L'amore
preferenziale per i poveri nella Bibbia
(mons. Rinaldo Fabris)
La scelta
preferenziale dei poveri
Mi affido alla parola di Dio e da essa mi lascio guidare nella
lettura dei testi biblici per conoscere e accogliere l'amore di
Dio che sceglie i poveri. Da parte mia aggiungo solo qualche
commento o una meditazione ad alta voce su un tema che mi è caro
fin dagli inizi degli studi biblici, perchè la ricerca sulla
Lettera di Giacomo mi ha messo a contatto con l'espressione: Dio
ha scelto i poveri che sono nel mondo per farli ricchi della fede
ed eredi del regno di Dio (cf. Gc 2, 5).
Questa espressione "Dio ha scelto i poveri" con
fatica si è imposta come orientamento pastorale della chiesa
universale. Essa ha le sue radici nelle chiese dell'America
Latina, dove è stata usata fin dagli anni settanta con qualche
fraintendimento e sospetto. Nell'azione pastorale di quelle
chiese si parlava di "scelta preferenziale dei poveri".
Poi per la prima volta nella lettera enciclica "Sollicitudo
Rei Socialis" l'espressione è entrata a far parte del
linguaggio del magistero della chiesa. Nello stesso documento si
parla di "strutture di peccato" che è ancora una
espressione della pastorale della chiesa dell'America Latina.
Ancora qualche precisazione su questo tema prima di passare
all'ascolto della "Parola di Dio". Il tema delle
Giornate Pastorali non è: "La scelta dei poveri", ma
"L'amore per i poveri". Non so se con questo si è
cercato di evitare una difficoltà in quanto l'espressione "scelta
preferenziale" dà fastidio, pur essendo accolta anche nell'ultima
lettera enciclica di Giovanni Paolo II "Centesimus Annus",
dove si dice: "La chiesa è cosciente che il suo messaggio
troverà credibilità nella testimonianza delle opere prima che
nella coerenza logica o interna dei discorsi". Prima dunque
il "fare" e poi il "parlare"! Anche da questa
consapevolezza deriva per la chiesa la "opzione
preferenziale per i poveri".
Il termine "opzione" è un po' più sfumato.
Preferisco il termine "scelta", perchè corrisponde
meglio al linguaggio biblico, dove la "elezione" di Dio
non discrimina nessuno. Gesù è eletto e in lui siamo eletti
tutti. Anzi quanto più siamo disgraziati, tanto più siamo
eletti in Gesù, il Figlio amato. Prima della creazione del mondo
Dio Padre ci ha eletti nell'amore, nella carità (cf. Ef 1, 4).
Il concetto di elezione biblica non ha nulla a che fare con le
discriminanti delle elezioni o scelte umane. La elezione di Dio
è fatta per amore. Il fatto di vivere sua pure in uno stato
precario di equilibrio, un po' in salute un po' meno, è perchè
Dio ci ha scelti, ci ha voluto bene. Ogni nascita e la rinascita
nella fede è elezione, è un gesto di amore: Io vi ho scelti
e vi ho mandati perchè portiate frutto, ed il vostro frutto
rimanga (Gv 15, 16 b). E' la scelta da parte di un amico,
perchè un momento prima Gesù dice ai discepoli: Voi siete
miei amici (Gv 15, 14),
Questo è il linguaggio della Bibbia. Esso suscita qualche
perplessità come lo rileva un alto dirigente di una grande
industria italiana in risposta ad una lettera del direttore della
rivista dell'"Unione Imprenditoriale Cattolici Italiani":
"La Chiesa è lo scandalo dei primi", cioè la Chiesa
sceglie gli ultimi e non sa più parlare ai primi. I "primi"
sarebbero gli imprenditori e quelli che contano, quelli che hanno
potere e denaro. Questo dirigente pone il problema proprio sulla
scelta dei poveri: "Parlare solo di ultimi - scrive -
rischia di apparire alla lunga come una scelta di parte che può
confondersi in alcune situazioni con connotazioni ideologiche,
quindi che sono estranee al messaggio della chiesa". Il
termine "ideologiche" vuol dire di orientamento
precostituito, filosofico, politico o sociale di varia natura.
"Scelte ideologiche" vuol dire scelte di sinistra? Ma
ora chi è che difende i poveri? Non la sinistra, che vuole
portarsi al centro. Le grandi organizzazioni hanno altro a cui
pensare. Chi difende i poveri se non lo fa la chiesa? Scrive lo
stesso dirigente: "La Chiesa non dovrebbe parlare solo della
società civile vista in contrapposizione alla scelta giusta, ma
a tutta la società, a tutte le componenti della società nel
loro insieme".
È vero! La scelta preferenziale dei poveri pone un problema,
se essa si colloca in una prospettiva puramente umana. L'aggiunta
"preferenziale" complica le cose. Il vocabolo "amore"
sembra meno discriminante. Infatti l'espressione "scelta dei
poveri" suppone che gli altri non siano scelti. L'amore
invece non esclude l'attenzione agli altri. Ma Dio sceglie tutti,
a partire - possiamo dire - dal povero per eccellenza, che si è
fatto povero per arricchirci con la sua solidarietà (cf. 2 Cor 8,
8-9). Una povertà vissuta nella solidarietà. È Gesù
crocifisso il povero! Non si tratta solo di atteggiamento
virtuoso. Gesù non è solo mite e umile di cuore, ma realmente
si è fatto povero.
Il dirigente di cui ho parlato sopra dice che la Chiesa non
parla più ai grandi, ai potenti. La Chiesa parla con i potenti.
Non so invece se la Chiesa parla con i poveri o semplicemente
parla dei poveri o ai poveri, parla sui poveri. Ma ci chiediamo:
parla con i poveri? Parla certamente con i grandi, con quelli che
ono chiamati i primi. E noi che siamo chiesa abbiamo i poveri tra
di noi? Spesso con il termine chiesa si indica la chiesa solo a
livello alto, quella dei documenti del magistero. Ma la chiesa è
anche popolo di Dio, radunato nello Spirito con i pastori, che
sono presenza e segno del Pastore unico.
Questa è solo la premessa per avviare il discorso. Ma il
problema del rapporto della chiesa con i poveri non è solo
questione di termini. Esso ha a che fare con l'immagine stessa di
Dio, con il rapporto che i credenti hanno con l'agire di Dio, con
il suo stile. Ora lasciamoci guidare dalla parola di Dio che
ascoltiamo in tre momenti. In una prima parte osserviamo l'amore
preferenziale nella prospettiva dell'Esodo e dell'Alleanza. In un
secondo contempliamo l'amore preferenziale nella prospettiva del
Regno di Dio e infine consideriamo la scelta o l'amore elettivo
dei poveri nell'esperienza dello Spirito, che è quella della
prima Chiesa.
1. L'amore
preferenziale per i poveri nella prospettiva dell'esodo alleanza
Il momento fondativo della fede biblica è quello dell'esodo.
Questo punto di partenza non dipende da una visione demagogica.
Qualcuno solleva questo sospetto. La chiesa, per non perdere i
poveri, si dà al volontariato, all'assistenza, organizza le
Caritas, perchè i poveri sono i suoi clienti. La scelta dei
poveri non è una tattica per avere clienti. Essa non è neppure
solo una risposta alle esigenze degli esseri umani che attendono
aiuto e solidarietà. I credenti rispondono prima di tutto alla
parola di Dio. Dio stesso li educa ad avere questa attenzione di
amore per i poveri.
Dio si fa solidale con i poveri
Il momento fondativo della fede biblica non è la creazione,
ma la costituzione del popolo di Dio. Esso è un popolo di poveri
liberati. I poveri sono gli oppressi, i curvati, secondo un
termine ebraico che è entrato a far parte della spiritualità
cristiana. I poveri sono gli anawîm, i sottoposti, nei
confronti dei quali Dio si curva, diventa il misericordioso perchè
volge lo sguardo ai miseri. L'inizio di questa avventura dell'epopea
dell'esodo si trova al capitolo terzo dell'Esodo subito dopo la
manifestazione di Dio a Mosè sulla montagna santa: Il Signore
disse: "Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e
ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti. Conosco
infatti le sue sofferenze" (Es 3, 7). È un Dio solidale.
Sullo sfondo sta l'immagine del "riscattatore", di
colui che interviene in forza di un vincolo, di un legame di
sangue, di un vincolo sociale com'è il parente o l'amico che
libera l'oppresso. Il testo prosegue: Conosco le sue
sofferenze, perciò sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto
e per farlo uscire da questo paese, verso un paese bello e
spazioso (Es 3, 8).
Così incomincia la storia di liberazione che è anche il
primo articolo del credo biblico fondamento del credo cristiano.
Al centro della fede cristiana sta l'incarnazione, passione e
risurrezione di Gesù Cristo. In lui Dio si curva sulla miseria
umana. Ma l'incarnazione della Parola di Dio incomincia da
lontano. Non è Nazareth o Betlemme il primo luogo dell'incarnazione.
Non è l'anno zero della storia cristiana il suo inizio, ma
questo curvarsi di Dio sugli oppressi in terra d'Egitto. In tal
modo egli offre il modello dell'agire per ogni essere umano.
Dio si fa garante della libertà e dignità dei poveri
A questo segue l'uscita e la costituzione del popolo in libertà
sulla base delle "dieci parole" o decalogo. Esse si
riassumono nei due principi: la fedeltà a Dio come unico Signore
e la fedeltà al prossimo. Essi sono inseparabili: Non ti
prostrarrai davanti a false immagini e non ridurrai l'altro a
oggetto. Queste sono le condizioni per vivere in libertà. L'alleanza
con Dio è radice della libertà. Nella cornice dell'alleanza si
trova un'antica raccolta di norme chiamate "Codice dell'alleanza".
Esse esprimono l'impegno a vivere l'alleanza, dove si afferma e
tutela il diritto del povero.
La norma è formulata con la stessa autorità delle "dieci
parole" o decalogo. Il testo di Esodo dice così: Non
molesterai il forestiero, nè l'opprimerai perchè voi siete
stati forestieri nel paese d'Egitto. Non maltratterai la vedova e
l'orfano. Se tu lo maltratti quando invocherà da me l'aiuto io
ascolterò il suo grido (Es 22, 20-22). L'Esodo comincia
quando Dio ascolta il grido degli Ebrei in Egitto: E Dio
ascoltò il loro lamento, si ricordò della sua alleanza... Dio
guardò la loro condizione... se ne prese pensiero (Es 2, 24-25).
Da qui inizia l'avventura dell'uscita alla libertà. Anche nel
codice di alleanza, Dio dice: Io ascolterò il loro grido e la
mia collera si accenderà e vi farò morire di spada. Io ascolterò
il suo grido perchè io sono un Dio pietoso" (Es 22, 23).
La tutela del povero è in mano a Dio. I poveri nell'ambito della
comunità ebraica possono contare su questo intervento
misericordioso di Dio.
Un'ultima raccolta di queste norme a tutela dei poveri si
trova nel libro del Deuteronomio. Esso ha alle spalle la lunga
storia di invasioni, deportazioni, l'esilio, dal tempo di Mosè
fino all'esilio, dal XIII al VI secolo a.C. È una storia di
violenze, di cui si fanno eco i testi profetici. Nella raccolta
più umanitaria del Deuteronomio, che è la riedizione o seconda
legge, si ha la motivazione più esplicita di questo intervento a
favore dei poveri con una ragione teologale, cioè che rimanda
all'agire di Dio. Non si tratta solo di una riflessione sulla
fede. Ma è l'agire stesso di Dio che fonda il comportamento di
quelli che fanno parte dell'alleanza: Non lederai il diritto
dello straniero o dell'orfano e non prenderai in pegno la veste
della vedova (Dt 24, 17). I poveri non sono più gli Ebrei,
sottoposti allo sfruttamento del faraone, ma quelli che sono
privi di disgnità e libertà nella terra di Canaan. Sono l'orfano,
la vedova e lo straniero.
Possono quindi cambiare le figure. Oggi - ad esempio -
metteremmo i nomi di altre categorie. Restano ancora le vedove,
restano ancora gli orfani, ma soprattutto gli stranieri, che non
hanno protezione e accoglienza. Lo straniero è esposto all'offesa
e al ricatto. Il testo biblico prosegue: (Tu non farai questo),
ma ti ricorderai che sei stato schiavo in Egitto e che di là ti
ha liberato il Signore tuo Dio: perciò ti comando di fare questa
cosa (Dt 17, 18). Alcuni vedono nell'interesse della chiesa
per i poveri, per gli immigrati, per gli stranieri, per tutte le
categorie deboli, semplicemente il soddisfacimento di un bisogno
sociale. Fare assistenza e la carità è visto come una
dimensione morale e sociale dell'agire cristiano. Credo che si
dimentichi qual'è la radice teologale di questo agire. Non è
solo un'esigenza sociale o etica o morale, ma è la riproduzione
del modo di agire di Dio: Per questo ti comando di fare queste
cose, perchè il Signore ti ha liberato. Tu devi difendere,
accogliere il povero perchè hai fatto esperienza di libertà e
dell'amore di Dio, e perciò lo devi testimoniare e rendere
presente con un'attitudine e un modo di agire corrispondente. Si
potrebbe dire che la professione di fede biblica non è fatta,
come vedremo nel Vangelo, da un insieme di dichiarazioni verbali
o da un sistema teorico coerente e perfetto, ma diventa amore
reso attivo e pratico nei comportamenti.
Dio interviene per la difesa dei poveri
Da questo primo confronto con la parola di Dio risulta che il
credo biblico si fonda sull'esperienza dell'Esodo. A sua volta
esso dà l'impulso ad un modo di agire corrispondente. Le norme
che regolano questo agire stanno alla base di una società di cui
i poveri ritrovano la loro dignità. Questo trova conferma nei
testi dei profeti, dove si vede Dio che interviene per difendere
i poveri.
Dopo l'esperienza dell'esodo, l'ingresso nella terra promessa
doveva garantire a tutti la libertà e la dignità. Ma non fu così.
I tentativi di far ripartire l'esperienza dell'Esodo con il
giubileo, cioè con la ridistribuzione delle terre, delle
propprietà e la liberazione degli schiavi ogni sette anni e poi
ogni quarantanove anni non ebbero successo. Il contenuto del
giubileo biblico potrebbe essere ancora attuale in occasione del
prossimo giubileo cristiano. Una delle proposte, che è sfuggita
all'attenzione degli esperti di finanza internazionale o di
politica economica è la "remissione" del debito
internazionale dei Paesi poveri. Il Papa l'ha suggerita nella
lettera apostolica (TMA), ma nessuno l'ha presa sul serio.
Eppure questa scelta è un modo di vivere la fede e non solo
un gesto sociale per fare bella figura. È la risposta della fede
al Dio dell'esodo che dà la libertà agli oppressi. Egli si fa
garante di questa libertà e dignità nella terra di Canaan. Essa
doveva essere terra di libertà, ma diventa terra di schiavitù
quando i campi vengono accaparrati dai grandi proprietari e le
case dai ricchi possidenti. Allora si torna nella condizione di
schiavitù dell'Egitto. A questo punto si tenta di rimettere in
moto l'esodo con il giubileo, cioè con la remissione dei debiti,
la restituzione delle case, dei campi e soprattutto con la
liberazione delle persone. Probabilmente il giubileo in questa
forma non è mai stato attuato, perchè comportava delle
complicazioni di carattere economico e sociale. In questo
contesto intervengono i profeti, uomini dello Spirito. Essi sono
la coscienza critica del popolo di Dio. Siamo abituati a chiamare
profeti quelli che predicono il futuro. I profeti biblici sono
invece quelli che guardano al passato per giudicare il presente.
Il futuro è la speranza che essi aprono. Non sono dei
preveggenti nel senso dei nostri oroscopanti che tentano di
ipotecare il futuro. Per il profeta il futuro è nelle mani di
Dio. Egli invece guarda al presente per cambiarlo. E il modello
di riferimento è il passato.
Su questo sfondo si può capire l'intervento del profeta Amos,
un amministratore agricolo che diventa profeta. Egli non è solo
un allevatore di bestiame, ma un personaggio colto che interviene
nel regno del Nord in un momento critico, quando si diffonde il
latifondismo a causa del fiscalismo che improverisce i piccoli
contadini e commercianti. Ascoltiamo queste parole di Amos: Per
tre misfatti d'Israele e per quattro non revocherò il mio
decreto, perchè hanno venduto il giusto per denaro ed il povero
per un paio di sandali: essi calpestano come la polvere della
terra la testa dei poveri; fanno deviare il cammino dei miseri (Am
2, 6-7). Questo peccato di ingiustizia è congiunto con il culto
idolatrico, il culto delle divinità straniere e delle forze
cosmiche. Infatti quando si perde il contatto con l'unico Signore
che non è l'energia del cosmo e neanche l'energia psichica e
neppure l'influsso degli astri o l'energia atomica o il dollaro o
il marco, allora si perdono di vista anche i poveri. Quando al
posto di Dio si mette una forza politica, economica, sociale o
una forza della natura divinizzata, allora l'essere umano è
degradato e sfigurato.
Ora si capisce perchè i profeti richiamano la fedeltà all'unico
Dio, il Dio dell'esodo che è garante della vita dei poveri: Io
vi ho fatto uscire dal paese d'Egitto, vi ho condotto per quarant'anni
per darvi in possesso il paese... (Am 2, 10). Non siete voi i
padroni del paese, dice il profeta. La terra appartiene a quelli
che sono liberati. I profeti non sono demagoghi o populisti. Essi
si richiamano all'agire di Dio per denunciare le ingiustizie. A
sua volta l'ingiustizia per i profeti è infedeltà al rapporto
con l'unico Dio. Essa ha come risvolto l'oppressione dei poveri e
dei miseri. Dice ancora Amos: Io vi ho eletto tra tutte le
stirpi della terra (Am 3, 2). Ma l'elezione non è un
privilegio, ma un impegno a vivere nella relazione di amore con
Dio. La risposta a questo amore che ci ha scelti è l'amore per i
poveri.
Ancora qualche accenno a questa storia che sta alla base della
prima parte della biblioteca del popolo di Dio. Essa è la sua
memoria storica, fondata sull'agire di Dio. Nessuna meraviglia
allora che alla fine di questa storia si trovi la parola forte di
Gesù che identifica il suo destino di Figlio di Dio con i
fratelli più piccoli. Egli sta dentro questa grande cornice dell'agire
di Dio che si prende cura dei poveri. I profeti si fanno
portavoce di questo modo di valutare la storia umana da parte di
Dio. Le parole dei profeti ci aiutano a collocare nella giusta
cornice l'amore preferenziale per i poveri.
Tralascio i testi di Isaia, un cittadino di Gerusalemme, colto
e raffinato, che conosce molto bene i traffici che fanno i grandi
proprietari di case e di campi a Gerusalemme. Essi ingrandiscono
la loro proprietà fino a non lasciare posto per nessuno nella
città e poi spendono i soldi accumulati comprando i magistrati -
non è cambiato molto dall'800 avanti Cristo ad oggi - oppure
nella vita notturna di Gerusalemme. Sono accesi in volto, si
dilettano nell'ascoltare la musica, nel bere bevande inebrianti!
(cf. Isaia 5, 8-24). Isaia, che conosce queste forme di
ingiustizia, denuncia un culto che egli chiama "abominio".
È il culto fatto nel tempio, consacrato da Salomone, discendente
di Davide, secondo le prescrizioni levitiche. Eppure esso è
abominio perchè, dice Isaia, voi alzate le mani che sono
sporche di sangue, ma non del sangue delle vittime, ma del sangue
deelle violenze. Cessate di praticare il male, fate il bene, fate
giustizia all'orfano e alla vedova (cf. Is 1, 13-17). Questo
è solo un testo fra i tanti. Per il profeta la difesa dei poveri
non è una moda, ma è la conseguenza della fede nel Dio dell'Esodo.
Voglio concludere questa parte del primo testamento ebraico,
che tramite Gesù e i suoi discepoli ebrei è diventato il nostro,
con un testo del profeta Geremia. È un uomo forse meno deciso di
Isaia, ma più profondo nel collegare insieme la fedeltà a Dio e
la fedeltà all'essere umano povero di cui Dio si fa garante.
Geremia si rivolge ai responsabili della giustizia, cioè ai
membri della casa regnante ed in particolare al re di Giuda,
discendente di Davide, che deve esercitare il diritto e la
giustizia a difesa dei poveri. Questa è la condizione perchè
possa continuare la stirpe di Davide. La promessa di Dio è
legata alla fedeltà all'alleanza.
Geremia si rivolge ad uno dei figli di Giosia, il quale si è
fatto costruire la residenza estiva facendo lavorare gli operai
senza pagarli. Il profeta lo interpella così: Guai a chi
costruisce la casa senza giustizia ed il piano di sopra senza
equità (le case a due piani sono quelle dei signori, in
questo caso quella del re). Che dice 'Mi costruirò una casa
grande con spazioso piano di sopra' e vi apre finestre e la
riveste di tavolati di cedro e la dipinge di rosso (Ger 22,
13-14). Geremia gli dice: Forse tu agisci da re perchè
ostenti la passione per il cedro? Forse tuo padre - Giosia - non
mangiava e beveva? Ma egli praticava il diritto e la giustizia e
tutto andava bene. Egli tutelava la causa del povero e del misero
e tutto andava bene: questo non significa infatti conoscermi? (Ger
22, 15-16). Il termine "conoscere" per Geremia, come
per il profeta che lo precede di qualche anno, Osea, è la
relazione intensa e profonda con Dio. Essa corrisponde alla fede
unita all'amore. Fede e amore insieme sono la conoscenza di Dio.
Dunque "conoscere" Dio, aderire a Lui vuol dire
praticare la giustizia. E' inseparabile la fede nel Dio dell'Esodo
dall'impegno a tutelare il diritto del povero. Per Geremia i
poveri sono gli orfani, la vedova, lo straniero, come nella
raccolta di norme o di leggi del Deuteronomio.
Tra i "saggi" della Bibbia un testo del maestro di
Gerusalemme Gesù ben Sira, il nostro Siracide, meriterebbe una
particolare attenzione. E' un testo che può essere accostato al
linguaggio nel Nuovo Testamento, soprattutto ai testi di Giacomo.
Ben Sira non solo dice che fare l'offerta con i beni dei poveri
è abominio, una cosa che Dio respinge, ma che non dare il
salario agli operai, cioè sfruttarli, equivale all'omicidio (cf.
Sir 34, 22). Una parola simile si trova nella prima lettera di
Giovanni: Chi odia il fratello è un omicida (cf. 1 Gv 3,
15). Questo discorso si trova già nei saggi e nei profeti del
primo testamento. Gesù ben Sira, di Gerusalemme, tiene i suoi
discorsi ai figli delle famiglie bene che saranno i magistrati di
domani, i capi della società ebraica. Egli denuncia le forme di
sfruttamento dei poveri equiparando l'ingiustizia all'omicidio: Colui
che toglie pane al povero - afferma - è come chi sparge
sangue (cf. Sir 34, 21). Siamo ormai alle soglie del Nuovo
Testamento. Gesù ben Sira si fa portavoce nell'ambiente di
Gerusalemme delle esigenze della fede nel Dio dell'esodo,
definite dal decalogo per chi vive nell'ambito dell'alleanza.
2. L'amore
preferenziale per i poveri nell'orizzonte del regno di Dio
L'amore preferenziale per i poveri si esprime nelle scelte e
nelle parole di Gesù. E' nota la sua parola programmatica: Beati
voi poveri perchè vostro è il regno di Dio (Lc 6, 20). Per
capire questa parola di Gesù in tutta la sua forza di
provocazione e di stimolo si deve tener conto del mondo biblico.
Qualcuno ha detto che il Nuovo Testamento può parlare così dei
poveri perchè in realtà i primi discepoli di Gesù non hanno
responsabilità economiche, politiche e sociali. Essi formano
piccole comunità in cui si risolve il problema del disagio
fisico, psichico o della mancanza di beni aiutandosi, dandosi una
mano. Manca invece un disegno economico e sociale che risponda
alle esigenze dei poveri togliendo le cause che riproducono
continuamente la miseria. Le parole dell'Esodo, del Deuteronomio,
dei profeti e del maestro di Gerusalemme Gesù ben Sira si
collocano nel contesto di una società, dove l'alleanza e il
credo dell'esodo sono il punto di riferimento fondamentale. Nella
storia biblica di Israele si tenta quindi di costruire una società
e una economia che tengano conto del principio dell'alleanza. Se
questo progetto sia riuscito, è un altro problema.
La ricerca sui testi biblici non vuole accendere facili
entusiasmi o favorire fughe in avanti. Quello che conta è di
ritrovare le radici profonde dell'agire che non sono solo morali,
anche se hanno un risvolto nel campo morale. Non sono neppure
ragioni sociali, ma religiose e teologali. Qualcuno potrebbe
obiettare: E dopo che abbiamo scoperto le radici, non succede
niente se non abbiamo gli strumenti adatti per agire. Ma lasciamo
da parte per ora il problema di come attuare l'adesione di fede
al Dio dell'amore che si rivela nell'esodo e nell'alleanza, che
si rende presente il Gesù crocefisso e risuscitato e che
comunica questo amore nello Spirito. Questa fede deve essere
collegata con le scelte pratiche sia della piccola comunità, che
ha i suoi poveri, sia con quelle della grande comunità che deve
fare i conti con i poveri del mondo che sono la maggioranza.
Questo è il dramma di oggi e probabilmente anche lo scandalo
di una chiesa fatta da cristiani che devono annunciare il vangelo
in una situazione di disparità che li rende poco credibili. Come
si fa a dire ai poveri: "Dio vi vuole bene" e nello
stesso tempo non fare nulla per comunicare questo amore? Questo
problema deve essere affrontato non per creare sensi di colpa, ma
semplicemente per cominciare a chiedere perdono e considerarci i
primi poveri che hanno bisogno di essere di nuovo amati da Dio.
Forse l'aiuto ai poveri è la condizione per riscoprire il
vangelo come buona notizia per noi.
Gesù annuncia la "buona notizia" ai poveri
Ma riprendiamo il nostro cammino parlando della scelta di Gesù
e della prima Chiesa. Gesù organizza la sua attività pubblica,
che si riduce ad un paio di anni, secondo il programma delle
beatitudini che egli riprende dalla tradizione biblica. Egli
annuncia che il Regno di Dio, cioè la sua azione sovrana, libera
e gratuita è a favore dei poveri. I "poveri" sono
quelli dell'esodo. Chi legge la Bibbia, ascolta Isaia e Geremia,
ma anche gran parte dei Salmi sa chi sono i poveri. Quando sente
dire sulle colline della Galilea: "Beati voi poveri perchè
vostro è il regno di Dio", sente un discorso in piena
sintonia col linguaggio biblico. Gesù non dice nulla di nuovo.
La sua novità consiste in questo: Egli dice che il regno di Dio
non è futuro, non è solo un'utopia per incoraggiare e consolare
i poveri, ma che questo regno incomincia a manifestarsi qui e ora.
Egli dice ai poveri: "Voi siete fortunati, felici, alzate la
testa perchè il regno di Dio è per voi!" Il Regno di Dio
vuol dire non solo il paradiso nell'aldilà, non solo la vita
eterna, ma l'azione sovrana del Dio dell'esodo, del Dio della
creazione, del Dio dei profeti che Gesù rende presente con le
sue scelte. E' vero! Non tutto il regno si realizza qui e ora.
Alla vigilia della morte Gesù parla ancora del regno di Dio
per il quale egli dà l'appuntamento ai discepoli. Egli invita a
chiedere la venuta del regno di Dio. Però questo regno ha i suoi
segni già nei gesti e nelle scelte che compie Gesù.
Per interpretare la sua missione Gesù ricorre alla parola
profetica di Isaia maturata nel dopo esilio al tempo della
ricostruzione e rinascita. I rimpatriati dall'esilio sono
scoraggiati dal contrasto con i locali e coi Samaritani. Il testo
di Isaia dice: Lo spirito del Signore è sopra di me... Lo
Spirito è la potenza o la forza di Dio. Per questo mi ha
consacrato con l'unzione. L'unzione era riservata ai re, poi,
quando sono spariti i re, è stata attribuita anche ai sacerdoti
e ai profeti, ma originalmente era destinata solo ai re. L'unto o
il consacrato era il re. Gesù come è Messia o re, realizza il
regno di Dio con la forza dello Spirito, non con una unzione come
Saul oppure Davide. Egli è re perchè è incaricato dalla forza
dello Spirito di Dio per questa missione. Mi ha mandato a
portare la buona notizia ai poveri. Il testo del vangelo di
Luca prosegue: per proclamare ai prigionieri la liberazione e
ai ciechi la vista,per rimettere in libertà gli oppressi e
predicare un anno di grazia del Signore (Lc 4, 18-19). L'anno
di grazia è quello della remissione che consiste nella
ridistribuzione delle terre, nel restituire ai proprietari le
loro case e soprattutto nella liberazione degli schiavi per
debiti.
La lettura che propone l'evangelista Luca è più spirituale.
L'"anno di grazia" è la liberazione da tutte le forme
di schiavitù. Però non vorrei che leggessimo in maniera
spiritualistica - spirituale è un'altra cosa - la proposta di
Gesù, perchè quando dice: "Mi hai mandato a portare la
buona notizia ai poveri, a dare la vista ai ciechi", non si
limita a dire: "Guardate che voi siete ciechi spiritualmente!".
Egli incontra i malati e li guarisce. E questo non è solo un'opera
buona per mostrare che Dio è buono. Gesù non fa solo le opere
di carità, ma attua la sua promessa che il Regno di Dio è per i
poveri. Egli conferma l'azione sovrana del Dio dell'Esodo che ha
fatto uscire gli schiavi dall'Egitto.
Gesù interviene a favore dei poveri
Con i suoi gesti di guarigione Gesù sottrae i poveri dalla
schiavitù, che è la condizione del malato. Guarisce chi è
privo di dignità e di libertà. In una società e cultura
teocratica il malato è l'escluso dalla vita civile e religiosa.
Gesù lo libera da questa condizione. Egli dice: "Cammina,
guarda con i tuoi occhi, sii purificato, sii reintegrato nella
tua dignità!". Questi sono i discorsi che Gesù tiene ai
malati. "Sei liberata dal tuo male! Confida figlia, la tua
fede ti ha salvata!". E' la parola che rivolge alla donna
che vive nella segregazione femminile a causa di una legge e che
le impedisce di avere contatti perchè la sua condizione la
sottrae non solo ai rapporti sociali, ma anche alla vita
religiosa. La donna impura non ha dignità. Gesù la fa uscire da
questo stato di dipendenza e di esclusione.
Questo modo di agire di Gesù riflette il suo progetto. I
venti racconti di guarigione e di altri prodigi riportati dai
Vangeli sono la parte sostanziale dell'attività di Gesù:
liberazione di indemoniati, guarigione di malati, il pane
distribuito agli affamati, la dignità restituita alle donne o
agli stranieri. Questa attività di Gesù viene interpretata in
una preghiera che si trova al centro del vangelo di Matteo e di
Luca. È una delle poche preghiere di Gesù. La seconda è quella
che lo prepara ad affrontare con libertà filiale la morte. Nella
prima preghiera egli dice: Ti benedico, o Padre, Signore del
Cielo e della terra, perchè ... hai rivelato queste cose -
che sono quelle del regno, il suo progetto - ai piccoli. Sì,
o Padre, perchè così è piaciuto a te (Mt 11, 25-26). C'è
anche la parola: Perchè hai tenuto nascoste queste cose ai
sapienti e agli intelligenti. Questi sono quelli che pensano
di poter controllare l'agire di Dio, sono i segretari di Dio,
quelli che hanno il telefonino diretto con il "Padreterno":
scrivi e farisei che controllando le Scritture e manovrando le
leggi possono dire cosa fa e cosa pensa Dio.
"Ti ringrazio, o Padre - dice Gesù - perchè non hai
rivelato le cose del Regno, il tuo agire sovrano a questi, ma ai
piccoli". I "piccoli" non sono solo i bambini, ma
sono gli oppressi e affaticati di cui parla subito dopo (Mt 11,
28-30). Sono gli oppressi da una religione formalista proposta da
quelli che impongono pesi insopportabili alla gente ed essi non
li muovono neppure con un dito. Essi hanno l'autorità per fare
questo, perchè siedono sulla cattedra di Mosè (cf. Mt 23, 1-4).
Gli oppressi e affaticati sono la povera gente, quella che con il
linguaggio del tempo si chiamava "il popolo della terra",
ignorante e perciò incapace di conoscere e di osservare la legge
(cf. Gv 7, 49). A questi Gesù rivolge la sua attenzione. Sono i
peccatori, le donne, i bambini, gli ammalati, gli stranieri. Gesù
vede in questo il compimento del progetto del Padre: "Ti
ringrazio per questo, perchè così è piaciuto a Te!". Qui
si vede la "elezione" di Dio, da non tradurre con
"scelta", ma forse meglio con amore. E' l'amore libero,
gratuito e sovrano di Dio. Ma qualcuno può dire: "E gli
altri allora non sono eletti?". Ebbene, anche questi sono
destinatari del regno di Dio, ma solo attraverso l'attitudine di
chi lo accoglie come un dono gratuito e non come un diritto.
Gesù lo dice chiaramente nelle pparabole: "Gli ultimi
chiamati ricevono la paga intera, non perchè hanno diritto, ma
perchè io sono buono" (cf. Mt 20, 1-15). E' molto chiaro.
Ma dove sta la giustizia che prescrive di dare ad ognuno il suo?
È vero! Esiste la giustizia contrattuale, ma esiste anche la
giustizia di Dio. Egli è giusto perchè è fedele, perchè dona
là dove non ci sono diritti. Adesso si capisce anche la proposta
che Gesù fa al giovane ricco. Egli non dice semplicemente di dar
via i beni (cf. Mt 19, 16-22). Spesso la parola del vangelo viene
interpretata così e si pensa di attuare la povertà unicamente
perchè si rinuncia ai beni. Se vuoi imitare l'unico "buono",
dice Gesù, quello che dona là dove non ci sono diritti, và,
vendi quello che hai, dallo ai poveri!".
Questo è diverso dal semplice rinunciare ai beni. La rinuncia
la fanno anche i filosofi stoici. La fanno anche i maestri di
spirito delle religioni orientali per non avere fastidi con le
cose materiali. La spiritualità biblica, cristiana ed evangelica
non disprezza la ricchezza. Alcuni dicono: "La chiesa e i
cristiani hanno il complesso di non saper affrontare con realismo
il problema della ricchezza!". Il vangelo propone di usare i
beni come segno di amore gratuito. I beni non possono essere
concentrati come potere per controllare gli altri, ma vanno
condivisi come segno di comunione. Questo è il modo di vivere la
povertà evangelica.
Attualmente ci troviamo in questa situazione paradossale. Da
una parte in nome del Dio dell'esodo e di Gesù i cristiani
cercano di combattere la povertà! Dall'altra sono invitati a
scegliere i poveri senza comprendere sempre quali sono le ragioni
di questa scelta. Allora si dice: "Se siamo tutti poveri non
possiamo aiutare i poveri!". Che senso ha la semplice
rinuncia al possesso dei beni? La risposta evangelica, che deriva
dalla tradizione profetica e sapienziale, è questa: "I beni
possono occupare il cuore, diventare mammona, l'idolo che prende
il posto di Dio" (cf. Mt 6, 24). Ma nella prospettiva della
sequela di Gesù il problema non è il possesso o il controllo
dei beni, ma l'imitazione dell'unico "buono", Dio, che
comunica i beni a tutti a partire dai bisognosi, dai non aventi
diritto.
Gesù si rende solidale con i poveri
Completiamo questa lettura del progetto di Gesù col momento
finale, quando egli ricostruisce in una parabola la scena del
giudizio e dà i criteri per riconoscere la propria verità di
esseri umani prescindendo da qualsiasi appartenenza religiosa.
Questa pagina del Vangelo di Matteo impressiona tutti, credenti o
meno, praticanti e non praticanti (Mt 25, 31-46). Quando verrà
il Figlio dell'uomo siederà sul trono della sua gloria. Il
"Figlio dell'uomo" è Gesù in quanto solidale con la
condizione umana: è il crocefisso esaltato da Dio. Egli porrà
alla sua destra e sinistra tutte le genti che saranno convocate
davanti a Lui. Quindi non sono convocati per il giudizio solo i
cristiani, ma tutte le genti. Il giudizio di Dio riguarda tutti i
popoli. Il giudice dirà a quelli di destra: "Venite
benedetti, prendete possesso del regno preparato per voi fin
dalla creazione del mondo". Non è un regno conquistato, ma
dato come la vita.Che cosa abbiamo fatto per meritare di vivere
sani nonostante tutti i malanni che ci sono? E' un dono gratuito!
La ragione per essere accolti nel regno del Padre è questa:
Gesù riconosce come figli di Dio e suoi fratelli quelli che
hanno compiuto un gesto di accoglienza: "dar da mangiare,
dar da bere, accogliere il pellegrino, visitare il malato, il
carcerato". Sono i gesti di amore feriale, che non hanno
nulla di eroico. "Ogni volta che lo avete fatto ad ognuno di
questi miei fratelli più piccoli...". Qui si ritrovano i
"piccoli" della preghiera di Gesù: "Ti ringrazio,
Padre, perchè hai scelto, hai amato i piccoli come destinatari
del tuo amore!". L'unico buono, Dio, si interessa di quelli
che hanno bisogno . Alla fine le genti o i popoli saranno accolti
come figli nel regno di Dio perchè hanno attuato l'amore verso i
piccoli coi quali Gesù, il Figlio dell'uomo, si identifica. Ora
si capisce come questa identificazione non è solo un modo di
dire. Realmente Gesù può collocarsi tra i piccoli, tra gli
ultimi. Questa identificazione è la sostanza della fede
cristiana, perchè Gesù crocefisso è l'ultimo della scala
sociale.
Perciò egli può dire: "Chi accoglie uno di questi
piccoli in mio nome accoglie me. E chi accoglie me, accoglie
colui che mi ha mandato" (cf. Mc 9, 37). Questa è la scala
della graduatoria secondo il vangelo: Dio creatore, Gesù, il
piccolo. Gesù si identifica con il piccolo, con tutti i
crocefissi della storia di ieri e di oggi. Questa è teologia,
non è solo morale, non è sociologia indorata di venature
romantiche sentimentali. E' la sostanza della fede in Dio
creatore, nel Dio dell'esodo, nel Dio con il quale Gesù il
crocifisso si identifica. Dio non ha altro volto se non quello di
Gesù crocefisso sul Golgota. E i piccoli sono il "sacramento",
il segno visibile, la presenza permanente di Gesù crocefisso e
risuscitato.
3. L'amore
preferenziale dei poveri nella prima chiesa
La terza parte è un po' più semplice. L'agire della prima
chiesa è guidato dallo Spirito comunicato da Gesù risorto. A
Pentecoste nasce una comunità che, secondo Luca, realizza l'deale
biblico e anche greco della fraternità e dell'amicizia: "Eerano
un cuor solo e un'anima sola!" (cf. At 4, 32). L'amicizia e
la fraternità immaginate da Platone e da Aristotele diventano
una realtà. Nella comunità dei discepoli di Gesù a Gerusalemme
si manifesta lo Spirito di Dio che scende il giorno della
Pentecoste. E' lo Spirito di Gesù che tiene uniti i discepoli in
forza dello stesso amore che lo ha portato a dare vita per loro.
Luca descrive così questa comunità: Chi aveva proprietà e
sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti secondo il bisogno
di ciascuno (At 2, 45). E più avanti fa una puntualizzazione
che aiuta a dirimere la questione dei poveri e dei ricchi, dei
primi e degli ultimi nella chiesa. Nessuno infatti tra loro
era bisognoso perchè quanti possedevano campi o case li
vendevano, portavano l'importo di ciò che era stato venduto e lo
deponevano ai piedi degli apostoli: e poi veniva distribuito a
ciascuno secondo il bisogno (At 4, 34-35).
L'obiettivo non è di avere i poveri per poter fare opere
buone, ma di farli sparire. Ma questo avviene non in nome di
pianificazioni economiche, ma in forza dell'amore che riconosce
il diritto di vivere con dignità a tutti gli esseri umani a
partire dagli ultimi. Non so se è possibile costruire una società
o tentare di mettere in piedi un'economia tenendo conto di queste
coordinate o di questo orizzonte di fede biblica e evangelica. La
parola di Dio non ci offre se non un orizzonte, non dà nessun
modello operativo, nè in termini di società nè di economia
politica. Ma l'obiettivo indicato dalla Parola di Dio è chiaro.
I miseri non ci saranno più quando i beni saranno fatti
circolare. Si tratta di un ideale e di una promessa già presenti
nel Deuteronomio (cf. Dt 15, 4). Non si tratta di fare una regola
sulla proprietà e sull'uso dei beni come proponevano gli Ebrei
separatisi da Gerusalemme sulle rive del Mar Morto, a Qumran. Il
progetto che deriva dallo Spirito di Pentecoste nasce dall'amore
che fa trovare anche le strade ed i mezzi per far sparire la
miseria e per ridare dignità a tutti gli esseri umani.
Come conclusione propongo un testo della prima Lettera di
Giovanni che presenta l'amore di Dio come fonte e modello dell'amore
umano. Essa inizia con la contemplazione della Parola di vita che
era presso Dio e si è resa visibile, perciò noi abbiamo potuto
vederla, non solo ascoltarla, ma abbiamo potuto toccarla con le
nostre mani (1 Gv 1, 1-4). La parola di Dio è Gesù crocefisso e
risorto, il Signore che comunica lo Spirito. In questa
meditazione l'autore dice: "Dio è l'amore, chi rimane nell'amore
dimora in Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio" (cf. 1 Gv
4, 7-8). Nel contesto di questa meditazione si comprende il
significato di queste parole che l'autore della prima Lettera di
Giovanni scrive ai cristiani, come segno di riconoscimento della
loro fede in Gesù, Figlio di Dio venuto nella carne. Non è un
Gesù ridotto a Spirito, a messaggio o dottrina. Gesù crocefisso
rivela il suo amore nell'autodonazione della croce: Da questo
abbiamo conosciuto l'amore (1 Gv 3, 16). In Gesù Cristo si
rivela il volto di Dio che ama. Egli ha dato la vita per noi;
quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli. Ma se uno
ha ricchezze in questo mondo e, vedendo il suo fratello in
necessità, gli chiude il proprio cuore, come dimorerà in lui l'amore
di Dio? (1 Gv 3, 16-17). Non ha possibilità di dimostrarlo,
se non per mezzo di un amore che si dona.
Lo dice anche Giacomo nella sua Lettera: "Se io ho la
fede e non ho le opere dell'amore, come posso dimostrare la mia
fede? È come se dicessi a quelli che vengono a casa mia e mi
chiedono pane e vestiti: 'Andate in pace, cercate il vestito ed
il pane'" (cf. Gc 2, 14-17). Queste parole non servono a
nulla. La fede dunque si attua attraverso l'amore. Questa è la
fede in Dio, nel Dio dell'esodo, che si rivela in Gesù
crocefisso risuscitato dai morti.
Conclusioni
Lo scopo di questo ascolto e della meditazione dei testi
biblici sull'amore preferenziale per i poveri è di riscoprire le
radici e le ragioni dell'azione pastorale della chiesa. Tutta la
chiesa che segue il suo Pastore, Gesù Cristo, ha una vocazione
pastorale. Egli è il modello di ogni pastore e dell'impegno
pastorale di ogni battezzato. Perciò l'azione pastorale non è
riservata ai soli pastori che hanno ricevuto il sacramento dell'ordinazione,
ma tutta la chiesa è chiamata a riprodurre l'amore del pastore
che è Dio, che si rivela nel pastore autentico che è Gesù.
La conclusione della ricerca sull'amore preferenziale per i
poveri nella Bibbia può essere riassunta in questi termini: la
novità biblica rispetto a tutte le intuizioni della ricerca
umana sul problema della mancanza di beni, della sofferenza e del
dolore che travagliano il genere umano, è che Dio si fa
povero. Non semplicemente Dio guarda ai poveri, ma egli si
fa povero per amore dei poveri. Questo è l'amore
preferenziale, che non si limita a fare discorsi sui poveri o ai
poveri. Dio per amore si fa povero coi poveri.
Allora se si vuole incontrare il Dio dell'esodo, crocefisso
risuscitato in Gesù, bisogno non solo aiutare i poveri, ma
diventare destinatari di questo amore di Dio mettendosi tra i
poveri. La salvezza ci verrà data gratuitamente, se diventiamo
"poveri" liberandoci della nostra ricchezza; se
cesseremo di considerare quello che siamo e che abbiamo come un
diritto e lo viviamo come un dono da condividere con gioia e
semplicità con gli altri.
(testo rivisto dall'autore)
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