MAXI DYLAN DOG N.3
LA
RADIO FANTASMA
Trama: Elemer
Masters ed il suo successo radiofonico "Parole nella notte"
finirono bruscamente venti anni fa, tra le fiamme di un
drammatico rogo. Adesso la voce di Elmer torna a cullare i
londinesi dopo la mezzanotte... Un fantasma? Un imitatore?
Dylan indaga, scoprendo che insieme al noto conduttore
sembra essere tornato in azione anche un sanguinario serial
killer degli anni '70...
Commenti:
Pasquale Ruju si conferma ottimo giallista; quando, come in
questo caso, riesce a coniugare il mistero con un pizzico di
paranormale, allora ne viene fuori una bella prova. Tutta la
storia è in bilico tra il razionale e l'irrazionale,
e sembra propendere verso la prima opzione... almeno fino
all'ultima, surreale pagina. L'autore si diverte ad
ingannare il lettore e ripete il giochino diverse volte; non
nasconde gli indizi, bensì li mostra ripetutamente,
facendoli notare però solo al momento opportuno,
cioé quando fa comodo alla storia.
In questo è bravo e va riconosciuto; la narrazione
è al di sopra della media, visto il Ruju scialbo e
svogliato che compare ultimamente nella serie regolare. Qui
si sforza decisamente di più, giocando con
identità e sospetti, ed ottenendo finalmente
risultati godibili.
Tuttavia non si stacca da alcuni topoi, come la donna
del mese, il colpetto di scena all'ultima pagina e le
battute insipide di Groucho (stavolta sono addirittura
riciclate!). Calcolando che siamo in agosto e che il Maxi
è da sempre una lettura da ombrellone, Pasquale
stavolta è promosso.
Che dire di Montanari & Grassani? Continuano ad essere
amati e detestati. Io mi limito a far notare che quando i
disegni sono firmati da loro la leggibilità è
sempre ottima, e che nella storia in particolare
costruiscono alcune ombre angoscianti, quasi paurose.
Ciò non toglie che Dylan ha la solita gamma di tre o
quattro espressioni facciali. Un pò poco.
Voto:
6,5
|
CAVIE
UMANE
Trama: Dylan
Dog viene sequestrato da Irina, componente di una banda di
ladri drogati. La loro attività criminosa è
scossa dalla scoperta di alcune nuove pillole; una droga
sperimentale dagli effetti devastanti...
Commenti:
Giuseppe De Nardo è il creatore del celebre
Billitteri, personaggio di moda alcuni anni fa. Per
l'ennesima volta, però, conferma di non essere adatto
all'Indagatore dell'Incubo; la sua storia è bruttina,
con poco paranormale, nessun colpo di scena e tanta
retorica.
Cominciando dall'inizio, abbiamo una prima scena che sembra
uscita dal peggior Diabolik. Alcune esclamazioni,
come: "Miseria!", "Fermi dove siete", "Bastardi" o "Via!
Presto!" strappano un sorriso per la loro demenza e
cominciano a far dubitare della qualità del
prodotto.
Solo successivamente scopro che l'argomento di turno
è la droga; difficile non essere banali, ed infatti
tutta la narrazione scade nel buonismo e nel
"volemosebbene". La violenza un pò splatter di alcune
scene è completamente gratuita; proprio quello che si
dovrebbe evitare in un fumetto di questa portata. Tutta la
vicenda assume un tono serio, troppo serio per un mese
estivo... l'autore poteva, per esempio, servirsi di Groucho,
che è completamente inesistente. A differenza di
Ruju, De Nardo non è neanche un buon giallista; la
risoluzione della vicenda è scontata, senza contare
che il Grande Burattinaio compare, oltre che nel finale,
solo in altre tre pagine delle 93 disponibili; e questo
sarebbe un cattivo?
Come ciliegina sulla torta, leggo l'ultimissima pagina di
questo "Cavie umane" e mi trovo davanti al più brutto
finale in sospeso degli ultimi anni; non che i finali in
sospeso siano una scelta originale...
Non è originale neanche la tavola rotonda che dirige
la casa farmaceutica; soprattutto nei primi albi, ci sono
situazioni praticamente identiche a questa. Non so se lo
scrittore le abbia riprese in blocco, ma sicuramente non si
è sforzato più di tanto.
L'unico elemento intrigante della narrazione è il
personaggio di Irina, che viene caratterizzato grazie ad una
serie di azzeccate didascalie; tutti gli altri componenti
della banda sono poco più che comparse.
De Nardo si conferma come uno degli autori peggiori della
serie; storie come queste riescono ad annoiare anche sotto
l'ombrellone o in metropolitana.
Montanari e Grassani non si smentiscono; nelle scene
forestali (pag. 131 e 151) si divertono con le ombre;
migliora l'espressività di Dylan, soprattutto nelle
ultime scene.
Voto:
4
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LA
VITA RUBATA
Trama: Dylan
Dog viene privato della sua esistenza da un ladro di vite;
mentre l'uomo prende il suo posto nella vita normale,
l'Indagatore finisce in mezzo alla strada e conosce il
degrado molto da vicino.
Commenti:
Finalmente un esordiente. Fabrizio Accatino è un
ragazzo torinese al suo primo approccio con Dylan
Dog; nomi nuovi non possono che giovare ad una serie che
scade troppo spesso nella banalità (vedi storia
precedente, ad esempio).
Dunque... il soggetto della storia è ottimo; i
gialletti che leggiamo ultimamente sulle pagine del Nostro
sembrano lontani anni luce, qui si tratta un argomento
angosciante, realmente tenebroso. La paura di perdere tutto
e finire sul marciapiede, con le conseguenze della faccenda;
roba da Dylan Dog, senza dubbio. A questo, si affianca la
solita vicenda del serial killer, stavolta specializzato in
barboni; non aggiunge né toglie niente alla
narrazione.
L'imbarazzo dei primi passi di Accatino emerge tutto nella
sceneggiatura; un'idea del genere, affidata a Sclavi o
Marcheselli, avrebbe prodotto un'avventura memorabile. Il
giovane autore è parzialmente giustificato
perché naturalmente non si è ancora calato
dentro il personaggio, né nello spirito della serie.
E' innegabile, però, che il fascino della storia
finisce per smontarsi da solo, con alcune trovate che
appesantiscono notevolmente la narrazione.
In primis le didascalie; probabilmente vorrebbero essere
solenni, mentre si rivelano un'accozzaglia di insostenibili
luoghi comuni. Finiscono per imprimere un tono lento e
riflessivo che non si addice alla storia in questione; il
Dylan di questa avventura è disperato e istintivo,
quasi primordiale. Molte scene importanti, come il presunto
suicidio del Nostro (pag. 284-285), sono limitate proprio
dalla presenza ingombrante e inopportuna delle didascalie.
La situazione non si presta neanche a riferimenti letterari;
rimane oscuro il significato della citazione finale,
l'estratto da Strindberg.
Continuando, troviamo il moralismo vero e proprio, che si fa
sentire in gran parte della narrazione; molti personaggi
sono macchiette, stereotipati che più non si
può; vedi i "bravi ragazzi" del parco (pag. 220 e
seguenti) e la figura dell'ex-chirurgo, burbero ma dal cuore
d'oro, che salva ripetutamente Dylan. In alcune scene si
scade nel buonismo più deteriore: Dylan che tira una
sterlina all'accattone (pag. 213), oppure la gente che evita
l'Indagatore ferito, solo perché ha le sembianze di
un barbone (pag. 271). Come parziale bilancio, ci sono
alcuni momenti in cui l'autore mischia umorismo e
disperazione, e ne fa uscire fuori delle situazioni
divertenti; il barbone che addenta il ratto (pag. 256-257)
su tutte.
Una nota merita l'interpretazione del cattivo da parte dello
scrittore; il "ladro di vite" poteva benissimo essere
l'incarnazione del diavolo o roba del genere... invece
è molto più terreno, un poveraccio come tanti
che si accontenta di vivere scampoli di esistenze altrui.
Nel frattempo, ne approfitta per godere dei piaceri della
carne, portando a letto tutte le eventuali clienti di Dylan,
e si prende anche la sua rivincita contro l'aristocrazia,
spingendo al suicidio la signora Braverman. Alla fine il
personaggio, che rimane sempre nell'anonimato, non viene
sconfitto, è solo costretto a cambiare zona per le
sue particolari attività. Le sue considerazioni
finali sulla vita dell'Indagatore (pag. 287) strappano un
sorriso.
L'esordio di Accatino non può dirsi esattamente
riuscito, ma rimane positivo. Si deve calcolare anche che il
torinese ha costruito questa sua prima creazione tutta da
solo, senza neanche un aiutino da parte dei più
esperti. Lo aspettiamo alla prossima prova, quando
avrà meglio digerito lo spirito della serie.
Montanari e Grassani stavolta sfigurano, ma non per colpa
loro; il duo non era sicuramente adatto a questa
storia, dai complessi risvolti psicologici. Infatti se
l'orrore fisico - schizzi di sangue e omicidi vari -
è rappresentato con maestria, lo stesso non si
può dire del percorso mentale dell'Indagatore. Il
tutto si limita all'aspetto esteriore, penalizzando la
storia in generale. Inoltre, quando si tratta di
prospettive, i disegnatori inciampano vistosamente; vedere
il percorso grottesco di Dylan Dog a pag. 271 per rendersi
conto.
A questa storia è dedicata la copertina di Stano,
molto immediata, che riesce a rendere l'idea al primo
sguardo.
Voto:
5,5
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GLOBALE
Cosa ci
aspettavamo da questo terzo Maxi? Da due anni ormai sappiamo
che le storie non si distinguono in qualità; sono
sostanzialmente una lettura da spiaggia, per rilassare la
mente senza lasciarsi troppo coinvolgere. E' naturale che i
dylandoghiani di vecchia data non trovino soddisfazioni per
i loro palati fini. Confesso però che mi aspettavo di
peggio; escludendo "Cavie umane", le altre due storie sono
godibili, la prima più della terza. In quanto alla
seconda, non leggevo un'avventura di Dylan così
brutta dai tempi de "La città perduta" (n.137),
soggetto e sceneggiatura guarda caso di De Nardo.
Tirando le somme, è proprio l'avventura di mezzo a
penalizzare notevolmente il totale.
Voto: 5
Nome:
Federica
E-mail:
zicchiero@libero.it
Commenti: Fra
le tre storie contenute nel Maxi "La radio fantasma"
(voto: 7) è forse quella che mi è
piaciuta di più, perché presenta una trama
accattivante, ricca di colpi di scena e situazioni splatter,
senza ricorrere a quello spudorato moralismo che permea
"Cavie umane" (voto: 6,5 ) e " La vita rubata"
(voto: 5).
Non voglio biasimare l'impegno sociale del Nostro, ma
soprattutto l'ultima storia mi sembra poco credibile e
troppo moralistica (tratta la problematica dei senzatetto:
trita e ritrita nelle storie di Dylan). Da salvare, invece,
la seconda storia ("Cavie umane"), decisamente più
movimentata, che si occupa della tossicodipendenza in modo
più sottile e meno presuntuoso, grazie a un impianto
più "poliziesco" della trama. Che dire poi di
Montanari e Grassani? Li conosciamo bene: svolgono il loro
lavoro forse non in maniera eccezionale, senza svolazzi
né colpi di genio, ma sono comunque efficaci (sono
però del parere che alcune scene splatter sarebbe
meglio affidarle a Corradino Roi).
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