della pista.

Ciò è relativamente vero e vale nel caso di eventi nei quali è obbligatorio scendere a valle al massimo della velocità, senza rallentare e porre in essere manovre di sicurezza come quelle abitualmente adoperate dagli sciatori turisti, quale era il povero P..

Può, per altro, anche ritenersi che un tale criterio sia applicabile agli eventi non agonistici, ma di certo ciò vale limitatamente alle zone poste all’interno della pista in caso di ostacoli veramente pericolosi, come un pilone di seggiovia o simili.

Di nessun rilievo, ancora, va ritenuto il fatto che nel 1994 vi fosse stato a Piancavallo un altro incidente, nessun rapporto di causa avendo lo stesso con l’evento in esame.

In conclusione, la mancanza del sia pur minimo elemento di colpa a carico degli imputati, gli stessi dovevano essere sciolti dall’addebito con la già adoperata formula perché il fatto non costituisce reato.

Le spese del grado andranno compensate tra le parti.

P.G.M.

visto l’art. 605 C.P.P.

conferma

la sentenza del pretore di Pordenone in data 22/03/1995 appellata dal P. M. circondariale di Pordenone e dalle parti civili G. R. A. per sé e per la figlia minore P. M. C. nei confronti di D. Z. P., R. G. e S. R.

Compensa le parti delle spese del presente grado del giudizio.

Assegna il termine di giorni trenta per il deposito della sentenza.

 

Vedi anche:
Cass. 23 maggio 1997, n. 4607 (I, 2470): natura del contratto di risalita in seggiovia e non responsabilita' del gestore per danni successivi all' arrivo

LR 8/10/2002 n.26 | DGR 6/10/2003 n. 14431 | Reg. reg.7/10/2003 n. 22 | Direttiva 2000/9/CE| Giurisprudenza