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Rovereto musicale. Appunti.

di Marvi Zanoni

"…Anzi avendo osservato, che per il tempo del ridotto sono state proibite tutte le private radunanze, cosa assai strana che qualcuno non possa a proprie spese divertirsi in propria casa con li suoi parenti ed amici, così si supplica che per altre occasioni venga comandato il doversi astenere da tale proibizione. …" Leggiamo questa rimostranza in un manoscritto del 1755 conservato alla Biblioteca Civica "Tartarotti" di Rovereto.

Non è la sola. Esistono testimonianze di contenziosi ancora più antichi. Uno, scoppiato nel 1723 tra capitano di Rovereto e provveditori della città per gli spettacoli, era nato dal rifiuto da parte degli organizzatori di cedere al podestà e ai provveditori i primi posti, già venduti ad altri cittadini. In quell’occasione, inutilmente le autorità ingiunsero di sospendere le rappresentazioni …

Provvisori teatrini in legno, (quello chiamato Ridotto era sorto in piazza Podestà), ospitarono la vivace attività teatrale e musicale roveretana fino al 1784, quando fu inaugurato il teatro sociale, oggi Teatro Zandonai.

Dopo tante strutture provvisorie, la costruzione di un vero teatro fu un notevole salto di qualità per Rovereto. Evidentemente, i roveretani erano consapevoli che il teatro è un luogo essenziale nella vita di una comunità, sia dal punto di vista della relazione e della convivenza, sia da quello della civiltà e della cultura.

Il teatro fu inaugurato il 26 maggio 1784 con alcuni significativi appuntamenti musicali: innanzitutto il melodramma Giannina e Bernardone di Domenico Cimarosa, quindi Il convito ancora di Cimarosa e I viaggiatori felici di Pasquale Anfossi.

"(…) trovai a Roveredo che si facean le prove di un’opera buffa per l’apertura del teatro! ‘Giannina e Bernardone’, di Cimarosa fu il dramma che vi si rappresentò, e ch’era piuttosto un pasticco, o centone che un’opera: ma non importa; era nuova in quel paese, e la novità piace da per tutto: …"

(G.G.Ferrari, Aneddoti piacevoli e interessanti, ed. Lubrina 1998)

L’attenzione al mondo del melodramma non era occasionale per Rovereto: gli spettacoli musicali erano stati numerosi in città anche prima dell’apertura del teatro. Non era inoltre infrequente il coinvolgimento di forze locali (coristi, orchestrali e persino compositori): ulteriore segno della grande vitalità roveretana in questo settore.

Fortunato Zeni in "Note per una cronaca del teatro di Rovereto dal Seicento al Novecento" (a cura di Clemente Lunelli, pubblicato dalla Biblioteca Civica di Rovereto nel 1994) passa in rassegna i titoli e gli autori di numerose occasioni musicali promosse nel corso dei secoli XVII – XVIII – XIX nella Città della Quercia.

L’elenco è interessante ed eloquente. Nel tardo Seicento si va dall’opera tragicomica "Il Giasone" di Giulio Passarino (sacerdote di Brentonico e professore di retorica al Ginnasio di Rovereto), ai tre lavori di Don Felice Zorzi, veronese organista a Rovereto (Leina fiume di Hannover, Panaro fiume di Modena, Leno fiume di Rovereto - serenata scritta per il passaggio a Rovereto delle Altezze Serenissime nel 1677, l’operetta Sant’Elena, e una seconda serenata Giove, la Giustizia e la Fama).

Il Settecento inizia con il dramma per musica L’Enigma disciolto e l’oratorio a quattro voci Il Figlio prodigo (per la Chiesa Arcipretale di San. Marco); trascorre in compagnia dei tre drammi giocosi (Il Curioso indiscreto di Pasquale Anfossi, maestro di cappella napoletano, Le gelosie villane di Giuseppe Sarti, I Visionari del napoletano Vincenzo Astarita - opera allestita a Sacco); si avvia alla chiusura con l’inaugurazione e il primo anno di attività del Teatro Sociale (1784: ben tre drammi giocosi: Giannina e Bernardone e Il Convitto di Domenico Cimarosa; I Viaggiatori felici di Pasquale Anfossi, maestro di cappella napoletano).

Le Note di Zeni evidenziano che i drammi giocosi occupano un posto di rilievo nella programmazione cittadina, ma anche che non sono assenti le Accademie istrumentali, alle quali partecipano dilettanti e Accademici filarmonici di Rovereto.

"(…) Poco dopo il mio ritorno fui introdotto all’Accadèmia dei Dilettanti, e non sapendo alcuno, che avessi io fatto a Mariaberg, restaron tutti attoniti ch’io sapessi sonare non male un quartetto e concerto di flauto, far un secondo violino, o una viola in un quartetto a vista. Fama volat. Fui subito invitato a Saco, e a Fojaneghe, Villeggiatura del nobil G.M.Fedrigotti, la cui consorte era una vera dama, donna di spirito e liberale. Il signor Giuseppe Maria suonava la viola, suo fratello Domenico il flauto, ed il loro nipote Gianpietro (ora conte) il violoncello, e cantava con poca voce, ma con molta buona grazia (…)"

(G.G.Ferrari, Aneddoti piacevoli e interessanti, ed. Lubrina 1998)

Le "Note" di Zeni ricordano soprattutto che non è silenziosa la Cappella di San Marco, che tra l’altro propone numerosi Te Deum solenni e, nel 1799, la Messa in musica composta dall’abate Giovanmaria Zandonati, con la partecipazione di cantori e filarmonici roveretani.

"(…) Di ritorno a Roveredo fui introdotto sull’organo della cattedrale di San Marco, dove quasi ogni Domenica, e in altre feste si faceva qualche funzione in musica. Ivi feci rumore, ed era considerato come una meraviglia o un portento, né potevan capire com’io potessi cantare o sonare ogni cosa all’improvviso. Ma il furore ch’io faceva non era troppo lusinghevole per me, perché i miei ammiratori che costituivano quell’orchestra non eran gran cosa: e siccome la mia critica non può far loro alcun torto, così li descrivo liberamente e con tutta la verità e severità possibile. (…)"

(G.G.Ferrari, Aneddoti piacevoli e interessanti, ed. Lubrina 1998)

Il quadro cambia gradualmente nel corso dell’Ottocento.

Fin dai primi decenni del secolo XIX le accademie musicali si fanno più frequenti, mentre i programmi - ancora incentrati sulla lirica - cominciano a lasciare qualche spazio ai brani strumentali. Significativo il programma di un’Accademia musicale del 1827: la sequenza delle arie tratte da opere di Mercadante (Didone, Andronico) e Rossini (Barbiere, Otello e Semiramide), viene interrotta dall’esecuzione di due temi per clarinetto di Loesch.

Dopo il 1830 Rovereto ospita finalmente anche concerti esclusivamente strumentali: nel 1830 arriva da Innsbruck la "suonatrice di pianoforte" Carolina Perthaler, la segue nel 1831 il violinista Giuseppe Kieninger con un programma paganiniano, nel 1846 si applaude il contrabbassista G.B.Bresciani (diciottenne bresciano, allievo del celebre Bottesini), nel 1857 è il turno del "celeberrimo suonatore di mandolino" Giovanni Vailati, …

Le offerte musicali si fanno sempre più numerose e importanti. Alle accademie musicali, che proseguono con regolarità, si affiancano stagioni operistiche di rilievo sia per il numero delle rappresentazioni (gli allestimenti vengono replicati a volte fin oltre le 20 serate!), che per la fama degli autori.

L’elenco è eloquente: Bellini è presente con Sonnambula, Norma, Beatrice di Tenda, Il pirata; Donizetti con Belisario, Lucia di Lammermor , Elisir d’amore, Marin Faliero, Lucrezia Borgia , Torquato Tasso, Parisina, Gemma di Vergy, La Figlia del Reggimento, Poliuto, Don Pasquale, La favorita; Pacini con Saffo; Mayerbeer con Roberto il diavolo, Il crociato d’Egitto; Rossi con I falsi monetari; Rossini con Il Barbiere di Siviglia, Guglielmo Tell, La Cenerentola; Mercadante con Il giuramento e I Normanni a Parigi; …

 

 

 

Per motivi diversi, le date del 1843 e del 1844 sono storiche.

Nel 1843 nasce la Banda Civica, che d’ora in poi sottolineerà i momenti più significativi della comunità. Sul suo esempio, pochi mesi dopo, prenderanno il via le bande di Sacco, Mori, Riva e Arco.

Nel 1844 approda a Rovereto il Nabucodonosor (ben 22 repliche!): d’ora in poi Giuseppe Verdi sarà l’autore più assiduo nei cartelloni della Città della Quercia. Dopo il Nabucco, infatti vengono proposte e riproposte: Ernani, I due Foscari, I Lombardi, Il Rigoletto, Il Trovatore, La Traviata, Un ballo in maschera, La forza del destino, Aida, Otello (realizzato con la collaborazione di dilettanti e della Banda civica di Rovereto), …

Anche le stagioni dell’ultimo quarto del secolo XIX e dei primi decenni del XX rivelano una programmazione attenta e aggiornata. Troviamo opere di Gounod (Faust); Bizet (Carmen, I pescatori di perle); Petrella (Jone, Le precauzioni); Usiglio (Le educande di Sorrento, Le donne curiose); Thomas (Mignon); Gomez (Guarany); Auber (Fra’ Diavolo); Leoncavallo (Pagliacci); Gianferrari, allora direttore della scuola musicale cittadina (Trecce nere, 1883); Boito (Mefistofele); Mascagni (Cavalleria rusticana); Massenet (Manon); Puccini (Boheme, Tosca, Manon Lescaut, La fanciulla del West); Perosi (La Risurrezione di Lazzaro, La Risurrezione di Cristo); Wagner (Lohengrin, Tannhauser); Montemezzi (Giovanni Gallurese); Catalani (La Wally).

Nel 1919, con un’apertura straordinaria del teatro, trova spazio in cartellone anche l’illustre concittadino Riccardo Zandonai con la sua Francesca da Rimini.

Per chi volesse approfondire

Abbiamo constatato fin qui l’interesse della città di Rovereto nei confronti dell’opera.

Insieme agli elenchi di musiche possedute dai privati e dalle chiese della zona, il culto per l’opera e per il melodramma rivelano che il gusto musicale dominante nella Vallagarina è quello italiano.

Del resto non poteva essere altrimenti: la dominazione veneziana, nel corso del sec. XV, aveva favorito la presenza a Rovereto di musicisti provenienti dall’Italia centro-settentrionale. La consuetudine permane nei secoli successivi: tutti gli organisti attivi a Rovereto tra il 1500 e il 1800 provengono dall’Italia settentrionale, e di conseguenza seguono e diffondono la tradizione musicale padano-veneziana, mentre gli organisti attivi a Trento hanno origini altoatesine o tedesche.

Da un prezioso lavoro di padre Mario Levri del 1972, La Cappella Musicale di Rovereto, apprendiamo che gli organisti di S. Marco sono i primi strumentisti che assumono un ruolo "ufficiale" a Rovereto. Oltre alla cappella musicale (esecuzioni organistiche, preparazione e direzione del coro e dell’orchestra), a loro è affidata l’istruzione dei ragazzi nel canto e a volte nell’organo, nel clavicembalo e nel violino, secondo una consuetudine diffusa per tutto il Rinascimento e il Barocco.

Già nel 1500 (il primo documento che si riferisce all’assunzione di un organista data 4 giugno 1518) i roveretani sono così attenti alla musica che la cappella di S. Marco e il suo maestro-organista sono stipendiati dai Provveditori comunali, ossia dall’autorità civile e non da quella religiosa della città, come avviene invece a Trento e perfino in altri centri musicali importanti.

Benché le testimonianze documentarie non siano molte, è accertato che fin dal 1500 a Rovereto si svolge una qualche attività musicale anche al di fuori della chiesa.

Vengono infatti in nostro soccorso alcuni atti notarili, che ci danno notizia dell’esistenza a Rovereto di molti tipi di strumenti (un arpicordo – probabilmente un clavicembalo per l’arch. Marco Tiella-, cornetti, chitarre, liuti, spinette, clavicembali, claviorgani, violini, violoncelli, flautini, mandole, viole, arpe, mandolini), di parecchi collezionisti (don Antonio Turati Arciprete di Lizzana, l’abate Paolo Antonio Vannetti, il dott. Bernardino Dido Serbati, Giuseppe Valeriano Vannetti, Giovanni Felice Saibanti, fratello di Laura Saibanti, i Conti Fedrigotti, e altri ancora); di vari costruttori di strumenti (il chierico e violinista Francesco Fejer si occupa di corde musicali alla fine del XVIII; il tabaccaio Antonio Chiusole costruisce clavicordi e spinette). Proprio al citato Chiusole si rivolge G.G.Ferrari nel 1775 per la costruzione del suo clavicembalo:

"(…) A quel tempo, anno 1775, non s’era ancor veduto un Pianoforte in Roveredo, né si poteva procurare un Clavicembalo in affitto. Eranvi delle Spinette e delle Sordine, passabili, a tre ottave e mezzo, fatte da un certo Chiusole tabaccajo, genio naturale per le mecaniche; ei ne prese l’impegno, mediante la somma di fiorini novanta; e riuscì così bene, che il mio strumento faceva l’ammirazione di tutta la città. (…)

(G.G.Ferrari, Aneddoti piacevoli e interessanti, ed. Lubrina 1998)

Possiamo dunque asserire che nel XVIII secolo la musica strumentale è una componente stabile di una certa importanza della vita roveretana.

"Dirigeva la cappella di S. Marco in quegli anni l’abate Domenico Pasqui, che lasciò molte composizioni da chiesa, anche se di scarso valore. E un altro musicista roveretano fu quel Gotifredo Ferrari, ricco viaggiatore amico di molti musicisti di fama e che finì i suoi giorni a Londra. Non solo, ma in quel periodo troviamo tre giovani violinisti che frequentarono a Padova le lezioni di Giuseppe Tartini: Girolamo Untersteiner, Cristoforo Baroni (nominati dallo stesso Tartini in una lettera conservata nella Biblioteca Civica Tartarotti e indirizzata al Vannetti) e Francesco Feierer. Questo ultimo è citato da G.B. Beltrami nel suo Elogio Storico di D. Pasqui. Per finire potremo citare il banchiere roveretano G.A. Bridi, amico dei Mozart, tenore di una certa notorietà, e interprete nel 1786 di una edizione viennese dell’Idomeneo mozartiano.

(…) Un duro colpo venne inferto all’orchestra locale e ai cantanti della chiesa parrocchiale alla fine dell’anno 1783. I Provveditori locali, con il pretesto della mancanza di fondi, toglievano la sovvenzione annuale. Poteva essere la decadenza e la morte della vita musicale roveretana. Ma non fu così. La coscienza civile che si era maturata in quegli anni, la fondazione e l'inaugurazione del Teatro Sociale, avvenuta nel 1784, la nascita dei Cori orfeonici, impedì che ciò avvenisse.

(P. Ottone Tonetti: "Settant’anni per la Musica. Appunti della Civica

Scuola Musicale Zandonai nel settantesimo della fondazione")

Prima di riprendere il filo della storia, tracceremo la biografia delle personalità musicali di maggior spicco nella Rovereto tra Settecento e Ottocento:

Domenico Pasqui (Rovereto, 1722-1780), il più fecondo autore di musica chiesastica del Trentino, maestro della Cappella di S. Marco dal 1754 alla morte .

Giovanni Maria Zandonati (Rovereto, 1754-1831),maestro di cappella a S.Marco dal 1780 al 1831.

Giacomo Gotifredo Ferrari (Rovereto 1763-Londra 1842), il più illustre dei tre. Compositore di qualità, formatosi alla scuola di Latilla e Paisiello; ottimo pianista e clavicembalista, tra i primi a divulgare la musica di W. A. Mozart in Italia.

Autore della citata, preziosa e piacevole autobiografia "Aneddoti piacevoli e interessanti - Le avventure di un musicista italiano tra Rivoluzione Francese e Restaurazione".

Domenico Pasqui, il più fecondo autore di musica chiesastica del Trentino, nasce a Rovereto nel 1722 da Giacomantonio, tintore di sete e di damaschi, e da Francesca Gerosa. L’inclinazione alla musica gli deriva dagli zii materni: don Nicolò Gerosa, compositore e maestro di cappella di S. Marco, e don Crispino, contrabbassista della stessa chiesa, che lo avviano allo studio dell’armonia, del clavicembalo, dell’organo e del contrabbasso.

Dopo gli studi umanistici, studia teologia a Trento, dove nel 1747 viene ordinato sacerdote, e quindi si trasferisce a Salisburgo (1747-1753), ospite del collegio Rupertino-Mariano appartenente alla famiglia Lodron di Villa Lagarina.

A Salisburgo compone (in una lettera del 1748 all’amica Laura Saibante, la contessa Anna Maria Lodron scrive: "Pasqui ha composto parecchie eleganti sonate per clavicembalo"), e fa parte dell’orchestra del Duomo, diretta da J.E.Eberlin. Probabilmente questa attività orchestrale e la frequentazione di Eberlin lo aiutano ad affinare il suo gusto orchestrale e a maturare la sua tecnica compositiva.

Tornato a Rovereto, nel 1754 subentra allo zio don Nicolò Gerosa come maestro di cappella di S.Marco, assunto dal Civico Consiglio roveretano con uno stipendio che gli garantisce una vita tranquilla. In questo ruolo Marco s’impegna per dare prestigio alla musica cittadina, potenziandone le strutture e modellando la Cappella sulla falsariga di quella salisburghese. Aumenta il numero delle voci soliste e dei componenti del coro, e potenzia l’organico strumentale dell’orchestra affiancando agli archi i fiati e le percussioni. Infine si preoccupa di qualificare la Cappella con una scuola impiantata a serietà di metodi e di addestramento.

Le novità apportate dal Pasqui nelle esecuzioni roveretane (ricchezza di dialogo tra le voci soliste, coro e colori orchestrali, e virtuosismo strumentale) rivoluzionano le abitudini della Cappella.

Le sue musiche rieccheggiano lo stile e lo spirito delle esecuzioni della cappella musicale salisburghese, un po’ influenzate dalla scuola napoletana; le sue linee melodiche sono a volte garrule a volte pompose, raramente liriche o drammatiche; rari e poco significativi sono i suoi giochi polifonici. La sua è musica di maniera, piuttosto convenzionale, che sfoggia vocalizzi e che diluisce la melodia in progressioni e semplici divagazioni.

Della sua vita, si ricorda la trasferta a Innsbruck per le nozze dell'arciduca Leopoldo d'Austria con l'infanta Maria Luisa di Borbone, celebrate nel 1765. Accompagnato dai suoi più abili esecutori (il violinista Girolamo Untersteiner, avvocato e discepolo di Tartini; Francesco Feierer violinista e organista di Sacco; l’avvocato e violoncellista Giuseppe Bettini), è quella l’occasione in cui stringe amicizia con il famoso musicista Adolfo Hasse, che gli esprime stima e ammirazione.

Muore a Rovereto nel 1780 (aveva lasciato la città per un breve viaggio a Innsbruck nel 1765: in quell’occasione aveva conosciuto e stretto un rapporto di amicizia con il famoso musicista Hasse) e viene sepolto sotto il presbitero dell’Arcipretale di S. Marco.

Giovanni Maria Zandonati (Rovereto 1754-1831). Succede a Domenico Pasqui, come maestro di cappella di S. Marco, nel 1780, appena ordinato sacerdote.

Grazie all’incarico che, oltre alla funzione di organista, lo impegna a comporre i brani necessari all’uso liturgico, ha lasciato più di 330 composizioni originali, dal carattere semplice, lineare, rispondente al gusto dell’epoca e dei suoi ascoltatori.

La sua produzione rivela un certo talento, ma anche la mancanza di uno studio musicale serio e approfondito. Zandonati era consapevole dei suoi limiti: sognava di poter studiare a Venezia o a Napoli con qualche musicista di grido. Non risente però (dato molto interessante) dell’influenza dell’allora imperante gusto operistico, vistosa in tanta produzione organistica di altre scuole musicali d’Italia. Le sue piccole sonate anzi, così vicine alla sonata cameristica, rivelano un gusto musicale che risente più della cultura austriaca che di quella italiana.

 

Giacomo Gotifredo Ferrari nasce a Rovereto nel 1763 da Francesco (titolare di un’avviata azienda di fabbricazione e commercio della seta) e da Maddalena Raisevitz. La sua formazione musicale inizia, irregolare, a Rovereto; prosegue a Verona (dove il padre lo aveva mandato per avviarlo al commercio) e nel convento di Marienberg in Val Venosta (composizione e studio di vari strumenti). Si trasferisce quindi a Napoli dove studia con Giovanni Paisiello e Gaetano Latilla. Qui conosce i quartetti di W.A.Mozart, che considera in assoluto il più grande musicista (Ferrari fu tra i primi a diffondere la musica di Mozart negli ambienti aristocratici napoletani e italiani), e scrive le sue prime opere (il melodramma le Pescatrici su testo di Carlo Goldoni e le variazioni per pianoforte).

Nel 1787 si trasferisce a Parigi, dove conosce la nuova grande scuola pianistica di Dussek, Steibelt, Cramer, e dove si lavora insegnando canto e pianoforte, accompagnando i cantanti nel teatro di Montansier, preparando i "pasticci" (ossia i melodrammi che si avvalgono di musiche di autori diversi).

Allo scoppiare della Rivoluzione francese ripara a Bruxelles (1790), quindi si trasferisce nel 1792 a Londra. Nella capitale inglese conosce e frequenta i grandi Haydn e Clementi, è apprezzato come ottimo clavicembalista e pianista, insegna canto negli ambienti nobili; pubblica composizioni per strumenti solisti e musica da camera; scrive opere (l’intermezzo I Due Svizzeri,1799, è quella di maggior successo) e un trattato di armonia e composizione; si sposa con la pianista scozzese Victoire Henry, (che gli dà due figli). Tranne un ultimo viaggio in Italia nel 1815, e un breve soggiorno a Edimburgo (1823-1827), Ferrari visse fino alla morte a Londra (1842).

Preziosa per gli storici della cultura e della musica e piacevolissima per il lettore curioso, la sua autobiografia, "Aneddoti piacevoli e interessanti", racconta con intelligenza e vivacità gli ambienti musicali e culturali con i quali è stato in contatto, e offre interessanti notizie sulle abitudini sociali, i caratteri umani, le varie curiosità nazionali e regionali del suo tempo.

Come musicista aderisce all’estetica razionalistica del classicismo viennese, incarnato da Mozart e Haydn e approda ad esiti di indubbia qualità.

 

Per chi volesse approfondire

Segue :Continua

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