LA CRISI DELL'ULIVO

di Enzo Pappalardo

Il 9 ottobre 1997 il Presidente del Consiglio Romano Prodi, recandosi dal capo dello Stato, rassegnava le dimissioni del Governo da lui presieduto, il 54° della pur breve storia repubblicana italiana.

Ogni riflessione in merito al galateo costituzionale violato parrebbe superflua (se e' vero che i governi dovrebbero, in un sano sistema parlamentare, cadere per voto del parlamento) dal momento che ben pił gravi conseguenze si prefigurano, tanto gravi da fare appunto passare in secondo piano i bizantinismi che da decenni alterano e falsano quello che dovrebbe essere il corretto assetto costituzionale.

Il nostro pacioso presidente del Consiglio sa bene infatti che le dimissioni gli lasciano ampi margini di manovra, cosa che un voto contrario delle Camere gli avrebbe negato: un rimpasto, un governo tecnico, larghe intese, ribaltini e ribaltoni, tutti gli orrendi neologismi politici a cui siamo stati abituati negli ultimi tempi.

Ma a prescindere da questo reiterato malcostume istituzionale ed istituzionalizzato, cio' che davvero ha frastornato il paese e probabilmente anche il resto della opinione pubblica internazionale e' l'incomprensibilita' di questa crisi politica, il suo svolgimento e la sua conseguente degenerazione.

All'inizio nessuno ci credeva proprio, si pensava che si trattasse del solito gioco della parti nel quale il PDS recitava il ruolo del partito moderno, pragmatico e responsabile, mentre a Rifondazione Comunista toccava la parte degli irriducibili, dei simpatici compagni barricaderi all'italiana, in giacca di tweed tra i guerriglieri del Chiapas messicano.

Addirittura il dibattito parlamentare alla Camera dei deputati del giorno 8 toccava vene di comicitą fino ad allora sconosciute a quelle vetuste pareti. Prodi si rivolgeva nella sua arringa "al malato cronico di Parma, all'operaio di Brescia e al disoccupato di Napoli", e in rima gli ribatteva il compagno Bertinotti. Franco Marini dei Popolari la buttava, da buon democristiano di sinistra, sul melodrammatico condito di tarallucci e vino, sul ricatto sentimentale ai "compagni di strada" di Rifondazione....una amante tradita non avrebbe saputo fare di meglio...o di peggio, fate voi.

Irrispettoso della cosi' emotivamente toccante atmosfera, irrompeva di seguito il nostro on. Bossi, preoccupato di farci sapere, in primo luogo, che la Padania sarebbe il 12° stato del mondo in quanto a ricchezza e l'Italia, paese in via di sviluppo, soltanto 180°. Di seguito elencava tutta una serie di misure di politica economica, senza pero' risolvere un dubbio che legittimo e' sorto agli ascoltatori piu' attenti: se la Padania e' 12° e l'Italia in via di sviluppo 180°, com'e' possibile che la Repubblica Italiana nel suo insieme e' il 7°-8° paese piu' ricco del mondo? Di certo, si tratta di particolari ininfluenti di fronte a tanto alto esercizio di retorica.

Il dibattito si trascinava cosi' stanco fino alla sua conclusione ed alla deflagrazione della crisi del giorno delle dimissioni, di fatto, ancora una volta crisi extraparlamentare: la costituzione Italiana e' un optional da sbandierare solo il 25 Aprile, e' risaputo.

Dopo 500 giorni si chiudeva cosi' il governo del Centrosinistra. Un governo che tra le altre ha insediato alla presidenza della RAI un intellettuale che aveva in precedenza piu' volte dichiarato di odiare la tv, alla presidenza dell'Enel un ambientalista convinto, che contro l'Enel aveva tante volte manifestato. Una coalizione di centrosinistra che candida un uomo di destra quale Tonino Di Pietro tra le proprie file nel collegio elettorale piu' rosso d'Italia, che manifesta contro la missione militare in Albania da lei decisa, a fianco dei sindacati contro la riforma delle pensioni da lei proposta.

Una coalizione che muore nel giorno in cui viene assegnato il Nobel per la letteratura ad un personaggio che di certo nella vita ha fatto tutto, ma proprio tutto, tranne che letteratura. Un vero mistero buffo.

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