Restauro

LA GHIACCIAIA DI VILLA RANUZZI-COSPI

Prospetto della facciata anteriore ottenuto dal raddrizzamento prospettico e successive correzioni di un'immagine fotografica.

La costruzione di un modello tridimensionale ha consentito una più rapida comprensione dei fenomeni statici strutturali ed una maggiore efficacia di rappresentazione.




La ghiacciaia

Cenni storici

La realizzazione della ghiacciaia è inserita nel più vasto programma del progetto di Villa Ranuzzi Cospi, si può quindi datare nell’anno 1700 ed attribuire, come confermano anche alcuni disegni originali, a Sebastiano Bertelli, citato in diversi testi come architetto o perito, di cui mancano però ulteriori notizie. La conclusione dei lavori dell’intero complesso, si può dedurre nel 1711, anno in cui il 15 agosto si tenne la festa memorabile descritta nei paragrafi precedenti.

Infatti come si può risalire dalla documentazione originaria dell’epoca, i disegni della ghiacciaia sono contemporanei alla definizione della pianta della villa. E, a giudicare dalle numerose prove eseguite, sembra che sia stata proprio la decorazione della ghiacciaia, e di conseguenza quella della cappella, a creare maggiori problemi. Le varie prove illustrano come dovessero essere ancora studiate, oltre che gli eventuali stucchi, anche le proporzioni in altezza. Questo materiale pervenuto, sembra addirittura far desumere che sia stata la ghiacciaia a definire la facciata della cappella anziché, come era più facile aspettarsi, il contrario.

Questa documentazione, rinvenuta presso il Gabinetto dei Manoscritti dell’Archiginnasio di Bologna, è stato fotografato ed allegato nella sezione fotografica. La ghiacciaia ha avuto nel tempo diversi proprietari, tra cui i Malvasia; ultimamente appartenne ai Del Vecchio, da cui l’hanno acquistata i marchesi Malvezzi Campeggi. Questi ultimi hanno ceduto l’intero complesso a proprietari diversi parcellizzando e lottizzando il terreno. La ghiacciaia ed il terreno retrostante sono quindi oggi una proprietà separata dal resto della villa, e sono stati acquistati all’inizio del ’95 dagli attuali proprietari, che preferiscono rimanere nell’anonimato.



Una neviera

L’edificio analizzato, probabilmente, non è una ghiacciaia vera e propria, ma più precisamente è una conserva, detta anche neviera. La differenza tra questi edifici atti alla conservazione del ghiaccio sta nella tecnica di raccolta; infatti nelle ghiacciaie viene introdotto il ghiaccio raccolto negli appositi bacini o nei fiumi, mentre nelle neviere, come dice la parola stessa, è la neve ad essere conservata.

Questa affermazione può essere giustificata dalla posizione geografica in cui si trova Bagnarola di Budrio. Situata nella bassa, al livello del mare, come il resto della pianura Padana, gode di un clima continentale: estati molto calde ed inverni particolarmente rigidi. Durante la stagione fredda si poteva così contare su nevicate abbondanti e relativamente costanti, sicuramente in grado di riempire le varie neviere. Come si può notare anche dal confronto con altre conserve della zona, tra cui quella di Villa Malvezzi Campeggi, ciò che suggerisce tale uso di queste ghiacciaie è anche la loro grande capacità. Le dimensioni erano infatti adeguate a sopperire ad eventuali annate di magra. Oltretutto non esistono nelle vicinanze corsi d’acqua importanti, indispensabili alla produzione del ghiaccio.

Come si è già visto, la tecnica di rimessaggio della neve all’interno della ghiacciaia necessitava di alcune precauzioni. Essa infatti non è così compatta come il ghiaccio, era dunque necessario che venisse prima raccolta in grossi mucchi, quindi doveva essere compressa per eliminare il più possibile gli interstizi tra i vari cristalli di ghiaccio. Una volta conclusa questa operazione, se la neve non fosse stata abbastanza fredda, era necessario bagnarla, in modo tale che l’acqua aggiunta si congelasse, a formare un unico blocco molto compatto.

Probabilmente l’operazione di raccolta della neve coinvolgeva gran parte della manodopera alle dipendenze dei Ranuzzi Cospi: sia perché durante la stagione fredda se ne poteva disporre più facilmente, poiché si fermavano i lavori agricoli, sia perché la neve veniva trasportata su carri e a spalla, coinvolgendo in questa operazione anche le donne ed i bambini.

Caratteristiche dell’edificio

L’edificio in questione è molto particolare perché accoglie in sé due funzioni distinte: è sia ghiacciaia che belvedere. Dal punto di vista compositivo l’insieme architettonico è stato ottenuto mediante l’unione di due elementi distinti, caratterizzati da esigenze diametralmente opposte. Il primo, cioè la quinta scenica della facciata doveva avere requisiti di tipo soprattutto formale, mentre il secondo, ovvero la cupola seminterrata, doveva invece soddisfare principalmente esigenze di tipo funzionale.

La facciata otteneva quindi un duplice effetto: si inseriva nel disegno complessivo della villa, riconfermandone la simmetria impostata sull’asse visuale che la collega al palazzo Bentivoglio, mentre la sua posizione a mezzogiorno preservava la conserva, il vero e proprio contenitore del ghiaccio, dall’irraggiamento solare; anche la cupola, corpo architettonico sostanzialmente funzionale alla sola ghiacciaia, presentava alla sua sommità un punto sopraelevato, ideale ad essere trasformato in un belvedere.

Questa unione di più funzioni ha dato come risultato un edificio sicuramente bizzarro, originale ed unico nel suo genere, ma per certi aspetti carente di quelle qualità tecnologiche che un edificio specialistico avrebbe dovuto possedere. La parte adibita a ghiacciaia è costituita da un ambiente seminterrato, coperto da una cupola a sezione ogivale. L’accesso, evidenziato da un portale esposto a nord, è garantito da un piccolo corridoio, sormontato un tempo da una volta a botte, della quale rimangono però poche tracce. La coibentazione e l’inerzia termica necessarie sono state ottenute ricoprendo la cupola con un abbondante strato di terreno. Uno sfiato posto nella sommità garantiva l’areazione e il deflusso dell’aria più calda.

Il belvedere, è raggiungibile per mezzo di due rampe, di cui una completamente crollata, che fiancheggiano la cupola e terminano con due scalinate a ventaglio. Questo spazio, coperto da una volta a vela centrale e due botti laterali, si apre verso nord con una elegante serliana, e con una finestra ellittica sulle pareti laterali. Da qui si può accedere, attraverso un passaggio che si appoggia direttamente alla cupola, al punto più panoramico situato su quella che si potrebbe definire la lanterna. Al centro di questo spazio circolare si trova l’imboccatura superiore dello sfiato della ghiacciaia, formata da un anello in arenaria, circondato da una pavimentazione realizzata in pianelle di cotto disposte a cerchi concentrici.

Questa ghiacciaia, anche per la sua complessità compositiva, è quindi ricca di felici intuizioni; sono state ricercate infatti le peculiarità dei due elementi accostati e combinate in modo da valorizzarle. Nonostante questo lavoro di armonizzazione, bisogna però rilevare alcuni aspetti riguardanti l’aspetto tecnico e funzionale dell’edificio.

Le prime considerazioni derivano dal tipo di terreno in cui questo fabbricato è collocato: poiché questo è molto umido, questo inconveniente è stato affrontato adottando la tipologia più adatta: quella di ghiacciaia seminterrata. Sfortunatamente una sorgente costantemente ne allaga il fondo e, visto che lo scolo, che una volta era necessario per eliminare l’acqua ottenuta dalla fusione del ghiaccio, è affidato ad un ciottolato che funge da vespaio, la presenza di acqua all’interno è costante e sarebbe diventato fattore che avrebbe aumentato la temperatura dell’ambiente e l’umidità relativa che avrebbe favorito lo scioglimento del ghiaccio.

Se questo primo punto può essere imputabile alla mancata manutenzione ed al cambiamento delle condizioni geologiche in prossimità dell’edificio, esistono anche delle perplessità riguardo alla forma geometrica stessa dell’edificio. Già analizzando la forma del catino si può scoprire che non è convenzionale agli scopi di una ghiacciaia. La sezione mostra infatti un’altezza molto minore rispetto alla larghezza. Questa differenza di proporzioni significa un aumento della superficie di contatto tra il ghiaccio e l’aria, area che in tutti gli schemi analizzati nei capitoli precedenti, era minimizzata, adottando sezioni inscrivibili per lo più in un quadrato.

Se il catino suscita parecchi interrogativi, anche il tipo di volta scelto per la copertura è inusuale ad una ghiacciaia. Una cupola a sezione ogivale è troppo alta perché possa avere dei reali vantaggi: l’unico può essere quello di una riduzione del volume di aria calda presente all’interno (nella parte superiore), che comunque, poiché l’altezza non era interamente utilizzabile, risultava essere troppo grande. La capacità non poteva infatti essere sfruttata in pieno : l’ingresso è allo stesso livello del termine del catino tronco conico: il caricamento della ghiacciaia, che poteva avvenire solo da qui, poteva quindi difficilmente superare tale limite. Data la forma forse sarebbe stato lecito supporre che la ghiacciaia potesse essere caricata dall’alto, ipotesi che va subito scartata per le ridottissime dimensioni dello sfiato superiore.

L’ultimo appunto va rivolto alla presenza di scale in muratura all’interno del catino. Se infatti il ghiaccio, fondendosi fosse scivolato in basso lungo le pareti del cono, le scale sarebbero diventate un ostacolo a questo movimento. In altre ghiacciaie l’accesso alla parte inferiore del catino avveniva solamente attraverso scale di legno rimovibili, che venivano appoggiate sulla superficie del ghiaccio solo in caso di necessità.

Queste osservazioni fanno quindi dubitare della reale efficienza di questa ghiacciaia, dove la volontà di soddisfare anche all’esigenza di belvedere ha sacrificato aspetti importanti della conservazione del ghiaccio.