Dal Debito... al Credito del Sud del Mondo è la quarta conferenza proposta dalle tre realtà associative di Bari: associazione Un solo Mondo, il Centro documentazione Missionari Comboniani e da OASI - Organizzazione di aiuto allo sviluppo internazionale.
Per dibattere sul tema abbiamo invitato il prof. Riccardo Milano. Veronese di adozione, molisano di nascita. Ex avvocato, operatore nel mondo finanziario. Ha dato un notevole contributo - grazie alla sua competenza economica e finanziaria - per far nascere la Banca Etica di cui è responsabile per la provincia di Verona. Attualmente, per scelta, è docente di religione. Nel nostro immaginario collettivo quando si parla dei rapporti Nord/Sud del mondo il quadro a cui facciamo riferimento - lo sintetizzo in tre punti - é:
La storia delle relazioni commerciali Nord/Sud ed il volto iniquo di un commercio internazionale che tende a cancellare qualsiasi regola oltre il profitto.
Il traffico dei debiti che lega, ma sarebbe meglio dire subordina, in modo perverso tantissimi paesi del Sud del mondo alle economie del Nord ben rappresentata da una economia mondiale dove l’obbligo/necessità delle economie del Sud di “ricevere” i finanziamenti/prestiti del Nord, corrisponde un finanziamento costante e concreto - dollari e materie prime a basso costo - del Sud verso il Nord, mentre la cooperazione internazionale in termini di risorse e di efficacia sta toccando i suoi minimi storici.
La presenza di capitali misteriosi (10% - 270 mila miliardi - delle transazioni finanziarie mondiali) che si aggirano massicciamente nelle nostre economie, alterandole e inquinandole. Parliamo del volto sommerso e clandestino della finanziarizzazione dell’economia che costituisce il vero reale potere globale del nostro tempo.
Questi dati non tengono in considerazione che nel Sud del mondo sono in atto movimenti profondi, delle correnti di speranza che a lunga scadenza contribuiranno a ridisegnare il volto delle società del Sud del mondo. Non è più possibile continuare a considerare il Sud del mondo come una realtà monolitica nella quale gli avvenimenti relativi ad un paese o ad una regione diventano parametro per una descrizione globalizzante del presente e del futuro del Sud intero.
Rifiutando l’unilateralismo dei criteri esclusivamente economicisti, considerando altri aspetti della vita umana che toccano la ricchezza culturale, la qualità dei rapporti sociali o i parametri ecologici ci si rende conto che i concetti di sviluppo o sottosviluppo diventano relativi e le classifiche si fanno più mutevoli a seconda dei parametri globali presi in considerazione.
Processo di democratizzazione e l’evidenziazione di una società civile non solo componente, ma desiderosa anche di creare le condizioni per una partecipazione politica, possibilmente libera e aperta.
La nascita di cooperative che mettono sempre più in atto rapporti di sussidiarietà tra Nord e Sud del mondo per stabilire una dinamica di autosviluppo nei paesi del Sud, che possono così creare una propria strategia economica e dunque slegarsi dalla dipendenza degli aiuti provenienti dall’occidente.
Valorizzazione del capitale sociale: valori, relazioni umane, cultura, arte.
Una nuova regionalizzazione che supera l’anacronismo dell’intangibilità delle frontiere ereditate dalla colonizzazione e che permette una migliore programmazione economica su spazi quantitativamente e qualitativamente più viabili.
La presenza di un’economia informale che produce veri e propri miracoli e che nessuna rivelazione statistica è in grado di misurare, ma che permette alle persone di sopravvivere in condizioni dove normali parametri parlerebbero solo di morti.
L’emancipazione della donna che ha già sconvolto la struttura di potere a livello sociale e politico.
Dal Debito... al Credito del Sud del Mondo
Riccardo Milano
Io direi ancora: “la nostra riconversione dai debiti ai crediti, cioè cambiare stili di vita, perché il Sud sia anch’esso soggetto alla pari”.
Problema:
Cosa intendiamo per debiti e crediti?
Cosa intendiamo per Sud del mondo?
E’ giusto che esistano queste tre realtà?
Riguardano, queste tre realtà, solo alcuni o tutti?
Il problema non è da poco: se noi non facciamo una scelta, se non sappiamo chi siamo, come possiamo cambiare? Fare una scelta vuol dire porsi le tre domande fondamentali di Ricoeur:
se non io chi?
se non ora, quando?
tu da che parte stai?
La risposta a queste tra domande ci dà l’opportunità di avere un atteggiamento giusto, sì da permetterci quella che il teologo B. Haring mitigava con "opzione fondamentale della vita", e cioè l’indirizzo etico, sociale, politico, economico, filosofico e religioso per la nostra vita e per i nostri stili di vita. Ma in questa sede il discorso non può essere amplissimo e ragioneremo solo in base ad atteggiamenti economici.
La coscienza economica
A.K.Sen, premio nobel dell’Economia 1999 scriveva, in una lezione tenuta presso la Banca d’Italia nel 1991: "Nell’etica della finanza è cruciale un’attenta valutazione delle conseguenze. In materia finanziaria, non meno che in altri campi dell’economia, ciò che è veramente significativo va ben al di là di ciò che abbiamo sotto gli occhi; ciò che conta va ben al di là di ciò che è immediato, di ciò che è vicino." Cosa vuol dire ciò? Banca Etica (B.E.) all’art. 5 del suo statuto ne da una interpretazione: “La finanza eticamente orientata è sensibile alle conseguenze non economiche delle azioni economiche”. In pratica essere debitori e creditori non sono solo “partita” in “dare” e in “avere”, ma anche un quadro di vita, un background che molte volte non è possibile percepire, perché non visibile (vedi il problema dell’indebitamento in generale e, ancor di più dell’ usura). Se questo è vero bisogna inquadrare il problema in maniera molto più vasta e forse bisogna cominciare ad inquadrare diversamente alcune realtà economiche fin qui attuate e pensate. Prendo ad es. il caso del PIL (Prodotto Interno Lordo). Si sa più o meno, cosa è il PIL (è un indicatore di sviluppo di una nazione). In breve sappiamo che se sale la realtà economica va bene, se scende no. Un aumento del PIL specie nei PVS (Paesi in via di sviluppo) ci indica che la nazione sta progredendo e cresce. Ma ciò è sufficiente? Ad es. il Brasile: ha crescite del PIL positivi incredibili, ma chi ne beneficia? Non certo la popolazione (se non una piccolissima parte). Per chi legge i dati, si vede che c’è un aumento e crede che, andando bene le cose, la popolazione stia meglio, perché più ricca. Ma noi sappiamo che non è così, perché la popolazione impoverisce sempre di più. Ci sono perciò molti economisti (anche su richiesta ONU) che stanno - ormai da tempo - prendendo in seria considerazione di inserire anche “risvolti sociali” all’interno del PIL per dargli veramente una validità economico/antropologica e non solo econometristica.
In pratica bisogna che nell’economia ci sia l’ermeneutica con le sue analisi della realtà, in modo da verificare “cose by cose” l’attualità e le concretezze del suo intervento (la BM - Banca Mondiale - e l’FMI Fondo Monetario Internazionale - usano ricette identiche per tutto il mondo). Parlare di economia, oggi, non significa parlare solo di economia dello sviluppo, ma di qualcosa che va oltre, che dovrebbe generare pensieri sul concreto modo di agire. Il Sole 24 Ore di domenica u.s. (14 maggio), il sociologo Ferrarotti, recensendo dei libri mette in rilievo vari aspetti (inserto p. 30). E’ chiaro che c’è tanta strada da fare o, meglio, da percorrere. D’altronde tante discipline sono tornate (seppur si vada sempre avanti) sui loro passi per reimpostare in termini giusti i problemi. Perché mai la scienza economica non può farlo? (Pensiamo, ad es. alla massimizzazione dell’utile e alla felicità: tutti, infatti sappiamo che la felicità non è avere più cose, in quanto è un rapporto tra persone, mentre il concetto di utilità appartiene alla sfera dei bisogni ; oggi però con la massimizzazione dell’utilità diamo forma e forza solo all’utile spacciandola per felicità. Di conseguenza ci viene detto che più abbiamo e consumiamo, più siamo felici. E questo è purtroppo quello che viene insegnato (con poche eccezioni) sia nelle scuole di economia che, molto più prosaicamente, nei mass-media). Bisogna, però, che questa volta le visuali siano per tutto il mondo (globalizzazione) e cioè per i ricchi e per i poveri, non solo per i ricchi.
Debiti e crediti
Contesto storico
Assicurare a tutti la titolarità sui beni essenziali è stato per lungo tempo un impegno prioritario sul piano internazionale. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ha stabilito tale obiettivo 50 anni fa: “Ogni individuo ha il diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute ed il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari” riguardanti, ad es., la scolarizzazione, l’energia, il trasporto, i mezzi di comunicazione e la libertà di espressione creativa e culturale. Con questi presupposti sono state elaborate in ogni paese molteplici strategie volte a soddisfare le esigenze base.
Come conseguenza, specie nella II metà del XX secolo, il consumo mondiale, comprensivo della spesa privata e pubblica, si è ampliato ad una velocità senza precedenti, raggiungendo quasi $25 MLD (oltre £50 ML di MLD) un livello doppio rispetto al 1975 e 6 volte superiore rispetto al 1950. Questo fenomeno viene valutato positivamente dalla letteratura economica, da Veblen a Sen, che da sempre enfatizza la relazione fra consumo e benessere, sottolineando i benefici ampi ed estesi sugli standard di vita di milioni di famiglie. Anche nel rapporto n°9 dell’ONU sullo sviluppo, che focalizza l’attenzione su questo tema, si segnala l’importanza dell’espansione dei consumi per lo sviluppo umano, inteso come espressione della capacità fondamentale delle persone. Peraltro, da un’analisi attenta della realtà economica mondiale emerge con forza che i nessi tra consumi e benessere, fra consumo e sviluppo umano non sono sempre, né automatici né positivi e, in ogni caso, nascondono enormi disparità. Infatti i modelli attuali di spesa stanno minando le risorse ambientali di base, aggravano vertiginosamente le ineguaglianze mentre le dinamiche legate al circuito consumo-povertà-squilibrio sociale ed ecologico subiscono una pericolosa accelerazione. In prospettiva si delinea uno scenario piuttosto inquietante, se il trend non viene corretto con modifiche sostanziali, cioè senza una ridistribuzione che vada dai consumatori e reddito elevato a quelli di basso reddito, senza una sostituzione di beni e tecnologie inquinanti con beni e tecnologie più pulite, senza una promozione di merci che permette l’empowerment dei produttori poveri, senza una revisione delle logiche di comportamento dell’homo economicus, che non possono prescindere da una nuova razionalità improntata all’efficienza e alla sobrietà ( M.G.Totola - Università di Verona).
Detto in soldoni: c’è (o meglio si riscontra) una difficoltà di cambiamento; c’è una visione dello sviluppo tramite l’individualismo metodologico, ovvero una visione fondamentalista al mercato; quindi è naturale che ci sia: L’impossessamento anziché il dono. La privatizzazione anziché la corresponsabilità del bene comune. L’inimicizia anziché la fraternità. L’accumulazione anziché la condivisione. La competizione esasperata anziché la cooperazione. L’esclusione anziché la solidarietà. Il consumo cieco delle risorse anziché l’uso accorto.
Un’analisi debitoria
Ormai - si dice - si pensa di sapere quasi tutto dei rapporti Nord/Sud, tra debitori e creditori. Io non voglio fare qui della teoria o lanciare messaggi che poi sono solo verbali e teorici. Dobbiamo, questa sera, costruire qualcosa, prendere coscienza per agire. E per agire occorrono competenza ed idee, non solo buona volontà, perché il bene va fatto bene! Solo alcune cifre (nella marea di dati) che il problema della cancellazione (o riduzione) del debito dei PVS ha reso pubblico:
alla fine del 1999 il debito dei PVS era > 2.500 MLD di dollari: la cifra appare enorme, ma rappresenta solo il 4-5% delle attività finanziarie mondiali
Prodotto Lordo Mondiale 28.000 MLD di dollari: l’86% va al 20% più ricco della popolazione
Crediti complessivi 13.000 MLD di dollari: il 95% del credito commerciale mondiale va al 20% più ricco della popolazione e, specularmente, il 20% più povero della popolazione del mondo ha accesso appena allo 0,2% del credito.
La conclusione è semplice e paradossale: i poveri non sono indebitati.
Ancora, questo 20% della popolazione mondiale che riceve solo lo 0,2% dei crediti commerciali, genera l’1% del risparmio mondiale. Ciò vuol dire che 4/5 del risparmio dei più poveri non vengono usati per fare credito agli stessi poveri. E’ un paradosso, il risparmio dei poveri finanzia i ricchi. Non è una battuta o un gioco di prestigio: basta andare in qualsiasi paese latinoamericano o africano per rendersi conto che il risparmio rurale va nella città e dalla città va nei sistemi bancari commerciali e, spesso, dai sistemi bancari commerciali va direttamente nelle banche dei paesi ricchi.
Attività finanziarie complessive 50.000 MLD di dollari: ormai quasi il doppio del prodotto reale: l’economia
Valore dei prodotti finanziari “derivati” 60.000 MLD di dollari
Ogni anno i paesi del Sud del mondo devono trovare risorse (nuovi prestiti, aiuti, rimesse di emigrati...) per pagare 150 MLD di dollari di deficit con l’estero: 50 MLD commerciale, 100 MLD di interessi sul debito
conseguenze sociali = la povertà nel mondo
Allora, per rispondere alle domande sopra poste: chi sono i debitori e i creditori, cosa rispondere? Non è difficile (ed ognuno può rispondere). La realtà è che poi i paesi più poveri, non sono così poveri, anche se lo sono!! Se lo fossero veramente, non ci sarebbero tante persone che vorrebbero quelle terre e non si scatenerebbero così tante guerre...
Ma il problema non è solo Sud del mondo: il Sud è dentro ogni nazione, non importa se geograficamente ben situato. All’interno delle nazioni il divario povertà/ricchezza sta tornando alto, nel senso che i poveri aumentano (e si vedono sempre di più...). "Gli inizi del nuovo millennio sembrano segnati da un clima di euforia che, a partire dall’occidente, sta influenzando i media a livello mondiale. La new economy, nata sull’onda di internet, è indicata dai mass-media come un nuovo eldorado, la nuova frontiera che porterà il mondo verso fantastici traguardi. In questo mondo virtuale un ruolo di primo attore lo sta facendo la finanza che, da almeno un decennio, vive l’ebbrezza dell’economia digitale. Di contro, una gran parte dell’umanità non sembra accorgersi di questi spettacolari progressi e vive in uno stato di povertà crescente. E questo fenomeno non colpisce solo i paesi del Sud del mondo, ma è entrato a far parte delle reali condizioni di vita dei 3/5 della popolazione occidentale. Basti citare solo alcuni dati riferiti agli USA, superpotenza mondiale che spesso anticipa (ci piaccia o no) il nostro futuro. Negli ultimi 20 anni i guadagni reali dei lavoratori dipendenti (non supervisory workers) si sono ridotti in media del 14%; il numero dei poveri è arrivato alla cifra sbalorditiva di 75 milioni di persone, ed i benefici della new economy sono andati tutti alla parte più ricca della popolazione (con un reddito pro capite > ai $ 137.500 l’anno)" (dalla relazione del Comitato Etico di BE all’assemblea del 13.05.2000 a Bologna).
L’economia che a seguito degli anni 70 è stata surclassata dall’attività finanziaria, fa molta fatica ad incanalare il risparmio e a renderlo strumentale. Se questa realtà è vera, ci possono essere due strade:
Ciò ci sta bene e continuiamo a vivere così, non pensando - perché non ci interessa - a coloro che vivono male o malissimo (che è la maggioranza della popolazione).
Cerchiamo di cambiare, perché ciò non ci piace.
Ma cambiare non è facile in quanto:
si parla solo perché mancano le idee
molte volte non abbiamo la voglia di reagire (perché ci sentiamo piccoli)
Io parlo a coloro che vogliono cambiare, che si vogliono prendere seriamente e che credono in ciò che pensano e fanno o faranno. Si sa, però, che non sono soli, perché migliaia di persone in Italia e milioni nel mondo si stanno mobilitando. Cambiare vuol dire passare da debitori di attività in quanto eseguiamo attività per altri, con altri e in nome di altri e creditori, a coloro, cioè, che investono in concretezza, che danno credito (in tutti i sensi) a tutta la società civile. Basta ora retorica ed affrontiamo il come cambiare.
Come cambiare
Dicevo che c’è moltissima gente che è impegnata affinché le attività economiche possono essere diverse, più favorevoli all’uomo planetario. Facendo una rapida disamina possiamo elencare i macro-sistemi nei quali si sta sviluppando non solo ricerca, ma anche attività:
La Finanza Etica: Banche Etiche, Fondi Comuni Etici, Assicurazioni, Microcredito, cooperative di credito
Il commercio: Mercato equo e solidale, Fair Trade, consorzi per il terzo mondo
La produzione: economie di comunione
L’informazione: stampa alternativa (con spiccate caratteristiche economiche)
Impegno civile: Rete Lilliput, Bilanci di giustizia
Insomma questo mondo di realtà impegnate c’è, e come! Migliaia e migliaia di persone stanno lavorando in nome di ideali e stanno non solo pensando, ma realizzando. Chi sono? Presto detto: filosofi, teologi, economisti, industriali, lavoratori in genere - la gente sociale in genere. Ma, tornando nel nostro tema economico, bisogna mettere in chiaro una cosa. Il microcredito, la Finanza (alternativa) Etica ecc... non sono mode passeggere di cui si occupano gli habitué ai seminari e ai convegni. Si tratta di un attacco formidabile contro l’esclusione e la povertà per lo sviluppo e la dignità. Oggi non si può più dire: “Sono solo e piccolo: cosa posso fare?”. Internet ha amplificato il pensiero e l’operatività dei singoli e con velocità riesce a mobilitare migliaia di persone, come a Seattle. Oggi bisogna che ci diciamo non solo che possiamo fare qualcosa (ricordate la canzone di G. Paoli: “Eravamo due amici al bar che parlavano del futuro, ma che poi...) ma che dobbiamo fare perché lo possiamo. Oggi possiamo incidere sulla finanza, sul commercio, sul risparmio in genere.. e anche se i numeri sono piccoli, crescono in maniera logaritmica, quello che si sta facendo, fa paura. Pensate: Banca Etica sta costringendo molti istituti bancari a difendersi; pensate i Fondi Etici che hanno il loro Dow Jones a New York; pensate al CES (Commercio Equo Solidale) che, da Davide, attacca le multinazionali! C’è gente che sta lottando, che sta studiando, che si sta preparando su come e perché cambiare le regole economiche (il premio nobel a Sen è indicativo...). Il momento è poi propizio perché oggi la crisi della politica, dell’economia, della fede, è profonda e il “Vecchio Mondo” non riesce più ad esprimere nuove realtà convincenti. Pensate agli statuti del FMI e della BM che sono fermi al 1944, a Bretton Woods, e non si riesce a cambiarli, malgrado gli sforzi. Non c’è accordo su come e cosa fare perché le forze in campo scatenato le loro lobbies. Pensate ancora al debito estero dei PVS, al cambio del walfare state, pensate alla crisi politica occidentale, alla crisi della leadership, del voto. Solo due cose vanno a gonfie vele: le varie guerre del mondo e gli introiti dei mercati d’armi. In questa fase di transizione si sta parlando, come dicevo, di new economy. Ma la migliore new economy può essere proprio quella etica che si rifà non a cose vecchie, ma alle origini del vero pensiero economico (pieno di saggezza, che ha potuto far crescere lo sviluppo di cui abbiamo visto i dati). Non si torna indietro, ma si va avanti, proprio per difendere quel 1.2 MLD di persone “inutili” (come li definisce la BM) che vivono con meno di un $ 1 al giorno. La old economy (non in senso tecnico) è quella che oggi c’è e ha permesso ciò.
Ed allora?
Cosa fare? Dobbiamo spenderci tutti: Dobbiamo agire sul piano di studio, di comprensione, di divulgazione, di concretezza nelle proposte ognuno nella sua realtà territoriale, ma avendo come riferimento l’uomo (e il suo benessere) planetario (vedi il filosofo E. Levinas...). Cominciare a chiederci: Perché, malgrado il risparmio sia altissimo (in Italia), la gente non investe in economia, in strutture, in PIL? È solo (ad es. Qui al Sud) un problema di mafia? O è anche un problema di “crescita n/s” e di “avere”? Dobbiamo, come dicevo, perciò studiare, capire, ecc...; dobbiamo denunciare i comportamenti “contro il mercato” (non ce l’ho con il liberismo) ma se si vuole essere da parte dei liberisti coerenti fino in fondo bisogna dare, in nome del mercato, possibilità alternative a chi la pensa in modo diverso (ciò viene sostenuto dal Prof.Zamagni, maggior economista del “terzo settore” in Italia). Manca in Italia una realtà giuridica per l’imprenditore sociale (nei libri I e V del CC: abbiamo solo l’imprenditore pubblico e privato e manca l’imprenditre sociale che è cosa diversa dai primi due); manca una legge per il 3° settore (che non sia fiscale, perché quella c’è già); manca (anche se c’è a parole) la trasparenza bancaria, assicurativa ecc... Ma chi protesta? Poca gente. Dobbiamo dare più spazio (quindi risorse) alle Banche Etiche: le Banche Rurali e Popolari del Sud sono quasi completamente estinte, mentre si registrano differenziali nei tassi da 4 a 6 punti tra le due aree del paese; la Banca Popolare Etica pratica un unico tasso in tutte le regioni italiane, ed ha indirizzato nel mezzogiorno il 13 % dei suoi impieghi, a fronte di un 2% di raccolta. Il mezzogiorno rappresenta il banco di prova, una grande sfida che Banca Etica ha di fronte. Se saprà trovare i mezzi giusti per continuare sulla strada intrapresa avrà dato un contributo storico alla lotta all’emarginazione e all’unificazione reale di questo paese. Dobbiamo ampliare il ricorso al CES (che non deve essere una realtà di beneficenza, ma di concreto sviluppo). Possiamo aderire ai Bilanci di giustizia, alla Rete Lilliput... C’è molto da fare! Si può monitorare il territorio, far capire alla gente che investire sul territorio è importante, perché l’interesse più alto è quello di tutti. Se siamo consci di ciò, a parte le inevitabili diversità di linguaggio e di idee, avremo un fronte comune. Davanti a chi muore di fame non ci sono discussioni: bisogna fare e basta!
Termino riproponendo l’ultima lettera di Baden Powell:
“... Il modo migliore per acquistare la felicità, è quello di spargerla intorno a voi. Cercate di lasciare questo mondo un po’ migliore di quanto non fosse quando siete venuti, e quando si avvicinerà l’ora della morte, voi potrete morire felici, pensando che non avrete perso il vostro tempo, e che avete fatto del vostro meglio”.
This page hosted by
Get your own Free
Home Page