In memoria

 

    Giorgio Pasquini, nato a Roma nel ‘32, speleologo di fama internazionale negli anni ‘50 e ‘60. Vecchio socio del CAI, è stato Istruttore Nazionale di Speleologia, Fondatore dello Speleo Club Roma. Geografo e professore universitario. Morto a Roma di leucemia il 22 maggio 1998.
 
    Sembrerà strano ma anche per chi gli è stato amico per quaranta anni della propria vita non è facile descrivere Giorgio Pasquini, personaggio ineffabile e appassionante.
 
    Capace di suscitare ammirazione o antipatia, mai indifferenza, chiedendo di lui a chi lo abbia conosciuto, si possono ottenere, tralasciando le percentuali, giudizi entusiasti o negativi, mai neutrali.
 
    Alto e grosso, aveva un inconfondibile vocione non particolarmente intonato ma con il quale, malgrado le affettuose resistenze, si era ostinato per qualche tempo, negli anni cinquanta, a cantare da basso musica polifonica classica nel Coro degli Universitari Romani.
 
    Girava, estate e inverno, con i capelli spesso rasati, camicia rossa a scacchi, jeans e stivali di gomma.
 
    Dopo aver abbandonato gli studi di Filosofia ad un esame dalla laurea, si addottorò in Geografia ed entrò come assistente volontario a Lettere (Geografia fisica). Di vastissima cultura, era dotato di una formidabile e proverbiale memoria, al punto che gli amici, quando non riuscivano a rammentare qualcosa del loro passato, si rivolgevano a lui per aiuto.
 
    La sua simpatia era prorompente. Formidabile mangiatore e bevitore, durante le riunioni conviviali era in grado di creare entusiasmo, anche quando il gruppo era particolarmente provato da faticose uscite speleologiche o alpinistiche.
 
    Nel ‘58 aveva partecipato all’esplorazione di quella che si rivelò all’epoca la più profonda grotta del mondo, il gouffre Berger nei pressi di Grenoble, in Francia. Fu il primo italiano e, allora, uno dei pochi a toccarne il fondo.
 
    Nel ‘59, proveniente dal Circolo Speleologico Romano, fondò insieme ad alcuni amici lo Speleo Club Roma. Il nuovo gruppo, del quale divenne ben presto il capo carismatico e indiscusso, raccolse una serie di successi piazzandosi tra i primi in Italia. Convinto, come affermava, che la leggerezza e la velocità fossero alla base della sicurezza, si fece promulgatore delle scalette "superleggere", inconcepibili allora se si pensa che molti operavano ancora con le pesantissime "Azario" di estrazione militare. Le discese, anche oltre i 150 metri, si facevano a corda doppia (su una corda sola), l’attraversamento di grotte attive senza canotto e con le sole mute stagne, i bivacchi con le amache e senza tendine. Questa filosofia operativa, ritenuta troppo disinvolta, scatenò nel mondo speleologico italiano una polemica paragonabile, fatte le dovute proporzioni, a quella sui chiodi ad espansione. La cosa non lo turbò particolarmente. Per altro, di lì a poco, tutti si adeguarono a quei sistemi.
 
    Nel ‘67 tornò con una spedizione leggera al Berger. L’equipaggiamento, che entrava tutto in una Ford Taunus, era costituito da ciò che ciascuno poteva portarsi sulle spalle, cosa impensabile per quei tempi. Fu raggiunto il fondo da circa un terzo dei partecipanti, primo successo italiano e terza ripetizione assoluta. Per fare un paragone, si consideri che una squadra inglese, che non ebbe successo ed entrò subito dopo gli italiani, utilizzò un’attrezzatura trasportata con vari autocarri militari.
 
    Di ritorno dalla Francia furono quelli del suo gruppo che introdussero in Italia gli "Spit", la tecnica di risalita con sole corde (la discesa la facevano da sempre così) e i mezzi meccanici (Discensori, prusik, carrucole leggere, etc.) sperimentati al Berger ed acquistati, primi prototipi, direttamente da Petzl nella sua piccola officina vicino Grenoble.
 
    Poco dopo, nel ‘68, Pasquini organizzò il X Congresso Nazionale di Speleologia, che ebbe un grossissimo successo e suscitò un grosso scandalo per la mancata pubblicazione degli Atti. Sembrava la fine del mondo. Ma in seguito non furono pubblicati atti di altri congressi, organizzati da altri, e il mondo è ancora lì.
 
    Fu attivissimo nella Società Speleologica Italiana (SSI) e nel Corpo di Soccorso Alpino (nel quale fu a lungo Capo Gruppo). Nel 1969 fu nominato dal C.A.I., insieme a pochi altri, Istruttore Nazionale di Speleologia per "chiara fama" e subito chiamato per il primo corso per istruttori nazionali che si tenne a Trieste.
 
    Negli anni ’70, abbandonata temporaneamente Roma, cominciò il suo girovagare che lo portò ad insegnare presso le Università di Cagliari, di Genova e di Oxford, dove si trasferì sposandosi nuovamente. Ma non si fermò per così poco.
 
    È del ‘90 la fondazione del gruppo "Seniores" del suo S.C.R., di cui divenne presidente. Gli anni cominciavano a farsi sentire, ma i suoi amici, tutti speleologi della prima ora e con qualche acciacco dell’ultima, rispondevano sempre con entusiasmo alle sue chiamate.
 
    La salute precipitò: prima il cuore e poi una brutta, incredibile, leucemia. Ma il suo spirito non voleva morire. Pur chiaramente minato dal male, di cui era consapevole, nel corso di una cena comunicò ai costernati e sbigottiti amici la sua intenzione di partire in esplorazione geografica per la Lapponia (!) e, quasi negli ultimi giorni, nel corso di un trasferimento da un ospedale all’altro, pretese una sosta da "Augustarello" ... per mangiarsi un piatto di rigatoni ed una bistecca.
 
    Adesso i suoi vecchi amici speleologi sono più soli. E tuttavia hanno deciso che continueranno ad incontrarsi. Ogni tanto lo ricorderanno come a lui sarebbe piaciuto, con un buon bicchiere di vino bevuto alla sua salute.
 

Antonio Mariani
(pubblicato su "l’Appennino", rivista trimestrale della Sezione di Roma del CAI, 1998, n. 3, pg. 44-45)


{Sommario}

This page hosted by Get your own Free Homepage