Per concludere...


(John VALERY, Bolle d'infinito, Urania 1102, ed. Mondadori, traduzione di M. Arduini)
 
    Cooper osservò che Megan e le sue amiche giravano nude molto più di quanto non lo avesse fatto lui con i suoi coetanei. Gli studenti della sua scuola si spogliavano sulla spiaggia, per partecipare alle gare di atletica e per celebrare ricorrenze speciali, come l'Equinozio di Primavera o l'Ultimo Giorno d Scuola. Le amiche di Megan sembravano perennemente nude. La maggior parte erano di razza bianca, ma tutte erano abbronzate come chicchi di caffè.
    "È vero," ammise lei. "Non indossavamo mai nient'altro che un paio di scarpe da tennis."
    "Anche a scuola?"
    "Nessuno ci ha mai fatto imposizioni di alcun tipo."
[...]
    Anna Luoise si avviò sul marciapiedi in mattone per poi passare al marmo e infine attraversò un ponte di vetro a luci intermittenti. Il ponte la portò sul lungolago e poi giù fino a una spiaggia, dove macchine apposite creavano cavalloni alti un metro, per la gioia dei surfisti. La sabbia era calda e finissima sotto ai suoi piedi. Il Mozartplatz in generale era una delizia per i piedi. Pochissimi Lunatici indossavano scarpe, e potevano camminare per la vecchia New Dresden tutto il giorno, senza sentire altro che il diverso tipo di rivestimento o di pavimentazione.
    L'unica cosa che ad Anna Luoise non piaceva del luogo era il clima. Lo riteneva superfluo, irrazionale e inopportuno. La pioggia la coglieva sempre di sorpresa, come in quel momento. Corse a ripararsi e affittò un ombrello per un decimo di marco, ma per la sua uniforme di carta era ormai troppo tardi. Mentre si asciugava di fronte a un essiccatore ad aria calda, appallottolò l'uniforme e la gettò via, poi corse a prendere il tram, con addosso solo la cintura di pelle e il berretto della polizia. Anche così era vestita più o meno come un quarto delle persone che aveva attorno.
    Il conducente le diede una stuoia di carta da mettere sul sedile [...]
[...]
    "È fantastico trovarsi di nuovo qui sulla Luna," affermò Megan. Fece un gesto per indicare il proprio corpo. "È fantastico potersi liberare dei vestiti. Mi sento sempre molto libera, quassù. Però è buffo. Non sono
mai riuscita ad abituarmi a camminare scalza." Alzò un piede, mostrando le pianelle d'argento. "Senza scarpe mi sento terribilmente vulnerabile. Come se avessi paura di venire calpestata."
    "Ci si possono togliere i vestiti anche sulla Terra," osservò Anna Louise.     "Certo, ma non dappertutto. A parte la spiaggia, non è
di moda girare nudi ora, capisci?"
    Anna Louise non capiva affatto, ma non lo diede a vedere. Sapeva che la nudità pubblica si era sviluppata sulla Luna perché non faceva mai né troppo caldo né troppo freddo. Sulla Terra quell'abitudine non aveva preso piede ed era infatti considerata tipicamente Lunatica.

* * *

(Robert A. HEINLEIN, Lazarus Long l'immortale, Editrice Nord, trad. di R. Rambelli)
 
    "[...]Llita, tu portavi addosso qualcosa, quando ti ho comprata?"
    "No... capitano."
    "E io porto qualcosa, adesso?"
    "No, capitano."
    "No, vi sono tempi e luoghi in cui si portano gli abiti... e altri tempi e altri luoghi in cui è sciocco farlo. Se questa fosse una nave passeggeri, tutti noi porteremmo abiti, ed io avrei un'elegante uniforme. Ma non lo è, e qui ci siamo solo io e tuo fratello. Vedi quello strumento? È un termudimostato che dice al computer della nave di mantenere la temperatura della nave a ventisette gradi Celsius con il quaranta per cento di umidità, con variazioni a caso per stimolarci... e per te questo può anche non significare nulla, ma è il mio ideale di comodità, quando si sta nudi. Per un'ora, ogni pomeriggio, la temperatura si abbassa per incoraggiare a fare un po' di esercizio, perché a bordo ci si infiacchisce.
    [...]
    [
da una lettera di Lazarus Long alle figlie]  Care, voi che non portate mai abiti quando non ne avete bisogno - tranne che nelle grandi occasioni - stentereste a credere l'importanza che qui-ed-ora hanno i vestiti per indicare la posizione sociale. Molto più che a New Rome. Qui basta guardare l'abbigliamento di una persona per conoscerne l'età, il sesso, la posizione sociale, la posizione economica, la probabile occupazione, il grado approssimativo di istruzione e molte altre cose. Qui vanno addirittura a nuotare vestiti... non sto scherzando; chiedetelo ad Athene. Mie care, dormono vestiti! [...]

* * *

(Isaac ASIMOV, Neanche gli dèi, Biblioteca di avventure fantastiche n. 18, ed. TEADUE, traduzione di Beata della Frattina)
 
(Parte Terza - Cap. 2)
    [...] Adesso, entrando, trovò, come spesso accadeva, Neville, Barron Neville, steso su un divano con un sandalo infilato. L'altro era caduto sul pavimento, e attorno all'ombelico aveva una lunga fila di segni rossi, dove si era grattato distrattamete.
    "Prendiamo un caffè, vuoi, Barron?" disse lei togliendosi gli abiti con un unico aggraziato movimento sinuoso unito a un sospiro di sollievo. Poi li buttò con un calcio in un angolo... "Che sollievo spogliarsi!" esclamò. " Doversi vestire come i Terragni è la parte peggiore del lavoro."
    Neville era andato nell'angolo cucina a preparare un caffè, e non fece commenti perché aveva già sentito più d'una volta quelle parole. Disse invece: "Cos'ha la tua scorta d'acqua? È già finita?"
    "Davvero? Be', si vede che ne ho adoperata troppa. Abbi pazienza."
    "Niente di spiacevole, oggi?"
    "No, tutto normale... piuttosto disgustoso, come al solito. Fingono di gustare i nostri cibi e hanno paura che gli si chieda di spogliarsi... figurati che roba se lo facessero!"
    "Sei diventata pudica?" domandò lui portando due tazzine di caffè e deponendole sul tavolino.
    "Ci son casi in cui il pudore è necessario. I miei turisti sono rugosi, cascanti, panciuti, non ché pieni di germi... E tu, ci sono novità?" [...]
 
(Parte Terza - Cap. 4)
    [...] "Bene, allora se vuole diventare uno di noi, penso che dovrebbe visitare la palestra. I Terragni lo chiedono spesso, ma noi non li incoraggiamo troppo, anche se nessun regolamento lo vieta. Ma con gli immigrati è diverso."
    "Perché?"
    "Be', tanto per cominciare, noi facciamo ginnastica nudi o quasi. E perché non dovremmo?" si affrettò ad aggiungere in tono difensivo come per prevenire delle obiezioni. "La temperatura è controllata e l'ambiente pulito. Solo i Terrestri reagiscono in modo esagerato al nudo: o si eccitano o lo trovano indecente, o tutt'e due le cose insieme. Be', noi non abbiamo certo intenzione di far ginnastica vestiti per amor loro, e così, per evitar fastidi, facciamo a meno di portarli in palestra."
    "E gli immigrati?"
    "Con loro è diverso, perché si devono abituare. Prima o poi dovranno spogliarsi anche loro, tanto più che hanno molto bisogno di fare ginnastica... più dei Lunari indigeni."
    "Voglio essere onesto con lei, Selene: la vista del nudo femminile mi eccita. Non sono poi ancora decrepito."
    "Be', si ecciti pure" commentò lei, con indifferenza "basta che non dia fastidio a nessuno. Capito?"
    "Dobbiamo spogliarci anche noi?" domandò l'uomo guardandola, con divertito interesse.
    "Come semplici spettatori non è necessario. Lei si sentirebbe a disagio e per noi non costituirebbe uno spettacolo particolarmente seducente."
    "Questo si chiama parlar chiaro!"
    "Perché, pensava di sedurre? Sia onesto. Quanto a me, non intendo sottoporre a particolari tensioni i suoi personali pruriti. Perciò, ci conviene tenere gli abiti."
    "Nessuno avrà da ridire? Intendo, sulla presenza di un Terragno come me, dall'aspetto non particolarmente seducente?"
    "No, se è con me."
[...]
    "Questo è il primo posto che mi ricorda la Terra!" esclamò.
    "In che senso?"
    "Per la sua grandezza. Non sapevo che ci fossero dei locali così grandi sulla Luna. Scrivanie, macchine da ufficio, donne sedute alle scrivanie."
    "Col busto nudo" aggiunse Selene.
    "In questo devo ammettere che non c'è nessuna somiglianza con la Terra."
[...]
    Guidò il compagno verso il parapetto circolare al quale stavano appoggiati parecchi individui che chiacchieravano tra loro. Erano tutti praticamente nudi. Molti calzavano sandali, o avevano delle borse a tracolla. Altri avevano solo i calzoncini. [...]
 
(Parte Terza - Cap. 12)
    Con uno sforzo notevole, Denison cercò di mantenere un tono disinvolto. Allungò più volte la mano, cercò di tirarsi su i calzoni che non aveva. Tutto quello che indossava, infatti, erano un paio di sandali e uno slip ridotto al minimo, troppo stretto. Oltre, naturalmente, al lenzuolo.
    Selene, addobbata come lui, si mise a ridere. "Ben, non deve proprio vergognarsi del suo corpo. È solo un po' flaccido, ma neanche poi tanto. Anzi, se lo slip la stringe, lo tolga."
    "No, no" mormorò Denison avvolgendosi il lenzuolo attorno all'addome. Ma lei glielo strappò di dosso.
    "Dia a me" disse. "Che razza di Lunarita è, se non rinuncia al puritanesimo terrestre? Sa bene che il pudore non è che l'altra faccia della libidine."
    "È un'abitudine inveterata, Selene."
    "Potrebbe cominciare a guardare me, ogni tanto, senza far scivolare via lo sguardo come se fossi unta d'olio. Ho notato che guarda le altre donne con disinvoltura."
    "Se guardo lei..."
    "Dimostra un eccessivo interesse e prova dell'imbarazzo. Ma se continuerà a guardare, prenderà l'abitudine, non ci penserà più e finirà anche l'imbarazzo. Senta, adesso sto ferma e lei mi guarda. Mi tolgo i calzoncini."
    Denison emise un gemito. [...]

* * *


Credimi, quando si è fatti come te, non ci si deve abbellire.
L'amore è nudo e ama la bellezza senza artifici

PROPERZIO



Mi sono spogliato per salire su un albero; le mie coscie
nude abbracciavano la corteccia liscia e umida, i miei sandali
si inerpicavano sui rami. In cima, ma ancora sotto le foglie
e all'ombra della calura, mi sono messo a cavalcioni di una
forcella, i piedi oscillanti nel vuoto. Era piovuto. Gocce di
acqua mi cadevano e scivolavano sulla pelle. Le mie mani erano
macchiate di muschio e le dita dei piedi erano rosse per i
fiori schiacciati. Sentivo vivere il magnifico albero quando
il vento gli passava attraverso; allora strinsi ancora di più
le gambe ed appoggiai le labbra sulla nuca frondosa di un ramoscello.

PIERRE LOUYS




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