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Wilfried Stroh

(professore all’Istituto di Filologia Classica all’Università di Monaco)

Jan NOVAK

Se mai musicista meritò la qualifica di europeo, questi fu veramente Jan Novàk. Nato in Cecoslovacchia, divenuto cittadino italiano, morto in Germania , egli amò questi paesi ma non al punto da preferire le loro lingue a quella latina , sostrato comune dell’Europa .

Jan Novàk nacque l’8 aprile 1921 a Novà Rise, piccola località della Moravia. Ricevuta l’istruzione primaria, proseguì gli studi in un eccellente Ginnasio dei Gesuiti dove si imbatté in insegnanti di greco e di latino dottissimi ma esigentissimi - cosa che al momento non seppe apprezzare, intenzionato com’era a dedicarsi completamente alla musica . Si iscrisse dunque al conservatorio, dapprima a Brno, poi a Praga . Nel 1942 dovette però interrompere gli studi - fino al 1945 - perché condannato ai lavori forzati nella Germania del Terzo Reich. L’amore per la libertà, che da allora lo accompagnò sempre , si accrebbe fra il 1947 e il 1948 a seguito di un lungo soggiorno in America , dove gli amatissimi divini maestri Aaron Coopland e Bohuslav Martinu gli svelarono gli ultimi arcani della musica .

Benché inviso ai governanti , tornato in patria poté vivere in condizioni agiate, grazie alla rendita delle sue composizioni , assieme alla moglie Eliska ( Elissa ) e più tardi alle figlie Dora e Clara. Le sue opere, frattanto, si arricchivano di elementi jazzistici e della tecnica dodecafonica ( poi ripudiata per amore della libertà , come egli stesso dichiarò ).

Verso i 35 anni aveva incominciato ad entusiasmarsi per la lingua e per la letteratura latina , ormai desuete nelle scuole della sua patria . Ad affascinarlo erano la musicalità delle parole e la bellezza del ritmo, che egli, come nessun altro musicista contemporaneo, seppe riprodurre e in un certo senso riportare a nuova vita . Dopo Orazio mise in musica Catullo, Tibullo, Virgilio, e molti altri. Anche nelle opere strumentali spesso utilizzò la ritmica e la metrica latina: nelle "Odae" per chitarra - successivamente trascritte e dedicate alla figlia pianista Dora - lo strumento riproduce l’intera gamma ritmica della poesia di Orazio, spingendosi fin quasi alla singola parola.

La lingua latina non solo alimentò la sua vena poetica ( nel 1964 e nel 1966 pubblicò due volumi di poesie, accolte con grande unanime consenso), ma gli fu utile - ovunque possibile – perfino nelle conversazioni .

Fra le composizioni musicali d’ispirazione latina , un posto di rilievo spetta alla cantata "Dido" ( su testo di Virgilio ) eseguita per la prima volta nel 1967 . L’anno precedente era stata eseguita con grande successo una composizione sul mistero della passione cristiana "Passionspiel" : quanto più era risultata cara al pubblico , anche per il suo significato religioso , tanto più era stata riprovata in altre sfere . Durante gli eventi del 1968 , ai precursori del rinnovamento socialista andò tutta la simpatia di Jan Novàk , il quale purtroppo non volle tener conto che i tempi non erano maturi. Presto appassito l’ancor tenero fiore della Primavera di Praga - rappresentato in modo commovente nella cantata "Ignes pro Joanne Palach" - Jan dovette abbandonare patria, casa , biblioteca, amici. Unico conforto la speranza che, grazie alla sua cultura e formazione latina, in Occidente le persone colte lo avrebbero accolto a braccia aperte.

Quale delusione! I musicisti non erano in grado di far molto con il latino delle sue opere; i latinisti non erano interessati al suo genio musicale. Così in cerca di una sistemazione adeguata , fu costretto a trasferirsi dapprima dalla Germania alla Danimarca, dove la moglie, eccellente pianista , insegnò presso il conservatorio di Aarhus ; successivamente in Italia .

La città di Rovereto, amante della musica, che gli aveva commissionato una composizione ( il "Mimus magicus" di Virgilio ), gli piacque: decise di stabilirvisi. Qui conobbe numerosi amici in grado di parlare il suo latino; qui riuscì ad entusiasmare molti giovani con i quali fondò il coro "Voces latine", che fu invitato addirittura da Papa Paolo VI .

Nonostante il successo, Jan Novàk continuava però a vivere in gravi ristrettezze. Furono le necessità economiche ad indurlo, dopo vari anni, a tornare in Germania . Finalmente nel 1977 riuscì a sistemarsi in modo soddisfacente a Neu-Ulm, dove la moglie Eliska, con la sua attività didattica, poté provvedere al sostentamento della famiglia. Purtroppo il dolore dell’esilio, lungamente sopportato, doveva presto condurlo ad una grave malattia e infine alla morte, avvenuta il 17 novembre 1984 .

L’esilio non aveva annientato, e nemmeno indebolito, la sua forza creativa: ai soggiorni in Italia e in Germania risale la maggior parte delle opere che oggi rivendicano il diritto ad una validità duratura. Fra queste citiamo la sua maggiore opera scenica, il "Dulcitius".

Con Jan Novàk si avvera ciò che Ovidio disse dei poeti: "Con la sepoltura s’accresce la fama". Dopo la sua morte si è potuto captare un nuovo interesse per lui , in Italia come in Germania ed in America . Lo si vuole ascoltare e, ancora più importante , lo si vuole eseguire. Jan Novàk non fu del resto un fautore di un’arte enigmatica per pochi iniziati : le sue composizioni possono essere apprezzate da tutti. Così come di tutti è , e sarà sempre , la lingua latina .

Wilfried Stroh

(professore all’Istituto di Filologia Classica all’Università di Monaco)

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