5 ANNI DI GUERRA (1941-1945)
Ricordi di Michele Notte
Alla Scuola Allievi Ufficiali
Finalmente mi arrivo' l'ordine di andare a Pavia per frequentare il Corso di Allievi Ufficiali di Complemento del Genio.
Gli istruttori erano anch'essi dei sergenti, ma fummo avvertiti che erano a noi superiori, e qualunque tentativo di trattarli da eguali sarebbe stato severamente punito. Il corso sarebbe durato sei mesi.
La caserma era pulita, ben ordinata e, tutto sommato, piacevole a starci.Sveglia la mattina alle sei; in mezz'ora dovevamo lavarci e raderci (con acqua gelida), fare i nostri bisogni in un numero insufficiente di gabinetti igienici, rifare la branda perfettamente e correre in cortile a metterci in fila. Cosa all'inizio quasi impossibile, che pero' presto divento' routine, ed anche piacevole.
Quasi tutti i giorni avevamo corsi di argomento vario sulle varie operazioni militari (come tracciare una strada di fortuna, puntellare un ponte diroccato, ecc) oppure andavamo al Ticino per imparare a gettare un ponte di barconi per il passaggio di carri armati e di autocarri. C'era sempre un po' di nebbia sul fiume, ma il lavoro era interessante e piacevole, anche se pesante.
Durante l'inverno lungo la riva c'era sempre un po' di ghiaccio. Ricordo che un giorno tirai su un'ancora ed i guanti ci si attaccarono per il gelo e si strapparono piuttosto che staccarsi. Naturalmente lavoravamo tutto il giorno senza cappotto, perche' ci sarebbe stato d'impiccio.
Al rientro in caserma, infreddoliti e stanchi, andavamo subito a comprare in cantina una tazza di cioccolato o di latte caldo. Io, per la prima e l'unica volta nella mia vita, ci facevo mettere dentro un bel bicchiere di grappa. Era un ottimo tonico e piacevole calorifero, e un po' sonnifero.
A mensa sedevamo in otto per tavolo. Al mio eravamo in 3 meridionali e 5 settentrionali. Servivano a giorni alternati riso o pasta asciutta, e in piu' pane e carne, con un po' di vino. Ci accordammo che quando la pietanza era pasta, la mangiavamo solo noi meridionali, e quando c'era riso, lo mangiavano solo i settentrionali. Non avevamo alcun problema a mangiare in tre le porzioni per otto!
Un giorno mi prese un terribile mal di denti, e mi si gonfiarono le guance. Andai alla Clinica dentistica dell'Universita', dove trovarono che la causa era in un molare. Mi chiesero di tornare quando il gonfiore fosse passato, ma il dolore era veramente insopportabile e cosi' decisero di farmi lo stesso un'iniezione anestetizzante. Quando provarono ad asportare il dente, si accorsero che l'anestesia non aveva avuto alcun effetto. Con riluttanza mi fecero una seconda iniezione, ma non riuscirono a togliere il dente perche' il dolore era atroce.
Mi chiesero di tornare il giorno dopo; senonche' durante la notte il dolore passo', non ritornai piu' alla clinica e quel dente mi rimase in bocca senza alcun problema per altri venti anni!
Penso che quando cercarono di estrarlo lo mossero un po', e cio' allento' la pressione del dente su quelli vicini.
Durante la mia permanenza a Pavia ebbi un altro problema di salute. Sotto le ascelle e all'inguine si formarono delle bolle, piene di liquido, che si allargavano come una macchia d'olio lasciando al centro la pelle rossa e squamosa. La malattia venne identificata come dovuta a un fungo della pelle. La cura consisteva nello spennellamento con una tintura di zolfo sciolta nell'alcool, per due giorni. Poi venivo coperto con una specie di vasellina, per un giorno intero, per ridurre l'irritazione.
Quando con la tintura toccavano lo scroto, il dolore era intenso! Cosi' mi tocco' stare in ospedale due settimane. Alla fine ero ben guarito.
All'ospedale la sera giocavo a tombola con le monache, che chiamavano i numberi alla napoletana, con delle parole, come "la paura" per 90, "la rivoluzione" per 48, "Natale" per 25 ed anche "gamb'i donn" per il 77. Quelle care giovani arrossivano a dire quella frase, ma la dicevano. Tutto era fatto senza troppa malizia.
All'ospedale un giorno arrivo' un soldato dal fronte libico. Aveva infezione ad ogni pelo della lunga barba. Lo fecero stare con la faccia su un getto di vapore per un'ora o due, poi gli legarono mani e piedi, e gli strapparono i peli della barba, uno per uno, in due giorni. Gli urli, e gli sputi, del poveretto mi hanno sempre sconsigliato dal tentare di farmi crescere la barba, per il resto della mia vita. Quando poi gli applicavano un disinfettante sulla faccia, il dolore era ancora piu' atroce.
Per il Natale del `41 venni mandato a casa in licenza. Al momento del ritorno fece una gran nevicata e, come ogni anno succedeva allora a Frosolone, la neve abbondante blocco' tutti i trasporti.
Telefonai a Pavia per avere una proroga, ma mi risposero che ero gia' stato assente due settimane, sia pure a causa di malattia, e se non fossi tornato in tempo avrei perduto il corso. Cosi' mi tocco' ingaggiare due muli ed avventurarmi fino a Cantalupo, circa 15 km, in quelle difficili circostanze, per prendere il treno. Cosa non farebbe mai un guerriero per completare la propria preparazione al combattimento!?!
A Pavia la libera uscita era di sole due ore per sera, non molte per divertirsi. Andavamo a riscaldarci al locale bordello, dove le prostitute inorridivano al pensiero di sentirsi toccate dalle nostre mani gelide. Ma tanto non avevamo danaro e percio' le lasciavamo in pace piu' spesso che no. Alla maitress pero' cio' non andava a genio e continuava a dirci:" Su, impotenti, disperati, segaioli!"
Eravamo impervi a tali accuse, sapendo bene che non erano vere, o perlomeno due su tre non lo erano. Disperati, si' lo eravamo, finanziariamente!
Un amico di Milano mi aveva introdotto a una famiglia di sua conoscenza, da cui andavo a volte per fare due chiacchiere. A volte uscivo con la figlia della mia stessa eta', ma solo per rubare qualche bacio, piuttosto innocente. Non avrei compromesso alcuna ragazza, e tanto meno la figlia di amici!
Cosi', molto spesso, si passava la serata a chiacchierare tra di noi. Mi dicono che cio' ora, a distanza di 50 anni, e' insolito tra giovani.
Quasi ogni sera compravo una pera da mezzo chilo, chiamata "cent'once", la mettevo sopra una cassa ai piedi del letto ( la nostra valigia), mi mettevo a letto e me la mangiavo, gelida com'era, con gran gusto. Questo alle nove: si era stanchi e ci si doveva alzare presto la mattina.
Una sera il sergente istruttore vide la pera ed allungo' la mano per prendersela. "Non ti azzardare" gli dissi, ed egli ritiro' la mano, e mai si vendico'. Avrebbe potuto farlo, facilmente.
Finalmente arrivo' il giorno della graduazione e del giuramento.
Procedere al prossimo capitolo: Sotto-Tenente