Osservazioni morfologiche sull'Inghiottitoio
di Val di Varri (Monti Carseolani)
e sul suo bacino di alimentazione

di Giorgio Pasquini
 

estratto da:
Atti IX Congr. Naz. Speleol., Trieste 1963,
Rass. Spel. Ital. - Mem. VII, Tomo II,

1. Introduzione.
    I Monti Carseolani compresi tra le valli del Salto e del Turano, presentano nella loro porzione sud-orientale una particolare struttura che ha favorito l'impostazione di notevoli grotte di attraversamento, tra le quali l'inghiottitoio di Val di Varri, oggetto del presente studio.
 
     L'allineamento M.te Guardia d'Orlando - M.te Piano costituisce l'affioramento del nucleo mesozoico di una blanda anticlinale a direzione appenninica, con immersione a NO, la cui falda nord-orientale, costituita in gran parte da formazioni arenacee, neozoiche, è bruscamente interrotta da una faglia anch'essa di direzione appenninica. La fronte della suddetta faglia, che mette a contatto la formazione marnoso-arenacea con i calcari del mesozoico, è individuata dalla scarpata meridionale dell'allineamento M.te Faito - M.te S. Angelo - M.te Val di Varri che separa l'area considerata dalla valle del Salto.
 
     Tra i due affioramenti calcarei, le cui cime raggiungono all'incirca i 1100 metri di altezza, la formazione marnoso-arenacea è stata depressa dall'erosione normale fino ad una quota inferiore ai 1000 metri e ha dato luogo ad una serie di bacini chiusi che smaltiscono attualmente le loro acque tramite condotti carsici negli sbarramenti calcarei.
 
     Prima che si impostasse un drenaggio ipogeo, le acque dell'altopiano dovevano probabilmente defluire attraverso gole. In proposito si può notare che la dorsale M.te Guardia d'Orlando - M.te Piano risulta interrotta da frequenti incisioni impostate su fratture ad andamento antiappeninico, mentre la cresta M.te Faito - M.te Val di Varri appare più continua e solo in località La Portella presenta una profonda insellatura con andamento SO-NE. Pertanto lo scorrimento delle acque è avvenuto in prevalenza in senso anaclinale verso SO, quindi verso il Turano, mentre solo un lungo collettore ortoclinale da E a O corre al piede della cresta di M.te Val di Varri, quale tributario del Salto.
 
     La diversità delle due reti idrografiche può ragionevolmente spiegarsi tenendo presente la differenza di quota tra i livelli di base delle due valli delimitanti il complesso.
 
     Il corso ortoclinale di Val di Varri ha termine in una grotta di inghiottimento 50 metri al di sotto del solco della Portella.
 
2. Dati catastali

 
3. Notizie storiche
 
     La cavità, già menzionata nei primi studi geografici sulla regione, si articola in due rami: quello più evidente dall'antro d'ingresso, fu esplorato dal Circolo Speleologico Romano nel 1929, fino ad un lago sifonale, per una lunghezza complessiva di 150 m; il secondo ramo, cui si accede da uno stretto passaggio sulla destra dell'antro stesso, è stato scoperto ed esplorato dal suddetto gruppo speleologico nel 1954 e risultò lungo oltre un chilometro.
 
     Il primo ramo fu studiato e descritto dal Segre, dal Carozzi e, per i reperti paletnologici, dal Rellini, in seguito a ricognizioni operate tra il 1942 e il 1946. Nel 1962 lo Speleo Club Roma completava il rilevamento di tutta al cavità.
 
4. Descrizione della cavità
 
     Il corso d'acqua di Val di Varri attraversa una modesta forra alla base del versante meridionale del M.te S. Angelo e viene ad essere bruscamente interrotto da una cascata dell'altezza di 12 m, al di sopra della quale strapiomba per circa 30 metri una parete calcarea che ha dato luogo, per l'azione erosiva delle acque, ad una grandiosa nicchia con conseguente crollo delle superiori masse rocciose rese instabili.
 
     Il letto del fiume infatti appare ingombro di grossi blocchi, verosimilmente staccatisi dalla parete rocciosa, a meno che non si voglia addirittura supporre la esistenza di una primitiva grande galleria a monte della cascata, il cui decorso corrisponderebbe all'attuale forra esterna già citata.
 
     Sulla parete opposta a quella donde scende la cascata, è visibile l'ingresso di un'ampia caverna, ora fossile, di cui si tratterà in seguito, poco al di sotto del ciglio della cascata.
 
     Dalla base del pozzo della cascata le acque percorrono uno scivolo di circa 40 metri sul letto degli strati aventi immersioni N 50° O con una pendenza di 30°. La grotta prosegue quindi verso Ovest fino ad una sala ingombra di blocchi che dà adito ad un lago (Lago dei Rospi), il cui asse è orientato da Nord a Sud per una ventina di metri; di qui le acque defluiscono tramite un sifone. A sinistra per una ripida salita è possibile raggiungere la già citata ampia caverna superiore.
 
     Prima della cascata iniziale, sul lato destro dell'antro di ingresso, si apre una bassa e allungata fessura d'interstrato che, tramite uno stretto foro scoperto nel 1959, consente l'accesso ad una sala ricca di concrezioni dal pavimento ingombro di sfasciumi che determina una leggera pendenza del fondo. Sul lato opposto della sala con una gradinata di mammelloni stalagmitici dell'altezza di circa 11 metri si giunge all'estremità superiore di un'ampia galleria che scende verso Nord. Il soffitto di quest'ultima è tabulare e gli strati presentano immersioni e pendenze analoghe alle precedenti, mentre il fondo risulta colmo di blocchi, la cui spigolosità testimonia ampiamente il recente distacco. Dopo un tratto di circa 70 metri la pendenza aumenta e per una scarpata ripidissima si giunge al letto di un corso d'acqua che scorre da Ovest Ad Est. Su questa scarpata confluisce da destra una seconda ed ampia galleria, sempre in forte pendenza, di modo che la larghezza totale della cavità risulta di oltre 30 metri; la volta, che mantiene la notata pendenza anche sopra i letto del fiume, supera in questo punto i 20 metri di altezza.
 
     E' possibile risalire il corso d'acqua per una serie di modeste rapide e cascatelle, che hanno termine dopo una cinquantina di metri in un lago di risorgenza (Lago dei Girini). La direzione di questo ramo, tendente sempre più a Sud, lascia supporre che le acque qui sgorganti provengano dal lago terminale della vecchia grotta, siano cioè quelle convogliate dalla valle. Dal rilievo eseguito, il Lago dei Rospi e quello dei Girini, oltre a trovarsi pressappoco alla stessa quota, risulterebbero separati da un tratto sifonale di soli 30 metri. (1)
 
     Proseguendo invece verso Est, il corso d'acqua scende per un dislivello di circa 30 metri su 80 di percorso, con una successione di cascate e di rapide fino al Lago della Lampada; di qui al fondo la cavità non presenta più brusche rotture di pendenza e, il corso normale delle acque appare interrotto solo da modesti scivoli e gradini di lago in lago, scendendo per non più di 20 metri su un percorso di oltre 600.
 
     La galleria che avanza da Ovest ad Est presenta una planimetria "spezzata" secondo la direzione appenninica e antiappenninica; gli strati hanno immersione a Nord, con pendenza prevalente di circa 30°, lungo tutto questo tratto della cavità, tranne in alcuni punti in cui la loro giacitura rivela gli effetti delle dislocazioni subite.
 
     Il profilo trasversale della galleria è condizionato da tale pendenza che ha favorito l'incisione e quindi lo spostamento del corso d'acqua nella parte sinistra della cavità.
 
     In un tratto poi, la galleria risulta fossile giacchè l'acqua passa più a Nord tramite un impraticabile laminatoio. Dopo una successione di alcuni laghi, le acque scompaiono in un sifone; poco prima del quale una modesta risalita dà accesso ad una ramificazione asciutta, probabilmente una antica condotta di sovrappieno che procede per altri 200 metri verso Est. La presenza di acqua alla stessa quota del lago terminale, sul fondo di un pozzo aprentesi in tale prosecuzione, può essere indizio del raggiungimento della falda carsica.
 
     Nel duo complesso, per l'intero percorso, si nota una ricca gamma di forme derivate e dall'erosione e dal riempimento calcitico.
 
     Il fatto che la grotta si snodi per un tratto orizzontale di circa 750 metri verso Est (direzione quasi opposta a quella di scorrimento della valle subaerea) ha indotto, considerando opportunamente le relative variazioni di portata, ad identificare in una grotta nei pressi di Civitella, sul versante sinistro della valle del Salto, la risorgenza delle acque di Va di Varri. Tale ipotesi confortata dall'esame dell'andamento di quest'ultima cavità, esplorata e rilevata nel 1961, previo svuotamento a mezzo d pompe di un sifone iniziale di oltre 200 metri.
 
     La grotta di Civitella si addentra nel massiccio calcareo per oltre 400 metri verso Ovest, cioè al di sotto della depressione La Portella - Fosso delle Rocchette, direzione nella quale si dirama in senso opposto la grotta di Val di Varri. Il dislivello di 80 metri su una distanza di 2 chilometri, esistente tra gli estremi interni delle due cavità, comporta una pendenza del corso ipogeo particolarmente modesta che lascia supporre le acque dilaganti lungo la stratificazione di un fenomeno di "spongework".
 
5. Evoluzione morfologica della valle
 
     L'allineamento NO-SE di Val di Varri, dalle sorgenti poste a circa 1000 metri di quota sul versante occidentale di M.te Faito, fino a La Portella, trova prosecuzione nelle depressioni di Pratolungo a Sud di M.te S. Angelo, nel bacino chiuso di Prato della Rocca e nella Valle Peschieda. Pertanto il solco da La Portella a Fosso delle Rocchette risulterebbe come la traccia di una valle trasversale di cattura del precedente corso, già innestantesi nella Valle del Salto all'altezza dell'attuale Valle del Fiumetto.
 
     Tale ipotesi sarebbe avvalorata dall'innaturale angolazione che il solco La Portella - Fosso delle Rocchette forma sia con il corso del Salto che con la Valle di Varri. Inoltre il modellamento del bacino chiuso di Prato della Rocca, allineato anch'esso ortoclinalmente sotto la scarpata calcarea della Rocchetta (naturale prosecuzione dell'allineamento M.te Val di Varri - M.te S. Angelo), testimonierebbe dell'esistenza di un tronco dell'antico tracciato superficiale oggidì rimasto isolato tra la soglia di Leofreni (956 m) e la soglia di Roccaberardi (824 m). E' quindi lecito supporre l'esistenza, in una prima fase di sviluppo, di un corso subaereo da M.te Faito Valle del Fiumetto per circa 20 chilometri, con naturale innesto a barba di penna sulla Valle del Salto, innesto tipico in formazioni tenere.
 
     Tale corso sarebbe stato in un secondo tempo catturato dalla Valle del Fosso delle Rocchette e la cattura, più che per rinculo di testata del fosso stesso, difficilmente spiegabile su una dorsale calcarea, sarebbe imputabile al travaso delle acque da La Portella per occlusione della valle ad Est di M.te S. Angelo, causa slittamenti della formazione marnoso-arenacea dall'altura di Cesa Micina secondo la pendenza delle bancate che immergono appunto verso M.te S. Angelo.
 
     Solo in una terza fase, l'impostarsi di un tracciato ipogeo al di sotto de La Portella avrebbe determinato il prosciugamento di tale tronco vallivo.
 
     Il profilo trasversale in tutta la vallata presenta una marcata dissimmetria riscontrabile finanche nella prosecuzione del percorso antico: a destra si ha una ripida scarpata di calcari a reggipoggio (è palese tale gradino anche lungo il pendio di Peschieda), a sinistra il frammenarsi del paese arenaceo in una serie di basse ondulazioni modellate dal ruscellamento. E' appunto su questo ultimo versante più erodibile che sono riscontrabili quei ripiani i quali testimoniano il successivo approfondimento della soglia idrografica della valle. Senza considerare la paleovalle nel suo complesso e nel suo terrazzamento, in relazione al livello di base della Valle del Salto, è interessante prendere in esame l'altimetria dei versanti a monte de La Portella (907 m). Il ristagno delle acque intorno a tale quota è confermato dall'esteso ripiano sotto Fonte Lascera (910 m), in regione Scifi, e dall'inviluppo delle sommità dei contrafforti arenacei della Costa della Selva (m 906 quotati). Circa 49metri più in basso de La Portella, sul versante destro, un secondo ripiano è individuabile in un modesto contrafforte calcareo e lungo tutta la vallata è palese, sugli 870 metri di quota, la superficie di un terrazzo smembrata da piccoli fossi affluenti del corso principale. Il terzo terrazzo risulta evidente sugli 850 metri di quota e in esso l'evoluzione dei meandri ha isolato alcune elevazioni circolari.
 
     Una decina di metri al di sotto della scarpata detritica delimitante tale terrazzo, la valle appare estesamente ricoperta da alluvioni recenti, nelle quali il thalweg si è approfondito di 2-3 metri. Concludendo, si può affermare che sussistono evidenti tracce di tre distinti ripiani idrografici intermedi tra il piano de La Portella e quello di attuale scorrimento delle acque, rispettivamente alle quote approssimative di 870, 850 e 835 metri.
 
6. Evoluzione morfologica dell'inghiottitoio
 
     Resta ora da stabilire se la morfologia subaerea trovi o meno una corrispondenza in quella ipogea. Si tratta cioè di accertare la presenza nel tratto iniziale della cavità di tracce di distinti livelli idrografici che possono in qualche modo giustificare il modellamento dei terrazzi della valle al di sotto della soglia de La Portella.
 
     La risalita della galleria, che in fortissima pendenza confluisce da destra nello scivolo franoso, conduce per una scarpata stalagmitica, nella cui zona superiore i blocchi di crollo appaiono cementati, ad una caverna a volta, alta una decina di metri, che dà adito ad una diaclasi verso Sud-Est, occlusa da crolli. Tale luogo, tenuto conto dei 60°-70° di pendenza della galleria, viene a trovarsi circa una trentina di metri al di sopra dello scivolo franoso. L'ampiezza della galleria, impostata, come è chiaro, nel suo punto più alto su una frattura di direzione appenninica e l'esteso concrezionamento del fondo, attualmente in fase senile, sono la testimonianza di un completo ciclo carsico secondo la tipica successione:
  1. Preparazione tettonica
  2. Erosione diretta per scorrimento di acque aggressive
  3. Diminuzione graduale del flusso delle acque
  4. Riempimento e concrezionamento per crollo e per percolazione
     Un siffatto scorrimento di acque ad una quota di circa 30 metri superiore a quella dell'attuale soglia dell'inghiottitoio non può che riferirsi ad un antico percorso vallivo a tale quota, che è appunto la stessa riscontrata per il secondo terrazzo e cioè di 870 metri. Del resto eguale impostazione dovè avere l'iniziale scovolo franoso in cui l'accentuarsi del fenomeno clastico sia per la disposizione degli strati che per l'attività erosiva del corso d'acqua alla sua base, ha distrutto ormai ogni traccia diretta di scorrimento idrico; ma l'eccezionale allargamento da parete a parete non può giustificarsi se non per un fenomeno di condotta attiva. La sommità dello scivolo inoltre presenta abbondanti concrezioni in relazione a percolamento successivo alla cessazione dell'attività del condotto.
 
     Dalla concamerazione sopra lo scivolo ci si affaccia, per fessure concrezionate poste circa 15 metri al di sopra dell'antro di ingresso. E' chiaro che il crollo del versante sovrastante la grotta dovè modificare notevolmente queste testimonianze di accessi a quota più alta e le dimensioni dello scivolo sono pertanto da porre in relazione a passaggi più ampi di quelli oggi riscontrabili. E' da notare che l'apertura nella parete sovrastante l'attuale ingresso viene a trovarsi a circa 850 metri di quota e può perciò riferirsi al terzo percorso vallivo chiaramente riscontrato, come già esposto, nella formazione marnoso-arenacea. Infine la grotta preistorica impostata sull'asse della forra ha il fondo coperto da detrito arenaceo e crostoni stalagmitici ed è già stata dal Segre riconosciuta come risultato della escavazione del corso d'acqua prima dello sprofondamento del pozzo iniziale. Il dislivello di alcuni metri sopra il thalweg ipogeo attuale è analogo a quello che si riscontra nelle alluvioni quaternarie in cui si snoda l'incisione del torrente a monte.
 
     Pertanto i tre ripiani intermedi tra La Portella e l'attuale piano di scorrimento delle acque hanno determinato tre distinti condotti nella parte iniziale del corso ipogeo. Di questi condotti, qualora fosse possibile datare i terrazzi stessi, non dovrebbe essere difficile stabilire la cronologia e, al contempo, si potrebbe valutare la velocità di erosione in una grotta di attraversamento.
 
 
Bibliografia
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  2. ANGELUCCI A., CHIMENTI M., PASQUINI G. - Nota preliminare su alcune ricerche geologiche e geomorfologiche nella grotta di attraversamento di Pietrasecca (M. Carseolani) e nel suo bacino di alimentazione, Roma 1959, "Boll. Soc. Geol. It.", fasc. 3.
  3. CAROZZI A., Esquisse géologique des environs de Pietrasecca, Val di Varri, Apennine Central, "C. R. Soc. Phis. Hist. Nat.", 64, n. 3, Genève 1947.
  4. CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO - Relazioni delle esplorazioni dal dicembre 1920 al 26 maggio 1937, Manoscritto.
  5. CREMA C., - Relazione preliminare sulla campagna geologica del 1911: Abruzzo Aquilano - Lazio, "Com. Geol.", 4, 1912.
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  9. SEGRE A. G., - I fenomeni carsici e la speleologia nel Lazio, C.N.R., 15, n. 2, 1945.
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Atti IX Congr. Naz. Speleol., Trieste 1963, Rass. Spel. Ital. - Mem. VII, Tomo II,


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