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Elena Pelliccia
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Sono nata a Carrara e attualmente vivo ed opero a Marina di Carrara. Terminati gi studi artistici, ho proseguito con una mia personale ricerca raggiungendo l'attuale forma espressiva. Nella pittura spesso scelgo la natura perché è pura e mi conquista nel suo offrirsi e rinnovarsi continuo, perché è in corrispondenza con la nostra più intima essenza. Mi attrae l'attimo che si tramuta, il campo di fiori nel sole che nel rannuvolarsi improvviso del cielo cambiano colore, la loro fragile bellezza esposta al mutamento, come lo è l'uomo attraverso gli eventi e sottolinea comunque la meraviglia dell'esserci, di essere vivi, della vita.
Le canne mosse dal vento, un attimo prima della pioggia e dopo, bagnate di rugiada quando il cielo và schiarendosi: Cerco di trattenere un'immagine che per me è un istante rivelatore di trasformazione, di poesia, oppure una sorpresa, un contrasto che ha rivelato qualche cosa di inaspettato o di nascosto come nel quadro "Ciò che la luce rivela" ed allora è un invito ad avvicinarmi ancora di più, ad addentrarmi nel verde ventre di un canneto "Particolare di canneto" e là, sulle foglie, trovo gocce di pioggia come lacrime, come filo conduttore tra elemento ed elemento, terra e cielo, uniti in un attimo che poi il sole, asciugando, annullerà.
Mi piacciono, le canne. Crescono ovunque, sono piante semplici e comuni e quindi possono rappresentare ciò in cui credo e cioè che tutto ciò che è in natura è degno di considerazione: il bello è ovunque, basta accoglierlo dentro di noi.
La loro struttura elastica e robusta dà forma e gioco a vari disegni: ora si tendono verso il cielo in uno slancio elegante, ora si piegano a sfiorare la terra, si accartocciano, si intrecciano, si abbandonano. C'è movimento, plasticità e leggerezza, c'è il il tempo che le incide come rughe su un volto, nei punti bruciati da sole, c'è resistenza perché sono forti; c'è, per me, similitudine con i vari sentimenti umani, che ritrovo ancora in certi prati rupestri e incolti, nei fiori comuni di campo, negli alberi come nel quadro "Dialogo con il silenzio" dove l'albero-uomo è solo di fronte all'infinito, solo con le sue radici, la sua forza che attinge alla materia, ma anche nell'intimo ascolto alla propria individualità e spiritualità.
E allora ecco che si può abbandonare con pace anche il dolore più cupo e da esso attingere come esperienza per ricreare qualche cosa di positivo: ecco che è un'alba, una nuova rinascita, dove dal buio emergono i colori, dove dal contrasto emerge la luce, la dolcezza e quindi la speranza.
"Se oscuro ramo sono e un dolore così mi tiene a terra
guardami, adesso:
è l'alba ...questa dolcezza dì ...forse l'aspettavi."