Considerazioni sulla percolazione e sulla condensazione
di Giorgio Pasquini (*)
 

estratto da:
Atti del Seminario di Speleogenesi - Varenna,
5-8 ottobre 1972 - Le Grotte d'Italia (4) IV (1973)
pag. 323-329 - Bologna, 1975.

(*) - School of Geography, University of Oxford. - Società Speleologica Italiana.

Riassunto - Dopo aver classificato i vari tipi di percolazione, viene criticato il concetto di una percolazione diffusa in tutto il massiccio calcareo, e la stessa densità della rete leptoclasica adatta a tale tipo di circolazione idrica. Si spiega quindi l'ampliamento dei vacui per erosione inversa attraverso l'azione prevalente della condensazione dell'umidità atmosferica carica di CO2, riducendo il ruolo della percolazione al ripascimento di umidità dell'aria circolante in grotta.
 
Summary - The different types of percolation are classified and the concept of diffuse percolation through the limestone massif is challenged together with the concept of the dense leptoclasic network indispensable for this type of erosion is due mainly to the condensation of atmospheric damp loaded with CO2, and thus the role of percolation is to increase the humidity of the air circulating within the cave.
 
 
    Possiamo tracciare una completa teoria del carsismo, senza introdurre il concetto di condensazione e senza parlare dell'atmosfera delle grotte: ciò in sostanza, è quanto fa il MAUCCI (1952, 1961), indicando nella percolazione, se non il solo, il principale fattore di corrosione all'interno dei massicci rocciosi.
 
    Il fatto che non possiamo trattare le cavità con la loro atmosfera senza ricorrere almeno inizialmente a una qualche circolazione d'acqua e quindi alla percolazione, ci deve pertanto far riconoscere che la condensazione è un fattore secondario (cronologicamente) rispetto alla percolazione.
 
    L'accettare la percolazione quale mezzo della speleogenesi non può, per ipotesi, che estendere il campo di questo tipo particolare di scorrimento idrico a tutta la massa rocciosa che, nel quadro maucciano, è diffusamente fratturata, e ciò è indispensabile, in un fitto reticolo di leptoclasi ove scorrono le acque, e questo appare meno sicuro: è la circolazione leptoclasica anarchica della zona sommitale dei massicci, che fornisce l'acqua ai fusi embrionali, e, via via, alle pareti dei fusi più grandi e coalescenti, alle volte delle gallerie, a tutte le cavità soprastanti la superficie di permanente impregnazione del massiccio, cioè a tutte le forme vadose. In tale quadro ogni parete di cavità interseca un elevato numero di leptoclasi drenanti, le cui acque bagnano tutta la superficie rocciosa che viene ad essere attaccata sia sul fronte esterno sia lungo il reticolo più o meno ortogonale delle leptoclasi, e quindi sgretolata in blocchi a poco a poco distaccati e frananti per gravità secondo i noti processi.
 
    Precisiamo: la percolazione inizia in quelle leptoclasi che lasciano passare una pur minima quantità di acqua; prima di ciò, ovviamente, la leptoclasi è soltanto virtuale. È opportuno, ora, introdurre alcune definizioni: finché l'acqua circola entro le leptoclasi o entro qualsiasi meato occupandone completamente la sezione abbiamo ciò che possiamo chiamare "percolazione canalizzata"; dal momento che il flusso o per sua diminuzione o per allargamento del condotto non occupa tutta la sezione e scorre quindi sulle pareti interne delle leptoclasi (o microclasi, o diaclasi) veniamo ad avere "percolazione convogliata"; quando l'acqua fuoriesce dalle fessure e si espande lungo tutta una superficie, riguardo a tale superficie parliamo di "percolazione parietale"; come la forma della parete provoca il distacco dei filetti idrici che vengono a cadere nell'atmosfera della grotta abbiamo la "percolazione libera" o stillicidio.
 
    Così le acque attraversano il massiccio dalle aree di assorbimento fino al livello piezometrico; ma ciò avviene lungo leptoclasi, microclasi e vere e proprie diaclasi, molto più disperse nella roccia di quanto si sarebbe costretti a presumere dovessero essere, se tutta l'acqua che bagna le pareti di una cavità fosse dovuta a percolazione.
 
    Le acque vadose identificano un reticolo ben gerarchizzato fin dalle superfici di assorbimento, condizionato dalle ondulazioni della coltre detritica o dalle creste dei karren; il drenaggio avviene in punti precisi, ove hanno inizio fessure che scendono abbastanza in profondità per condurre almeno a un interstrato lungo cui smaltire le acque in successive più basse fessure impostate su piani diversi; tra un punto di assorbimento e l'altro, le acque superficiali scorrono sulla superficie rocciosa, senza in alcun modo penetrare in essa. Infatti i blocchi non fratturati risultano sensibilmente impenetrabili, tanto da averne consentito l'impiego, ad esempio, per la costruzione di vasche per abbeveratoi, usi agricoli, ecc.
 
    In superficie vi è la massima dispersione planimetrica delle acque, che, via via scendono, tendono a convergere in tracciati preferenziali che lasciano sempre più estese porzioni di massiccio completamente prive di percolazione. Potremo avere l'estendersi suborizzontale di una fitta rete di condotti là dove essi appoggiano su un livello di minor fratturazione e permeabilità, quando questo basamento roccioso non permette percolazione.
 
    Il calcare quindi è in prevalenza massiccio, impermeabile, e i fusi embrionali e le aree a minuta fratturazione che si scoprono nei fronti di scavo sono rari e spaziati da zone prive di qualsivoglia percolazione.
 
    Pensiamoci bene: se ci fosse, è mai possibile che non sia osservabile in natura una porzione di calcare tutta diffusamente percolante da un fitto reticolo di leptoclasi?
 
    Non sarà questo reticolo leptoclasico, e la conseguente circolazione leptoclasica anarchica, un "costrutto mentale" (BRIDGMAN 1927)?
 
    Questo tipo di circolazione sembra essere cioè un postulato della teoria dell'erosione inversa più che un dato di osservazione, e un postulato, come vedremo, non necessario.
 
    Si tratta di un costrutto mentale, logicamente, perché è ciò che si pensa sia l'interno di un corpo solido opaco quale un massiccio calcareo, interno di cui non fanno parte le cavità percorribili e osservabili. Ad un approfondito esame, tuttavia, tale costrutto risulta non necessario poiché, una volta che si abbia una certa quantità di acqua in un vacuo della roccia, percolante da una o più ben individuabili microclasi (e usiamo questo termine per indicare un fenomeno meno "nascosto" di una leptoclasi), tale acqua viene a equilibrare l'umidità dell'atmosfera del vacuo, che quindi si condensa sulle pareti provocando il fenomeno corrosivo.
 
    Il processo è noto: se l'atmosfera non è inizialmente satura le acque percolanti evaporeranno fino a saturarla, e sappiamo che gli ambienti ipogei con presenza di acque hanno valori di umidità relativa vicina al 00%. Tale atmosfera potrà far condensare l'umidità sulle pareti dell'ambiente o per variazioni di temperatura o per variazioni di pressione, ed è inutile qui approfondire l'argomento. Quello che è importante per noi, è che l'umidità che si condensa è in equilibrio con l'anidride carbonica presente nell'atmosfera, e pertanto aggredisce la superficie rocciosa con azione veramente diffusa, indipendente dalla gravità e quindi da giustificare pienamente l'aggettivo "inverso" che compete all'erosione carsica nella zona di percolazione di un massiccio calcareo.
 
    Possiamo ben ritenere che, costatato l'apporto idrico della percolazione canalizzata e convogliata, l'erosione inversa sia prevalentemente provocata dalla condensazione di umidità aggressiva, e il ruolo corrosivo della percolazione parietale e dello stillicidio sia trascurabile rispetto a quello di saturare con vapore d'acqua l'atmosfera della grotta. Tale atmosfera potrà a su volta essere più o meno ricca di anidride carbonica in relazione ai processi che sviluppano tale gas e alla sua circolazione.
 
    Inoltre ci sembra che il riconoscimento dell'aggressività delle acque di condensazione, peraltro testimoniato dai risultati delle analisi, laddove le acque della percolazione parietale e libera risultano pressoché neutre, risolva il problema del ripascimento di anidride carbonica, problema che la teoria del BOEGLI (1964) affronta per ciò che riguarda più propriamente la percolazione canalizzata e le acque circolanti comunque in condotti. Nei vacui totalmente occupati dalle acque, ripetiamo, l'anidride carbonica per il processo carsico è data dall'atmosfera.
 
    Concludendo, ci sembra che non vada sottovalutato il ruolo della condensazione nel meccanismo speleogenetico: essa dà un importante contributo al bilancio idrico della cavità, se non dal punto di vista della portata, certamente da quello dell'aggressività
 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

BRIDGMAN P.W., 1927 - The logic of modern physics, XI - 228 pp., Macmillan, New York.
 
BOEGLI A., 1964 - Mischungskorrosion: ein Beitrag zum Verkarstungproblem, Erdkunde, 18, 2, pp. 83-92, Bonn.
 
MAUCCI W., - 1952 - L'ipotesi dell'erosione inversa come contributo allo studio della speleogenesi, Boll. Soc. Adr. Sc. Nat., 46, 60 pp., Trieste.
 
MAUCCI W., - 1961 - La speleogenesi nel carso triestino, Le Grotte d'Italia, (3), 3, pp. 25-42, Castellana Grotte (Bari).

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DISCUSSIONE SULLA COMUNICAZIONE
DI
GIORGIO PASQUINI

 

    CIGNA. - Ringrazio il Dr. PASQUINI e apro la discussione.
 
    MAUCCI. - Due osservazioni. Una per quanto riguarda la percolazione: la distinzione fatta da PASQUINI sui vari aspetti di questa percolazione è effettivamente molto centrata e chiarisce vari punti. Direi che il ruolo giocato dalle leptoclasi (nel senso stretto della parola) in effetti sia in ogni caso molto modesto, se non trascurabile, nell'ambito di una vera e propria percolazione. Data la ristrettezza delle fenditure e i fenomeni di capillarità, il movimento dell'acqua lungo le leptoclasi è molto lento ed ha difficilmente una efficacia speleogenetica. Il ruolo delle leptoclasi lo vedrei piuttosto importante quale regolatore di regime, in quanto esse rappresentano una trattenuta d'acqua che consente alla vera e propria percolazione, quella in microclasi e in diaclasi, di avere un regime costante anche quando il regime pluviale viene ad essere in superficie più variabile. Molto spesso, quando abbiamo dei calcari carsificabili in senso stretto attraversati da una vera e propria rete di diaclasi, sopra il quale ci sia un cappello di calcari ad elevata fratturazione minuta, di tipo leptoclasico - come nel caso particolare come della Spluga della Preta - è in profondità che noi troviamo gli incarsimenti maggiori, i fusoidi a notevole estensione verticale, in ragione della distanza di regime data dalle acque trattenute dal reticolo leptoclasico delle rocce di copertura.
    Altra osservazione si riferisce al ruolo della condensazione, e ne avevo già accennato in un precedente lavoro. I fenomeni di condensazione richiedono non solo variazioni di temperatura e di pressione, ma anche una certa circolazione d'aria. Ora, il ricambio d'aria attraverso una rete di fenditure mi sembra un po' difficile da ammettere, tranne in qualche caso particolare. Voglio invece citare a questo proposito il caso tipico di una grotta piuttosto conosciuta dagli speleologi: l'Abisso di Trebiciano. Noi qui troviamo un fatto notevole, cioè che mentre le grotte della zona circostante - e si può dire di quasi tutto il Carso triestino - presentano un aspetto tipicamente insenilito (in quanto attualmente la litogenesi prevale largamente sulla speleogenesi vera e propria), l'Abisso di Trebiciano presenta invece un aspetto giovanile, con attività corrosiva ed erosiva ancora notevole; e questo non solo nel cavernone terminale, ove ciò è ovvio per l'esistenza del fiume, ma anche lungo i suoi trecento metri di pozzi.
    Penso di poter interpretare questa singolarità proprio col ruolo della condensazione, tenendo presente che le piene del fiume determinano variazioni di livello delle acque sotterranee di oltre cento metri. La grotta funziona quindi come un vero e proprio stantuffo che al decrescere di queste piene aspira una grande quantità d'aria, la quale evidentemente finirà col raffreddarsi nell'interno determinando una notevole condensazione. Alcuni dati sperimentali confermano che effettivamente questa grotta è sede di una condensazione molto intensa.
    L'importanza delle acque di condensazione, come giustamente osserva l'amico PASQUINI, non consiste tanto nell'incremento della portata dei corsi sotterranei, quanto piuttosto all'incremento dell'aggressività e nel mantenere attiva la corrosione anche in grotte che si trovano in fase di senilità avanzata.
 
    ANELLI. - A sostegno della tesi del nostro amico PASQUINI vorrei citare un fenomeno osservabile alle Grotte di Castellana, e più esattamente nel corridoio che collega il pozzo iniziale col secondo cavernone. Qui la roccia delle pareti e delle volte è corrosa e parzialmente ricoperta da "latte di monte"; anche le concrezioni calcitiche sono in gran parte corrose. Le tracce di corrosione mancano solo in prossimità del pavimento del corridoio, fino all'altezza di circa 80cm. A mio avviso questa corrosione iniziò col crollo del diaframma superficiale che diede origine al pozzo iniziale, attraverso il quale si verifica una circolazione di aria tra le grotta e l'esterno. D'inverno entra in grotta aria fredda e pesante, che ristagna nelle parti più basse senza causare apprezzabili fenomeni di corrosione; contemporaneamente esce dalla grotta aria più calda e quasi satura di umidità (97%). Quest'aria si raffredda lungo il tragitto verso l'esterno, per cui il vapor d'acqua condensa e scioglie anidride carbonica: si forma una rugiada corrosiva che attacca il calcare e le concrezioni. Gli effetti di questa azione corrosiva sono particolarmente evidenti nel corridoio che ho citato: qui d'inverno si ha una corrente d'aria fredda diretta verso l'interno della grotta che occupa la parte più bassa del corridoio, dove mancano tracce di corrosione; al di sopra si ha una corrente di aria calda diretta in senso opposto che, raffreddandosi, dà origine a condensazione e corrosione. Da misurazioni fatte alcuni anni fa è risultato che la concentrazione della CO, nella grotta è, se non erro, dell'1_1,5%, e raggiunge nelle parti interne il 2,4%, per cui si è ritenuto opportuno installare un ventilatore che immetta aria dall'esterno.
    Qualche volta, nei giorni in cui cambia il tempo e si abbassa la pressione atmosferica, ho notato che le pareti della grotta appaiono in certi tratti più umide; evidentemente si ha una mescolanza di aria, per cui l'aria più calda si raffredda e il vapor acqueo condensa con gli effetti sopra ricordati.
 
    MAIFREDI. - Mentre sono d'accordo che la condensazione possa avere un'importanza notevole nei vacui già di una certa dimensione, cioè escluse le leptoclasi, non credo che sia trascurabile l'esistenza di queste leptoclasi per l'alimentazione delle sorgenti carsiche. Da studi della scuola di Montpellier risulta che enormi volumi d'acqua di alimentazione, dell'ordine di centinaia o migliaia di mc, possono venire immagazzinati nelle leptoclasi (intendo per leptoclasi fessure non allargate dall'azione corrosiva delle acque, molto piccole, dovute esclusivamente ad azioni tettoniche).
    Che questi volumi siano enormi è dimostrato anche dai pozzi soffianti che gli Autori francesi hanno studiato. In una zona di calcari a basamento impermeabile e ricoperti da una estesa coltre di terra rossa, i pozzi scavati per trovare acqua buttano una notevolissima quantità di aria ad ogni variazione di pressione atmosferica. Un calcolo manometrico di queste variazioni di pressione hanno dimostrato l'esistenza di cavità per un volume di parecchie centinaia di migliaia di mc; si tratta di un volume troppo grande per potersi spiegare con la presenza di grotte, per cui va attribuito alla rete leptoclasica.
    A proposito delle leptoclasi vorrei far notare inoltre che tali fessure sono talmente piccole da non permettere la circolazione dell'acqua. Perché si formi una grotta occorre che le fessure siano beanti, sia pure di poco: ciò si verifica in zone caratterizzate da una tettonica distensiva; nelle zone di compressione l'acqua non circola nelle fessure e quindi non si sviluppano fenomeni carsici sotterranei.
 
    BOEGLI. - La mescolanza di due masse d'aria di temperatura diversa e di umidità prossima al 100% dà luogo a condensazione. Questo fenomeno si può provare teoricamente. E anche se l'umidità è leggermente inferiore al 100% la condensazione avviene lo stesso. Un esempio pratico di ciò l'ho osservato spesso in grotta: dove due gallerie si incontrano ho sempre trovato una specie di Karren sotterraneo, evidentemente i corrispondenza di una zona di condensazione.
    Ecco di nuovo il geomorfologo che vede il Karren e dice: "Ci dev'essere condensazione! Ma come? A due o tre chilometri dall'ingresso e a qualche centinaio di metri dalla superficie? E' quasi impossibile!" E' che in primavera in certe zone l'acqua ha una temperatura di 2° o 3°, mentre la temperatura delle grotte può raggiungere i 5,5°; e questa differenza è già sufficiente per una modesta condensazione che, ragionando in tempi geologici, può avere conseguenze rilevanti.
 
    PASQUINI. - Una premessa: non ho voluto fare un caso assoluto e generale, ma sostenere una certa ipotesi (anche di lavoro). Non nego l'esistenza delle leptoclasi e la loro importanza come regolatrici del drenaggio.
    Sono venuto sviluppando la mia tesi dalla osservazione di un carso giovane in un clima secco come quello dell'Italia centromeridionale. Mi è qui apparsa evidente la gerarchizzazione progressiva del reticolato idrico ipogeo. E' vero: le leptoclasi forse ci sono dappertutto nel massiccio, ma più scendiamo e più le acque insistono in quei condotti che hanno maggiormente allargato. Verso il fondo del massiccio avremo sì un livello piezometrico, ma che collega grandi condotti ben identificati. Proprio per questo motivo nella zona vadosa devono esistere vaste aree escluse dalla circolazione idrica.
    Ringrazio il Prof. ANELLI per l'esempio di Castellana, che sostiene completamente il ruolo della condensazione, come pure il fenomeno tutt'affatto peculiare di Trebiciano citato da MAUCCI e le precisazioni teoriche e sperimentali del Prof. BOEGLI: contributi che mi invogliano a proseguire nelle ricerche sulla condensazione.
 
    CIGNA. - Ringrazio a mia volta i colleghi MAUCCI, ANELLI, MAIFREDI e BOEGLI per gli interessanti contributi portati alla discussione, e PASQUINI per le ulteriori precisazioni.
 

Atti del Seminario di Speleogenesi - Varenna, 5-8 ottobre 1972 - Le Grotte d'Italia (4) IV (1973), pag. 323-329 - Bologna, 1975.


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