RAINGODS WITH ZIPPOS
(Cliccando sui nomi dei brani sottolineati potrete leggerne le traduzioni)

 

Eccomi qua, nel 1999, a recensire l'ultimo lavoro di Fish.
Il primo ascolto di un nuovo album di Derek W. Dick per me ha sempre rappresentato una grande emozione che normalmente, almeno all'inizio, ha la meglio sull'obiettività. Per questa ragione ho deciso di mettere le mie impressioni nero su bianco solo dopo aver ascoltato "Raingods with Zippos" qualche volta in più (diciamo pure che ha vissuto 3 settimane nel mio stereo), riuscendo a individuarne meglio quelli che sono i suoi punti di forza e (ahimé) i suoi -seppur pochi- punti deboli.

Il pezzo che rompe il ghiaccio è "Tumbledown", che si apre con un intro di piano che ha il compito di preannunciare alcuni dei momenti di pura poesia che si troveranno all'interno di questo disco. Questa bellissima melodia cede improvvisamente il posto ad un'esplosione di suoni che ci proietterà nel vortice della 'vera' "Tumbledown", canzone energica e allo stesso tempo orecchiabile, con un ritornello facilmente memorizzabile in cui sentiamo per la prima volta la voce della corista che sarà presente in quasi tutti i brani. Per la prima volta sentiamo anche pronunciare le parole "Raingods with Zippos" dalla voce di Fish, cosa che si ripeterà in "Plague of Ghosts".

Immediatamente dopo, "Mission Statement" ha il potere di mettere addosso una irrefrenabile voglia di muoversi, saltare e ballare. Sfido chiunque a stare fermo ascoltandola. Si tratta di un rock n' roll classico (tipo Jeepster) e sicuramente piacevole nonostante non dica nulla di nuovo. Ma sarà meglio non lasciarsi ingannare dalla leggerezza del sound in quanto il brano in questione non è affatto leggero nei contenuti (vi rimando alla mia traduzione per verificarlo). Il testo infatti riassume le intenzioni di Fish e l'idea che si è fatto del suo futuro a seguito delle difficoltà e delle esperienze negative a cui ha dovuto far fronte nel 1998, anno da lui stesso definito come il peggiore che possa ricordare. In definitiva, a mio parere, si tratta di una canzone in cui testo e musica non vanno esattamente di comune accordo, e quest'incorenza purtroppo metterà in secondo piano un testo molto bello e sentito che avrebbe meritato una cornice più degna.

Reduci da un ritmo frenetico come quello di Mission Statement, "Incomplete" potrebbe fare l'effetto di una frenata brusca. Questo primo singolo non sembra avere il potenziale per essere passato in radio o per essere canticchiato (normalmente le caratteristiche fondamentali di un singolo). Sicuramente è necessario più di un ascolto per esprimere un giudizio obiettivo, infatti di primo acchito sembra decisamente monotona, ma ascoltandola con più attenzione, questo duetto con Elizabeth Antwl acquista significato. Fish dà l'impressione di sentire particolarmente sue le parole di questo brano che parla di una relazione in crisi, e le interpreta con un cantato struggente. E' tanto convincente da rendere tangibile la sensazione di "incompletezza" che sente dentro di sé oltre a ripercorrere a parole e con malcelata nostalgia i tempi in cui tutto era perfetto. Ad accompagnare le parole troviamo una melodia malinconica che riesce a raggiungere il cuore dell'ascoltatore.

"Tilted Cross" Ok, pensate pure il contrario se volete (c'è chi pensa sia bellissima) ma per me questo è uno dei (pochi) punti deboli dell'album. A mio (spietato) giudizio, questo è un brano senza carattere con la pretesa di assomigliare a una ballata, la cui melodia ripetitiva e monotona è interrotta solo dal ritornello che comunque non aggiunge vivacità alla canzone. Le voci di Fish e della corista sono accompagnate solo dalla chitarra acustica e da un violino (vero o sintetizzato?) alle cui spalle fa capolino un ritmo (anch'esso monotono) che fa di tutto per nascondersi dietro alla chitarra. Qui Fish sostiene di aver lasciato il suo amore in una tomba… Che parli di esperienza personale?

Con "Faith Healer" finalmente torna la grinta, e torna alla stragrande. Questo pezzo della Sensational Alex Harvey Band è realmente entusiasmante. L'avevamo già sentito e strasentito interpretato da Fish, infatti uscì come B-side di "Big Wedge" in una versione pseudo-live, ma questa volta si tratta di un'interpretazione velenosa, aggressiva, coinvolgente e quanto mai esaltante. I brividi salgono! Che ci sia lo zampino della chitarra di Steve Wilson? Purtroppo non conosco ancora i nomi dei musicisti che hanno suonato nell'album e in quali pezzi, ma mi pare proprio che il suddetto chitarrista dei Porcupine Tree qui potrebbe aver avuto di che sbizzarrirsi. Sussurratelo anche voi: "Faaaaaaaith!"

"Rites of passage": Rieccoci alla tranquillità. Quanta? Troppa! Su questo pezzo si rischia realmente l'abbiocco. Avete presente l'insopportabile colonna sonora di Titanic? Eccola qua cantata da Fish! :) Se soffrite d'insonnia non avrete bisogno di aiuti chimici, accendete lo stereo e vi garantisco che nel giro di circa sette minuti e quaranta secondi (E' troooooppo lunga!) prenderete sonno come non mai. E qui aprirei una parentesi dicendo che secondo me "Rites…" avrebbe dovuto fare la sua comparsa nella raccolta "Kettle of Fish" insieme a "Chasing Miss Pretty" e al posto di "Mr. Buttons", un brano che avrebbe fatto una figura migliore sul presente album… Ma chi sono io per contestare le scelte del nostro omone in kilt?

Ma non spenderò una parola in più su "Rites" perché sta per cominciare il vero CAPOLAVORO di Fish solista: "Plague of Ghosts". Qui Fish si affida a degli effetti sonori per accompagnare la propria voce tra i momenti inquietanti e spesso drammatici di questo splendido brano musicale. "Plague..." è un titolo che ne racchiude in sé altri 6, a cominciare da "Old Haunts". Questa prima parte rappresenta in un certo senso l'inizio del viaggio e serve a dipingere la scena. Fish propone un'ambientazione, e descrive i sentimenti di chi parla in prima persona… Una casa nell'oscurità, tuoni in lontananaza, pioggia, ombre, la strana sensazione di non conoscere la propria identità e la voglia di nascondersi. Musica d'atmosfera.

A questo punto parte "Digging deep" e parte anche il ritmo irresistibile che rappresenta indubbiamente l'anima di "Plague…" : scava, scava, scava con le parole e con la musica (che questa volta si accompagna perfettamente al testo), e ci racconta a tratti in spoken words, e a tratti con la rabbia già vista in "Jungle Ride" gli eventi ineluttabili attorno a lui oltre che, di nuovo quello che prova. Arriva la stagione delle piogge che porta via tutto, compresi i suoi sogni spezzati. La musica qui è semplicemente perfetta per indicare lo smarrimento del nostro narratore: chitarra e tastiere la fanno da padrone mentre Fish dietro di loro insiste a chiedere a sé stesso "Are you happy now?"

Una serie di rumori inquietanti che ricordano il mondo acquatico ci porta all'inizio di "Chocolate frogs", dove ci si ritrova faccia a faccia col dramma della vicenda. Le immagini sono molto forti, e la musica e i rumori di sottofondo accompagnano il pathos. Si parla di cadaveri trascinati nel fango dalla corrente a seguito di un'alluvione. Sono immagini reali oppure allegorie dei suoi sentimenti? L'intera Plague potrebbe essere un'enorme metafora per indicare il suo stato d'animo.
In Scozia, dire che a qualcuno che ha "a heid fu' of chocolate frogs" (una testa piena di rane di cioccolato) significa accusarlo di raccontare assurdità. "A heid full of chocolate frogs is all you gave to me", accusa Fish. Non mi hai raccontato altro che assurdità.

"Waving at stars" esprime l'amarezza della delusione. Un cantato lento che trova come base un ritmo frenetico che svanirà gradatamente per mettere in risalto le dolci note del pianoforte, destinato a sua volta a spianare la strada al grandioso cantato di Fish in "Raingods Dancing", di cui non posso e non voglio dire niente se non questo: i brividi provocati da questi brevissimi minuti di poesia sono paragonabili solamente alla magia che scaturiva ai più fortunati tempi dei Marillion. Le parole non possono definire la bellezza di queste note, e spero che quando le sentirete mi darete ragione.

Manca solo "Wake-up call (Make it happen)", la giusta conclusione di questo sensazionale viaggio di rara bellezza. Una perla. Solo qui si intravede una "happy ending" quando si dice "We can make it happen" possiamo fare in modo che accada. Non poteva concludersi meglio.

Io penso che "Raingods with Zippos" valga l'acquisto anche solo per "Plague of ghosts". Magari a Fish non piacerebbe la definizione, ma io un pezzo così lo definisco prog. E voi?

Maria Luisa