Una recente e costosissima pubblicazione della Biblioteca Apostolica
Vaticana (L´Inquisizione. Atti del simposio internazionale, Città
del Vaticano, 29-31 ottobre 1998, 2003, pp. 786, € 60,00) porta a termine
l´ attività di occultamento condotta per decenni dagli storici
"revisionisti", paradossalmente rinvigoriti da quando Giovanni Paolo II ha
chiesto pubblicamente perdono per i delitti degli inquisitori. Nella prefazione
il curatore, Agostino Borromeo, traccia un bilancio sorprendente: in tutto
l´arco della sua storia, l´Inquisizione avrebbe condannato al
rogo 59 persone in Spagna, quattro in Portogallo e 36 in Italia. Un nonnulla,
su un totale di 125.000 processi.
Uno potrebbe anche crederci. Lasciando da parte i trucchi numerici più
elementari (l´Inquisizione non eseguiva le condanne di persona, ma consegnava
le sue vittime alla giustizia civile, il cosiddetto "braccio secolare"; ed
era poi questo a eseguire la sentenza), volendo dimenticare le cronache truculente
dell´eccidio dei catari e di tante altre specie di eretici, sottilizzando
sulle differenze tra un´Inquisizione locale e l´altra, magari
ci si persuade che è vero: protestanti e miscredenti hanno moltiplicato
le vittime del Santo Uffizio, creando una "leggenda nera" dalle finalità
anticlericali. Del resto, i registri delle condanne inflitte dagli inquisitori
sono tutti spariti e, per ovvie ragioni, nessuna vittima può testimoniare
della propria sorte.
Disgraziatamente per il dottor Borromeo, ricercatore all´università
La Sapienza, esiste un´isola, la Sicilia, che ha prodotto sia inquisitori
feroci che storici appassionati. Tra questi ultimi, Vito La Mantia, che alla
fine del XIX secolo si dedicò, assieme al figlio Giuseppe, a un´opera
paziente e poderosa: ricostruire il registro dell´Inquisizione siciliana,
appendice di quella spagnola, sulla base di un manoscritto a quei tempi (oggi
non so) conservato nella Biblioteca Comunale di Palermo. Nel 1977 l´editrice
Sellerio ristampò i risultati di quelle ricerche (V. La Mantia, Origini
e vicende dell´Inquisizione in Sicilia), ma misteriosamente la cosa
sfuggì agli storici più accreditati; tanto che Franco Cardini,
nella prefazione a una traduzione lacunosa del Manuale dell´inquisitore
di Bernardo Gui (Claudio Gallone Editore, Milano, 1998), poteva permettersi
di elencare la Sicilia tra le regioni in cui l´Inquisizione aveva infierito
meno, con solo 29 vittime accertate (cifra che comunque smentirebbe quelle
del Borromeo).
Il fatto è che le ricerche dei La Mantia, padre e figlio, sono materia
rovente. Grazie a loro abbiamo almeno un registro dell´Inquisizione
quasi completo, dal 1487 al 1732 (al mondo ne esistono altri, però
nessuno di pari livello); per di più ricco di dati e di notazioni accurate.
Ebbene, ciò che ne risulta è sufficiente a confutare ogni riduzionismo
di stampo "revisionista". L´Inquisizione siciliana infierì per
due secoli e mezzo con spietatezza. I roghi furono ben più di 29.
Tutta l´isola fu passata al
setaccio, grazie a un imponente apparato di spie (descritto da un altro
grande storico siciliano, Franceso Giunta), e fu fatta strage di una massa
di poveri diavoli, bruciati vivi a singoli o a gruppi. Naturalmente, il testo
ricostruito da Vito La Mantia potrebbe essere un falso clamoroso; così
come le scritte sui muri delle carceri tracciate dai prigionieri dell´Inquisizione,
raccolte da Giuseppe Pitré e commentate da Leonardo Sciascia, potrebbero
essere fasulle.
Potrebbero.
In realtà non possono, perché il sentore della verità
è più forte di qualsiasi deodorante "revisionista" (ma meglio
sarebbe cominciare a usare il termine "negazionista", già applicato
a chi nega il massacro degli ebrei nei lager nazisti). Scelgo una voce a caso
dal registro trascritto da Vito e Giuseppe La Mantia. Reca il numero 213:
"Catania. Gabriele Tedesco, moro battezzato, schiavo del Prior de Barletta
Fr. d. [frate domenicano] Octavio Giorni Gran Croce, naturale d´Algeri,
abiurò domenica 16 ottobre 1630 nell´Atto celebrato nel piano
della Cattedrale, poi ricaduto e pentito fu ammesso la seconda volta a riconciliazione
nella Chiesa di S. Domenico a 3 marzo 1633, poi ricadendo ed essendo ostinato
fu rilassato in persona [rilasciato al braccio secolare, cioè bruciato
vivo] nell´Atto celebrato nella piazza della Chiesa Maggiore a 9 settembre
1640."
Da questa voce, estratta a caso da un elenco lunghissimo, apprendiamo che
un priore domenicano poteva detenere schiavi al proprio servizio. Che uno
di questi, ribattezzato Gabriele Tedesco, si ostinava a rimanere fedele alla
sua religione musulmana. Costretto due volte all´abiura, la terza volta
fu consegnato dagli inquisitori alle autorità, che lo legarono su fasci
di legna in una piazza, tanto perché la folla potesse assistere, e
gli inflissero un´agonia tra le più atroci che si possano concepire.
O mi si persuade che il brano è un falso, o continuerò a ritenere
che falsari siano gli storici "negazionisti". E a ringraziare i grandi studiosi
siciliani che, mossi non da furore iconoclasta bensì da passione di
sapere, permettono ancor oggi di smascherare gli ipocriti e i mentitori.
Freddamente, certo, ma con un senso insopprimibile di indignazione e di
disgusto.
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