GENNAIO. Il
12, il gip di Brescia rinvia a giudizio i fratelli Berlusconi e D'Adamo
per estorsione e attentato ai diritti politici di Di Pietro: avrebbero
complottato per bloccarne la carriera politica, ma verranno assolti, anche
perché la procura non presenterà in tempo la richiesta alla
Camera per utilizzare le intercettazioni D'Adamo-Berlusconi. Il 17, si
apre a Milano il processo a Berlusconi & C. per le mazzette alle Fiamme
Gialle. Negli stessi giorni IL GIORNALE monta una campagna su "Di Pietro
golpista", per via di un paio di frasi verbalizzate a Brescia in cui l'ex
pm auspicava "il ricambio della classe dirigente e la divulgazione di Mani
Pulite nel mondo" con una serie di conferenze. Intanto il Gico di Firenze
mette sotto controllo i telefoni di Chicchi Pacini Battaglia, a caccia
di notizie su quel criminale corrotto di Di Pietro. Pacini - che dirà
poi di sospettare di essere "ascoltato" - semina vanterie a piene mani,
dicendo tutto e il contrario di tutto. "Per uscire da Mani Pulite si è
pagato... Di Pietro e Lucibello mi hanno sbancato... Io a Di Pietro i soldi
non glieli ho dati... A Brescia gli stanno facendo un troiaio...". Parla
anche di una lettera anonima ("News da Milano"), che Salamone gli avrebbe
mostrato due mesi prima, su 5 milioni di franchi da lui versati a Lucibello.
Stranamente verrà ritrovata in fotocopia in un suo ufficio: gliel'ha
data? In un'altra telefonata, si scopre che un attivissimo Sergio Cusani
- in attesa della sentenza definitiva - avrebbe avvicinato un'avvocatessa
per convincere Pacini ad accusare Di Pietro di aver usate carte false per
incastrarlo al processo Enimont. Ma Pacini, convinto che sia "una grossa
stronzata", rifiuta.
FEBBRAIO. Tutto
il pool indagato a Brescia per abuso e violazione del segreto d'ufficio,
in seguito all'ennesima denuncia di Berlusconi.
MARZO. Il mese
più nero, per i pataccari anti-pool. Mentre Mani Pulite fa arrestare
il capo dei gip romani Renato Squillante e varie altre toghe sporche della
capitale, indagando sui presunti corruttori Previti e Berlusconi, nel parco
di Arcore si apre la caccia grossa alla supertestimone Stefania Ariosto
("puttana", è l'epiteto più gentile). Intanto i gip di Brescia
emettono una raffica di proscioglimenti per Di Pietro: nessuna delle sette
accuse di Salamone e Bonfigli, cinque concussioni e due abusi, sopravvive
al vaglio dei giudici. I quali attaccano duramente le indagini "lacunose,
difettose, infondate, azzardate, incongruenti, omissive, forzate" della
procura. Roba da andarsi a nascondere. Invece Salamone insiste: "Al processo
sulle manovre per farlo dimettere, Di Pietro sarà parte lesa, ma
la materia del contendere sarà la stessa". La Falange armata dice
la sua: "Di Pietro si deve preoccupare molto, non più per i dossier,
ma per il tritolo".
MAGGIO. Vinte
le elezioni, l'Ulivo manda a Palazzo Chigi Romano Prodi e ai Lavori Pubblici
Antonio Di Pietro.
GIUGNO. Il
procuratore capo di Brescia Giancarlo Tarquini si accorge all'improvviso
che Salamone non può indagare su Di Pietro, visto che quest'ultimo
aveva indagato su suo fratello (poi condannato a 18 mesi in Sicilia per
associazione a delinquere, corruzione e turbativa d'asta). E gli leva le
inchieste sull'ex pm.
LUGLIO. Borrelli
assolto dal Csm per la famosa telefonata a Scalfaro. Berlusconi dà
un'occhiata al freezer e poi minaccia: "Un giorno o l'altro si squarcerà
il sipario e verranno a galla tante cose che, per amor di patria, ora è
meglio che restino dietro il sipario". un pò di pazienza, che diamine.
SETTEMBRE.
Andiamo, è tempo di attaccare. Occhio alle date. Il 12, il sociologo
Giuseppe De Rita denuncia un mega-complotto di "pm, polizia giudiziaria
e servizi segreti che minacciano lo Stato di diritto e vogliono conquistare
il potere". Il 13, la Parenti spara: "Di Pietro proviene da una struttura
parallela dei servizi segreti". Il 15, i giudici di La Spezia arrestano
Lorenzo Necci, Pacini Battaglia, Emo Danesi e compari. Si potrebbe pensare
che l'inchiesta, gestita dal Gico di Firenze, riguardi Necci, Pacini, Danesi
e compari, ma basta leggere IL FOGLIO di Ferrara per capite che la vera
preda è Di Pietro il corrotto, il concussore, lo scroccone. Il 16,
un ex maresciallo dei carabinieri, tal Giovanni Strazzeri, bussa alla procura
di Brescia per consegnare un memoriale: a suo dire Di Pietro fabbricò
un "passi" falso di Berruti per incastrare Berlusconi, concordò
con Violante l'avviso di garanzia di Napoli e passò centinaia di
verbali segreti all'ESPRESSO mentre Davigo e la sua segretaria pilotavano
le fughe di notizie ai giornali di sinistra per "colpire gli avversari
politici". Il 17, Tiziana Parenti convoca una conferenza stampa per accusare
Ilda Boccassini di aver arrestato Squillante in base ad una falsa intercettazione,
poi denuncia una misteriosa campagna per delegittimarla (la Parenti). Il
18, i difensori di Berlusconi torchiano il braccio destro di Gherardo Colombo
sul famoso "passi". Delle due l'una: o posseggono doti medianiche, oppure
sanno già tutto del memoriale Strazzeri. Il 19, i giornali
pubblicano una frase di Pacini: "Per uscire da Mani Pulite abbiamo pagato".
Il 23, si apre a Brescia il processo a Berlusconi e Previti per il presunto
complotto anti-Di Pietro.
OTTOBRE. Un
crescendo rossiniano. Il giorno 5 Berlusconi ricusa il giudice del suo
processo, Carlo Crivelli, per la frase sul "bastone e carota". L'8, l'avvocato
Gaetano Pecorella chiede che si indaghi sui conti all'estero dei pm di
Milano, mentre il 10, salta fuori un'altra telefonata di Pacini: "Di Pietro
e Lucibello mi hanno sbancato". Nella foga, il Gico s'è scordato
di allegare anche la seconda parte della conversazione: "Io a Di Pietro
i soldi non glieli ho dati, a Brescia gli stanno facendo un troiaio". E
nel mirino c'è pure Borrelli, che secondo Pacini lo avrebbe chiamato
tramite Di Pietro per tener fuori Necci dall'inchiesta Enimont. In parlamento
tiene banco la bufala dell'"agente provocatore" che il procuratore di Napoli,
Agostino Cordova, avrebbe infiltrato a Montecitorio: non è un provocatore
e non ha mai messo piede alla Camera, ma l'inchiesta sulle mazzette della
camorra a tutti i partiti napoletani per la Tav fa paura, e tutto fa brodo.
Il 12, Berlusconi supera con la sceneggiata della maxi-microspia "perfettamente
funzionante" infilata nel suo radiatore da chissà quale procura.
I giudici accerteranno che non funzionava per nulla e che l'aveva piazzata
lo stesso uomo incaricato dal Cavaliere di bonificare l'ufficio. Una patacca.
Ma intanto il parlamento si addobba in assetto di guerra contro il Grande
Fratello Togato. Il 18, anche la procura generale di Brescia si accorge
(dopo due anni!) che Salamone è animato da "grave inimicizia e pervicace
odio privato" nei confronti di Di Pietro, e lo esautora definitivamente.
Il 23, un altro ex maresciallo, Felice Corticchia, corre a Brescia a puntellare
le accuse dell'amico Strazzeri: aggiunge che Di Pietro molestava sessualmente
una giornalista (che smentisce e lo denuncia a Milano per calunnia). Il
30, è il gran giorno del Gico, che recapita a La Spezia il suo rapportone
contro Di Pietro: mille pagine per accusare lui di "attività favoreggiatrice
e/o concussiva" nei confronti di Pacini, e tutto il pool di aver "coperto"
il finanziere: mancano ancora 35 bobine su 42, e le sette già trascritte
sono un pò incomplete, prive dei passaggi che scagionano Di Pietro
e il pool, Pacini nega di aver mai pagato una lira, i pm milanesi ricordano
di averlo interrogato 20 volte, chiesto undici rinvii a giudizio, inoltrato
50 rogatorie. Ma questi sono tutti dettagli. Intanto il procuratore di
Grosseto, Pietro Federico, va a raccontare a Brescia che Pacini gli confidò
che Gherardo Colombo era corrotto "come gli altri". Negli stessi giorni
una misteriosa testimone riferisce a Borrelli che a Roma qualcuno ha cercato
di fabbricare un conto estero per attribuirne la disponibilità a
Colombo. E' un déjà vu, come sappiamo: Licio Gelli ha fatto
scuola.
NOVEMBRE. Berlusconi,
in vena di garantismo, si domanda perché Di Pietro non sia ancora
"nelle patrie galere". E' l'indomani, giorno 6, il capo del Gico fiorentino
colonnello Giuseppe Autuori - quello dell'Autoparco - s'improvvisa pm in
un'intervista a REPUBBLICA: "Abbiamo riscontri incontrovertibili, la prova
si vede a occhio nudo, manca solo il numero del conto corrente (di Di Pietro).
E' questione di giorni, forse di settimane, ma come si fa a non firmare
un avviso di garanzia per Di Pietro? A Milano, per molto meno, gli indagati
li mettevano in galera o addirittura li facevano suicidare". Viene subito
trasferito a Bologna, ma il capo dello Scico, generale Mario Iannelli,
minimizza: "Un piccolo errore dovuto allo stress". E due giorni dopo, intervistato
dal CORRIERE, Autuori insiste: "Credete davvero che a Milano l'unico giudice
discutibile fosse Curtò?". Verrà subito accontentato. Di
Pietro è iscritto sul registro degli indagati per corruzione e concussione,
l'una vale l'altra: avrebbe costretto Pacini a versare 15 miliardi a D'Adamo,
per poi incassarne 5 in combutta con Lucibello. Il 14, Di Pietro si dimette
da ministro. Il 15, Brescia, che erediterà l'inchiesta spezzina
su di lui, riapre il caso Autoparco, avendo finalmente ricevuto il dossier
Autuori del 1995. Su dodici pm bresciani, nove indagano su Di Pietro. Il
22, Eleuterio Rea rivela al CORRIERE che "personaggi importanti mi hanno
offerto soldi per inguaiare Antonio". Il 23, Berlusconi annuncia di aver
raccolto casualmente "notizie agghiaccianti" su Di Pietro e il pool: roba
da mettere "a rischio la democrazia" e che "verrà fuori tra non
molto tempo". Sulle prime sembra un caso di divinazione. Poi si scopre
che, prima di andare a Brescia, i due marescialli Strazzeri e Corticchia
erano passati da Arcore via Emilio Fede. Migliorando sensibilmente il loro
tenore di vita. Il 26, Borrelli testimonia a Brescia sulle dimissioni di
Di Pietro e conferma che fu Di Pietro ad insistere per l'invito a comparire
a Berlusconi ("Quello, al processo, lo sfascio io"). L'ha già detto
Di Pietro a verbale, lo sanno tutti, ma la cosa passa per una notizia clamorosa,
la prova del Generale Complotto. Berlusconi - aspirante superprocuratore,
sempre più forcaiolo - si prenota per un nuovo giro chez Tarquini:
"Ho raccolto varie testimonianze, sono ben disposto a riferirle, e forse
quando l'avrò fatto si potrà decidere sull'amnistia o sul
condono". Il mese si chiude con l'ennesimo smacco per i pm bresciani: il
gip vieta nuove intercettazioni perché, su Di Pietro, non esistono
indizi di colpevolezza.
DICEMBRE. La
procura di Brescia apre una nuova indagine su Di Pietro per abuso d'ufficio:
avrebbe salvato Necci nell'inchiesta Enimont e Pacini nel caso Cooperazione.
L'indomani, giorno 4 Craxi profitta della generosa ospitalità di
Bruno Vespa per chiedere indagini "sul bottino di Di Pietro". Il 6,
accontentato: Brescia ordina 68 perquisizioni a 256 uomini del Gico e dello
Scico contro Di Pietro. Un blitz che nemmeno per Totò Riina... Si
scava anche nel pozzo di Montenero di Bisaccia, invano. L'8, il rapporto
del Gico a La Spezia finisce sul CORRIERE e diventa un FEUILLETON a puntate,
con una raffica di accuse a Tonino "o' concussore" e al pool che "copriva"
questo e quello. L'11, il memoriale Strazzeri esce integralmente sul TEMPO.
Il 12, i forzisti del Csm chiedono il trasferimento in blocco del pool
per incompatibilità ambientale e una terza ispezione a Milano. Il
13, IL GIORNALE intervista Strazzeri. Il 18, il Gico perquisisce l'ufficio
di Di Pietro a Castellanza. Il 19, Berlusconi riferisce a Brescia i "particolari
agghiaccianti" e denuncia il pool per violazione dell'articolo 289, mentre
il Gico è in trasferta a Roma per perquisire il ministero dei Lavori
Pubblici: si indaga anche sul Di Pietro ministro, che sarebbe entrato nel
governo apposta per favorire D'Adamo nell'appalto dell'interporto di Lacchiarella.
Si scoprirà poi che l'appalto è di competenza del ministro
dei Trasporti, ma è un altro dettaglio. Il 27, il Tribunale della
libertà dichiara "illegittimo" il blitz del 6 dicembre, smonta le
accuse a Di Pietro e demolisce il rapporto del Gico. Ma il capo dello Scico,
generale Iannelli, avverte: "Nel rapporto del Gico ci sono omissis che
potrebbero far considerare la vicenda sotto un altro aspetto". A Roma intanto
crolla l'ennesima bufala: archiviata l'inchiesta su Di Pietro per presunto
uso privato di aerei dei servizi segreti.
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