GENNAIO. Mentre
la Bicamerale si mette all'opera per inserire in Costituzione alcune idee
guida di Gelli e Craxi, il bufalificio torna in attività dopo la
pausa natalizia. A Genova un pugno di carabinieri a delinquere, ex collaboratori
di Tiziana Parenti, e uno strano pentito preparano l'assalto alla Bocassini.
IL FOGLIO, in mancanza di meglio, rilancia la montatura craxiana della
falsa laurea di Di Pietro. A puntate.
FEBBRAIO. Il
giorno 1, vengono arrestati a Brescia Strazzeri e Corticchia per calunnia
pluriaggravata ai danni di Di Pietro e del pool, fra gli strepiti di Berlusconi
e del Polo. Il 2, la Parenti invoca ispezioni a Milano e Brescia. L'8,
il pool ottiene un nuovo mandato di cattura per Corticchia: avrebbe tentato
di costringere una giornalista ad accusare Di Pietro di molestie sessuali
"per assicurare l'impunità a Berlusconi". Si scopre pure che Corticchia,
da povero in canna che era, aveva ricevuto 260 milioni, usava telefonini
della Mediaset e andava e veniva da Arcore. L'11, IL FOGLIO ricicla il
dossier Mach di Palmstein e le vecchie accuse a Di Pietro sull'informatizzazione.
Il 13, viene arrestato a Perugia il colonnello della Finanza Giangiacomo
Bausone per corruzione: troppo occupato con Di Pietro, il Gico s'era scordato
di segnalare le sue ipotesi di reato alla procura di La Spezia. Il 19,
crolla miseramente la bufala del falso "passi": un agente in servizio a
Palazzo Chigi riferisce di averlo regolarmente compilato lui per la visita
di Berruti all'allora presidente del Consiglio.
MARZO. Il 7,
i giornali montano il "caso" di "Scalfaro intercettato dal pool": si tratta
in realtà di una telefonata del '93, priva di qualunque rilevanza
penale, tra il presidente ed un inquisito della Banca Popolare di Novara.
Era quest'ultimo, non il presidente, ad essere "ascoltato"; e per iniziativa
del pm Luigi Orsi, che col pool non c'entra nulla. Ma per una settimana
non si parla d'altro. Cossiga, Mancuso e persino Salvi accusano Borrelli
di "violazione costituzionale". Il 14, Pacini compare in tribunale e ripete
ancora una volta: "Mai dato una lira a Di Pietro, mai avuto favori dal
pool": Il 26, la Cassazione dà ragione a Tribunale della libertà
e non torto alla procura bresciana: le perquisizioni del 6 dicembre non
andavano fatte, per "insussistenza" dei reati attribuiti a Di Pietro.
APRILE. I pm
di Brescia chiedono il rinvio a giudizio di Di Pietro: falso ideologico,
per quei verbali soltanto firmati. Boato vara la sua prima bozza anti-giudici
alla Bicamerale.
MAGGIO. Il
giorno 10, il comitato servizi segreti presenta la relazione sul dossier
Achille, denunciando bugie dei vertici del Sisde e sparizioni di documenti:
in una scheda, si parla persino di "appartenenza a logge massoniche coperte
di magistrati di Milano", e qualche giornale ci inzuppa il pane. Il 15,
la procura di Brescia chiede la proroga dell'inchiesta Pacini-D'Adamo:
ora si parla di un telefonino di Pacini usato da Di Pietro. Pacini smentisce.
Francesco Greco critica il governo dell'Ulivo, che risponde con un procedimento
disciplinare. Il 31, Berlusconi è di nuovo in tournée a Brescia
per consegnare dopo un anno e mezzo il dossier FINDUS del suo ex socio
D'Adamo. Ma ben altre carte stanno arrivando dalla Svizzera: quelle sui
conti di Previti, nel mirino della Bocassini. Bisogna sistemare anche lei.
GIUGNO. E'
il mese del "caso Bocassini". Così, almeno, i giornali chiamano
il caso Parenti. Il giorno 6, finisce dentro il colonnello Riccio, seguito
a ruota dal maresciallo Angelo Piccolo, già collaboratore e "amico"
della Titti: dieci anni fa, quando la ragazza lavorava alla procura di
Savona, i due avrebbero messo su una raffineria di droga nella caserma
dell'Arma. E Piccolo, durante la latitanza, avrebbe beneficiato dell'ospitalità
dell'amica - ora deputata forzista - nella sua casa romana. Ma non
è questo a fare scandalo sui giornali e nel Palazzo. Fanno scandalo
gli strilli della Parenti, che denuncia la Bocassini per aver offerto mezzo
miliardo al pentito Veronese per "toglierla di mezzo" con storie di droga.
Fa scandalo una telefonata di Borrelli ai colleghi di Genova, per avere
lumi sulle accuse al suo pm. Fa scandalo il tailleur indossato un certo
giorno dalla Ilda. Fa scandalo la presunta intercettazione sui telefoni
di casa Parenti (in realtà, era controllato il telefono di casa
Piccolo, non ancora coperto da immunità parlamentare). La storia
dei 500 milioni al pentito viene smentita dallo stesso pentito. E sorge
il sospetto che Riccio & C. abbiano costruito quella montatura per
coprire le proprie e altrui vergogne. Ma ecco un nuovo "scandalo": il giorno
11, il vicepresidente del Csm Carlo Federico Grosso (Pds) se la prende
con Colombo e la Bocassini perché avrebbero taciuto ad una sua domanda
su eventuali impedimenti alla nomina a procuratore generale di Roma di
Vittorio Mele, autorizzando il sospetto che sul suo conto esistessero indagini.
In effetti, a Milano si indaga da tempo sulle agende del faccendiere Giancarlo
Rossi, nelle quali compariva pure il nome di Mele. Prontamente, il giorno
12, i forzisti La Loggia e Pera chiedono un'azione disciplinare contro
Borrelli, Colombo e la Bocassini. Il 15, salta fuori un vecchio biglietto
inviato nel '93 da Di Pietro a Ghitti per chiedergli l'arresto del manager
Mario Maddaloni, con la risposta di Ghitti che gli consigliava di cambiare
capo d'imputazione, Scandalo dei gip "appiattiti" sui pm. Tutta manna per
i bicameralisti, impegnati a separare le carriere dei magistrati. Piccolo
particolare: la richiesta di Di Pietro fu respinta da Ghitti.
LUGLIO. Giorno
1, riecco la Parenti agitatissima nell'ennesima conferenza stampa sul caso
Riccio: "Ho denunciato la Bocassini per calunnia". Ilda è indagata
a Brescia. Giorno 4, Berlusconi: "Un normale cittadino, al posto di Di
Pietro, sarebbe già in galera". Giorno 8: quaranta deputati forzisti
chiedono l'azione disciplinare e addirittura "la sospensione" per la pm
Bocassini. Giorno 11: Previti chiede l'estromissione della Bocassini dalle
inchieste che lo riguardano. Intanto, il 1° luglio, Antonio D'Adamo
è corso a Brescia a confermare il memoriale FINDUS: la Dedra, il
telefono, i 100 milioni, la garçonnière non erano prestiti
ad un amico o a sua moglie (che era pure il suo legale), ma il prezzo per
i favori processuali di Di Pietro a Radaelli e Prada (che Di Pietro fece
arrestare nel '92); e quei 15 miliardi di Pacini - ricorda ora D'Adamo
in un soprassalto di memoria - gli vennero per intercessione di Tonino.
Il 16, la procura di Genova chiede l'archiviazione della denuncia della
Parenti contro la Bocassini. Il 17, Di Pietro si candida per il Pds nel
Mugello. Il 18, PANORAMA sbatte in copertina una vecchia foto che lo ritrae
su un divano con una bella ragazza, sotto la scritta "Il grande scroccone",
e delizia i lettori con un gadget d'eccezione: "Attentato al governo Berlusconi.
Articolo 289 codice penale", ultima fatica di Giancarlo Kehner MADE IN
HAMMAMET. Il 19, trapela da Brescia la notizia che forse Di Pietro intascò
da D'Adamo i 5 miliardi e rotti di Pacini per finanziare il suo movimento
politico. Il 21, il sindaco polista di Milano Gabriele Albertini reintegra
nello stipendio il condannato e plurinquisito Rea, affidandogli il comando
del servizio Igiene e sanità. Subito dopo il buon Eleuterio, rinfrancato
ed assistito da un avvocato di Forza Italia, si ricorda fulmineamente di
alcuni particolari agghiaccianti di dieci anni fa sul conto di Di Pietro.
E il 31, preceduto da un profetico articolo del FOGLIO, corre a raccontarli
alla procura di Brescia (dove Salamone ha appena ricevuto un avviso di
garanzia per mafia, da Caltanissetta). Di Pietro - rivela Rea - salvò
Radaelli nel 1989 (salvo poi arrestarlo nel '92), e Borrelli mentì
al tribunale di Brescia quando disse di aver saputo da Di Pietro (e non
da Poppa) la storia del prestito di Gorrini a Tonino. Risultato: Di Pietro
di nuovo indagato per abuso d'ufficio. Essendo i fatti del 1989, il reato
sarebbe comunque prescritto dal 1994, ma chi se ne importa. Berlusconi
intanto entra trionfalmente in Europa: è indagato in Spagna per
frode fiscale e violazione dell'antitrust televisiva. E, con grande fantasia,
tuona contro i pool di Milano che piloterebbe le togas rojas madrilene.
AGOSTO. Il
parlamento approva la riforma dell'articolo 513, da un'idea di Cesare Previti.
Il 18, L'ESPRESSO rivela che Di Pietro aveva preventivamente denunciato
Rea per essersi fatto "comprare" dai BERLUSCONES in cambio delle nuove
rivelazioni. IL GIORNALE replica il 19, intervistando nientemeno che l'autista
di D'Adamo, depositario di agghiaccianti segreti che però non dice.
Il 25, Sandro Curzi, rivale di Di Pietro al Mugello, rivela elegantemente
di aver ricevuto dossier anonimi sul suo conto. PANORAMA, attivissimo nella
riabilitazione di Andreotti, Contrada e Carnevale e nella demolizione di
Falcone e Caselli, "fanatico da brivido" raccogli lampi di memoria di Rea:
"Fu Borrelli a costringere Tonino alle dimissioni". Una patacca che, almeno,
ha il pregio dell'originalità.
SETTEMBRE.
Tempi duri, per il partito della bufala. Il giorno 1, la corte d'Appello
di Brescia, confermando il proscioglimento di Di Pietro per le pretese
concussioni ai danni di Gorrini, ricorda che le accuse dell'assicuratore
non erano proprio genuine, visto che tendevano ad ottenere soldi e favori
da Paolo Berlusconi e Sergio Cusani. Il giorno 2, la procura di Perugia
demolisce il lavoro di taglia e cuci del Gico di Firenze che, ad un anno
e mezzo dalle intercettazioni, non ha ancora trascritto integralmente le
bobine, mentre le poche trascritte sono piene di errori. Il 3, il
pool di Milano chiede alla Camera il permesso di arrestare Previti, proprio
mentre il Polo e mezzo Ulivo ripartono all'assalto di Caselli saltando
in groppa al tenente Carmelo Canale, assistito dall'avvocato Taormina e
gentilmente ospitato dalla commissione Antimafia per seminare veleni sui
pentiti e i giudici di Palermo e dare una mano a Dell'Utri, Andreotti e
Berlusconi. Poi gli assaltatori ripiegano su Milano, per salvare il povero
Previti. O meglio, il "il primato della politica".
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