5 ANNI DI GUERRA (1941-1945)

Ricordi di Michele Notte


A Genova

Alla fine dei tre mesi, fui nominato capo di un piccolo gruppo autonomo per andare a Genova a piazzare 5 fotoelettriche sui monti circostanti. Scelsi i soldati con cura, per la maggior parte alpini, con una manciata dalle altre regioni, 45 in tutto. Scelsi anche un compaesano di Acquevive, come attendente. Fu un bel modo per imboscarlo, ma una pessima scelta se avessi preteso molto da un attendente. Sapevo che i molisani non si prestano molto bene a servire!
Perche' poi un sottotenente, in guerra, dovesse avere un attendente era al di fuori di ogni mia comprensione! Quando, come diro' piu' tardi, arrivarono a Frosolone le truppe canadesi, ogni ufficiale si scaricava da solo il proprio zaino, come un soldato semplice. Pensare che in citta', in Italia, in piena guerra, si vedevano soldati fare da bambinaia ai bambini degli ufficiali di cui erano attendenti, e nessuno ci trovava da ridire!
A Genova dovetti impiantare 5 stazioni fotoelettriche sui monti circostanti. La sede del mio comando (ripeto, ero autonomo come un reggimento) era nel palazzo sito proprio all'arrivo della funicolare del Righi. Al piano terra c'erano i locali di uno spazioso ristorante, allora chiuso. Noi occupavamo i due piani sovrastanti. Affittai una camera nella casetta accanto per il mio alloggio. Il Castellaccio era a poche centinaia di metri. Dominava la citta' e il porto, con una visione d'incanto. Fino allora c'erano stati solo un paio di bombardamenti navali, che non avevano avuto gravi consequenze. Un grosso proiettile poteva essere visto, inesploso, ai piedi dell'altare della Cattedrale San Lorenzo.
Ogni postazione consisteva di un aerofono, un apparecchio con 4 grandi orecchioni che convogliavano il rumore degli aerei a un operatore seduto al centro. La posizione nelle tre direzioni spaziali di quell'apparecchio era comunicato a una colonnetta di comando piazzata al centro tra l'aerofono e il proiettore. A sua volta la colonnetta trasmetteva quelle coordinate al riflettore. Alla colonnetta c'era un operatore il cui solo compito era quello di girare un interruttore che avrebbe acceso il riflettore, inquadrando cosi' l'apparecchio nemico. In teoria tutto bene. Senonche'...
La corrente a tutta l'apparecchiatura era fornita da un gruppo generatore, con motore diesel, rumorosissimo. Cio' riduceva di oltre la meta' l'efficienza dell'aerofono.
Le esercitazioni si facevano inviando in volo un aeroplanino, che era facilmente individuato ed illuminato, una volta che l'operatore all'aerofono si fosse abituato ad ignorare il forte rumore di fondo. Di notte il rumore della citta' arrivava molto attenuato al Castellaccio.
Quando venne la prima incursione, i rumori di fondo delle esplosioni assordirono tutti noi, e in particolar modo l'operatore dell'aerofono. E' inutile dire a questo punto che in parecchie incursioni io, che ero l'operatore della colonnetta di accensione, riuscii a inquadrare un quadrimotore una volta sola, e dovetti spegnere il faro perche' l'aereo si abbasso' al livello dei tetti. Non facendolo avrei difatti aiutato il nemico, illuminando la citta' per loro, per quanto gli aerei nemici buttavano i fuochi di bengala, illuminando la citta' a giorno, e non avevano bisogno del mio aiuto supplementare per inquadrare i loro bersagli.
La nostra attrezzatura era tutta sopra il livello del terreno (una trincea ci avrebbe individuati), e non era certo piacevole stare li' fermi a vedere le esplosioni giu' in citta'. Mi sembrava di essere esposto, tutto nudo! Ricordo che durante i bombardamenti ci raccontavamo le barzellette piu' spassose, sbellicandoci dal ridere. La paura..., non c'e' dubbio.
Pochi giorni dopo il primo grande bombardamento aereo vidi arrivare i miei genitori. Avendo un accorsato negozio di tessuti, non viaggiavano mai assieme. Come mai? Non avendo ricevuto una mia telefonata rassicurandoli che stavo bene, avevano immaginato chissa' quanti orrori per me. I giovani purtroppo non si avvedono di quanto siano amati, e non pensano nemmeno che i genitori possano essere in angustia per loro, in certe situazioni! E' egoismo? Non nel caso mio; non mi era capitato nulla personalmente, e quindi perche' chiamare? Era piuttosto incoscienza giovanile.
Vedo ancora nella mia mente le bombe cadere nel Cimitero di Staglieno, e quelle che caddero molto vicino al penitenziario. Una volta vidi l'intera facciata di un palazzo (a Genova si tratta di palazzi a 6-7 piani che coprono un intero isolato) saltare in aria, girando sul suo asse orizzontale un paio di volte prima di disintegrarsi a terra.
La bomba dovette aver attraversato tutti piani, esplodendo in cantina dove senza dubbio tutti gli inquilini erano rifugiati. Le persiane sbattevano nel giravolta. E' un incubo che mi portero' alla tomba. La mattina seguente andai a vedere cosa fosse successo. Al posto del palazzo c'era un gran cratere ed i detriti erano ammucchiati ai margini! Tutti dovettero essere andati al Creatore senza minimamente accorgersene. E' come quando noi giochiamo "a fare i padreterni con le formiche" schiacciandole mentre passano.
Stando cosi' all'aperto, in una posizione da cui potevamo vedere cosa accadesse in quasi tutta la citta', un mio compito secondario era quello di segnalare al comando, per telefono, le localita' maggiormente colpite, affinche' si potessero inviare i soccorsi appena l'ondata nemica fosse passata.
Ad onor del vero, Genova si merito' tutto il mio plauso in tali circostanze funeste, perche' ben presto al mattino autocarri erano inviati a caricare coloro che fossero ancor vivi e trasportarli all'ospedale o in localita' di sfollamento. Per mezzogiorno si poteva transitare in tutta la citta' e i tram riprendevano le loro corse come se nulla, o quasi, fosse avvenuto!
La gente accettava stoicamente la loro sorte, proprio come si dice che facessero gli abitanti di Londra durante gli attacchi tedeschi, un anno dopo.
Durante uno di quegli attacchi, ebbi l'impressione che qualcosa di rosso venisse a grande velocita' contro di me. Fu come in un sogno. Afferrai per il colletto il soldato che stava vicino a me, e ci buttammo a terra. Una scheggia del peso di un chilo si pianto' a pochi metri da noi. Sono sicuro che se fossimo rimasti in piedi, l'uno o l'altro se la sarebbe buscata in pieno petto!
La scheggia rimase sul mio tavolo in ufficio per un bel po' di tempo, come portafortuna.
Nella mia mente non c'era dubbio che gli aerei nemici si dirigessero usando sempre gli stessi punti di riferimento durante le incursioni (sempre notturne, cortesia della RAF), perche' notavo che le bombe scoppiavano entro gli stessi corridoi notte dopo notte.
Siccome uno di quei corridoi era proprio il nostro, dove la nostra postazione del Castellaccio era sistemata, chiesi al Comando Difesa l'autorizzazione a spostarla. Mi venne concessa, con la promessa di 3 autocarri in prestito, per una certa data. La sera prima ci fu un'altra incursione che, tra una cosa e l'altra, duro' buona parte della notte. Inoltre ricevetti una telefonata che mi avvisava che non avrei avuto gli autocarri promessi perche' dovevano trasportare i profughi, quella notte piu' numerosi del solito.
I miei soldati mi pregarono di rinviare ad un'altra data il trasloco, ma io fui irremovibile."Lo faremo stamani, anche senza gli autocarri. A mezzogiorno finiremo il trasloco, se vi date da fare sul serio."
Le imprecazioni facevano vibrare l'aria, anche se appena mormorate, ma a mezzogiorno finalmente potemmo andare a dormire. La notte dello stesso giorno ci fu un'altra incursione, in cui tre grosse marmitte piene di fosforo caddero proprio dove fino alla sera prima avevamo rispettivamente l'aerofono, la colonnetta ed il riflettore! Divenni subitamente popolare; tutti i soldati vollero stringermi la mano per ringraziarmi di ....essere stato testardo. Un'altra occasione di protezione da parte di potenze occulte, o presentimento? Beh, un po' di merito mio c'era perche' avevo notato come cadevano le bombe, sempre pressappoco nelle stesse direzioni e negli stessi posti. Non si dice: "aiutati che Dio t'aiuta"?
Quella stessa notte ci fu un'altra tragedia molto vicina a noi. A un centinaio di metri forse di distanza dal mio comando c'era uno chalet tutto di legno, proprieta' del Consolato svizzero, una magnifica costruzione dove mi sarebbe piaciuto piazzare il comando del mio gruppo. Ma non si poteva, era proprieta' straniera. Proprio li' cadde una bomba che lo volatilizzo', incendiando anche i frantumi di legno rimasti.
All'alba salii sul terrazzo del palazzo, sentendo un tonfo. Era il padrone del ristorante che era caduto svenuto. Nella poca luce, aveva raccolto un coniglio morto ( i miei soldati ne avevano fatto sul tetto un piccolo allevamento), senonche', aperta la porta dell'abbaino aveva visto che non era un coniglio, ma il braccio di una donna. Si trattava di una vecchia che si era rifiutata di andare al rifugio perche' troppo anziana, ed era stata fatta in mille pezzi da quella bomba. I ragazzi per giorni ogni tanto trovavano qua' e la' un dito o qualche altro piccolo frammento del corpo della donna.
Il palazzo del comando era situato, come ho gia' detto, all'arrivo della funicolare del Righi. Li' la strada faceva una curva a 180 gradi, con forte pendenza. Un alto muraglione lo permetteva. Durante un'altra incursione una bomba cadde rasente il muraglione, adagiandosi tra il muraglione e la strada ai piedi dello stesso. Un capitano veniva ogni tanto inviato dal Comando Difesa per ispezionare i piccoli gruppi come il mio; mi chiese di indicargli dove fosse la bomba inesplosa. Ci trovavamo alla finestra dell'ultimo piano; la bomba scoppio' proprio quando gli stavo indicando la posizione, col braccio fuori della finestra. Ci ritrovammo io con un grosso bernoccolo in cima alla testa, egli col mento dolorante, perche' il vuoto d'aria ci fece cozzare l'uno contro l'altro, ma egli era di tutta una testa piu' alto di me!. La stanza era piena di polvere perche' l'intonaco del soffito si era staccato dalle canne che lo sostenevano.
Fortuna fu che la bomba si trovasse ai piedi del muraglione, fuori della nostra visuale, perche' tutta l'esplosione venne deviata via da noi e solo il risucchio ci colpi'.
Corsi a vedere se qualcuno fosse stato coinvolto. C'erano due vecchi militi della territoriale, bianchi dalla paura. Essi erano stati messi di guardia alla bomba, chissa' da quale cretino, con l'ordine di non far avvicinare nessuno, ma si erano assentati da qualche minuto per andare a bere un bicchiere di quello buono all'osteria vicina. Dei ragazzini dissero che ci avevano poggiato l'orecchio sopra ed avevano sentito fare : Tic, Tic, Tic. La bomba era a orologeria!
Per fortuna nessuno era presente quando scoppio'; noi due fummo le sole vittime. Da buon Molisano "ho la coccia tosta" e sopravvissi allo scontro col superiore.
Non vorrei dare l'impressione che fosse tutto orrore la nostra vita a Genova. I bisogni corporei erano prepotenti, e facevano si' che gli orrori venissero piazzati in seconda linea appena possibile. Uno di tali bisogni era il mangiare, un argomento sempre da me preferito ( e ne ho la prova fisica addosso!).
Pur essendo un gruppo di meno di 50 effettivi, noi andavamo a fare il vettovagliamento assieme ai reggimenti! Siccome il mio sergente furiere era genovese, di quelli veramente genuini e quindi buon commerciante, egli usava le sigarette (quasi nessuno di noi fumava) e lo stoccafisso (un pesce che nessuno di noi voleva mangiare, perche' eravamo quasi tutti gente di montagna) per barattare o....corrompere chi di dovere. Cosi' quando un reggimento prelevava quintali di carne, cos'era per il macellaio di darcene 10 chili anziche' i 5 che ci spettavano, e poi della migliore qualita'? Percio' molto spesso mangiavamo bistecche, cosa che a casa non avremmo potuto permetterci (ammesso che se ne trovasse in abbondanza, cosa che non era).
Quel capitano che ho nominato prima venne un giorno ad ispezionarci, verso mezzogiorno. Lo invitai a mangiare con me, e ci vennero servite due belle bistecche. Mi disse allora: "Tenente, le pare che sia il caso di trattarci cosi' bene?", intendendo che forse avevo sottratto parte della razione ai soldati.
Lo invitai ad entrare nella stanza accanto, dove potette vedere che ogni soldato mangiava una bistecca identica alle nostre. Quando gli spiegai come mai, cambio' tono e mi chiese:"Tenente, mi vuole prendere in forza nel suo Gruppo?". Cosi' da sottotenente ebbi alle mie dipendenze un capitano. Egli, possidente terriero piemontese, reciprocava il favore portandoci bottiglie dei migliori vini piemontesi: Barolo, Barbera, Freisa, Dolcetto, Barbaresco ecc. Cosi' venni introdotto a quei magnifici vini che a me, cattivo bevitore, erano praticamente sconosciuti.
Quel capitano fini' poi, subito dopo l'armistizio, prigioniero di guerra in Polonia!. Ma di cio' daro' dettagli in seguito.
A proposito di vini, un mio soldato di Arezzo portava sempre, al ritorno da una licenza, qualche bottiglia di Vin Santo, vino liquoroso molto gradevole col dolce, fatto dallo zio. Peccato che non potesse andare a casa piu' spesso!
Il sergente furiere barattava lo stoccafisso contro barrette di cioccolato, che solo Dio sapeva da dove venivano, e con banane e caffe' (di rado, pero') trafugati dai .."bravi" portuali genovesi dalle navi svizzere (si', svizzere, in quegli anni) che arrivavano in porto dal SudAmerica. Il sergente mi invito' una volta a casa sua, a Sanpierdarena, dove la madre ci fece la pasta col pesto, per me un piatto nuovo che in seguito ho sempre amato.
A Genova imparai anche ad apprezzare gli spaghetti col nero di seppia, piatto che molti non riescono a mangiare a causa del colore marrone scuro!
Mi piaceva andare per i vicoli lungo il porto, strettissimi e bui, ma con magazzini pieni zeppi di ogni ben di Dio. A guardare in alto, sembrava che i tetti si toccassero, tanto erano stretti quei vicoli.
In citta' giravo in motocicletta, che mi era stata data in dotazione, assieme a un motociclista!
Lo scherzo comune allora era che le moto dell'esercito italiano avevano tutte due sedili, uno per l'ordine e uno per il contrordine. Il motociclista mi fece cadere tre volte, sempre senza conseguenze, per fortuna.
Cosi' gli dissi che da allora in poi avrei guidato io, contro il regolamento, ma la mia pelle mi premeva troppo. Io a mia volta lo feci cadere 8 volte! La peggiore di tale caduta avvenne mentre andavo a velocita' abbastanza sostenuta giu' per un largo viale. Un autocarro sbuco' all'improvviso da una strada trasversale senza fermarsi prima. Era uno di quei grossi autocarri adibiti al trasporto di mobili, col muso allungato per l'alloggio del motore, e con una piattaforma sopra il cofano per appoggiarci altri mobili.
Cercai di frenare il piu' forte possibile e riuscii a bloccare la moto a circa un metro dall'autocarro, ma io ed il mio motociclista partimmo in volata, al di sopra dei mobili, cadendo dall'altra parte del camion. La gente accorse, credendo di dover raccogliere due cadaveri (un signore disse che pensava di dover usare un cesto!), ma tutto quello che ricevemmo fu un leggero graffio al palmo di una mia mano, e niente al mio soldato. E poi dicono che non avvengono piu' miracoli. E' solo che abbiamo gli occhi chiusi e non li vediamo, o facciamo finta di non vederli per non dire "grazie".
Una notte andai giu'in citta' dopo una incursione (ormai non le contavamo piu'). A Piazza De Ferrari davanti al Teatro Carlo Felice le orme dei miei passi mostravano tante fiammelle. Era la polvere di fosforo che si accendeva con lo sfregamento delle mie scarpe. Quando quelle bombe incendiarie cadevano, facevano un suono come di sirena, tra i piu' lugubri e paurosi che abbia mai sentito. C'era piu' di aver paura di quelle bombe che di quelle a scoppio, perche' le seconde mandavano al creatore senza indugio, e forse senza pena. Le prime ti incendiavano vivo; era meglio non sopravvivere in quelle condizioni.
Qualche mese dopo vidi le conseguenze di quelle bruciature. Un ufficiale tedesco col viso orribilmente sfigurato mi disse che dopo un'incursione del genere in Germania aveva visto un mucchio di roba biancastra a terra ed aveva esclamato "Cos'e' questa roba?" mentre allo stesso tempo le dava un calcio con lo stivale. Quella roba era fosforo; scoppio' come fa la polenta mentre bolle, e un po' gli si appiccico' in faccia. Non finiva mai di bruciargli la pelle del viso ed i muscoli sottostanti!
Un fatto orribile accadde ai parenti di un mio soldato. Un giorno venne a chiedermi una licenza urgente. Un suo parente, la moglie e una figlioletta di due anni circa si erano rifugiati in una galleria vicino alla Stazione Principe al suono delle sirene, la sera prima. Per accedere a quella galleria c'era una lunga fila di scale. Ci fu una ressa incredibile e, sembra, vi morirono oltre 400 persone, tra cui i suoi parenti, colti nella calca di gente che scendeva di corsa ed altri che tentavano di risalire. Il marito aveva alzato la figlia al di sopra della calca, ma era morto schiacciato. Nelle convulsioni della morte, le sue mani si era strette attorno alle gambe della bambina, stritolandole. La bimba fu trovata viva sopra una marea di morti! Sembra che la citta' avesse fumigato la galleria contro i topi di chiavica. Quando le prime persone vi scesero, non potevano respirare a causa del gas ancora stagnante li" e cercarono di uscire, ma la fiumana di gente in discesa giu' per le scale lo impedi'. Quando i primi caddero, la massa continuo' a scendere a valanga!
Di un altro accidente increscioso fui testimone oculare. Camminavo lungo una strada e vedevo, nell'avvicinarmi, una guardia in divisa schiacciare qualcosa come una noce sulla spalletta di un ponte, con un lucente oggetto metallico. Quando ero a pochi passi, quell'oggetto scoppio' e la guardia cadde a terra in un lago di sangue, che sgorgava a fiotti da una ferita al lato del collo. Cercai di tamponare la ferita col mio fazzoletto, ma la pressione era tale che non riuscii a ridurre la fuoruscita del sangue. Il poveretto mori' dissanguato in pochi minuti, molto prima che arrivasse un'ambulanza.
Quando feci il mio rapporto, mi chiesero di cambiarlo dicendo che l'ordigno (che era la capsula di un proiettile antiaereo) scoppio' mentre lo sfortunato lo stava raccogliendo per evitare incidenti ai passanti. Cosi' si creano gli eroi istantanei e si distribuiscono certe medaglie!
Durante i miei spostamenti per andare in licenza o per servizio, approfittavo per fare delle brevi soste e vedere citta'e monumenti in Italia che non mi era mai stato possibile visitare prima. Fu cosi'che mi fermai a Pisa per la Torre pendente ed il Battistero, a Cassino per visitare il famoso Convento benedettino di Montecassino, e cosi' via. Era un modo economico per acquistare una cultura, senza aggravio finanziario allo stato.
Verso l'estate del 1943 correvano voci che gli Alleati avrebbero tentato uno sbarco nel Nord Italia, il che avrebbe significato la Riviera Ligure. Durante una delle riunioni settimanali al Comando Difesa feci presente che, in caso di necessita', i miei soldati non avrebbero potuto difendersi avendo solo il moschetto ed una dozzina di pallottole ciascuno. Ne' mitragliatrici, ne' bombe a mano! Io poi non avevo mai avuto munizioni per la mia Beretta; quelle poche pallottole che avevo le avevo dovuto comprare di tasca mia!
La risposta fu di tacere. Nella vita militare si usa quella imposizione quando non si ha una risposta da dare. Ma io non mi arresi: "Visto che dobbiamo rimanere senza munizioni, ditemi almeno cosa dovrei fare nel caso di uno sbarco nemico, improbabile ma sempre possibile".
La risposta fu ancora piu' drastica: "Tenente, se lei continua, sara' denunciato al tribunale militare!" E queste furono le prime ed ultime lezioni di scienza ( politica?) militare per me.
Eravamo praticamente all'oscuro della vera situazione militare nei vari teatri di operazione bellica, ma nemmeno ne eravamo troppo preoccupati, nella nostra incoscienza giovanile.
Un giorno suonarono le sirene d'allarme. Era una magnifica giornata di sole. Forse erano gli Americani questa volta? No, era un aeroplanino, un biplano, di quelli usati alla fine della Prima Guerra Mondiale! La contraerea si mise a sparare all'impazzata, migliaia di proiettili, senza mai colpirlo o arrivarci vicino! Poi al telefono sentii il "cessate il fuoco". Si trattava di un nostro aeroplano che si era avviato su Genova senza avvertire nessuno. Come si potesse pensare che un aereo cosi' piccolo arrivasse a Genova dal Nordafrica, dove allora erano le basi piu' vicine dell'aviazione americana, e' al di la' di ogni comprensione. Il nostro rispetto per la milizia, gia' cosi' basso, cadde nel nulla!
Una sera gli Inglesi erano stati a bombardare La Spezia, in una magnifica notte di luna piena. Uno dei loro apparecchi, tutto solo, si diresse verso Genova. Si vedeva benissimo a occhio nudo. Le mie postazioni , di cui una sopra Portofino, mi chiesero se potevano accendere i fari. Per telefono il Comando Difesa mi proibi' di farlo, come aveva proibito ai cannoni di sparare, perche' "forse non ci ha visti". Invece l'aereo sgancio' un paio di bombe su Genova e poi cambio' rotta dirigendosi subito sul mare aperto. Solo allora fu dato l'ordine di sparare, ma ormai troppo tardi. Con quella magnifica luce si vedeva tutto molto chiaramente, ma i nostri capi non vedevano, o meglio, non capivano cio' che noi vedevamo.
Leggete il prossimo capitolo: Arrivano i Tedeschi!