Le "Vicinanze"




Le Corti e le Vicinanze


La natura del calcare tufaceo, dolce al taglio del piccone, che costituisce il primo strato roccioso del sottosuolo della città vecchia, ha favorito nel corso di svariati secoli, la formazione di vasti complessi abitativi di tipo ipogeico, comunemente chiamati "vicinanze", destinate in un primo tempo per abitazioni dei ceti meno abbienti e successivamente trasformate a stalle, magazzini, depositi di paglia e di attrezzi agricoli.

La costruzione della casa-grotta in vicinanza (o in comunione) avveniva secondo precisi canoni dell'urbanistica del tempo, definiti "in negativo" ossia del togliere (escavazione del calcare tufaceo), anziché del mettere, usato per le costruzioni edilizie in muratura.

La vicinanza si diffuse anche nelle campagne (vedi l'antica masseria Fanelli, Pizziferro, zoppole S. Toma, S. Sergio). Nel Cinque-Seicento ne furono scavate un numero considerevole, in aggiunta a quelle già esistenti, e la loro presenza, oltre a rappresentare una caratteristica delle modalità abitative di tradizione patriarcale, ci illumina sulle condizioni di vita di una società subalterna, prevalentemente contadina, come quella massafrese dei secoli passati.

Praticamente queste abitazioni, limitate per ampiezza, aria e luce, mancanti dei servizi igienici indispensabili ai bisogni di famiglie a volte molto numerose, sostituirono le case-grotte pericolanti delle gravine e dei canali che solcano l'abitato. La zona preferita fu quella denominata "La Serra" (che diventò il "Pittaggio" più popoloso del paese), compresa tra le antiche contrade del Crognolo e Madonna delle Grazie dal versante occidentale e dei Canalicchi dal lato che costeggia la gravina S. Marco.

I suoli per lo scavo delle vicinanze furono lottizzati ed assegnati in particolari circostanze non ancora sufficientemente accertate. Sappiamo, da documenti del secolo XVII, di vendite e di assegnazioni dotali di facciate di vicinanze, di cave o tufare per "lo scavo di nuove grotte". Percorrendo le strade e i vicoli del rione Bambino, una volta centro del Pittaggio La Serra, ne incontreremo una grande quantità di forme ed ampiezze diverse, quasi tutte orientate a sud, certamente per preservarle dai venti di tramontana. Le più grandi, che raggiungono 9 e talvolta 11 abitacoli, sono chiamate "corti" quasi a volerci richiamare il ricordo delle corti romane o di quelle sub-divo circondate da case o da alte recinzione murarie. [...]. Molte vicinanze sono state chiuse o interrate, quelle superstiti sono oggi in completo stato di abbandono. [...]. L'invaso, ricavato nella roccia, ha la profondità di 4-5 mt. Ed ha forma quasi sempre rettangolare. Mostra la scala monolitica con 15-20 gradini alti cm. 25-30, la cisterna per la raccolta delle acque piovane accanto alla quale troviamo una "pila", specie di lavatoio di pietra a forma di vasca rettangolare, la "foggia" per lo scarico delle acque di rifiuto, e, sulle facciate, le varie porte d'ingresso, munite di uno o due gradini. Le abitazioni, per la massima parte, sono composte da 1-2 vani per una superficie di mq. 20-30, con cucina a camino o "alla monacale", e altri accessori: stipi, nicchie, mangiatoie (sovente la famiglia era costretta a coabitare col maiale o con l'asino). Nel soffitto le solite "caviglie" per la sospensione di piani di legno per la conservazione dei formaggi, dei salami e della frutta per l'inverno. Altri aggangi per la sospensione delle culle sono visibili negli spigoli di alcune pareti grottali. Non manca, in alcune case, l'alcova per il letto matrimoniale. Ma questi e altri motivi architettonici si notano più che altro nelle escavazioni più recenti.

Gli abitacoli prendono aria esclusivamente dalla porta d'ingresso, su cui si apre, non sempre, un finestrino. La cucina o il focolare sono ubicati sulla facciata interna, in prossimità della porta, col fumaiolo che sporge all'esterno dell'atrio. L'altezza dei vani non supera i 3 mt., per cui abbondante risulta lo spessore di copertura. Il soffitto è quasi sempre piano. Il pavimento è costituito o dalla nuda roccia, oppure da una specie di "acciottolato" di pietre nostrane o di grossi lapilli di mare. Le pareti venivano imbiancate, anche se a distanza di anni, a latte di calce.

Le vicinanze sono state abitate fino ai primi decenni di questo secolo. In alcune di esse vi erano locali per la tessitura della felpa, le tintorie, i mulini, le botteghe artigiane, le rivendite, i fornelli, le cantine. E' probabile che vi esistesse anche qualche luogo di culto, ma di essi abbiamo soltanto degli indizi da verificare. Al di sopra delle vicinanze, poco distante dal cortile, sorgono le costruzioni in muratura. Casette ,a volte, molto semplici, ad uno o due piani, con scala interna od esterna per accedere al piano superiore o al terrazzo, indicate nelle scritture notarili col termine di case-lamie, ad embrici, a cannizzo. Spesso nella costruzione delle case veniva adoperato il materiale di risulta delle vicinanze. In un periodo di evoluzione successiva, balconi e porte venivano sormontati da archi a tutto sesto. Diverse case recano sulla facciata l'anno di costruzione.

da "Massafra. La Città e il Territorio" di E. Jacovelli - Massafra 1981




Contributo sull'origine e sul regime dominicale
delle Vicinanze ipogeiche di Massafra


di Giulio Mastrangelo

Premessa.

Uno degli aspetti che lega Massafra al vicino Oriente è costituito dalla "facies" ipogeica degli insediamenti rupestri vicinanziali che ne fanno una città sotterranea anche se non assimilabile a Derinkuyu, a Kaymakli e alle altre città sotterranee della provincia di Nevsehir in Cappadocia. In un recente giudizio possessorio, che verteva tra alcuni privati il Comune di Massafra e la provincia di Taranto, si è disputato sul tema delle vicinanze. In particolare, ha assunto rilevanza ai fini del decidere il regime di proprietà pubblica o privata delle vicinanze del Centro Antico di Massafra. La vexata questio riguardava la tutela del possesso esercitato su un area scoperta che era risultata dall'interramento di un'antica vicinanza, avvenuto negli anni '60, e che era stata chiusa con un cancello dal proprietario-ricorrente giusta autorizzazione ottenuta dal Sindaco dell'epoca.

A distanza di circa trenta anni, il Sindaco di Massafra, su pressione di un vicino di casa del proprietario-ricorrente, ordinava a quest'ultimo la rimozione del cancello, avendo dichiarato pubblica l'area di risulta della vicinanza sulla base della relazione del tecnico comunale e del parere del tecnico di controparte. Allorché veniva iniziata l'esecuzione in via amministrativa dell'ordinanza sindacale, l'interessato insorgeva contro il Comune promuovendo, tra l'altro, un'azione di manutenzione nel possesso e un'opposizione all'esecuzione. La questione, aldilà del suo esito processuale, merita un'attenta riflessione sia dal punto di vista giuridico che storico. Tuttavia, in questa sede ci limiteremo ad introdurre il tema riportando il pensiero degli autori che se ne sono occupati sperando che altri vogliano, in futuro, affrontare il problema in modo sistematico e completo.

Origine del regime dominicale delle vicinanze.

L'indagine sull'origine e sul regime dominicale delle vicinanze non può che prendere le mosse da quel complesso fenomeno storico culturale urbanistico e sociale nel corso del quale ebbe origine e si sviluppò la particolare tipologia architettonica delle vicinanze, fenomeno meglio conosciuto dai più col nome di Civiltà Rupestre.

Padre Luigi Abatangelo, che è stato il primo ad occuparsi del tema, pur senza produrre una datazione certa, definisce la vicinanza "una vaga e rudimentale imitazione delle antiche case romane con impluvium o cortile interno quadrato e scoperto - detto cavaedium spazio vuoto nell'ambito delle abitazioni - e con allineamento di stanze ai tre lati". Secondo la stesso Autore, le vicinanze sono assimilabili agli "antichi Lares romani (case) e l'atrio o cortile corrispondeva ai così detti vici, donde derivò il vocabolo vicinanza, che, nella disposizione edilizia delle case romane, formano il punto di incontro delle dimore contenute nello stesso ambito".

Il Fonseca, invece, colloca l'origine delle case-grotte in vicinanza o delle vicinanze tout-court intorno al XIV-XV secolo allorquando lungo i versanti della Gravina Madonna della Scala e della Gravina San Marco cominciò a scarseggiare il "suolo edificatorio verticale" (costituito dalle spalle delle gravine, adatte allo scavo di nuovi ambienti rupestri) e la popolazione fu indotta ad occupare l'altopiano costruendo nuovi insediamenti abitativi ipogeici che presero il nome di "vicinanze".

Secondo Espedito Jacovelli, nel XV-XVI secolo, sempre al fine di sostituire le case-grotte pericolanti delle gravine e dei canali che solcano l'abitato, sarebbe stata lottizzata "la contrada Serra, una zona demaniale compresa tra l'attuale piazza Garibaldi, il Santuario della Scala e le due gravine, in cui furono aperte oltre duecento vicinanze per le famiglie sfollate della Gravina S. Marco, il cui materiale di scavo venne utilizzato per la costruzione di case e palazzi di ceti più ricchi".

Il Caprara, invece, ritiene molto più antica l'origine delle vicinanze: esse non sarebbero basso-medievali ma almeno di età tardo-antica.

L'Autore trae argomenti per sostenere tale tesi rifacendosi all'esperienza di Casalrotto "che era Casale ruptum, vale a dire distrutto da tanto tempo che se ne era dimenticato persino il nome quando, nell'XI secolo, riappare nei documenti"; il modello delle vicinanze viene fatto derivare dalle "case monofamiliari ipogeiche con area scoperta centrale dell'Africa settentrionale, importato dai profughi di quelle regioni all'epoca della invasione vandalica (V secolo), ove non addirittura preesistente come tradizione vernacola ipogeica della "casa" italica che apriva le sue stanze esclusivamente sulla corte centrale, che aveva anche la funzione di impluvio per la raccolta delle acque piovane".

Il modulo costruttivo della vicinanza ebbe fortuna e si diffuse anche nelle campagne ed è possibile vederne alcuni esempi nelle fasi rupestri delle masserie Fanelli, Pizziferro, Zoppole S. Toma, S. Sergio, etc.. Mettendo a confronto la masseria ipogeica di Fanelli vecchia col complesso ipogeico all'inizio di via Castiglia, per esempio, si evidenzia come i due impianti ipogeici sono confrontabili essendo costituiti da un'area discoverta centrale cui si accede, mediante una gradinata in discesa, da sud. Sul lato nord, in entrambi i casi, è scavata un'abitazione costituita da quattro vani, contigua a una stalla (per bovini e/o equini) scavata a nord-ovest; vani minori a est e a ovest.

Sul punto, il Caprara osserva che "nel caso della masseria ipogeica, l'area discoverta corrisponde alla grande corte delle masserie subdiali e, pertanto, è pertinenza privata della costruzione circostante. Per analogia, è da supporre che l'area discoverta della vicinanza urbana dovesse essere considerata area di proprietà di chi detenesse la proprietà delle abitazioni circostanti, né più né meno come oggi l'androne o il cortile di una casa unifamiliare o, nel caso di abitazioni condominiali, di uso comune per i condomini, ma non - comunque - suoli pubblici".

La tecnica costruttiva delle vicinanze.

La vicinanza, al pari delle abitazioni rupestri site nelle Gravine, si otteneva con la cosiddetta tecnica costruttiva "in negativo", nel senso che veniva edificata "togliendo" (cioè scavando) anziché "mettendo" (cioè fabbricando) ma con questa differenza: mentre le Gravine offrivano già delle pareti naturali funzionali all'insediamento rupestre, per la vicinanza le pareti verticali dell'area venivano ottenute artificialmente, cioè con lo scavo sul terreno di un vano scoperto, che negli atti notarili del '700 prende il nome di "cava" o "tufara" o "zoccata", di forma solitamente quadrangolare fino alla profondità di 4 o 5 metri, risparmiando nella roccia la sola scala di accesso.

Ognuna delle pareti verticali ottenute o "facciate di zoccata" (come si legge nei predetti atti notarili del '700, di cui si dirà oltre), poteva essere utilizzata per lo scavo di una o più case grotte.

Le fonti documentali storiche pubbliche.

Le fonti storiche, oltre che l'opinione degli Autori che si sono interessati del problema, concordano tutte sul regime di diritto privato delle vicinanze o, quantomeno, portano ad escludere le demanialità delle stesse. Le fonti storiche pubbliche sono costituite da atti inoppugnabili come il Catasto Onciario del 1748-1749, il Censimento della popolazione del 1911 e la relazione tecnica del 3-11-1937 inviata dal Comune di Massafra al Ministero dei Lavori Pubblici. Nel Catasto Onciario del 1749 sono 130 le famiglie che posseggono in piena proprietà case grotte. Su 740 bracciali censiti, "solo 11 non possiedono nulla e solo 42 abitano in case in affitto" di proprietà di privati. Del resto anche la proprietà fondiaria era largamente distribuita fra tutti iceti sociali; "oltre un terzo della proprietà terriera, infatti, era nelle mani dei cittadini laici".

A seguito del Censimento della popolazione del 1911 risultò che a Massafra vi erano 278 abitazioni site nel sottosuolo, composte di uno o due vani, e di esse 239 erano abitate. Nella relazione tecnica del 3-11-1937, inviata da Comune di Massafra al Ministero dei Lavori Pubblici a corredo del piano di spostamento e risanamento parziale dell'abitato, le grotte risultano complessivamente 1141, delle quali 503 scavate nel sottosuolo e in gran parte abitate.

Fonti documentali storiche private.

In atti notarili del '700, che ovviamente riguardano Massafra, ci si imbatte spesso in atti traslativi che hanno per oggetto vicinanze. Si tratta il più delle volte di atti di vendita o di costituzione di dote. In ordine a quest'ultimo tipo di atti, emerge chiaramente come la vicinanza, chiamata di volta in volta "zoccata" o "tufara", apparteneva di solito ad una sola famiglia che usava che usava concedere in dote ai figli, sposati o in procinto di sposarsi, una delle facciate ancora da "zoccare" al fine di ricavarvi la propria abitazione. Merita di essere citato l'atto del notar Giuseppe Brunetti rogato il 18 maggio 1726 con cui i coniugi Fabrizio Centola e Rosa Ramundo, confermando i capitoli precedentemente pattuiti "de futuro matrimonio contraendo", costituiscono in dote a favore di Domenica, loro figlia legittima "vergine in capillis" (promessa sposa di Cataldo di Antonio Petrasanta di Massafra), fra gli altri beni anche "un luogo dentro la tofara di esso Fabrizio sito in luogo detto la Serra di Lanti tredici per potervi zoccare detto Cataldo futuro sposo una casa di lunghezza e larghezza canne cinque di quadro, franco eccetto dell'annuo canone di grana due e mezzo, che paga alla detta Baronal Corte". Vedasi ancora l'atto per notar Francesco Nicola Maglio, rogato il 4 febbraio 1748, con cui i coniugi Pietro Albanese e Rosa Galiotta ratificano i capitoli matrimoniali con cui avevano promesso in dote a Caterina Albanese, vergine in capillis loro figlia legittima e naturale, "per lo matrimonio de futuro contratto tra detta Caterina ex una e Michel'Angiolo del quondam Giovanni Frullo di detta terra ex altera" tra l'altro una parte dell'orto in luogo detto la Serra, dietro la casa dei dotanti, "acciocché il detto sposo possa ivi edificare una casa lamia, in qual modo e maniera che li piacerà, per lo qual fine esso Pietro promette in dote a detta sua figlia la somma di docati trentacinque argento per avvalersene il detto sposo per la fabrica di detta casa"; nonché sempre "in detto luogo della Serra, e proprie in una zoccata sottomano il detto luogo, come sopra descritto, una casa grotta, e propriamente la seconda grotta che si trova a mano destra quando per la scala che vi è si scende nella zoccata, o sia tufara, franca da ogni peso di censo, la qual grotta e propria di esso Pietro, siccome anche detto luogo, come sopra descritto". Da tale atto si deduce che le condizioni economiche della famiglia Albanese erano più agiate rispetto a quelle della famiglia Centola se può permettersi di costruire in dote sia il suolo e la somma di 35 ducati per la costruzione della casa lamia sia la casa grotta nell'attigua vicinanza. Con l'atto notar Francesco Nicola Maglio del 16 gennaio 1748, invece, Michele Cervi vende a favore di Francesco Nicola Lazzaro "una casa grotta, sita in questa Terra, in luogo detto la Serra, (...) dietro la Piazza pubblica di questa Terra, senza cielo, seu aria soprana, per esservi sopra di essa la strada pubblica, con una foggia per rigetto dell'acqua piovana, sita avanti la porta di detta casa, con la sua vicinanza, e con una mangiatoia zoccata nel sasso naturale à canto della porta di detta casa grotta; come coll'appoggiatura della fabrica della casa delli Eredi di Lor. Antonio Mangieri, standovi già principata la volta della lamia, seu appesa corrispondente alla detta vicinanza di detta casa grotta, confinante la casa di detti eredi di detto Mangieri, e casa grotta di detto Lazzaro, franca e libera da ogni peso di cenzo". Di seguito, vi è la vendita, avvenuta in pari data, con cui Francesco Sportiello vende a Michele Cicala la "casa grotta con scala, e vicinanza, nella quale vi è, come un gaifo corrispondente alla gravina di questa terra, sita in luogo detto il Pizzo, seu dietro la Conigliera, come ancora con quel poco di luogo, che si trova prima di scendere in detta grotta, standovi per segno sin dove arriva detto luogo fatta nel sasso naturale una Croce, confinante detto luogo, e per dove sta fatta la croce con il pariete dell'orto, ò sia Casalino delli Eredi di Giovanni Pagliara, franca e libera detta grotta ed altro da ogni peso di cenzo". Sempre nello stesso anno 1748, ma il 28 gennaio, la sig.ra Palma Martucci, ved. Di Leonardo Antonio Gioffredo vende a favore del Rev.mo Canonico don Giovanni Ramundo "una casa grotta, sita in questa Terra, in luogo detto la Serra, e proprie sotto la casa lamia di detto sig. Cananico con la porzione della vicinanza ed altro quanto attiene, e spetta a detta casa grotta, confinante una casa grotta d'esso medesimo sig. Canonico, e grotta della ved. Pasquarosa Roma, franca e libera da ogni peso di cenzo". Nel protocollo del notar Nicola Capreoli, sotto la data del 18 ottobre 1750, è attestata la vendita a favore della vedova Perna d'Ambroggio da parte dei coniugi Luca Antonio de Sabato e Martina Capreoli di "una casa grotta di una canna circa di cavato ed una facciata di zoccata in faccia alle Levante, dotale di detta Capreoli, sita e posta in luogo dentro questa Terra, e proprio in luogo detto la Serra, vicino la casa grotta di Giovanni Antonio Scaligina dotale di sua moglie verso Levante, la casa grotta di Saverio Flemma da Tramontana ed altri confini, franca e libera da ogni peso di censo, e con tutti quelli jus et azioni".

La tesi della presunzione di demanialità.

La tesi della natura demaniale dell'area (risultata dall'interramento) di una vicinanza non è sostenibile, non solo in base alle argomentazioni desunte dalle fonti storiche appena esaminate, ma neppure invocando la presunzione relativa di cui all'art. 22, comma 3, Legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. F secondo cui all'interno degli abitati le aree adiacenti ad una strada pubblica comunale appartengono al demanio stradale. Ai fini dell'applicazione della citata presunzione di demanialità, si è recentemente statuito che "non è sufficiente che l'area in questione abbia uno sbocco su una strada o una piazza comunale, ma occorre che essa si presenti come parte integrante della funzione viaria della rete stradale e costituisca, perciò, pertinenza della strada". Il caso deciso si attaglia alla fattispecie di cui si tratta. Nel nostro caso, infatti, l'area della vicinanza, subito dopo l'interramento della stessa, fu chiusa da un cancello ed usata esclusivamente da un privato talché non si può neppure ipotizzare la sua apertura al pubblico transito. Ne consegue che, a maggior ragione, non è ipotizzabile che tale area sia mai divenuta parte integrante della funzione viaria della rete stradale e costituisca pertinenza della strada alla stregua del principio enunciato dalla pronuncia citata. Pertanto, la tesi della presunzione di demanialità non è sostenibile.

Apertura al pubblico transito e demanialità.

Non è sostenibile neppure la tesi che desume l'appartenenza pubblica di una certa area dall'essere la stessa aperta al pubblico passaggio. Giacché la norma dell'art. 22, comma 3, della legge 20 marzo 1865 n. 2248 All. F va interpretata in connessione con l'art. 822 del codice civile che ripone sull'appartenenza dl suolo all'Ente la qualificazione demaniale. Sotto questo profilo, perché una strada o un'area possa essere definita pubblica è necessario un titolo costitutivo del diritto reale pubblico, integrale o parziario; in caso contrario esse dovranno essere considerate private. Anche secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, una strada privata non può diventare pubblica quoad usum solo perché aperta al pubblico transito, o per il fatto che il proprietario tolleri il pubblico passaggio. Ai fini della costituzione del diritto reale pubblico di uso occorre, in difetto di altro titolo (che può essere un negozio giuridico a titolo gratuito od oneroso), almeno la prova di una concreta utilità di carattere collettivo, per il cui soddisfacimento il passaggio risulti essere stato esercitato durante tutto il tempo necessario ad usucapire. Una decisiva argomentazione contraria alla tesi della demanialità si trae dalla circostanza incontrovertibile che mai, sia in passato sia nel presente, le aree scoperte delle "vicinanze" sono state servite da servizio di nettezza urbana. Anche sotto quest'altro profilo la tesi della demanialità rimane indimostrata e infondata. Né tale dimostrazione può essere supplita dalla semplice adiacenza dell'area alla strada comunale.

Ordinanza di ripristino e azioni possessorie.

Sotto un diverso e ulteriore profilo, si ritiene che il provvedimento con cui il Sindaco ordina la rimessione in pristino di una strada ritenuta di uso pubblico, ai sensi degli artt. 378 L. 2248/1865 All. F e 15 d.l. lgt 1-9-1918 n. 1446, si pone su un piano di parallelismo con le azioni possessorie previste dagli artt. 1168 e 1170 del codice civile. Ebbene, pur accattando astrattamente di condividere tale impostazione, non si riesce a pervenire a una diversa soluzione. Presupposto essenziale di tale tesi, infatti, è che il Sindaco eserciti il potere repressivo nell'ambito temporale di un anno dalla alterazione o turbativa dello stato di fatto, altrimenti sarà da ritenere illegittimamente esercitato il relativo potere. Nel caso che ne occupa la modifica dello stato dei luoghi è avvenuta nel 1963, mentre l'ordinanza sindacale è stata emessa nel 1988, cioè a distanza di 25 anni. Ne consegue che il provvedimento sindacale si atteggia quale mero comportamento materiale giacché, pur rivestendo la forma di un atto amministrativo, risulta emesso in forza di un potere che si è estinto nel 1964, cioè allorché è scaduto l'anno dell'avvenuta alterazione dello stato dei luoghi. L'attività esecutiva posta in essere dal Comune in forza di tale atto inesistente costituisce illecito civile che non può che essere represso.

Conclusioni.

Le considerazioni di ordine storico sulle origini e sulla tecnica costruttiva delle vicinanze, consentono di stabilire i seguenti punti fermi:

  1. per vicinanza si intende l'insieme dell'area scoperta ipogeica (chiamata nelle fonti "cava", "tufara", "zoccata") e di una o più case grotte che ivi si affacciano;
  2. la casa grotta veniva scavata cronologicamente dopo avere scavato e ottenuto l'area scoperta antistante (con la relativa scala di accesso), sicché la proprietà di quest'ultima non poteva che coincidere e coincideva, almeno in origine, con la proprietà della prima;
  3. lo scavo dell'area scoperta vicinanziale era funzionalmente preordinata dallo scavo di una o più case grotte di cui l'area scoperta diveniva una pertinenza;
  4. nell'area discoverta delle vicinanze erano ubicate delle strutture quali la cisterna per la raccolta dell'acqua piovana, "fovea" o foggia per lo smaltimento delle acque di esubero, la "pila" o vasca monolitica per il bucato il cui uso era rigorosamente ed esclusivamente riservato ai proprietari delle abitazioni che si aprivano sull'area stessa;
  5. strutture pubbliche quali pozzi perenni comunali o "pozzi universali", foggioni e "lavore" sono attestati distintamente come tali nel Catasto Onciario del 1748-49 ed erano ubicati per lo più alla periferia della Massafra antica e nel contado;
  6. le fonti non parlano di vicinanze di proprietà pubblica o demaniali.

Si è dimostrato inoltre che tra casa grotta e corte vicinanziale sorge un vincolo pertinenziale, al pari di quello che avviene oggi tra case in condominio e cortile o atrio condominiale, cioè essa diventa una parte comune delle case grotte che su di essa affaccino e prendono aria e luce. Si è visto ancora come nel 700 la proprietà fondiaria e urbana, lungi dall'essere concentrata in poche mani, fosse estremamente frazionata e distribuita fra tutti i cittadini; ancora oggi le Gravine urbane di Massafra sono frazionate in microparticelle (autentici fazzoletti di terra) tutte in mano privata. Ebbene nel XVIII secolo, come attestano gli atti notarili esaminati, si scavavano ancora nuove case grotte nell'ambito di vicinanze preesistenti e tali immobili erano nella piena disponibilità di privati e oggetto di frequenti scambi solo tra privati. Da tali premesse discende che, nel caso di interramento di una vicinanza (cioè ove si verifichi il procedimento inverso rispetto allo scavo della medesima vicinanza), non è dubitabile che proprietario dell'area di risulta sia il titolare o i titolari rispettivamente dell'unica o delle diverse case grotte della vicinanza interrata. Si può ragionevolmente concludere che, stabilita la natura privatistica dell'area di risulta della vicinanza, l'ordinanza con cui il Sindaco ha dichiarato pubblica l'area in questione è ingiusta, illegittima ed emessa in carenza di potere in quanto il Comune:

  1. non ha dimostrato che l'area in questione sia parte integrante della funzione varia della rete stradale comunale;
  2. non ha prodotto il titolo costitutivo del diritto reale pubblico, integrale o parziario;
  3. non ha fornito alcuna prova sul pubblico transito in concreto esercitato sull'area de qua;
  4. non ha dimostrato che l'area in questione rivesta alcuna concreta utilità di carattere collettivo;
  5. non ha dimostrato che il servizio di nettezza urbana sia stato o venga prestato anche nelle corti vicinanziali ipogee;
  6. ha esercitato il potere repressivo dopo che era scaduto da lungo tempo il termine di un anno dall'avvenuta recinzione dell'area in questione.

da "Archeogruppo 2", numero unico - giugno 1992



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